Le cause di esclusione della colpevolezza
Sono cause in presenza delle quali viene meno la colpevolezza (elemento soggettivo) del reato. L'elemento soggettivo manca quando il fatto materiale non può essere attribuito alla «coscienza e volontà» del suo autore. In queste ipotesi l’autore del fatto non può essere punito (art. 42, comma 1 c.p.).
La riferibilità del fatto alla coscienza e volontà del suo autore può essere esclusa quando il fatto è stato commesso per:
- forza maggiore
- caso fortuito
- costringimento fisico e psichico
Si definisce «forza maggiore» (art. 45 c.p.), la forza esterna alla quale l’autore del fatto non era in grado di resistere: la volontà del soggetto viene sempre annullata giacché lo stesso viene costretto da una forza esterna a se stesso che, per il suo potere superiore, inevitabilmente, lo obbliga (contro la sua volontà) a compiere l’azione incriminata dall’Ordinamento.
Si dice allora che l’agente ha incontrato una «Vis maior cui resisti non potest» (=una forza così irresistibile a cui il soggetto agente non potè opporsi) e che quindi il soggetto «agitur se non agiti» (=non ha agito ma è stato fatto agire).
- Ad esempio, un operaio intento a lavorare su una impalcatura che, sbalzato al suolo da un violentissimo colpo di vento, cadendo cagiona la morte di un passante schiacciato dal peso del suo corpo. Egli non sarà punito perché sebbene la sua azione abbia cagionato l’evento, tale azione è stata determinata da forza maggiore.
- Altro esempio, può essere quello del contribuente che non è in grado di presentare tempestivamente la denuncia dei redditi perché nella sua città i servizi pubblici sono stati bloccati per il verificarsi di un alluvione o di un altro disastro.
- Altro esempio, può essere quello del comandante di nave mercantile che prestando soccorso ad un surfista, in difficoltà tra i marosi, lo investe, cagionadogli ferite mortali, a causa di un’onda anomala sollevata da una tromba d’aria abbattutasi improvvisamente sul tratto di mare interessato.
Si ha invece il «caso fortuito» (art. 45 c.p.) per il verificarsi di un fatto imprevisto ed imprevedibile alla condotta dell’agente o alla sua coscienza e volontà.
Il caso fortuito determina la mancanza di dolo e di colpa allorché si verifica, per effetto del comportamento del soggetto agente, un evento da lui non voluto, né da lui causato per imprudenza o negligenza.
- Si ritiene ad esempio, che non sia punibile il soggetto che procedendo nel pieno rispetto delle norme sulla circolazione stradale, investe con l’auto un ciclista che, colpito da un malore, gli taglia improvvisamente la strada senza che lui possa far niente per evitare l’investimento. Le eventuali lesioni patite dal ciclista non potranno essere ricondotte a colpa dell’automobilista, bensì al caso fortuito.
- Ad esempio, il comandante di nave mercantile che navigando in un canale, per un malore improvviso (fattore patologico), perde il controllo del mezzo e investe una nave sopraggiungente cagionando il ferimento di alcuni passeggeri. Lo stesso è invece responsabile del reato di lesioni (art. 590 c.p.) se si è posto alla condotta pur essendo consapevole del suo precario stato di salute e potendo perciò prevedere quel che poteva accadere.
Sia la forza maggiore che il caso fortuito escludono, dunque, l’elemento soggettivo del reato, ma mentre nell’ipotesi di caso fortuito avviene l’inserimento, nella condotta del soggetto agente, di un «fattore imprevedibile» che rende fatale il determinarsi dell’evento; invece, nel caso della forza maggiore, l’evento deriva da un «fatto naturale» alla cui azione il soggetto non può sottrarsi.
Sicché, carattere del caso fortuito è la “imprevedibilità”, mentre nella forza maggiore è la “irresistibilità”.
Si ha «costringimento fisico» (art. 46 c.p.), a seguito di una violenza esercitata da altri e alla quale il soggetto agente non poteva resistere comunque sottrarsi.
E’ la tipica ipotesi di forza maggiore in cui la forza esterna è determinata dalla violenza fisica di un altro soggetto. Il reato quindi non viene commesso da chi agisce materialmente ma da chi ha posto in essere la costrizione.
- Si pensi ad esempio, al caso in cui Tizio, afferrando la mano di Caio, lo costringe a premere il grilletto di una pistola uccidendo una persona. Chi ha premuto il grilletto non è punibile perché è stato solo lo strumento materialmente usato da Tizio per commettere il reato di cui all’art. 575 c.p. Di questo reato è del tutto logico, invece, che risponda lo stesso Tizio come espressamente prescrive l’art. 46 co.2 c.p.
L’ipotesi vista in precedenza va tenuta distinta da quella del cosiddetto «costringimento psichico» (art. 54, comma 3 c.p.). In questo caso, infatti, nei confronti dell’autore del fatto non viene esercitata una violenza fisica alla quale non è possibile resistere, ma una «minaccia» in grado di generare in lui un vero e proprio stato di necessità e di indurlo a commettere il fatto per salvare sé o gli altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona.
Al costringimento psichico conseguono effetti analoghi a quelli del costringimento fisico: del reato risponde, infatti, l’autore della minaccia e cioè colui che ha costretto l’autore «materiale» di questo.
- Ad esempio, mentre è violenza fisica che concreta il costringimento fisico quella subita dal soggetto nell’ipotesi in cui la sua mano è stata guidata da altri per commettere il reato, è minaccia che concreta il costringimento psichico quella in cui il soggetto è costretto dietro la minaccia di una pistola a commettere un reato.