Legge 39/1990
Alla fine degli anni '80 il Governo italiano si rende conto in maniera più precisa dell’entità del fenomeno immigratorio, e cerca di dettare una disciplina più ampia della precedente, nel tentativo di ricomprendere in un corpus unitario la regolamentazione del fenomeno immigratorio extracomunitario.
La nota Legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. Martelli, si presenta formalmente come provvedimento in materia di rifugiati e profughi, argomento principale del testo di legge disciplinando sia il riconoscimento dello "status di rifugiato" che "l’ingresso" in Italia di cittadini extracomunitari per qualsiasi ragione, non limitatamente cioè ai motivi occupazionali: è previsto che detti cittadini possono entrare in Italia per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto.
Il tentativo di un’effettiva programmazione dei flussi migratori per ragioni di lavoro si fa più serio – almeno nella disciplina legislativa – prevedendosi allo scopo decreti interministeriali a cadenza annuale che tengano conto sia dell’economia nazionale, che delle concrete disponibilità finanziarie e delle strutture amministrative volte ad assicurare adeguata accoglienza, che delle richieste di soggiorno per lavoro di cittadini extracomunitari già presenti sul territorio nazionale per altri motivi, e di quelli già iscritti nelle liste di collocamento.
La legge Martelli prevede due tipi di “filtro” per l’accesso in Italia di extracomunitari: il primo direttamente alla "frontiera", ove andrà valutata la regolarità dei documenti e l’insussistenza di cause ostative. Il secondo presso la "Questura" del luogo di dimora, ove l’Autorità valuterà se rilasciare il "permesso di soggiorno", in relazione ai motivi dell’ingresso in Italia, stabilendone anche la durata (ove non espressamente prevista dalla legge).
La legge 39/1990 comunque appare particolarmente significativa per avere introdotto nell’ordinamento la specifica procedura dell’espulsione del cittadino extracomunitario, disciplinando con una certa precisione le varie ipotesi e rimedi giurisdizionali; invero norme sul soggiorno e sull’espulsione degli stranieri erano già previste nella legislazione italiana (articoli 142 e seguenti del testo unico delle norme di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e relative disposizioni di attuazione). Si trattava, tuttavia, di disciplina a carattere generale e non molto puntuale, abrogata dalla legge Martelli (articolo 13) anche a motivo del fatto che essa non poteva comunque più valere per i cittadini comunitari.
Nemmeno la legge 39/1990 è poi sfuggita alla logica della “sanatoria”, alla quale anzi è stato conferito particolare rilievo e interesse, disponendo modalità tese ad assicurare la più ampia diffusione per la conoscenza dei sistemi di regolarizzazione previsti dalla legge stessa.
Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, la legge Martelli introduce per la prima volta pene detentive e pecuniarie, aggravate dalla circostanza del concorso per delinquere. Pene lievi, se si considerano quelle attualmente in vigore: la reclusione fino a due anni o una multa fino a 516 €, aumentati a sei anni più una multa da 5.164 a 25.822 € in caso di concorso o lucro.
La legge Martelli fissa inoltre i parametri iniziali del meccanismo generalizzato dell’espulsione quale mezzo di controllo degli immigrati socialmente pericolosi o clandestini, mediante provvedimento del Prefetto disposto con decreto motivato. Esso si sostanzia nella intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, con l’accompagnamento alla frontiera solo in caso di violazione. La permanenza dello straniero sul territorio italiano viene subordinata al rilascio di un "permesso di soggiorno" da parte della Questura o del Commissariato di Pubblica sicurezza territorialmente competente, che indica il motivo della permanenza, dal quale dipende la durata del permesso, che va da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni.
In materia di lavoro, la legge Martelli sembra più tesa a sanare la situazione pregressa che non a tracciare un quadro organico per il futuro, sostanziandosi con una moratoria atta a sanare le irregolarità a cui erano spesso sottoposti i lavoratori stranieri, per necessità più inclini a lavorare "in nero" e a salari più bassi.
Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque impostato la lenta e iniziale stabilizzazione dei migranti, attraverso i primi interventi volti all’integrazione e alla partecipazione alla vita pubblica.
Il rapido evolversi del fenomeno, conseguenza del mutamento degli assetti internazionali, ha tuttavia evidenziato nel giro di pochi anni l’inadeguatezza del testo in vigore, inducendo il parlamento all’emanazione di una normativa più esaustiva, la Legge 40/1998 c.d. Turco-Napolitano, confluita successivamente nel Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (D.L. 286/1998). È questo l’assetto su cui l’intervento legislativo più recente, la Legge 189/2002 c.d. Bossi-Fini, è andato a incidere, in senso vessatorio e punitivo.
Nonostante la Bossi-Fini costituisca formalmente solo una modifica al Testo unico, che riprendeva l’impianto della Turco-Napolitano, essa vi introduce significative modifiche, da un lato rendendo più difficoltoso l’ingresso e il soggiorno regolare dello straniero e agevolandone l’allontanamento, dall’altro riformando in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. Il meccanismo fondamentale di controllo dell’immigrazione rimane la politica dei flussi, quantificata annualmente dal governo mediante un decreto che fissa il numero di stranieri che possono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Chiaro l’intento, peraltro ereditato dalla normativa precedente, di controllare il fenomeno attraverso la limitazione numerica degli ingressi imposta dall’autorità.