Il Regolamento D.P.R. n. 1639/68 come modificato ed integrato dal D.P.R. n. 219/83, determina i limiti e le modalità idonee a garantire la tutela ed il miglior rendimento costante delle risorse biologiche del mare e a tal fine stabilisce:
In attesa dell’emanazione del nuovo Regolamento sull’esercizio della pesca e dell’acquacoltura che sostituirà a breve il citato D.P.R. 1639/68, sono tuttora valide ed applicabili le norme che stabiliscono le dimensioni minime dei vari esemplari di pesci, crostacei e molluschi e quelle che descrivono le tipologie e le caratteristiche tecniche degli attrezzi da pesca.
Peraltro con la costituzione dell’Unione Europea sono stati introdotti regolamenti e direttive comunitarie che hanno modificato la disciplina dell’attività di pesca, considerando tra l’altro che in caso di Regolamenti, questi prevalgono sulla normativa nazionale dei singoli Stati, ad esclusione delle norme che per la loro formulazione risultano più restrittive di quelle comunitarie.
In particolare il Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 (relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar mediterraneo e recante mgdificha al Regolamento (CE) n. 2847/1993 e che abroga il Regolamento (CE) n. 1626/1994), ha stabilito le misure minime e di protezione per alcune specie ittiche e per alcuni habitat marini (ad esempio le praterie sommerse di Posidonia oceanica). Stabilisce altresì che in caso di pesca accidentale di specie incluse nella direttiva Habitat (es. tartaruga marina) la loro detenzione a bordo è permessa se necessaria alla cura dell'individuo e se le autorità competenti ne sono state informate in precedenza. Ha previsto restrizioni relative agli attrezzi da pesca, vietandone l’impiego e la detenzione a bordo dei pescherecci (Capo IV - artt. 8-14) allorquando risultano dannosi per l’ambiente marino o conducono al depauperamento di determinati stock ittici e di altri organismi marini.
La pesca è una delle attività più antiche messe in atto dall’uomo per poter soddisfare i propri bisogni primari. Sin dai tempi più remoti il mare è stata una fonte naturale da cui attingere per procacciare cibo; prima con l’ausilio di rudimentali “attrezzi” di cattura, poi con attrezzi statici ed, infine, con quelli dinamici.
Oggi i pescatori oltre a basarsi sull’uso di attrezzi quali ami e reti, sono accompagnati da efficienti accorgimenti tecnici e metodologie avanzate che permettono una migliore reperibilità del pescato, migliori prestazioni e maggiori sicurezze per chi pratica questa attività.
La grande varietà di attrezzi in uso nel Mar Mediterraneo è determinata dalla multi specificità di questo mare; esistono attrezzi diversi in base alle specie da catturare, che vivono a profondità diverse, su fondali diversi, solitarie, in branchi, nascoste in tane, infossate.
Gli attrezzi da pesca si suddividono, in riferimento alla loro condizione operativa, nei seguenti tipi:
I «sistemi di pesca»[1] normalmente impiegati in Italia sono regolamentati da una fonte legislativa specifica finalizzata, principalmente, alla tutela ambientale ed alla salvaguardia delle risorse ittiche.
L’attività di pesca viene esercitata utilizzando un natante e una particolare attrezzatura che può:
I possibili sistemi di “Pesca professionale” e le loro definizioni sono fornite dal Reg. (CE) 1964/2006 il quale, unitamente al D.P.R. 1639/1968, impartisce i requisiti tecnici e le limitazioni afferenti il loro utilizzo.
Altri requisiti sono marginalmente disciplinati dal Reg. (UE) 404/2011 nella parte concernente la loro “segnalazione” in mare ai fini della sicurezza della navigazione e la corretta individuazione del proprietario dell’attrezzo.
Requisito essenziale, infatti, è la corretta marcatura degli attrezzi, ai sensi del Capo III - Sezione II, mediante una targhetta identificativa che riporti il numero di immatricolazione del peschereccio.
L’indicazione di ciascun sistema sulla Licenza di pesca consente l’impiego degli attrezzi compresi nel sistema autorizzato.
[1] Sistemi di pesca e attrezzi da pesca sono due cose diverse. Il sistema di pesca è quello indicato nella Licenza di pesca e può comprendere diversi attrezzi da pesca (esempio: il sistema a strascico comprende sia la rete a strascico sia il rapido). Ai sensi del D.M. 26/01/2012 si fa oggi riferimento ai singoli attrezzi da pesca.
Il Reg. CE 1967/2006 (Capo I – art. 2) classifica gli attrezzi per la pesca professionale in:
In particolare, le reti trainate comprendono:
Le draghe, sono attrezzi trainati attivamente dal motore principale del peschereccio (draga tirata da natanti) o tirati da un vericello a motore di una nave ancorata (draga meccanizzata) per la cattura di molluschi bivalvi, gasteropodi e spugne e che comprendono un sacco di rete o una gabbia metallica montati su un’armatura rigida o una barra di forma e dimensioni variabili, la cui parte inferiore può presentare una lama che può essere arrotondata, affilata o dentata e può essere o no munita di scivoli e depressori; esistono draghe attrezzate di dispositivi idraulici (draghe idrauliche).
Le draghe tirate a mano o da un verricello a mano in acqua bassa con o senza un natante per la cattura di molluschi bivalvi, gasteropodi o spugne (draghe a mano) non sono considerate attrezzi trainati ai fini del citato Regolamento.
Classifica gli attrezzi per la pesca professionale
(Reg. CE 1967/2006)
La grande varietà di attrezzi in uso nel Mar Mediterraneo è determinata dalla multispecificità di questo mare; esistono attrezzi diversi in base alle consuetudini locali, alle specie da catturare, che vivono in profondità diverse su fondali diversi, solitarie, in branchi, nascoste in tane, infossate.
A livello locale, i pescatori professionali devono, durante l’attività di pesca, tenersi a conveniente distanza gli uni dagli altri, in conformità del tipo di attrezzo impiegato, salva l’osservanza di diverse disposizioni di legge o regolamento.
Il Capo del compartimento, sentito il parere della Commissione consultiva locale per la pesca marittima, al fine di assicurare il disciplinato esercizio della pesca nella zona di mare della rispettiva circoscrizione, può stabilire norme particolari per l'uso degli attrezzi, in particolare allorquando tali attrezzi possono recare danno al patrimonio ittico.
Il Capo del compartimento può vietare o limitare nel tempo e nei luoghi, l’esercizio della pesca qualunque sia il mezzo di cattura impiegato, in quelle zone di mare (zone di tutela biologica) che sulla base di studi scientifici o tecnici, siano riconosciute come aree di riproduzione o di accrescimento di specie marine di importanza economica o che risultassero impoverite da un troppo intenso sfruttamento.
Nell’ambito comune della pesca, al fine di evitare la cattura eccessiva e gli aumenti di mortalità di individui sottotaglia ovvero ridurre l’entità dei rigetti in mare di organismi marini morti da parte dei pescherecci, la comunità europea (Reg. (CE) 1967/2008), per proteggere determinate zone in cui si riunisce il novellame - tenendo conto delle condizioni biologiche locali - vieta o sottopone ad una regolamentazione più rigorosa, l’uso degli attrezzi da pesca che risultano troppo dannosi per l’ambiente marino o che, comunque, conducono al depauperamento di determinati stock, predisponendo un aumento delle dimensioni delle maglie e degli ami per le reti da traino, le reti da fiondo e i palangari utilizzati per la cattura di alcune specie di organismi marini, rendendo obbligatorio l’impiego di pezze i rete a maglie quadre.
Allo scopo di favorire una pesca sostenibile per proteggere le zone di crescita e gli habitat sensibili nonché di favorire la sostenibilità sociale della pesca nel mar Mediterraneo, determina oltremodo le dimensioni totali dei principali attrezzi fissi per limitare uno dei fattori che incidono sullo sforzo di pesca, riservando una parte della fascia costiera agli attrezzi selettivi utilizzati per la pesca artigianale e delle taglie minime di sbarco di taluni organismi marini al fine di migliorarne lo sfruttamento. Tra le innumerevoli iniziative adottate dal legislatore in sede comunitaria, data l’importanza che riveste la pesca sportiva nel Mediterraneo, occorre garantire che anch’essa venga praticata in modo tale da non interferire in misura significativa con la pesca professionale, che sia compatibile con lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche vive e che rispetti gli obblighi comunitari con riguardo alle organizzazioni regionali per la pesca.
Per garantire un efficace controllo e sorveglianza delle attività di pesca nel Mediterraneo, la Comunità europea si è impegnata ad applicare una strategia precauzionale nell’adozione di misure più rigorose rispetto a quelle gia previste dal Reg. (CE) n. 2847/93, volte alla razionale conservazione, gestione e sfruttamento delle risorse acquatiche vive e degli ecosistemi marini, vietando l’utilizzazione e la detenzione a bordo di attrezzi da pesca non conformi ai requisiti fissati dal Reg. (CE) 1967/2008).
Sono previste al Capo IV, art. 8 del citato Regolamento, alcune importanti restrizioni per quanto attiene agli attrezzi da pesca e alcuni divieti riguardo all'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di:
► Il Regolamento fa divieto, altresì:
I predetti divieti si applicano a tutte le zone “Natura 2000” [3] , a tutte le zone particolarmente protette e di rilevanza mediterranea (ASPIM) designate ai fini della conservazione di tali habitat a norma della direttiva 92/43/CEE o della decisione 1999/800/CE.
L’art. 10 del Reg. (CE) 1967/2006 vieta l'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di "palangari" con ami di lunghezza totale inferiore a 3,95 cm e di larghezza inferiore a 1,65 cm per i pescherecci che utilizzano palangari e che sbarcano o detengono a bordo un quantitativo di occhialone (Pagellus bogaraveo) superiore al 20% delle catture in peso vivo misurate dopo la cernita.
[1] Area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata "coralligena" o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino. Coralligeno è un termine collettivo per una struttura biogenica molto complessa, risultante dalla continua sovrapposizione, su un sostrato roccioso o duro preesistente, di strati calcarei derivanti principalmente dall'attività costruttrice, tramite incrostazioni calcaree, di alghe rosse corallinacee e organismi animali quali Poriferi, Ascidi, Cnidari (gorgonie, ventagli di mare, ecc.), Briozoi, Serpulidi, Anellidi e altri organismi fissatori di calcare.
[2] Area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata "maerl" o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino. Maerl è un termine collettivo per una struttura biogenica risultante da varie specie di alghe coralline rosse (Corallinacee), che sono dotate di scheletro rigido di calcio e crescono sul fondale come alghe coralline a ramificazioni libere, a rametti o a noduli, formando sedimenti nelle pieghe dei fondali melmosi o sabbiosi. I letti di maerl sono di solito composti di una o più alghe rosse variamente combinate, in particolare Lithothamnion coralloides e Phymatolithon calcareum.
[3] Natura 2000 è una rete di siti ecologici detti di “interesse comunitario” e quindi protetti dagli Stati membri della Comunità Europea. Scopo della rete è garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli habitat europei più preziosi e più minacciati. Mira a svolgere un ruolo chiave nella protezione delle biodiversità nel territorio dell’Unione Europea.
Sono vietati l'uso di "attrezzi trainati" entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa o all'interno dell'isobata di 50 metri quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa.
In deroga, l'uso di "draghe" è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, a condizione che le specie diverse dai molluschi catturate non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
E’ vietato l'uso di "reti da traino" entro una distanza di 1,5 miglia nautiche dalla costa. In deroga, l'uso di reti da traino entro una distanza compresa tra 0,7 e 1,5 miglia nautiche dalla costa è autorizzato alle condizioni che tale deroga sia giustificata:
Tale deroga si applica, in particolare, alle attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e alle unità aventi un’attività comprovata nella pesca di più di 5 (cinque) anni e non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto. Le attività di pesca devono inoltre soddisfare i requisiti di cui all’art. 4 (Habitat protetti) e all’art. 23 (Controllo delle catture) del Regolamento e non interferire con le attività delle unità che utilizzano attrezzi diversi dalle reti da traino, dai ciancioli o da analoghe reti trainate ed infine essere regolamentate in modo da garantire che le catture delle specie di cui all’Allegato III, ad eccezione dei molluschi bivalvi, siano minime.
In particolare tale attività non deve orientarsi verso i cefalopodi.
È vietato l'uso di "draghe tirate da natanti" e "draghe idrauliche", entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
E’ vietato l'uso di "ciancioli" entro una distanza di 300 metri dalla costa o all'interno dell'isobata di 50 metri quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa.
I ciancioli non sono piazzati ad una profondità inferiore al 70% dell'altezza totale dei ciancioli stessi secondo i criteri di misura di cui all'Allegato II del presente Regolamento.
È vietato l'uso di "draghe trainate" e di "reti da traino" per la pesca a profondità superiori a 1.000 m.
E’ vietato l'uso di "draghe per la pesca delle spugne" all'interno dell'isobata di 50 metri; tale pesca non deve essere effettuata entro una distanza di 0,5 miglia nautiche dalla costa.
