L'attività della polizia giudiziaria militare all'estero
Abbiamo avuto modo di vedere alcune delle problematiche attinenti allo svolgimento delle attività di polizia giudiziaria militare sul territorio dello Stato, mentre per quanto riguarda l'espletamento di tali attività all'estero le soluzioni si presentano più complesse.
Ricordiamo che il Codice di rito ricollega inscindibilmente l'espletamento delle funzioni di polizia giudiziaria all'applicazione della legge penale mentre il c.p.m.p. disciplina l'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria militare con riferimento ai reati soggetti alla giurisdizione militare. Mentre la legge penale comune e quella militare si applicano a tutti i fatti-reato commessi nel territorio dello Stato e, in specifici casi e con numerose limitazioni, anche a fatti commessi all'estero, l'attività di polizia giudiziaria - manifestazione di un principio di sovranità statale che si estrinseca con atti di coercizione personale e reale, garantiti nel loro svolgimento dalla tutela penale - non può, in tempi normali, esplicarsi oltre i confini dello Stato se non “eccezionalmente”, a seguito di specifici accordi internazionali, come nel caso previsto nell'articolo 41, paragrafo 1 (inserito nel Capitolo relativo alla cooperazione tra forze di polizia), della Convenzione ratificata con la Legge 30 settembre 1993, n. 388, di esecuzione del protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana all'Accordo Schengen del 14 giugno 1985[1] (cui hanno aderito 9 dei 12 Stati membri della Comunità Europea, quale importante misura tra quelle volte a garantire adeguati livelli di sicurezza), nel quale è disposto che le forze e gli organi di polizia di una delle Parti contraenti che nel proprio paese inseguono una persona colta in flagranza di commissione di uno dei reati di cui al paragrafo 4 (es. terrorismo internazionale, criminalità organizzata internazionale, traffico illegale di stupefacenti in associazione a delinquere, favoreggiamento di immigrazione clendestina, ecc.) o di partecipazione alla commissione di uno di tali reati, sono autorizzati a continuare l'inseguimento (c.d. inseguimento transfrontaliero) senza autorizzazione preventiva nel territorio di un'altra Parte contraente quando le Autorità competenti dell'altra Parte contraente non hanno potuto essere previamente avvertite dell'ingresso in detto territorio, data la particolare urgenza, mediante uno dei mezzi di comunicazione previsti o quando tali Autorità non hanno potuto recarsi sul posto in tempo per sostituirsi nell'inseguimento; tuttavia al più tardi nel momento di attraversare la frontiera gli agenti impegnati nell'inseguimento dovranno avvertire le Autorità competenti della Parte contraente nel cui territorio l'inseguimento avviene e questo deve cessare non appena la Parte contraente nel cui territorio esso si sta verificando lo richiede.
Che l'attività di indagine in territorio estero - anche finalizzata all'accertamento di fatti di reato realizzati in Italia - non possa, in tempi normali, essere svolta dalle nostre forze di polizia appare evidente anche al profano che abbia seguito le recenti e meno recenti questioni in materia di rogatorie[2] internazionali e di collaborazione giudiziaria.
- Basti ricordare, ad esempio, al caso che ha coinvolto la Procura della Repubblica di Roma nelle indagini per l’omicidio della giornalista italiana in Afghanistan. La Procura non ha potuto procedere direttamente alle indagini con la sua Sezione di Polizia Giudiziaria ma ha seguito la procedura prevista per l'espletamento delle rogatorie internazionali.
Tale soluzione, tuttavia, comporta un notevole rallentamento delle indagini e, quando l'apparato giudiziario e di polizia del paese rogato non funzionano o si trovano nel pieno di una guerra, può divenire praticamente inutile.
Pertanto, il C.S.M. ha avviato un'indagine per verificare se siano effettivi e adeguati gli strumenti di cooperazione giudiziaria tra Stati per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale, rogatorie comprese, anche allo scopo di suggerire possibili interventi al Parlamento.
Dalle prime audizioni sono emersi che i tempi medi per avere risposta a una rogatoria internazionale sono pari a 4-5 anni, con punte massime di dieci anni; ma i problemi non vengono solo dalle rogatorie, in quanto è stato rilevato che le difficoltà nelle indagini oltre frontiera sono legate soprattutto alle diversità delle legislazione tra Stati. Occorre quindi risolvere il quesito se in siffatti ambienti operativi eccezionali nei quali si esercita anche sul territorio estero la sovranità italiana attraverso il mezzo più incisivo, l'uso delle armi, la vigente normativa è idonea a fornire una tutela penale sia con riferimento a fatti criminosi commessi dai militari italiani a danno di militari di altre nazioni operanti oppure di civili locali, sia per i reati commessi a danno di militari italiani; e ciò sia per quanto riguarda l'ordinamento penale e processuale penale, sia per quanto riguarda la reale possibilità di procedere, per mezzo della Polizia Giudiziaria, all'accertamento dei fatti e all'individuazione dei colpevoli.
