Cause di giustificazione del reato: scriminanti
Le «cause di giustificazione» del reato o di leicità o di esclusione della responsabilità penale (=scriminanti) sono tassativamente individuate dalla legge ed escludono l’antigiuridicità di una condotta che, in loro assenza sarebbe penalmente rilevante e sanzionabile. Sono situazioni normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico.
In presenza di tali circostanze, infatti, una condotta (altrimenti dalla legge punibile), diviene lecita e ciò in quanto una norma, desumibile dall’intero ordinamento giuridico, la ammette e/o la impone.
Le cause di giustificazione sono desumibili dall’intero Ordinamento giuridico e, pertanto, la loro efficacia non è limitata al solo diritto penale ma si estende a tutti i rami del diritto (civile e amministrativo).
Al realizzarsi di una scriminante, il bene giuridico che la norma penale intende preservare, non è più tutelato poiché in concreto vi sono altri interessi di superiore o pari livello che vengono conseguiti attraverso la condotta tenuta.
Le cause di giustificazione trovano la loro applicazione nell’intero ordinamento giuridico (non solo quindi nell’ambito della legge penale), il che comporta l’inapplicabilità anche delle sanzioni civili o amministrative, altrimenti applicabili al fatto criminoso.
- Pertanto, ad esempio, se un pescatore percuote un ladro per evitare il furto delle reti, non commette il reato di percosse (art. 581 c.p.) o lesioni (art. 582 c.p.), in quanto la sua condotta è scriminata dalla legittima difesa.
Il ladro che ha lesioni a seguito delle percosse non può chiedere il risarcimento del danno.
Uno dei problemi più avvertiti da chi svolge attività di polizia giudiziaria è quello relativo alla individuazione delle proprie responsabilità penali in caso di interventi che comportino danni (o pericolo di danni) a cose o persone.
- L’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria che compie una perquisizione e per entrare nel domicilio altrui danneggia la porta di ingresso, ad esempio, commette in astratto i reati di “violazione di domicilio aggravata” e di “danneggiamento aggravato” (art. 614 ultimo comma c.p. e 635 co.2 c.p.).
E’ altrettanto vero, però, che egli non ha compiuto un fatto socialmente dannoso, ma ha agito, anzi, nell’interesse della società. Più precisamente nell’adempimento di un dovere impostogli dall’art. 352 c.p. e ancor prima dall’art. 55 c.p.p. che gli prescrive di impedire che i reati vengano portati a ulteriori conseguenze, ricercare gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova.
La condotta del soggetto agente è perciò lecita perché compiuta in presenza di una «causa di giustificazione» (adempimento di un dovere, art. 51 c.p.) espressamente stabilita.
E’ anzi da dire che, se l’agente si fosse comportato diversamente pur trovandosi di fronte ad una situazione che gli imponeva una perquisizione, egli poteva esser chiamato a rispondere, fra l’altro e quantomeno, del reato di cui all’art. 328 c.p., “rifiuto di atti d’ufficio (omissione)”.
Va detto allora che, in casi come quelli descritti, l’operato apparentemente illecito, della polizia giudiziaria è scusato (o giustificato) ed impedisce che il reato si perfezioni e possa essere addebitato a colui che ha compiuto il fatto.
- Le cause di giustificazione che più spesso ricorrono nelle ipotesi che qui interessano, sono:
- adempimento di un dovere
- legittima difesa
- uso legittimo delle armi
- stato di necessità