Sono vietati l'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di “reti trainate”, di “reti da circuizione” o di “reti da imbrocco”, a meno che la dimensione delle “maglie” nella parte della rete in cui esse sono più piccole (sacco), ai sensi dell’art. 9 del Regolamento, siano:
Uno Stato membro può concedere deroga per le “sciabiche da natante” e le “sciabiche da spiaggia” che rientrano nel piano di gestione per la pesca nel mare territoriale (art. 19), a condizione che la pesca in questione sia altamente selettiva, abbia un effetto trascurabile sull'ambiente marino e non sia interessata dalle disposizioni di cui all'articolo 4 (Habitat protetti), paragrafo 5, che in deroga al paragrafo 1, primo comma[1] , stabilisce che la pesca esercitata con reti trainate sul fondo, tradizionalmente intrapresa sulle praterie di posidonie, da pescherecci di lunghezza fuori tutto inferiore o pari a 12 metri e potenza del motore inferiore o pari a 85 kW, può essere autorizzata dalla Commissione (secondo la procedura di cui all'articolo 30, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 2371/2002), a condizione che:
► Le predette attività di pesca devono comunque soddisfare i requisiti di cui:
Gli Stati membri interessati stabiliscono un piano di controllo e relazionano[2] alla Commissione ogni 3 (tre) anni in merito allo stato delle praterie di posidonia oceanica interessate dalle attività di pesca con reti trainate sul fondo e all'elenco dei pescherecci autorizzati, delle zone autorizzate, con le rispettive coordinate geografiche sia terrestri che marine.
Deroghe transitorie alla dimensione minima delle maglie alla distanza minima dalla costa per l’uso degli attrezzi da pesca
Le reti trainate, comprese quelle destinate alla pesca della sardina e acciuga, da circuizione o da imbrocco, le cui maglie siano di dimensioni inferiori a quelle stabilite all’art. 9 del Regolamento e, il cui uso sia conforme alla legislazione nazionale in vigore al 1º gennaio 1994, possono comunque essere utilizzate fino al 31 maggio 2010 anche se non vengano rispettati i valori minimi di distanza e profondità per l’uso degli attrezzi da pesca stabiliti all’art. 13 del Regolamento.
[1] E’ vietata la pesca con reti da traino, draghe, trappole, ciancioli, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia e reti analoghe in particolare sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. In deroga, l'uso di ciancioli, sciabiche da natante e reti analoghe la cui altezza totale e il cui comportamento nelle operazioni di pesca implicano che il cavo di chiusura, la lima da piombo o le corde da salpamento non tocchino le praterie può essere autorizzato nel quadro dei piani di gestione di pesca a livello comunitario o nelle acque territoriali),
[2] La prima relazione è trasmessa alla Commissione entro il 31 luglio 2009.
L’art. 8 del Regolamento (CE) n.1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione dell’ 8 aprile 2011, Titolo II, Capo III, Sezioni 1 e 2, al fine di agevolare l’attuazione del sistema di controllo della pesca, hanno disciplinato omogenee modalità di marcatura e identificazione dei pescherecci, delle imbarcazioni trasportate a bordo e degli attrezzi da pesca, utilizzati nelle acque comunitarie.
Dal 1° gennaio 2012, pertanto, i pescherecci dell’Unione e gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca, devono riportare, in forma permanente e chiaramente leggibile, la sigla del porto di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità
Nelle acque dell’Unione, ad una distanza di 12 miglia nautiche misurate dalle linee di base degli Stati membri costieri, è vietato utilizzare per la pesca attrezzi fissi, boe e sfogliare non marcati e non identificabili in conformità alle disposizioni degli articoli da 9 a 17 del Reg.di esecuzione (UE) n. 404/2011
Gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca devono riportare, in relazione alla tipologia di attrezzo da pesca, in forma chiaramente leggibile, la sigla di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità cui appartengono:
a) per le reti, su una targhetta fissata sulla prima fila superiore;
b) per le lenze e i palangari, su una targhetta posta nel punto di contatto con la boa di ormeggio;
c) per le nasse e le trappole, su un'etichetta fissata alla lima da piombo.
Per gli attrezzi fissi di estensione superiore ad 1 (uno) miglio nautico le informazioni di cui sopra devono essere riportate necessariamente su «targhette» ad intervalli regolari non superiori ad un miglio nautico, in modo da non lasciare senza contrassegno nessuna parte dell'attrezzo di estensione superiore ad un miglio nautico.
- essere composte da materiale inalterabile;
- essere saldamente fissata all’attrezzo;
- misurare almeno 65 mm di larghezza;
- misurare almeno 75 millimetri di lunghezza.
La targhetta non può essere rimossa, cancellata, alterata, resa illeggibile, coperta o dissimulata.
Regolamento UE 404/2011 recante “Modalità di applicazione regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”.
L’art. 8 del Regolamento (CE) n.1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione dell’ 8 aprile 2011, Titolo II, Capo III, Sezioni 1 e 2, al fine di agevolare l’attuazione del sistema di controllo della pesca, hanno disciplinato omogenee modalità di marcatura e identificazione dei pescherecci, delle imbarcazioni trasportate a bordo e degli attrezzi da pesca, utilizzati nelle acque comunitarie.
Dal 1° gennaio 2012, pertanto, i pescherecci dell’Unione e gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca, devono riportare, in forma permanente e chiaramente leggibile, la sigla del porto di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità.
In particolare, gli attrezi fissi (reti, lenze, palangari, nasse e trappole) devono essere individuati tramite «due boe segnaletiche situate all’estremità» degli stessi e per mezzo di «boe intermedie», contrassegnate con le informazioni relative al peschereccio, nel punto più alto possibile al di sopra del livello dell'acqua in modo da essere chiaramente visibili.
I cavi che collegano le boe all'attrezzo fisso devono essere di materiale sommergibile oppure devono essere provvisti di pesi.
Le boe possono avere un segnale all'estremità superiore con una o due bande luminose a strisce (non devono essere di colore rosso o verde e devono avere una larghezza di almeno 6 centimetri).
Le boe segnaletiche poste all’estremità dell’attrezzo da pesca, a seconda del «settore» dove si trovano devono essere fissati agli attrezzi fissi nel modo seguente:
► boa del settore occidentale (ossia la zona delimitata sulla bussola dal semicerchio che va da sud ad ovest, compreso il nord) attrezzata con due bandierine, due bande luminose a strisce, due luci e una targhetta con le seguenti caratteristiche:
- essere composte da materiale inalterabile;
- essere saldamente fissata all’attrezzo;
- misurare almeno 65 mm di larghezza;
- misurare almeno 75 millimetri di lunghezza.
La targhetta non può essere rimossa, cancellata, alterata, resa illeggibile, coperta o dissimulata.
► boa del settore orientale (ossia la zona delimitata sulla bussola dal semicerchio che va da nord ad est, compreso il sud) attrezzata con una bandierina, una banda luminosa a strisce, una luce e una targhetta con le caratteristiche suindicate.
Agli attrezzi fissi di estensione superiore a cinque miglia nautiche devono essere fissate «boe segnaletiche intermedie» posizionate, tra loro, a distanze non superiori a cinque miglia nautiche, in modo da non lasciare senza contrassegno nessuna parte dell'attrezzo di estensione pari o superiore a tale distanza.
Le boe sono devono avere caratteristiche identiche a quelle della boa segnaletica situata all'estremità del settore orientale (attrezzate, cioé con una luce intermittente di colore giallo che lampeggia ogni cinque secondi (F1 Y5s) e visibile a una distanza di almeno due miglia nautiche) fatta eccezione per i seguenti elementi:
Regolamento UE 404/2011 recante “Modalità di applicazione regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”.
: CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE SITUATE ALL'ESTREMITÀ OCCIDENTALE
: CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE SITUATE ALL'ESTREMITÀ ORIENTALE
CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE INTERMEDIE
Negli ultimi anni, nell’intento di pervenire ad una razionale gestione delle risorse ittiche, ci si pone in forma sempre più pressante il problema della loro salvaguardia.
Per questo si mettono in atto regolamenti per il contenimento, in alcuni casi per la riduzione, dello sforzo di pesca e si introducono misure tecniche più restrittive per l’uso di determinati attrezzi, unitamente ad altre misure tecniche quali, ad esempio, la limitazione delle dimensioni delle maglie.
Fra gli strumenti tecnici adottati in sede comunitaria e nazionale per una gestione razionale delle risorse, gioca un ruolo molto importante la “misura dell'apertura della maglia” perché da essa dipende la possibilità di fuga dalla rete degli organismi marini, in particolare degli esemplari con dimensioni inferiori a quelle minime pescabili.
Il D.P.R. 1639/68 ha fissato le misure minime delle maglie delle reti, ma non ha dato nessuna indicazione su come misurarle. Successivamente, la legislazione italiana con il DPR 651/78 e con il D.M.21/5/81 ha approvato i «misuratori di maglia» sia a carico longitudinale (ICES mesh gauge) che triangolare.
Le maglie delle reti escono dai telai in forma di losanga (rombo) e sono confezionate oltre che con fili diversi (tortiglie, trecce e catenelle) in poliammide (PA), polietilene (PE), poliestere (PES) e polipropilene (PP)
con intrecci diversi (A-con nodo e B-senza nodo), come indicato in figura.
A - con nodo B - senza nodo
Lo strumento è molto simile ad un comune calibro e presenta le seguenti caratteristiche:
Misuratore a carico longitudinale
(ices mesh gauge)
Anche se l'art. 110 del citato Regolamento dice che: "le reti al traino non possono essere composte in alcuna parte da maglie aventi apertura inferiore a 40 mm.”, in realtà ciò che interessa principalmente è la selettività del “sacco”, ed è su questo che conviene concentrarsi, senza dimenticare comunque quanto detto in questo articolo. La misura dell'apertura della maglia si effettua sempre su rete bagnata ed usata, nella direzione “N” in cui la maglia raggiunge la massima estensione. Le maglie da misurare vanno scelte su una fila di 20 maglie consecutive e parallele all'asse longitudinale del sacco. La fila scelta deve essere lontana da bordi, cuciture, riparazioni, giunzion,i ecc.
L'operatore impugna il Misuratore ed inserisce i due beccucci nella maglia, quindi, in rapida successione, effettua due misure, legge il valore relativo alla seconda misurazione sulla "scala graduata" e lo trascrive su una tabella.
Lente per la lettura della misura
Alla fine delle 20 misure calcola la media aritmetica con il relativo intervallo di fiducia al 90%. La maglia usata dovrà considerarsi non regolamentare qualora il valore della media sommato all'intervallo di fiducia sia inferiore a 40 mm.
Approfondimenti:
E’ uno strumento abbastanza sofisticato e preciso proposto per fini scientifici molti anni fa dall’ICES (Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare) per cui spesso viene indicato brevemente come strumento ICES. Questo strumento è indicato come riferimento in caso di controversie nell’art. 110 bis del DPR 1639/68 come modificato con DPR 651/78. Lo sesso strumento è descritto, standardizzato e ne sono indicate le modalità di uso nella norma UNI 8738/861, parte I. Il tentativo di proporlo a livello internazionale, predisponendo una apposita norma ISO (Organizzazione internazionale di standardizzazione) è naufragato per la impossibilità che alcuni paesi hanno ad accettare le molle come misuratori di forza. Lo strumento ICES infatti ha al suo interno una molla che al raggiungimento del carico voluto (fissato in funzione della dimensione del filo) blocca lo strumento stesso rendendo possibile in modo univoco la misura.
Con questo dispositivo è chiaro che la misura diviene oggettiva, indipendente cioè dall’operatore. Lo strumento quindi è un ottimo strumento che effettua la misura bene e senza la possibilità di contestazioni. Vi è però anche qualche difetto che è opportuno evidenziare. Oltre al problema creato dall’uso della molla, che non è naturalmente di facile soluzione, lo strumento è costoso, delicato, facile alla rottura dei denti di blocco della misura. E’ uno strumento che a livello scientifico, per le prove di selettività, è ben accetto ed usato, ma a livello di controllo, come normale strumento di lavoro in condizioni non certo ideali quando lo si deve usare nella ispezione a bordo dei pescherecci in altomare, lascia un poco a desiderare. In pratica, sia in Italia che a livello comunitario nella normale attività di controllo della pesca non viene usato.
[1] Il blocco è prodotto dall’incastro di un perno, comandato dal beccuccio mobile, tra i denti di una barra a cremagliera fissata sullo strumento. I denti della cremagliera sono distanziati tra loro d 1 mm. in modo da avere sulla scala graduata una lettura con la precisione al millimetro intero.
