Le fonti nominate di reato: il Referto
E’ la dichiarazione con cui l’esercente una professione sanitaria (art. 99 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, T.U. delle Leggi sanitarie) porta la commissione di un reato perseguibile d'ufficio, del quale abbia avuto notizia in occasione della prestazione della sua opera, a conoscenza del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria
Come la denuncia dei soggetti pubblici, il referto deve presentare forma scritta ed è obbligatorio per coloro che abbiano prestato assistenza (o opera) in casi che possono configurare un delitto perseguibile di ufficio (art. 334 c.p.p.) e può essere redatto anche "cumulativamente" da più sanitari e per più assistiti (referto cumulativo).
Il referto può essere, a scelta, presentato dall’obbligato al Procuratore della Repubblica, oppure ad un Ufficiale di P.G. del luogo dell’intervento o a quello più vicino alla propria sede.
In ordine al termine, l’obbligo deve essere adempiuto entro 48 ore dalla prestazione professionale ovvero immediatamente quando vi sia pericolo nel ritardo (come accade quando il paziente corre pericolo di vita) al Pubblico Ministero o ad un Ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui l'assistenza è stata prestata o, in mancanza, all'Ufficiale di polizia giudiziaria più vicino (art. 334 c.p.p.).
- Se il referto è presentato alla Polizia Giudiziaria, esso va trasmesso al P.M. entro i consueti termini previsti dall’art. 347 c.p.p. e unitamente agli atti di indagine eventualmente compiuti.
L’omissione del referto da parte di chi vi è obbligato configura la fattispecie delittuosa di cui all’art. 365 c.p..
La presentazione del referto è un obbligo penalmente sanzionato per gli esercenti una professione sanitaria, salvo il caso in cui il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (art. 365 comma 2 c.p.). In tal caso, sull’esigenza dell’azione penale prevale il diritto dell’assistito (qui in re illicita versatur) alla cura della propria salute. In questa ipotesi è lecito opporre il segreto professionale sanitario[1] e gli esercenti la professione sanitaria hanno non l'obbligo, ma la facoltà di presentare referto.
- Caso tipico di esonero dall’obbligo di referto e, ad esempio, quello del medico cui si presenta una persona che ha riportato lesioni in una rissa in porto o che è stata ferita dalle Forze di Polizia durante gravi disordini in ambito portuale.
L’obbligo del referto non sussiste per i reati punibili a querela e in particolare per il delitto di «lesioni colpose» (art. 590 c.p.), salvo che non si tratti di lesioni gravi o gravissime o di malattie professionali, i cui termini di guarigione superano i 40 giorni, conseguenti a fatti commessi con violazione delle norme per la “prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro”. Secondo alcuni, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un pubblico servizio (medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.
- Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del medico fiduciario dell’ IPSEMA che, intervenuto a bordo di una nave per prestare soccorso ad un membro dell’equipaggio in fin di vita coinvolto in un presunto incidente sul lavoro, rilevi la presenza di ferite procurate da arma da taglio sul corpo dell’assistito.
► Il referto deve indicare:
- la persona alla quale è stata prestata assistenza;
- se possibile le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quant’altro valga a identificarla;
- luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento;
- notizie che possono servire a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o potrebbe causare.
[1] Secondo la dottrina minoritaria, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un servizio pubblico (come ad esempio, medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.