Per il Comandante di Corpo, di distaccamento o di posto e per gli altri Ufficiali di polizia giudiziaria militare inseriti in un Contingente che opera nel Paese straniero si pone il problema di qualificare penalmente un fatto - in primo luogo distinguendo se comune o militare - del quale sono venuti conoscenza per decidere eventuali provvedimenti coercitivi da adottare, se svolgere o meno indagini, se inviare oppure no la comunicazione della notizia di reato al competente Procuratore Militare: si tratta, pertanto, di definire quali sono le norme penali, comuni o militari, sostanziali e processuali, applicabili alla fattispecie concreta posta in essere.
In buona sostanza, se in territorio estero un Ufficiale di polizia giudiziaria militare si trova presente nel momento in cui un militare del contingente italiano sta commettendo un furto, una rapina, ecc., ha l'obbligo di intervenire per impedire l'evento ?
Deve arrestare in flagranza il responsabile e deve inviare la comunicazione della notizia di reato al PM (ordinario o militare) ?
E se l'autore di quegli stessi fatti è un estraneo alle Forze Armate italiane che sta agendo contro un cittadino o un militare italiano ?
In mancanza di applicazione della legge penale militare di guerra l'Ufficiale di polizia giudiziaria militare potrà solo, trattandosi di reati comuni:
- ordinare, ai sensi del Regolamento di disciplina, al militare italiano che sta commettendo i sopra citati reati di desistere;
- intervenire, in presenza di tutti i requisiti richiesti per la sussistenza della scriminante, a difendere la persona offesa, e non sarà punibile per i reati eventualmente posti in essere a danno dell'aggressore perché compiuti in stato di legittima difesa;
- 3) inviare al PM competente un rapporto, avendo assistito al fatto criminoso mentre si trovava in servizio ed essendo egli comunque un Pubblico Ufficiale.
[1] L’Accordo di Schengen prevede altre misure di carattere generale, come la cooperazione tra le forze di polizia, l’assistenza giudiziaria, l’estradizione, la lotta contro la droga. Schengen quindi costituisce il primo tentativo europeo di dare una risposta comune a questioni che superano ormai il quadro nazionale ma, soprattutto, costituisce il primo passo verso la creazione di una spazio europeo di libertà e di sicurezza. Lo scopo principale dell’Accordo di Schengen è quello di realizzare uno spazio di libertà eliminando progressivamente i controlli alle frontiere interne, adottando le necessarie misure compensative e sviluppando la cooperazione doganale e di polizia. L’accordo di Schengen, firmato nel 1985 da Francia, Germania e Benelux, ed al quale hanno successivamente aderito Italia (1990), Spagna e Portogallo (1991), Grecia (1992), Austria (1995), Danimarca, Svezia e Finlandia (1996), benché copra, attualmente, tutto il territorio dell’Unione Europea (eccezion fatta per Regno Unito e Irlanda), non è un accordo «comunitario» ma un accordo intergovernativo. Per accordo comunitario, si intende un accordo che viene realizzato ed eseguito all’interno del quadro istituzionale comunitario. L’accordo di Schengen, invece, è un accordo intergovernativo di tipo classico, negoziati dai governi e ratificato dai parlamenti di stati che, allo stesso tempo, fanno parte dell’Unione europea. Di recente poi, due stati non membri dell’Unione europea si sono associati all’accordo di Schengen (Norvegia e Islanda).L’Italia è in una condizione particolare: aderente a Schengen fin dal 1990, non è riuscita a partecipare alla prima fase attuativa (marzo 1995) causa la mancanza di una legge di tutela della riservatezza rispetto all’uso dei dati. Ora questa legge è stata approvata e si prevede che nell’ottobre prossimo anche il nostro Paese parteciperà all’attuazione degli accordi.
[2] Con questo termine si fa riferimento alla richiesta che una Autorità Giudiziaria rivolge ad una Autorità Giudiziaria di altra sede perché proceda in sua vece all’assunzione di mezzi di prova. Si tratta in sostanza di una delega. E’ possibile rivolgere rogatorie alle Autorità straniere e ai consoli italiani nonché riceverle dalle stesse in materia civile che in materia penale.