Attualmente in dotazione a tutte le Capitanerie di porto, è dimensionato e tarato in rapporto al misuratore a carico longitudinale (in modo che la forza trasversale, esercitata sulla maglia dai bordi convergenti dello strumento, fosse uguale a quella prevista per l’altro misuratore) e presenta le seguenti caratteristiche:
Sul manico sono riportate una serie di “tacche” che indicano il valore della forza premente, quella centrale, più marcata, corrisponde alla forza premente di 10 N, che sviluppa tangenzialmente una forza di circa 40N.;
La regolamentazione nazionale non prevede la certificazione della calibrazione e taratura delle molle.
Misuratore Triangolare
Fermo restando la scelta delle maglie bagnate, per misurare l'apertura della maglia col “Misuratore triangolare italiano” necessitano due operatori: uno tiene ben tesa la rete sul piano orizzontale, l'altro inserisce lo strumento perpendicolarmente alla rete in modo da misurare l'apertura della maglia nella descrizione N in cui la maglia raggiunge la massima estensione.
L'operatore che effettua la misura spinge sul manico del triangolo finché non raggiunge la “tacca” dei 10 N, cercando di non oltrepassarla perché falserebbe il risultato della misura dando un valore più elevato.
La Circolare dell'ex MMM N° 622714 del 16/3/83 modifica il metodo di calcolo precedentemente illustrato, in effetti si calcola sempre la media aritmetica delle 20 misure, ma non si fa più cenno all'intervallo di fiducia. La semplice media aritmetica va arrotondata al decimo di millimetro ed è ammessa una tolleranza di 3 millimetri. Inoltre la stessa Circolare rammenta che il “misuratore triangolare” deve essere utilizzato unicamente per la misurazione delle maglie delle reti al traino che operano sul fondo del mare. Quindi sono escluse: le reti da posta, le reti a circuizione e le reti al traino pelagico (volanti).
Approfondimenti:
E’ uno strumento più semplice del "misuratore a carico longitudinale", formato sostanzialmente da un triangolo isoscele, con angolo al vertice di 15°. Lo strumento viene inserito nella maglia con una determinata forza e sui due lati obliqui del triangolo si legge la misura della maglia. E’ lo strumento descritto nell’art. 110 bis del DPR 1639/68 e considerato come lo strumento di normale uso nei controlli. Gli organi di vigilanza e controllo italiani sono forniti di tale strumento.
Per una più dettagliata descrizione e per le modalità di uso si rimanda alla norma UNI 8738/861, parte II. Lo strumento è abbastanza preciso e nell’uso non ha mai evidenziato difficoltà. Ha un costo limitato, è facile da ritarare in caso di dubbio sulla lettura della forza applicata, è robusto. Il difetto più grosso imputabile allo strumento è legato allo stesso suo principio di funzionamento. Come detto, nel manico è inserita una molla che permette di leggere il carico applicato alla maglia. Permette di leggere, non lo limita. Se l’operatore non smette di spingere al raggiungimento del carico fissato, lo strumento continua a penetrare nella maglia e la misura della maglia viene falsata; si ottiene un valore più grande di quello che si sarebbe ottenuto lavorando come prescritto. L’operatore in questo caso commette un errore, ha la possibilità di accorgersene e di scartare quindi il risultato di quella misura. Con lo strumento ICES questo non sarebbe potuto accadere perché lo strumento avrebbe impedito il superamento della forza prevista.
La legislazione dell’UE, per la misura della maglia e dello spessore del filo delle reti da pesca, non è stata sufficientemente precisa e non ha consentito di evitare differenze sia nella costruzione degli strumenti di misura ufficiali sia nelle procedure di utilizzo.
Il regolamento (CE) n. 859/1998 prima e il regolamento (CE) n. 129/2003 poi, hanno fissato via via norme dettagliate per la misura della dimensione delle maglie e dello spessore del filo delle reti da pesca.
Tuttavia l’utilizzo di tali misuratori da parte degli ispettori della pesca ha dato luogo, nel corso di ispezione, a controversie tra gli stessi ispettori ed i comandanti dei pescherecci per quanto riguarda i metodi di misurazione delle maglie e i relativi risulatati della misurazione, a seconda di come erano utilizzati gli strumenti in questione.
Nasce pertanto l’esigenza dal parte della comunità europea di sviluppare un nuovo misuratore di maglia più “oggettivo”, valido per la ricerca, l’industria e gli ispettori della pesca.
L’utilizzo dei nuovi misuratori, che devono recare il marchio “misuratore CE”, è stato reso obbligatorio per gli ispettori della Comunità e gli ispettori nazionali degli Stati mebri dal Regolamento CE n. 517/2008 della Commissione del 10 giugno 2008.
Misuratore CE
L’utilizzo del nuovo misuratore - costruito e sperimentato durante il progetto OMEGA (progetto finanziato dalla CE all’ICES, di cui fa parte anche il Reparto di Tecnologia della pesca del CNR di Ancona) - è identico a quello previsto per il misuratore a carico longitudinale dell’ICES (International Council Exploitation Sea) ma differisce da quest’ultimo, ed in modo sostanziale, per l’elemento sensibile che controlla la forza applicata.
La forza di pressione, infatti, viene controllata da una "cella di carico elettronica" posta all’interno dello strumento, mentre per il vecchio ICES da una molla calibrata. Inoltre il nuovo strumento può essere tarato e calibrato con "forze longitudinali" comprese tra 5 e 180 Newton (N), con una precisione di 1 N.
Il Regolamento (CE) n. 517/2008, ai fini della procedura di controllo da parte degli ispettori, ha stabilito norme dettagliate sia per quanto riguarda i tipi di misuratori da utilizzare e il modo in cui devono essere impiegati, sia i criteri di scelta delle maglie da misurare, la tecnica di misurazione di ogni maglia, il metodo di calcolo dell’apertura di maglia, la procedura di selezione dei fili ritorti delle maglie per verificarne lo spessore, nonché l’ordine di svolgimento della procedura di ispezione.
I «sistemi di pesca» normalmente impiegati in Italia sono regolamentati da una fonte legislativa specifica finalizzata, principalmente, alla tutela ambientale ed alla salvaguardia delle risorse ittiche.
L’attività di pesca viene esercitata utilizzando un peschereccio e una particolare attrezzatura che può:
Ogni unità da pesca, in relazione al tipo di pesca a cui è autorizzata, può esercitare l’attività in un compartimento (draga idraulica), nel compartimento di iscrizione e nei due ad esso contigui (pesca costiera locale) o in tutti i compartimenti marittimi (costiera ravvicinata).
Sistemi di pesca professionali
(art.11 del D.M. 26.07.1995)
Sistema a Circuizione: | Cianciolo per pesce azzurro, cianciolo per pesce bianco, Lampara, Tonnara volante, circuizione senza chiusura |
Sistema Sciabica: | Sciabica da natante (danese), Sciabica da spiaggia |
Sistema Strascico: | Strascico a divergenti, Strascico a bocca fissa, Traino pelagico a divergenti, Rapido, Sfogliara |
Sistema Volante: | Traino pelagico a coppia, Agugliara |
Sistema Traino per Molluschi: | Attrezzo di traino per molluschi, Ostreghero, Rampone per molluschi, Sfogliara per molluschi |
Sistema Draga Idraulica: | Sostituisce quello denominato turbosoffiante: Vongolara, Cannellara, Fasolara |
Sistema Rastrello da Natante: | Sostituisce la draga manuale: Draga da natante |
Sistemi Attrezzi da Posta: | Imbrocco, tremaglio, nasse, cestelli, cogolli, bertovelli, rete circuitante, rete da posta fissa, rete da posta a circuizione |
Sistemi Reti da Posta derivanti: Sistemi Reti da Posta derivanti: | Spadara, Alalungara |
Sistema Ferrettara: | Piccola derivante, menaide, sangusara, bisantonara, alacciara, bisara, bogara, sgomberara, occhiatara, e palamitara; |
Sistena Palangari: | Palangari fissi, Palangari derivatiPalangari fissi, Palangari derivati |
Sistema Lenze: Sistema Lenze: | Lenze a mano, Lenze a canna, Lenze trainate |
Sistema Arpione: Sistema Arpione: | Arpione, Fiocina, l’asta e specchio per ricci Rastrello per ricci |
Le «reti a circuizione» sono quelle reti calate in mare al fine di recingere e catturare, con immediata azione di recupero, un branco di pesci localizzato o aggregato artificialmente. Le reti possono essere calate da una sola unità o da due: nel primo caso l'unità compie un cerchio, nel secondo, le due unità gemelle percorrono un semicerchio ciascuna.
Le reti da circuizione distese in banchina o viste nel loro piano costruttivo si presentano come enormi lenzuoli rettangolari che possono essere formate o no da varie pezze, esse pure rettangolari, diverse per la dimensione di maglia o il titolo del filo con cui le pezze stesse sono costruite. La base superiore viene armata (unita) con una lima (cavo) munita di numerosi galleggianti per tenerla in superficie mentre la base inferiore, armata con una lima munita di piombi (cavo piombato o catena), mantiene la rete distesa nel senso verticale.
Su questa ultima lima sono sistemate, a intervalli regolari, delle bretelle (cavetti) che hanno, alla loro estremità, degli anelli in ferro. Attraverso questi anelli passa un cavo di acciaio grazie al quale si effettua la chiusura meccanica della rete. A fine cala, questo cavo viene recuperato per primo trasformando la rete in un sacco, dal quale il pesce non può più scappare.
Appartengono alla prima categoria la maggioranza delle reti a circuizione utilizzate per la cattura di specie pelagiche piccole o grandi o specie demersali (cianciolo per acciughe e sarde, cianciolo per tonni, cianciolo per pesce bianco o costiero). Hanno la caratteristica fondamentale di avere la possibilità di essere chiuse in basso tramite un cavo che, passando attraverso grossi anelli di ferro collegati alla lima dei piombi, viene tirato meccanicamente.
Quelle senza chiusura sono presenti dove si opera manualmente la pesca con rete a circuizione, infatti non hanno la possibilità di essere chiuse dal fondo. Il rendimento di pesca in confronto a quelle con chiusura è ridotto. Le prede più frequenti sono rappresentate dal bianchetto, rossetto, ciccerello e pesce bianco in genere. Quest'ultimo tipo di attrezzo oggi è praticamente scomparso.
Approfondimenti:
Questo tipo di pesca si effettua chiudendo le reti al fondo, mentre il galleggiamento della parte superiore è garantito dalla lima dei galleggianti. La lima dei piombi costituisce la zavorra che permette l’affondamento della rete stessa. Le reti da circuizione possono essere calate in mare da una o da due unità. Nel primo caso il motopesca percorre un cerchio completo per circondare il pesce. Una volta individuato il banco, la rete è calata e fissata ad un natante chiamato “stazza”, che rimane fermo. Il motopesca ha invece il compito di stendere completamente la rete, per poi chiudere il cerchio ricongiungendosi alla stazza. Nel secondo caso due unità simili della stessa potenza percorrono un semicerchio ciascuno
In relazione alla loro costruzione ed impiego, le reti da circuizione si suddividono in due categorie: reti da circuizione abbinate alla attrazione luminosa del pesce che sono usate per la cattura del pesce azzurro (acciughe e sarde) e reti da circuizione per la cattura di pesce di grossa taglia, tonni o più in generale sgombriformi.
Per la cattura di alici e sarde le reti sono chiamate dai pescatori “lampare”, “ciancioli” e “saccoleve”.
Per la cattura dei tonni e sgombri è nota come “tonnara volante”
Questa pesca pelagica è effettuata da unità di media grandezza da 20-120 tsl, con potenza motore superiore i 400 cavalli. Le dimensioni delle maglie variano lungo la rete: le maglie più piccole stanno al centro dove si forma il sacco.
Le reti a circuizione per la cattura del pesce azzurro sono abbinate da lungo tempo all’uso della luce quale artificio per agevolare la concentrazione del pesce. Tale pesca, detta a lampara, viene effettuata ovviamente solo di notte e in assenza di luna piena affinché la luce artificiale abbia un effetto maggiore su questi pesci che, in queste ore, si avvicinano alla superficie. In passato, queste lampade funzionavano a gas o a petrolio ma attualmente sono elettriche e vengono alimentate da un generatore montato direttamente sulle barche.
Si chiama «cianciolo» la rete da circuizione a chiusura meccanica. I ciancioli per i piccoli pelagici sono confezionati con maglie colorate, generalmente marrone scuro, di piccole dimensioni (apertura non inferiore ai 14 mm) e filato piuttosto sottile; i galleggianti sono numerosi e di piccole dimensioni, la lima dei piombi è munita di bretelle ed anelli di ferro.
Le unità che effettuano questo tipo di pesca hanno la poppa libera da sovrastrutture e il verricello principale posto in parallelo con la chiglia.
Circuizione a chiusura meccanizzata (Cianciolo)
Si presenta come un enorme rete rettangolare di dimensioni non inferiori agli 800 metri di lunghezza e 120 metri di altezza (tranne per le tonnare volanti) E' una rete a circuizione che viene impiegata per la pesca di pesci pelagici, per la cattura del pesce azzurro, principalmente acciughe, sardine e sgombri. Nella pesca con il cianciolo vengono impiegate spesso delle fonti luminose che servono ad attirare il pesce sotto le unità da pesca.
Questo tipo di pesca viene fatto essenzialmente in Tirreno, Adriatico e dai motopescherecci siciliani.
Dato che in Italia questa pesca si effettua solo di notte, è possibile vedere, a bordo della barca grande, dei battellini più piccoli con le luci per la concentrazione artificiale dei pesci.
La luce gioca un ruolo molto importante nella attrazione dei piccoli pelagici, poiché l'aggregazione "a banco" è una forma di difesa visiva contro i predatori Una volta che la barca ha raggiunto il luogo di pesca, di solito a notte inoltrata, si calano in mare due o tre battellini, ad una certa distanza l'uno dall'altro.
Sui battellini vengono accese le luci per aggregare il pesce, e quando questo si è accumulato in quantità sufficiente, i marinai a guardia delle luci, remando l'un verso l'altro, riuniscono i battellini in un unico punto.
Nella figura vengono schematizzate le fasi della pesca
a circuizione
Successivamente si lasciano accese le luci di un solo battellino, per mantenere il pesce in aggregazione, mentre un altro si porta ad una distanza da esso pari al raggio del cerchio che il Comandante deve effettuare per circondare il pesce aggregato. Il Comandante dirige la barca su quest'ultimo battellino, gli consegna un capo della rete, detto "stazza", e cala la rete in mare, in cerchio. Alla fine della cala si ritroverà nuovamente sul punto di partenza e riprenderà la "stazza" del battellino, iniziando la chiusura del cianciolo. A questo punto il battellino che si trova al centro del cerchio con il pesce aggregato, spegnerà le luci e remando si dirigerà all'esterno della rete. Il pesce catturato verrà portato a bordo con grosse volighe o ittiopompe, e stivato in recipienti pieni di acqua ghiacciata (baie) prima di essere cernito e incassettato.
Sono chiamate «lampare» le reti da circuizione la cui chiusura non è meccanica, ma a rovesciamento, cioè la raccolta del pesce si ottiene issando a bordo la lima dei piombi, in modo da portare la parte centrale del panno rettangolare, che subisce un rovesciamento, nella posizione opposta alla superficie del mare.
La rete, come confezione, non si discosta molto dal cianciolo, ma a differenza di questo non ha le bretelle con gli anelli.
Le catture non sono paragonabili in termini di rendimento con le reti a circuizione a chiusura meccanizzata (cianciolo) in quanto le reti sono molto più piccole.
Questo sistema di pesca, molto in voga negli anni '50 e '60, oggi è pressoché in disuso e trova qualche applicazione con unità di dimensioni ridotte.
La «tonnara volante» si identifica con i ciancioli adibiti alla cattura dei grossi pelagici, tonni e affini. Sia le reti che le unità sono facilmente riconoscibili per le dimensioni più grandi rispetto a quelle normalmente usate per i Ciancioli, per la cattura di sardine e acciughe: questo tipo di pesca può utilizzare motopescherecci di grosse dimensioni se lavorano singolarmente, oppure di dimensioni medie quando lavorano in coppia. Presenza sul motopesca del “power block” (bozzello salparete).
Power bloc” (bozzello salparete)
La rete può raggiungere i 2000 m di lunghezza e 400 m di altezza e ha maglie di 70-120 mm di lato. Lo spessore del filato è di circa 4 mm e generalmente di colore nero.
I galleggianti sono molto più grandi ed il volume complessivo di tutta la rete, generalmente copre tutta la coperta di bordo, con un peso che, mediamente, non supera le 50 t.
Il mestiere della circuizione permette la cattura di banchi di pesce molto numerosi; il metodo di pesca comporta che la rete sia calata in modo da circondare completamente il pesce in mare ed impedirne, di fatto, la fuga.
Le reti sono formate da varie pezze di forma rettangolare che presentano maglie e filo di dimensioni diverse.
La pesca si effettua chiudendo le reti al fondo, mentre il galleggiamento della parte superiore è al solito garantito dalla lima dei galleggianti. La parte sommersa della rete presenta un cavo di chiusura presso la lima dei piombi, che costituisce, appunto la zavorra che permette l’affondamento della rete stessa. La chiusura del cavo fa assumere alla rete la forma di un sacco in cui il pesce resta imprigionato. Le reti a circuizione possono essere calate in mare da una o due barche.
L'individuazione dei tonni viene fatta a vista grazie al "coffista" (il marinaio che sta di vedetta sulla coffa), ma anche grazie agli aeroplani che guidano i motopesca (l'utilizzo dell'aeroplano è consentito solo in alcuni mesi dell'anno).
Tonnara volante
(Rete in fase di accerchiamento)
Nel primo caso l’unità percorre un cerchio completo per circondare il banco di pesce. Una volta individuato il banco, la rete è calata e fissata ad un natante chiamato «stazza», che rimane fermo. Il motopesca ha invece il compito di stendere completamente la rete, superando i tonni in velocità, per poi chiudere il cerchio ricongiungendosi alla "stazza".
Nel secondo caso, le due barche percorrono un semicerchio ciascuno. Questa pesca è effettuata da imbarcazioni superiori le 200 tsl.
E’ vietato l’uso di ciancioli (reti a circuizione a chiusura meccanizzata) entro una distanza di 3 miglia dalla costa o all’interno dell’isobata di 50 m (quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa).
E’ vietato l’uso di fonti luminose ad una distanza dalla costa inferiore ai 300 metri e nelle zone di mare entro le 3 miglia in cui la profondità sia inferiore ai 30 metri. Il Capo del compartimento, al fine della tutela delle risorse biologiche del mare, sentita la commissione consultiva locale per la pesca marittima, può stabilire ogni altra disposizione circa la località di esercizio, i periodi di tempo e i tipi degli strumenti pescherecci per la pesca con fonti luminose nelle acque del compartimento.
La tonnara volante può raggiungere 2000 metri di lunghezza e 400 di altezza.
E’ comunque vietato l’uso di ciancioli ad una profondità inferiore al 70% dell’altezza totale dei ciancioli stessi.
E’ vietata la pesca con ciancioli sulle praterie di Posidonia (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. In deroga l’uso di ciancioli la cui altezza totale e il cui comportamento nelle operazioni di pesca implicano che il cavo di chiusura, la lima da piombo o le corde da salpamaneto non tocchino le praterie può essere autorizzato nel quadro dei piani di gestione. L’apertura della Maglia della circuizione è fissata in 14 mm.
E’ consentito l’impiego di tutti i tipi di rete da circuizione per piccoli pelagici (ciancioli, lampare) di Lunghezza non superiore agli 800 metri e di Altezza non superiore a 120 metri (tranne per le tonnare volanti).
E’ vietata la pesca del tonno rosso dal 01/07 al 31/12
E’ vietato l’uso di aeromobili per la ricerca del tonno rosso
La «Sciabica» è un antichissimo tipo di rete da pesca usato in passato in tutte le marinerie. E' utilizzata in modo completamente manuale da un elevato numero di persone (una dozzina) o tramite verricello a unità ferma e ancorata.
Sono reti molto simili alle reti a circuizione con chiusura manuale. Generalmente vengono calate a bassa profondità e catturano gli organismi marini durante la fase di recupero. La sciabica può considerarsi un attrezzo “ibrido” in quanto viene calata a semicerchio (come una circuizione) e recuperata a traino.
La sciabica è formata da varie pezze di rete di forma e dimensioni di maglie diverse. L’apertura verticale di bocca è assicurata dai galleggianti sulla lima dei sugheri e dai piombi sulla lima dei piombi: mentre l’apertura orizzontale è ottenuta con il particolare metodo di calo e di tiro.
La lima da piombi sta sempre in contatto con il fondo, per questo motivo segue la stessa normativa della rete a strascico.
Le dimensioni delle maglie variano lungo la rete: le più piccole sono al centro dove si forma il sacco. Le maglie sono grandi sulle braccia da cui si dipartono due lunghi cavi detti “calamenti” o “reste” (anche centinaia di metri) che servono per spaventare e aggregare il pesce verso la parte centrale della rete, e trainare la rete. Caratteristica principale dell’attrezzo: prevalenza dei piombi sui galleggianti (non si vedono i galleggianti in superficie); braccia molto lunghe (5-6 volte il corpo) e sacco molto corto (da essere un tutt’uno con il corpo della rete) Le sciabiche somigliano molto alle reti a strascico, ma si differenziano sostanzialmente da queste ultime per la lunghezza dei bracci, tant'è che in realtà il corpo si identifica con il sacco di raccolta.
E’ il tipo più diffuso in Italia anche se in alcune località è rimasta solo come tradizione. Viene utilizzata nella pesca del novellame destinato all'allevamento (cefali, spigole, orate, ecc.) ed al consumo diretto: bianchetto (clupeiformi) e rossetto (Aphia minuta).
La rete viene calata a semicerchio utilizzando una unità a remi di piccole dimensioni. Un capo del "calamento" (cavo di collegamento tra i bracci della rete ed un punto del traino) viene lasciato sulla spiaggia mentre con la piccola unità, si cala in mare la rete a semicerchio attorno a pesce, e quindi si ritorna sulla riva portando con sè il capo dell'altro calamento.
La figura descrive le varie fasi della cala e recupero della rete:
I calamenti tirati dalle due squadre convergono sulla spiaggia
Sulla spiaggia si formano “due squadre” di pescatori che, camminando a ritroso e in modo convergente tirano i due calamenti in modo che, quando la rete è nuovamente sulla spiaggia, risulti chiusa.
La «sciabica da natante» ha origini danesi e risale a oltre un secolo fa. E’ poco diffusa in Italia e la si usa generalmente su quei fondali dove lo strascico, causa le asperità varie, è possibile solo per tratti brevi. Le maglie devono avere 40 mm di apertura. Deroghe possono essere concesse per la cattura di novellame
Dalla barca si getta in mare una “boa” con il capo di un calamento e si inizia a calare in mare la rete a semicerchio. Alla fine della cala si ritorna sulla “boa”. Tale operazione in origine del tutto manuale, oggi si avvale dell'aiuto di verricelli.
Questa fase assomiglia molto al sistema di pesca con lo strascico.
La figura descrive le fasi di pesca con questo sistema
Con la sciabica si pescano soprattutto latterini, triglie, sogliole, cefali, orate, rossetto e bianchetto ed alcuni cefalopodi, come polpi e seppie.
Dal 1° luglio 2008, la sciabica è costituita da una pezza di rete a maglia quadrata da 40 mm. nel sacco o, su richiesta motivata da parte del proprietario del peschereccio, da una rete a maglia romboidale da 50 mm.
E’ vietato l’uso delle sciabiche entro le 3 miglia nautiche dalla costa o entro i 50 metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori ad eccezione delle deroghe concesse dal Regolamento.
E’ consentito l’uso della sciabica per la cattura di “novellame da allevamento” purché tale pesca sia effettuata senza motore (recupero manuale).
La Lunghezza della lima da sugheri della sciabica deve essere inferiore ai 40 metri.
L’apertura della maglia deve essere uguale o superiore a 1 mm. (fino al 31/5/2010, ai sensi dell’art. 14 Reg. CE 1967/06).
E’ consentito l’impiego di tutti i tipi di sciabica per la pesca del rossetto e del bianchetto.
E’ consentito l’uso di sciabiche, senza limiti di distanza dalla costa, con unità da pesca di stazza lorda non superiore a 10 t. e potenza apparato motore non superiore a 100 HP.
L’apertura della maglia dell’attrezzo deve essere uguale o superiore ai 5 mm. (fino al 31/5/2010 Reg. CE 1967/08):
E’ vietato in tale pesca l’uso di catene o denti.
Tale pesca è consentita dalle ore 04 alle 18 di ogni giorno.
Pesca di rossetto in Toscana: dimensioni delle unità – TSL ≤ 10, HP ≤ 150.
Apertura della maglia: ≥ 3 mm. (fino al 31/5/2010 art. 14 Reg. CE 1967/06)
Pesca di rossetto e bianchetto: fino al 31/5/2010. I DM indicheranno annualmente le modalità, i tempi e le unità autorizzate.
E’ vietato l’uso delle sciabiche su prateria di Posidonia
Rientra in questo sistema, qualsiasi attrezzo da pesca, ad eccezione delle lenze trainate, trainato dalla forza motrice del peschereccio o tirato per mezzo di vericelli con il peschereccio all’ancora o in movimento a bassa velocità, incluse in particolare le reti trainate e le draghe
In particolare, fra questi attrezzi, le reti da traino oggi sono gli attrezzi più usati nel mondo a livello di pesca industriale. Questa predominanza è dovuta alla introduzione sui pescherecci, in quest'ultimo mezzo secolo, di motori sempre più potenti.
Le reti a traino sono “reti attive”, reti cioè che sono portate incontro al pesce che viene catturato per il loro progressivo avanzamento. Sono formate da molte pezze di rete diverse come dimensione del filo e dimensione di maglia. Le pezze di rete che compongono le rete da traino sono cucite tra loro in modo da formare durante il traino un tronco di cono o un tronco di piramide (corpo della rete).
Sulla parte terminale della rete, sul sacco, vi è un sistema di chiusura formato da una cimetta che permette facilmente di riaprire il sacco quando la saccata è issata a bordo.
Sulla base maggiore sono montate le braccia e le lime, o la struttura rigida nel caso di reti a bocca fissa.
Le reti al traino si differenziano fra loro perché, sia il sistema di confezione che l'attrezzatura variano in base alle specie che si vogliono catturare.
► Le “reti trainate sul fondo” (o a strascico), vengono trainate facendole strisciare sul fondo marino con lo scopo di catturare le specie bentoniche, che sono tra quelle più pregiate dal punto di vista commerciale. Sono attrezzi attivi, perché trainati da pescherecci (un’unica unità per rete) ad una velocità tale da mantenerne aperta l’imboccatura. La tipica rete a strascico è la “tartana”. Ha forma conica ed è distinta in tre parti, i bracci, il corpo e il sacco, in cui si accumula il pesce.
► Le “reti trainate a mezz’acqua” (pelagiche o semipelagiche) vengono impiegate per la cattura delle specie pelagiche, come le acciughe, le sardine, e gli sgombri. La più comune è la “volante“, la quale viene trainata a mezz’acqua da due pescherecci (le volanti) dalle caratteristiche simili e viene utilizzata per la cattura del pesce azzurro. Regolando la lunghezza dei cavi di traino della rete è possibile variare la profondità alla quale si pesca.
Lo «Strascico» è la pesca più praticata in Italia e nel Mondo per la cattura del pesce di fondo, quello più pregiato e più richiesto (triglie, naselli, cernie, pagelli, saraghi, sogliole, rane pescatrici, razze, palombi, scampi, gamberi rossi, aragoste, pannocchie, moscardini, seppie e calamari).
Vi sono molti tipi di rete, praticamente uno per ogni paese in cui vi è una fiorente pesca. In Italia la rete a strascico più nota ed usata è la rete mediterranea o rete italiana (tartana).
Schema Sistema italiano (Tartana)
Le reti a strascico sono costituite da molte pezze di rete, con filo di diverse dimensioni e maglie di varia apertura. I pescatori italiani preferiscono operare con una unità; in questo caso, la bocca della rete viene tenuta aperta in senso orizzontale da due "divergenti", strutture in legno o in metallo che, grazie all'azione dell'acqua, tengono bene aperta la bocca della rete in senso orizzontale.
La rete è collegata all’unità per mezzo di "cavi d’acciaio" e "calamenti" fissati a loro volta a due "mazzette" (estremità della rete). Il sacco è tenuto aperto verso l’alto dalla lima dei sugheri e poggia sul fondo con la "lima dei piombi", a volte zavorrata con catene.
La rete può essere trainata da una o due unità. Il traino a coppia alla fine della II guerra mondiale è stato abbandonato poiché la propulsione meccanica consentiva ai divergenti di sviluppare dalle forze idrodinamiche tali da provocare l’apertura della bocca della rete.
La rete a strascico presenta diverse lunghezze nelle lime. Quella dei piombi è più lunga di quella dei sugheri per evitare che, quando questa muove il pesce dal fondo, esso non sfugga verso l’alto. Molto utilizzata nell’Adriatico per la pesca dei merluzzi, triglie, sogliole, scampi, gamberi, pannocchie, rospi, seppie e calamari. Esiste anche lo strascico a coppia. La pesca a strascico può essere effettuata con diversi tipi di attrezzi che, tra l'altro, variano in relazione alle tradizioni e al bagaglio culturale locale e regionale.
Questo sistema di pesca è il più diffuso in Italia e le unità che lo usano sono facilmente riconoscibili perché a bordo hanno una serie di strutture ed apparecchiature proprie dello strascico, come il “verricello dei cavi d'acciaio”, “l'arco di potenza” e i “divergenti”.
Rete in assetto di pesca
Sezione, da sinistra: cavo di traino, divergente, braga, calamento, restone, catena, mazzetta, braccia
Nel Mediterraneo lo strascico a divergenti viene effettuato principalmente con due sistemi diversi:
I due sistemi sono abbastanza diversi, in particolare per quanto attiene la confezione della rete e l'attrezzatura per il traino.
I “divergenti” sono componenti essenziali del traino perché assicurano l'apertura orizzontale di tutta l'attrezzatura.
Vari tipi di divergenti visti dall'alto e di lato:
A - Rettangolare piatto.
B - Ovale in ferro, tipo polivalente.
C - Pelagico in ferro, tipo Süberkrüb.
Schema dello strascico: sistemi italiano (Taratana) e francese (Vigneron) a confronto
In Italia, la quasi totalità delle marinerie usa la “Tartana”, perché le specie pregiate da catturare (specie bersaglio) sono demersali o bentoniche, e quindi non è necessaria una grande apertura verticale della rete. Inoltre, più acqua entra nel corpo della rete, maggiore è la resistenza che si riscontra nel traino e spesso ciò non significa una cattura maggiore, ma può tradursi in un aumento dei costi di gestione per unità di prodotto catturato.
La rete italiana a strascico con divergenti è caratterizzata da alcune parti costitutive:
Schema Tartana
La rete è assimmetrica. Ha le maglie “senza nodo”. Costruttivamente la rete è formata da una parte superiore, detta “cielo”, e da una inferiore detta “tassello” che strascica sul fondo: tra cielo e tassello c’è una differenza di lunghezza (15-20%), imbando, che contribuisce a garantire il contatto tra rete e fondo.
Schema di base della rete
La rete francese (Vigneron), è simmetrica e i due pannelli, superiore e inferiore hanno la stessa lunghezza. La rete - a differenza della tartana - ha uno scarso contatto con il fondo, ma un'apertura verticale maggiore (3-4 metri) ed in funzione di ciò anche l'attrezzatura del traino è diversa. Inoltre, la rete francese, generalmente, è senza nodo, mentre quella italiana è con nodo.
Schema Vigneron
Schema di base di una rete francese
La rete è la stessa che normalmente viene utilizzata per il traino pelagico a coppia, la differenza è solo nell'impiego dei divergenti. A differenza della rete a strascico, la rete pelagica è simmetrica ed ha quattro pannelli, uguali a due a due (sopra-sotto e laterali). La rete inoltre è facilmente riconoscibile per la grandezza delle maglie dei bracci (600-800 mm di apertura), per le ridotte dimensioni delle maglie del sacco (20 mm di apertura) e per la lunghezza complessiva (tripla rispetto alla Tartana).
Le reti non vengono a contatto con il fondo; nelle singole unità l’apertura orizzontale della rete è assicurata da “divergenti” (volante monobarca) mentre nella coppia l’apertura è assicurata dalla “distanza” delle due unità.
Nelle reti le maglie possono avere apertura ≥ 20 mm, purché il 80% delle catture, a cernita avvenuta, sia di sardine e acciughe [R. (CE) 1967/06]
Schema del traino pelagico a divergenti: volante monobarca
[da sinistra] Cavo traino D 11-13 ; Divergenti Süberkrüb 70-80 Kg ; [in alto] m 40-50 D 7,5 ;
[in basso] m 40-50 D 10 ; [a destra, dall'alto] Galleggianti: 10 3 Kgf ; 10 Kg ; peso 70-80 Kg ; 1,50-2,00m.
Un' altra caratteristica peculiare di questa rete è riscontrabile nei "pannelli" che sono confezionati con tortiglia (rete con nodo) e non con catenella (rete senza nodo) come per le altre reti a strascico di tipo italiano. Il traino pelagico a divergenti chiamato anche "volante monobarca". L'apertura orizzontale della rete è assicurata dalla spinta dei divergenti "Süberkrüb", mentre l'apertura verticale è dovuta all'effetto combinato dei pesi, verso il basso, e della posizione del cavo superiore di traino, verso l'alto.
Questo sistema di pesca essenzialmente è rivolto alla cattura dei piccoli pelagici (alici, sardine, sgombri, suri, ecc). Questa rete, che teoricamente dovrebbe pescare nel dominio pelagico (mezz'acqua) in realtà viene usata anche con la lima dei piombi in contatto col fondo.
Schema di base di una rete pelagica
La pesca pelagica a divergenti è nota da anni in altri paesi sopratutto per unità da pesca con potenze elevate.
La pesca pelagica a divergenti può essere effettuata solo con particolari strumenti di bordo quasi sconosciuti in Italia (net sonde ad esempio) e con divergenti pelagici o polivalenti il cui funzionamento, più delicato di quello dei divergenti da fondo, necessita di una esperienza che non è ancora entrata come bagaglio normale nelle nostre marinerie.
Tale sistema di pesca, rivolto essenzialmente alle specie bentoniche ed usato in particolare per la pesca delle sogliole, si vale di attrezzi composti da una rete montata su una intelaiatura rigida che ne assicura l'apertura orizzontale e verticale.
Naturalmente, questa rete non ha i bracci e praticamente il corpo ed il sacco di raccolta sono un tutt'uno.
Sfogliara (A) e Rapido (B)
In alto: sacco, bocca, braghe, cavo di traino.
Al centro: rete, tavola depressore, braga.
In basso: slitta, particolare slitta e rastrello, rastrello.
La “Sfogliara“ o Rampone, può definirsi l'antenato della categoria. Attualmente è quasi in disuso, ma in passato ha trovato largo impiego nelle marinerie dell'Alto e Medio Adriatico, per la cattura di sogliole, rombi e passere.
Le dimensioni della sfogliara variano a seconda della potenza della nave da pesca che deve trainarla: generalmente è costituita da una rete che forma un sacco allungato la cui bocca è costituita superiormente da un telaio metallico fissato su due slitte, che permettono lo scivolamento sul fondo; l'altezza della slitta determina l'apertura verticale. Il lato inferiore della bocca non presenta invece supporti rigidi ed è formato da cavo misto, appesantito da una serie di piombi che lo fanno aderire fortemente al fondale. La parte inferiore è unita alla struttura con una lima dei piombi a forma di corona, che assicura un forte contatto con il fondo.
Sistema di pesca Sfogliara
Ogni unità può tirarne due (come indicato in figura), ma contrariamente al rapido, la velocità non è consigliata poiché l’attrezzo si alza dal fondo. Attualmente è poco usata in Italia sostituita dal rapido più redditizio.
Tiro a due
Il “Rapido“ può definirsi come un'evoluzione tecnologica della Sfogliara; in effetti rimane la struttura del telaio con le slitte, ma per aumentare la penetrazione nel substrato sono stati introdotti degli accorgimenti: la tavola depressore e il rastrello.
Il rapido è una rete da pesca utilizzata in Adriatico per la cattura di specie bentoniche: sogliole, seppie, pannocchie, cappesante, rombi, passere, ghiozzo.
Sistema Rapido
E’ costituito da un'armatura rettangolare interamente in ferro sulla quale è fissato il corpo della rete. La parte superiore della bocca, lunga non più di 4 metri, è inclinata in avanti con un angolo di circa 22°, su cui è fissata una tavola di legno che funziona come un “depressore”, facendo in modo che l'attrezzo aderisca al fondo. La parte inferiore dell'armatura è munita di “denti ricurvi”, che sporgono di 2 o 3 cm dal piano d'appoggio dell'armatura e che penetrano nel fondo marino.
Struttura rapido
Lo scivolamento è consentito da “slitte” collegate al cavo di traino tramite catene. I denti arcuati penetrano nel fondo sabbioso e obbligano le sogliole a sollevarsi e a finire nella rete. La tavola depressore è fissata sulla parte superiore del telaio con un angolo che si può variare per regolare la spinta verso il basso dell'attrezzatura, al variare della velocità del traino.
L’ apertura verticale dell’attrezzo è circa 15-20 cm., quella orizzontale 3-4 metri (le dimensioni non sono soggette a normativa).
La rete è composta di più pezze in poliammide senza nodo e la sua larghezza complessiva è di circa 8-10 metri. In genere è presente un foderone, eventualmente una fodera di rinforzo ed il sacco presenta sempre un cavo di chiusura.
L’avanzamento sul fondale è agevolato dalle slitte metalliche montate sulla parte inferiore dell’armatura; è costituito da denti metallici ricurvi che si infossano di circa 2-3 cm. stanando gli organismi nascosti sotto la sabbia.
Questo tipo di pesca generalmente si effettua a una velocità di 6-7 nodi [1], contro i 3-4 nodi . dello strascico a divergenti
Il nome "Rapido" trae origine proprio dall'alta velocità del traino. Questo tipo di pesca, come abbiamo detto in precedenza. è ancora molto praticato nelle marinerie dell'Alto e Medio Adriatico e si effettua generalmente di notte in alternativa alla rete a strascico, tanto che alcune unità da pesca hanno a bordo entrambe le attrezzature.
Ogni unità pesca con due o più rapidi per volta, con la tecnica illustrata nella figura che segue. Ogni unità può tirare anche 4 rapidi simultaneamente.
Rapido (reti in assetto di pesca)
La pesca con il rapido è vietata in Tirreno (D.M. 26.07.95) dove è ancora utilizzato da poche unità autorizzate (D.M. 04.08.2000).
E' usato principalmente per la cattura delle sogliole.
Le dimensioni variano a seconda la potenza del motore dell’unità ma generalmente non superano i quattro metri.
[1] Il termine "nodo", significa "un miglio all'ora".
Alla luce delle deroghe concesse all’art. 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, lo strascico è vietato entro le 3 (tre) miglia nautiche dalla costa o entro i 50 (cinquanta) metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori.
La Commissione può autorizzare deroghe per attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e per le unità da pesca aventi un’attività comprovata nella pesca di più di cinque anni e solo se l’attività non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto.
Il divieto si applica a tutte le zone Natura 2000, alle zone particolarmente protette, alle zone particolarmente protette di rilevanza mediterranea (ASPIM).
Maglie delle reti a strascico: dal 30/06/2008 pezza di rete a maglia quadrata[1] da 40 mm nel sacco o, su richiesta debitamente motivata da parte del proprietario del peschereccio, una rete a maglia romboidale da 50 mm.
E’ vietato utilizzare coperture della maglia del sacco o comunque dispositivi atti ad ostruire o chiudere le maglie con conseguente riduzione della dimensioni e quindi della selettività.
Gli unici dispositivi autorizzati sono i seguenti (Reg. CE 3440/1984 e Reg. CE 1967/2006):
► Recenti innovazioni tecniche della pesca a strascico
Attualmente questo tipo di pesca può essere effettuato mediante l’uso di due (raramente più di 2) reti di dimensioni inferiori rispetto alle reti tradizionali che vengono trainate contemporaneamente. Tali reti devono rispettare la normativa relativa allo strascico (maglie, fodere, ecc.).
In molte marinerie il sacco delle reti a strascico non è unico ma è diviso in due settori uno superiore e uno inferiore: nella parte inferiore si accumulano granchi, scampi, ecc ma anche tutto lo “sporco”, nella parte superiore viene convogliato il pescato commerciale. Entrambe le sezioni devono rispettare la normativa relativa alla maglia, alla circonferenza e alle fodere.
E’ fatto divieto di utilizzare coperture del sacco o comunque dispositivi di montaggio e di armamento atti ad ostruire o chiudere le maglie o di avere per effetto la riduzione della selettività del sacco.
È consentito l'uso di foderoni di protezione o di altro materiale fissato unicamente al di sotto del sacco per attenuare o prevenire i danni derivanti alla rete dall'abrasione del fondo marino.
È consentito l'uso di doppi sacchi, a condizione che l'apertura delle maglie dei sacchi esterni risulti almeno tre volte quella delle maglie del sacco della rete e che la loro larghezza stirata corrisponda ad un valore compreso tra 100 e 150 per cento della larghezza stirata del sacco interno.
Il Ministro, con la procedura di cui all'articolo 32 della legge 14 luglio 1965, n. 963, può consentire l'uso di reti a strascico con maglie aventi apertura inferiore a 40 mm nel caso di “pesche speciali” rivolte alla cattura di specie i cui individui, allo stadio adulto, non possono essere convenientemente pescati con reti a maglia regolamentare.
[1] Per quanto riguarda le maglie delle reti da traino: dai 40 mm, a forma «romboidale», si passa ai 40 mm a forma «quadra». Quest'ultima, per effetto della trazione dell'unità da pesca, non si comporta come quella a rombo, ovverosia, non si chiude, assicurando maggiore selettività dell'attrezzo. Per tale motivo è stata data possibilità alle imprese di pesca di dotarsi, in alternativa, di reti con sacchi a maglia romboidale, di misura pari a 50 mm, dietro autorizzazione ministeriale. E' questa l'opzione scelta dalla maggioranza degli armatori delle unità da pesca che hanno presentato domanda alle Capitanerie di porto.
La «volante» è una rete che viene trainata in superficie, a mezz'acqua o che sfiora appena il fondo a seconda del tipo di pesce che si vuole catturare. Queste reti vengono anche chiamate "pelagiche" perché non toccano il fondo. La tecnica della volante permette di catturare alici, sardine, sgombri e aguglie.
In questi ultimi anni il sistema ha soppiantato le reti a circuizione per la cattura del pesce azzurro. Il sistema di pesca è effettuato in prevalentemente in Adriatico. Queste reti sono state, infatti, introdotte in Italia dai pescatori del Nord Adriatico che hanno importato il sistema da retifici che lo producevano per l’uso nel mare del Nord, dove sono nate e si sono rapidamente sviluppate.
La rete volante è usata solo "a coppia", trainata, a mezz'acqua o sfiorante appena il fondo, da due pescherecci per la cattura di pesci pelagici come: alici, spratti, aguglie, sgombriformi e cefali: anche più di 10 t in un’unica cala.
Il sistema "volante" comprende quelli attualmente denominati come:
La denominazione di "traino pelagico" è soppressa (Art. 11, n. 5 del D.M. 26 luglio 1995 “Disciplina del rilascio delle licenze di pesca). (G.U. 31 agosto 1995 n. 203).
Si tratta di reti “volanti” che sono trainate a mezz'acqua o sfiorano appena il fondo (reti semipelagiche). Sono reti “attive” in quanto catturano il pesce nel loro progressivo avanzamento.
Nel sistema volante a coppia ogni peschereccio traina due cavi della rete. Dai due lati della rete parte un cavo dalla mazzetta superiore e uno da quella inferiore.
La rete volante ha in tutto quattro mazzette e quattro lime: lima da sugheri, lima da piombi e due laterali.
Traino pelagico a coppia (volante)
La possibilità di pescare in superficie, a mezz'acqua o vicino al fondo (operando in quest’ultimo caso come rete semipelagica) dipende dalla lunghezza del cavo filato e dalla velocità di pesca.
Per basse profondità, quando la lunghezza del cavo filato è minima (100-150 metri) la distanza è controllata da un cavo detto "traversino" che unisce i due pescherecci; per alte profondità, quando il cavo filato è superiore ai 150 m, la distanza è sotto controllo radar.
Schema della volante a coppia
La rete volante viene usata spesso come rete “semipelagica” perché nei nostri mari e soprattutto di giorno, il pesce azzurro staziona in prossimità del fondo. D’altra parte la pesca semipelagica è più sicura sia perchè il pesce ha una possibilità di fuga in meno (da sotto rete) sia perchè, non disponendo i pescherecci di strumenti di controllo della rete (net sonde), è più facile lavorare la lima da piombi sul fondo. A mezz’acqua non si ha la certezza di esplorare la zona in cui lo scandaglio ha evidenziato il pesce e quindi cattura è più aleatoria. L’apertura orizzontale (20-40 metri) è naturalmente assicurata dai due pescherecci che trainano in coppia, mentre quella verticale (10-14 metri) è assicurata da due grossi pesi (di 250-300 Kg ciascuno) sui due cavi di traino che vanno alle mazzette inferiori, dai piombi e dai galleggianti, questi ultimi, praticamente sempre presenti, anche se non indispensabili.
La rete, di forma conica o piramidale, è formata da moltissime pezze di maglie e filo diversi e termina con un sacco a maglia più piccola dove viene trattenuto il pescato.
Il corpo della rete è composto da quattro parti che sono a due a due uguali: le due parti laterali e la parte superiore ed inferiore.
Schema di base della volante a coppia
La parte superiore e la parte inferiore identiche tra loro e le due parti laterali, anch’esse identiche. Nella rete volante, come modificata e prevalentemente usata in Italia, si ha che le parti laterali sono la metà come numero di maglie della parte superiore ed inferiore.
Le maglie nella prima parte della rete (braccia e prima parte del corpo) sono molto grandi normalmente intorno ai 660 mm di lato e gradatamente diminuiscono man mano che ci si avvicina alle prime pezze del cielo (600-200 mm.) fino al sacco e nel sacco sono generalmente molto piccole con nodo (16 - 18 mm.).
Le maglie del sacco quindi sono molto piccole: ciò però non è dovuto alla volontà del pescatore di usare una maglia, anche proibita, ma consenta migliori catture. L’uso di una maglia piccola è imposto dalle necessità di evitare l’imbrocco anche alla più piccola delle tre specie pelagiche che prevalentemente compongono le saccate delle reti volanti: sarde, acciughe e spratti.
Se si dovesse avere l’imbrocco ci si troverebbe con un pesce ogni maglia e si impedirebbe quindi lo scarico dell’acqua da parte della reti provocando in questo modo la rottura della rete stessa.
Questo attrezzo, se incontra un grosso banco di pesce, può fare catture superiori alle 10 t in una sola cala, e la rete non può essere issata a bordo in una sola volta; per supplire a ciò, il sacco è costruito in modo tale (Enca e Strozzatoio).
L'Enca è un panno di rete inserito all'interno e nella parte iniziale del sacco, che funziona da valvola di non ritorno ed è sollevato quando la barca è in movimento, mentre si abbassa quando la barca si ferma.
Lo Strozzatoio è posto verso la fine del sacco e, tirato da una manovra volante di bordo (ghia), divide la saccata nelle quantità volute dal Capopesca.
Oltre alla volante a coppia esiste anche la volante monobarca ma in Italia e in Mediterraneo è molto rara e spesso viene usata a livello sperimentale.
Tra le reti da traino pelagiche a coppia la agugliara merita un posto a parte. Questo attrezzo, poco conosciuto nelle marinerie italiane, ha riscontrato un discreto successo negli anni '60 - '70 nel Medio Adriatico.
Sistema Agugliara
Attualmente il suo uso è molto limitato anche in questa zona, perchè cattura una sola specie (aguglie) e solo in particolari condizioni ambientali (estate e mare completamente calmo). Infatti le aguglie, durante il periodo estivo, si portano in vicinanza della superficie e spesso saltano fuori dall'acqua.
E’ una rete quindi molto selettiva che praticamente cattura solo aguglie e saltuariamente, quando ne incontra il banco, cefali.
Si tratta di una rete di superficie unica nel suo genere poiché viene trainata con la lima da sugheri (che chiameremo ancora così anche se è completamente priva di sugheri) fuori dell’acqua per evitare che le aguglie, con i loro caratteristici balzi fuori dall’acqua possono evitare la cattura.
L'agugliara è trainata da una coppia di pescherecci, in modo tale che le mazzette su cui sono montati i bracci sporgano dall'acqua consentendo alla rete di "emergere" e catturare anche i pesci che tentano di saltare fuori dall'acqua, con la tecnica illustrata nella figura.
Agugliara in assetto di pesca
Contrariamente alla volante, la agugliara è formata da sole due parti, perfettamente simmetriche e viene trainata con un solo cavo per ciascuna unità.
L’apertura orizzontale e naturalmente garantita dai due pescherecci, mentre quella verticale è assicurata da due lunghe aste in ferro che fanno da mazzette
E’ una rete usata praticamente solo in Adriatico da tanti di modeste potenze. Di preferenza viene pescata di notte.
Schema di base agugliara
Alla luce delle deroghe concesse all’art. 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, lo strascico è vietato entro le 3 (tre) miglia nautiche dalla costa o entro i 50 (cinquanta) metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori.
La Commissione può autorizzare deroghe in certe situazioni (art. 13) per attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e per le unità da pesca aventi un’attività comprovata nella pesca di più di cinque anni e solo se l’attività non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto.
L’apertura della maglia delle volanti non deve essere inferiore ai 20 mm quando sardina e acciuga rappresentano almeno l’80% delle catture in peso vivo misurate dopo la cernita.
E’ vietato ostruire le maglie o ridurre di fatto le dimensioni. Gli unici dispositivi autorizzati sono i seguenti (Reg. CE 3440/1984 e Reg. CE 1967/2006):
In Italia è consentito usare contemporaneamente fodera superiore e fodera di rinforzo.
La pesca dei molluschi bivalvi è diventata in questi ultimi anni un'attività estremamente redditizia. Alla base della convenienza economica di questo tipo di mestiere, sono le qualità organolettiche del prodotto e le capacità di cattura degli attrezzi. La pesca viene fatta soprattutto su fondi sabbiosi, che rappresentano il substrato più sfruttato in Italia per l'abbondanza del prodotto. Possono essere impiegati diversi tipi di attrezzi, con barche di tonnellaggio variabile tra le 10 e le 15 tsl
Le «Draghe», in genere, sono attrezzi molto noti e molto usati per la pesca dei molluschi. L’attrezzo deve strappare e o raccogliere molluschi sessili o che si annidano nel substrato. In questa operazione naturalmente si raccoglie anche altro materiale non voluto. Da qui la nascita e l'evoluzione di vari attrezzi diversi, che con vari metodi riescono a trattenere i molluschi e a perdere il materiale di fondo. In alcuni casi si usano nei sacchi di raccolta, maglie molto grandi e fenditure nella parte superiore del sacco stesso e ciò è sufficiente a perdere buona parte dello sporco, in altri casi quando l’attrezzo penetra molto si pompa nell’attrezzo stesso acqua in modo che si abbia la perdita della sabbia e del fango. Generalmente questi attrezzi vengono usati in prossimità della costa soprattutto su fondali sabbiosi da pescherecci di limitata potenza che effettuano uscite giornaliere. Le catture sono generalmente abbastanza consistenti e ciò spiega l’elevato numero di unità che soprattutto in Adriatico operano con tali attrezzi.
Come già in precedenza accennato, le draghe idrauliche sono esse stesse attrezzi per molluschi. E’ bene comunque distinguere tra draghe idrauliche ed attrezzi da traino per molluschi. Anche la draga è tirata, ma molto lentamente. Il peschereccio tramite verricello recupera lentamente l’ancora che ha prima lasciato a congrua distanza. L’attrezzo da traino per molluschi invece è sì trainato a velocità abbastanza bassa, ma il traino avviene, come per le reti da traino, con l’elica stessa del motopeschereccio.
L’uso delle draghe è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, purché le specie catturate diverse dai molluschi non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
Alla luce delle deroghe concesse dall’art.14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, fino al 31/05/2010, rimane in vigore la norma nazionale che vieta unicamente l’uso di “draghe idrauliche”, ad eccezione della "cannellara", a profondità inferiori a 3 metri (D.M. 22/12/2000).
Dal 01/06/2010 sarà vietato l’uso di “draghe tirate da natanti” (traino per molluschi) e di “draghe idrauliche” entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
La larghezza massima consentita per le draghe è di 3 metri (concordata con quella italiana solo per le draghe idrauliche, per il rastrello da natante e il traino per molluschi è più restrittiva la legislazione italiana) a eccezione delle draghe per la pesca delle spugne.
Questo sistema (corrispondente all’italiano “Traino per molluschi” comprende attrezzi, privi di getti d’acqua in pressione, che trainati sul fondo marino staccano e trattengono i molluschi bivalvi che vivono sul fondo annidati nel substrato; generalmente, a questi attrezzi non si richiede una forte spinta verso il basso (tranne che per il Rampone). Il traino dei detti attrezzi può avvenire sia in modo rettilineo che circolare.
Sono molto diversi l’uno dall’altro per forma e dimensioni, ma generalmente consistono di una bocca rigida seguita da un corto sacco di rete tessile.
Assomigliano molto alle reti a strascico a bocca fissa, quali rapido e sfogliara da cui però è possibile distinguerli per alcune caratteristiche, quali:
Questi attrezzi da traino a telaio rigido, generalmente sono molto simili tra loro e cambiano il nome da zona a zona, in funzione dell'organismo catturato o del modo d'impiego.
Sono molto simili ai "rapidi", ma ne differiscono in particolari come: larghezza della bocca (ridotta), dimensioni delle maglie della rete del sacco di raccolta (più grandi), assenza del sistema di apertura del sacco nella parte posteriore (la cattura viene rovesciata sul ponte di coperta), lunghezza della rete molto ridotta (tanto da considerarla come fosse solo sacco).
Traino per molluschi
Per "Ostreghero" si intende un attrezzo a bocca rigida utilizzato essenzialmente per il prelievo delle ostriche. Ha una forma simile a quella di una sfogliara ed è munito di un sacco di raccolta in rete sintetica o metallica.
La bocca rigida è formata da un'asta trasversale in ferro, senza slitte agli estremi: nella parte inferiore è montata una lima da piombi, spesso in catena.
La larghezza della bocca non deve essere superiore a 1.6 m , la maglia della rete deve essere inferiore ai 60 mm
Ostreghero
Il "rampone" tradizionale per molluschi è un attrezzo a bocca rigida che trova impiego particolarmente in alcune marinerie del Basso Adriatico (Manfredonia) per la cattura di cozze pelose (Modiolus barbatus), canestrelli (Chlamys glabrar), mussoli (Arca noae), cappesante (Pecten jacobaeus).
La struttura del telaio è molto simile a quella del rapido (un telaio rigido con lama a denti ricurvi che poggiano su due slitte), ma ha dimensioni ridotte e i denti del rastrello, sempre in tondino ricurvo, non sono appiattiti.
Se ne differenzia per la presenza di due depressori (tavole) con inclinazioni diverse che aumentano fortemente la pressione dei denti sul substrato.
Attrezzo simile al rampone è la “Cassa”: bocca rigida formata da un rettangolo in tondino in ferro a cui è armato un sacco di rete.
Rampone tradizionale a Cassa
Questo tipo particolare di pesca non necessita di una velocità elevata, bensì di una forte spinta verso il basso perchè gli organismi da catturare vivono su fondali abbastanza duri. Il sistema di traino non è rettilineo, ma circolare, e la velocità è piuttosto bassa.
In effetti, spesso il traino di questo attrezzo non è effettuato in modo rettilineo, ma circolare, cioè si passa più volte sulla stessa circonferenza, in quanto il mollusco da catturare, ad esempio la cozza pelosa, è fortemente attaccato sul fondo e la sua cattura avviene per “sradicamento”.
Simile all’Ostreghero.
Viene usato da piccole unità da pesca (in Sardegna, Puglia e Campania) per la cattura di gamberi, granchi e pesci bentonici. Viene trainato da una unità con un solo cavo.
La bocca ha forma rettangolare: la parte superiore è formata da un tubo di ferro piegato alle estremità mentre quella inferiore è formata da un cavo piombato Potrebbe definirsi come una sfogliara a grande apertura verticale: la bocca è infatti alta circa un metro e larga circa 5.
Ganghero
Due piccole slitte laterali consentono all’attrezzo di rimanere diritto. Il corpo della rete è costituito da diverse pezze con varie dimensioni di maglia: il corpo misura circa 20 m Si salpa su una fiancata.
Il telaio del Rampone e della Cassa: non deve avere una larghezza superiore a 1,60 metri. L’apertura della maglia non deve essere inferiore a 50 mm.
Nella parte superiore della rete (sacco) devono essere presenti tre aperture longitudinali che agevolano la fuoriuscita dei detriti (solo per il rampone di manfredonia).
Il telaio dell’Ostreghero e della Sfogliara per molluschi non deve avere una larghezza superiore a 1,60 metri; l’apertura della maglia non deve essere inferiore a 60 mm;
Nel telaio non devono essere presenti le slitte che ne vincolano l’apertura verticale come nella sfogliara per sogliole.
Possono essere adibite a tale tipo di pesca le navi di lunghezza tra le perpendicolari (Lpp) di 10 metri, di stazza lorda non superiore a 10 t. e potenza motrice non superiore a 100 HP.
L’uso del sistema traino per molluschi è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, purché le specie catturate diverse dai molluschi non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
Alla luce delle deroghe concesse dall’ 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, fino al 31/05/2010, rimane in vigore la norma nazionale che vieta unicamente l’uso del “sistema traino per molluschi”, ad eccezione della cannellara, a profondità inferiori a 3 metri (D.M. 22/12/2000).
Dal 01/06/2010 sarà vietato l’uso del “sistema traino per molluschi” entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
Il sistema corrisponde all'italiano "Rastrello da natante ". I rastrelli da natante sono attrezzi a bocca rigida che trainati sul fondo marino, staccano e trattengono molluschi bivalvi annidati nel substrato. La parte superiore della bocca, normalmente, è un semicerchio la cui parte inferiore è il diametro. Alla bocca è montato un corto sacco di rete tessile per la raccolta dei molluschi.
I rastrelli sono attrezzi che possono essere trainati a mano o da piccole unità di massimo 10 tonnellate di stazza lorda; in quest'ultimo caso il traino e il recupero sono completamente manuali e non utilizzano il movimento delle unità.
Il «rastrello a denti» è munito di un manico piuttosto corto (1-2 m), che ha lo scopo di regolare l'inclinazione dei denti: sono in genere molto vicini e piuttosto lunghi (30 cm), affilati e ravvicinati (ad esempio, il rastrello napoletano) e servono a raccogliere le vongole dal fondo e convogliarle nel sacco.
Rastrello da natanti a denti
Il «rastrello a lama», invece, ha un manico più lungo rispetto all'altro e penetra nel substrato raccogliendo sia il sedimento che vongole. Durante il recupero un marinaio di tanto in tanto scuote il manico per agevolare la fuoruscita del sedimento.
Rastrello a lama (Rusca)
Laguna di Venezia
Il traino avviene tramite recupero dell'ancora con il verricello. Ogni unità traina due attrezzi, con un cavo ciascuno, che agisce sulla bocca del rastrello.
Il salpamento dell'attrezzo è manuale; esso viene issato a bordo senza l'uso di verricello meccanico, o bigo. Questo tipo di attrezzo, data la sua particolare costruzione (manico di regolazione), ha una profondità di pesca molto limitata.
I rastrelli da natante sono maggiormente usati nei litorali campani, laziali e toscani, mentre quelli senza ausilio di forza motrice in Alto Adriatico e sono impiegati soprattutto per la pesca delle telline, mentre quelli trainati a mano per la cattura delle vongole.
Il «rastrello da natante» deve avere le seguenti caratteristiche:
Le unità da pesca non devono superare la stazza di 10 t, e la potenza dell’apparato motore non deve essere superiore a 100 HP. Il pescato massimo giornaliero è di 150 Kg.
L’uso dell’attrezzo è consentito solo nel Mar Tirreno ed è soggetto a limitazioni temporali (fermi,giornalieri e mensili).
Per «rastrello a piedi» e «rastrello senza ausilio di forza motrice» si intendono attrezzi azionati esclusivamente da energia umana. Ve ne sono essenzialmente di due tipi; infatti la bocca inferiormente può essere provvista di una lama metallica (come nel caso della vongolara manuale), o di denti (come nel caso del rastrello a denti). L’attrezzo può essere fornito di sacco in rete tessile o cesto di raccolta in rete o grigliato metallico. L’attrezzo può essere adoperato a piedi o da bordo di un natante, in quest’ultimo caso il traino ed il recupero sono totalmente manuali.
Rastrello a mano
Rastrello a denti
Le «draghe idrauliche» (o turbosoffianti) sono attrezzi utilizzati per la pesca dei molluschi bivalvi, in particolare di vongole, cannolicchi e fasolari, che vivono adagiati o affossati nel sedimento. Sono attrezzi che penetrano nel fondo marino per raccogliere, avanzando, tutti gli organismi presenti nel substrato.
Il sistema consente di trattenere i molluschi espellendo con una serie di getti d'acqua la sabbia e il fango.
La draga vera e propria è costituita da una gabbia completamente metallica (a forma di parallelepipedo) nel cui interno vengono iniettati getti d'acqua a pressione (draghe turbosoffianti), che agevolano sia la penetrazione dell'attrezzo nel sedimento che la fuoruscita di materiale come sabbia o fango, che possono intasare.
Sistema draga idraulica
La pompa dell'acqua a pressione è posta quasi sempre a bordo dell’unità da pesca, e l'acqua viene convogliata nella gabbia tramite un tubo di gomma.
Il grigliato della gabbia (che seleziona i bivalvi per taglia già in fase di pesca) è costituito da “tondini di ferro” la cui distanza varia a seconda dell'organismo da catturare.
Nella parte anteriore in contatto con il fondo, viene bullonata una draga metallica che, sporgendo sotto i pattini laterali di qualche cm (4-6 cm per le vongole e i fasolari e 10-15 cm per i cannolicchi), consente alla gabbia di scavare fuori dal sedimento gli organismi presenti.
Davanti alla lama e sul grigliato scorrono i tubi metallici con gli ugelli di sfondamento e smaltimento.
Il traino può essere effettuato normalmente tramite il recupero del cavo dell'ancora, o con l'elica a marcia indietro (la draga è sempre posta sulla prua dell'unità), con la tecnica illustrata nella figura che segue.
Il traino avviene con il recupero dell’ancora oppure con l’elica a marcia indietro poiché la gabbia è sempre posta a prua
Al termine del traino la gabbia viene issata a prora tramite il cavo di recupero ed il materiale raccolto viene convogliato in un setaccio, per la selezione delle taglie commerciabili.
A seconda dei molluschi che si vogliono catturare, la draga idraulica si differenzia, in base alle caratteristiche costruttive, in:
La «Vongolara» è l’attrezzo usato per la cattura delle vongole. In passato si usava la vongolara a mano che consisteva in un grosso rastrello con un lunghissimo manico. La vongolara era tirata lentamente recuperando l’ancora e con il manico si cercava di agitare il rastrello in modo che si scaricasse la maggior quantità possibile di sabbia. Ora si usa la vongolara con getto d’acqua all’interno dell’attrezzo.
Le dimensioni dell’attrezzo sono aumentate, il manico è scomparso, il salpamento è meccanico: in generale le catture sono molto più alte e con minor fatica.
A seconda del tipo di pesca, sia la draga (parte inferiore) che i setacci (se ammessi) possono essere di tipo A, B o C (come rappresentato in figura).
Griglia a maglia quadra con lato di 17 mm. Setaccio (Griglia del tipo C)
La «Cannellara» è molto simile alla vongolara, ha però un potere di penetrazione nel fondo marino superiore.
Ciò è necessario per catturare convenientemente i “cannelli”.
Non è ammesso l’uso di vibrovagli (=setacci): il pescato deve essere selezionato a mano.
Tutto il resto va ributtato in mare ad eccezione dei vermi marini (BIBI).
La «Fasolara» è usata infine per la cattura dei fasolari (Callista chione). E’ ammesso l’uso del vibrovaglio.
La flotta italiana conta all’incirca 835 unità equipaggiate con “draga idraulica”, che rimane l'attrezzo più usato per la pesca dei molluschi in Italia, in particolar modo in Alto e Medio Adriatico, dove si contano 784 unità operative, per la pesca di vongole, longoni e fasolari e nel litorale campano e laziale, dove operano non più di 60 turbosoffianti per la cattura dei cannolicchi.
Sistema draga idraulica
In questa categoria sono inseriti tutti gli attrezzi confezionati con rete che vengono lasciati in mare in una postazione fissa o in balia delle correnti. Generalmente questi attrezzi vengono definiti "passivi" perchè sono gli organismi marini che nei loro spostamenti vi incappano rimanendo intrappolati per imbrocco (gilled), per impigliamento (entangling) o per insaccamento (bagging) che è tipico del tremaglio.
La pesca è stagionale e legata alla tipologia delle specie da catturare. Le unità che attuano tale tipo di pesca fanno parte in genere della “Piccola pesca” (DM 14/09/1999, pesca costiera locale) e quindi le dimensioni devono essere LFT < 12 m e TSL < 10.
Reti da posta fisse (A: superficie, B: mezz’acqua, C: da fondo) e derivanti (D)
Tremaglio con relativo sistema di cattura (E, F); imbrocco (G).
Le reti da posta sono reti “passive", destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di ammagliare: pesci, molluschi e crostacei che vi incappano. Una prima suddivisione di questa si ha quando sono nude o tramagliate: nel primo caso il pesce penetra con la testa e vi rimane impigliato, come ad esempio nella sardellara; nel secondo caso invece oltre la rete nuda vi sono altre due pareti a maglie più larghe così da consentire, sotto la spinta del pesce il formarsi di un sacco. Da qui un’altra versione per il riconoscimento di queste reti da posta, quella della sua destinazione: da imbrocco o da insacco. A loro volta si suddividono ulteriormente in reti fisse e reti derivanti: le prime sono ancorate al fondo marino e le seconde invece sono lasciate all’azione dei venti e delle correnti. Le reti da posta sono le reti da pesca più note, più ingegnose e di più antico uso. Sono reti formate da fili moto sottili e flessibili in quanto debbono essere il meno visibili al pesce perché non si spaventi e scappi. Questo tipo di pesca è effettuata da motopescherecci da 20-30 tsl. Si possono individuare alcuni tipi di rete usate dai pescatori.
Le reti da posta sono quelle destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di imbroccare od ammagliare gli organismi marini che vi incappano.
Esse si dividono in fisse e derivanti; le prime sono ancorate sul fondale marino, mentre le seconde sono lasciate all'azione delle correnti e dei venti.
Questi attrezzi sono confezionati con lunghi pannelli (pezze) di rete rettangolari che vanno armate con due lime: sulla superiore vengono montati i galleggianti e su quella inferiore i piombi in modo da farle assumere in acqua una posizione verticale (l'effetto combinato assicura l'apertura verticale della rete).
Le reti da posta possono essere calate in mare vicino alla superficie, a mezz'acqua o sul fondo, a seconda delle specie da catturare. Possono essere confezionate in tre modi diversi: con un solo pannello di rete (imbrocco), con tre pannelli (tremaglio) o come “incastellata o combinata”, che viene armata a tremaglio nella parte inferiore (per la cattura del pesce di fondo) e ad imbrocco nella parte superiore (per la cattura dei pelagici).
È consentito l'impiego di tutti i tipi di reti da posta, sia fisse che derivanti, senza limitazioni di lunghezza purché le dimensioni delle maglie “non siano inferiori a mm. 20“ e le reti siano dotate dei prescritti segnali.
Attualmente, tali reti vengono prodotte in nylon che, per la sua grande tenacità, consente la realizzazione di reti a fili sottilissimi ma comunque sufficientemente robusti. In alcuni casi, si sta inoltre diffondendo l’uso del monofilo che presenta, tra gli altri vantaggi, anche quello della quasi completa trasparenza in acqua.
Sono attrezzi usati praticamente in tutte le marinerie, anche in quelle più piccole. Infatti spesso vengono usate piccole unità a remi o con un piccolo motore fuoribordo che possono partire addirittura dalla spiaggia. Spesso sono utilizzate con buoni risultati in quei fondali dove la pesca a strascico non è possibile.
In genere, tali reti sono salpate e calate a mano ma in alcuni casi, per ridurre la fatica o per fare uso di reti di maggiore lunghezza vengono utilizzati particolari ausiliari di coperta detti salpatramagli.
A seconda che siano ancorate o meno al fondo e a seconda della loro disposizione in acqua possono essere suddivise in: fisse, derivanti e circuitanti.
Le «reti da posta» sono quelle destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di imbroccare o ammagliare gli organismi marini che vi incappano.
Le prime sono ancorate sul fondale mentre le seconde sono lasciate all’azione delle correnti e dei venti. Questi attrezzi si compongono di lunghi pannelli rettangolari di rete con nodo (singolo o doppio) armati nella parte superiore alla lima dei galleggianti e nella parte inferiore alla lima dei piombi (l’effetto combinato assicura l’apertura verticale della rete).
In particolare, per “reti da posta fisse” si intendono tutte quelle reti che, benché possano trovarsi in superficie (A), a mezz’acqua (B) oppure sul fondo marino (C) vengono tuttavia ancorate ad intervalli in modo fisso al fondo marino con ancore o pesi. I pesi o le ancore vengono segnalate in superficie da galleggianti munite di bandierine gialle di giorno e luci gialle di notte per renderne possibile l’individuazione al momento del recupero.
Reti da posta fisse (A: superficie, B: mezz’acqua, C: da fondo)
Le reti, una volta calate, vengono lasciate in posizione per un certo periodo di tempo, in genere una notte, in modo tale da renderle ancora più invisibili al pesce e poi recuperate. Normalmente, nell’intervallo fra l’operazione di cala e quella di salpata la barca rientra in porto.
► Tremaglio: 3 pezze di rete sovrapposte, delle quali la mediana è più estesa e presenta maglie più piccole. Specie bersaglio tipiche di fondale (scorfani, aragoste, seppie, ecc.).
► Incastellata o combinata: questa rete combina i vantaggi delle due reti descritte precedentemente essendo formata nella parte superiore da una rete ad “imbrocco” (per la cattura dei pelagici) e nella parte inferiore da un “tremaglio” (per la cattura del pesce di fondo).
►Rete circuitante: è una normale rete ad imbrocco di altezza pari a 10 metri che invece di essere calata in mare in modo rettilineo, è calata in cerchio o semicerchio in prossimità della costa: l’unità si pone all'interno dello stesso ed inizia a produrre rumori per spaventare il pesce e indirizzarlo verso le pareti della rete.
La «rete ad imbrocco» è costituita da un’unica pezza fissata ad una linea dei sugheri e ad una dei piombi. Costituita da fili in monofilamento, la rete ha in sostanza una cattura monospecifica e monotaglia. Ciò dipende dalla misura della maglia con cui è armata. I pesce penetra con la testa nella maglia e vi rimane impigliato.
La rete ad imbrocco è un attrezzo molto selettivo perché cattura solo pesci più o meno della stessa taglia che rimangono incastrati in una data maglia (i più piccoli l’attraversano e i più grandi non vi entrano); per questo motivo la rete ad imbrocco è confezionata con una gamma di apertura di maglia molto vasta (40-500 mm.) in funzione della specie e della taglia che si vuole catturare.
Il pesce non resta prigioniero in una sacca come nel tremaglio, ma generalmente penetra con la testa nella maglia e vi resta imprigionato, senza poter andare avanti e indietro.
Sistema da posta (Imbrocco)
Approfondimenti:
L’imbrocco è una rete selettiva la cui dimensione di maglia varia in funzione delle specie bersaglio, con target variabili da zona a zona e nei diversi periodi dell’anno: è comunque il merluzzo la specie che più contribuisce ai ricavi provenienti da questo attrezzo, seguita a notevole distanza da altre specie tra cui mendole, triglie, sogliole, pannocchie, orate, saraghi e boghe. A livello nazionale la rete ad imbrocco ha una frequenza del 28%, con picchi alti nel Lazio, dove è impiegata con la stessa frequenza del tramaglio (67%).
Sono reti formate da un’unica pezza. La cattura del pesce avviene per imbrocco ossia il pesce, una volta entrato nella maglia della rete, non riesce più ad andare né avanti né indietro.
Schema della rete
Le dimensioni delle maglie di queste sono variabili a seconda della specie e della taglia del pesce che si intende catturare reti (≥ 16 – Reg. CE 1967/2006). Infatti se le maglie sono troppo grandi il pesce può passare oltre senza danni mentre se troppo piccole il pesce non resta ammagliato e quindi sfugge alla cattura.
Le reti a maglia piccola sono usate prevalentemente per la cattura specie pelagiche e necto-bentoniche (sogliole, canocchie, palombi, naselli, salpe, occhiate).
Le reti a maglia media (50-130 mm circa) catturano diverse specie commerciali di taglia maggiore.
Le reti a maglia medio-grande (160-200 mm) sono specifiche per alcune specie di tonnetti e alalunghe. Infine, le reti a maglia grande (> 350 mm) e filato molto spesso, sono specifiche per la cattura dei pesci spada (=spadare).
Nel caso della rete da posta per tonni la cattura non avviene tanto per imbrocco quanto per intrappolamento del pesce nella rete.
Questo tipo di rete, lunga alcuni chilometri, può essere sia di tipo fisso che derivante. Per lo svolgimento della pesca con reti ad imbrocco vengono messe in atto tecnologie piuttosto semplici: 1 o 2 persone di equipaggio e imbarcazioni di modeste dimensioni.
E’ la più nota tra le reti da posta, ed è formata da tre pezze (pannelli) di rete sovrapposte ed armate con diverso rapporto di armamento sulle stesse due lime da sughero e da piombi.
Le due pezze esternamente identiche e formate da maglie molto grandi sono armate sulle lime con un rapporto di armamento abbastanza alto (0,6-0,7), mentre la pezza intermedia ha maglie piccole e rapporto di armamento basso (0,4-0,5). I filamenti sono generalmente multifilamento o multimonofilamento.
Sistema da posta (Tramaglio)
Ciò permette una sovrabbondanza di rete nella pezza a maglia piccola. Il pesce quindi incontra nel suo cammino la rete e cerca di superarla; da qualunque parte provenga, supera abbastanza agevolmente la maglia grande della pezza esterna (il maglione) e preme sulla pezza a maglia piccola che essendo sovrabbondante fa una sacca delimitata dalla maglia grande della terza parte di rete. In questa sacca il pesce resta imprigionato senza nessuna possibilità di fuga; da qui verrà prelevato dal pescatore quando salpa la rete.
Il tremaglio è generalmente calato sul fondo per la cattura di specie pregiate. Le dimensioni delle maglie e dei maglioni variano da zona a zona.
Il tremaglio è confezionato con filato molto sottile e questo agevola l’ammagliamento del pesce al solo contatto con le pinne; per questo motivo tale attrezzo è considerato poco selettivo.
Strutture dei vari tipi di Tramaglio
Approfondimenti:
Di tutte le reti da posta, il tremaglio è quello meno selettivo. Impiegata nella pesca costiera, è una grande parete di rete che può essere sistemata appena al di sopra del fondo marino quando si vogliano pescare tipi di pesce demersale o comunque quando si vogliano pescare pesci pelagici ad una certa profondità dalla superficie.
Il tremaglio è confezionato con filato molto sottile e questo agevola l'ammagliamento del pesce al solo contatto con le pinne; per questo motivo tale attrezzo è considerato poco selettivo; generalmente viene ancorato in vicinanza del fondo.
Il tremaglio è una rete a maglia stretta formata da tre pezze (pannelli), delle quali le due esterne sono a maglie grandi (maglioni), mentre quella interna è a maglie più piccole. Il pesce viene catturato per ammagliamento dal pannello interno, dopo avere attraversato il primo pannello. Anche l’altezza delle tre pezze è diversa: quelle esterne sono uguali mentre quella centrale è notevolmente più alta e libera di muoversi tra le altre due. Ad ogni modo essa oscilla tra 1.5 m e 2 m. Il pesce, da qualunque parte esso provenga, può agevolmente superare la prima pezza ma, entrato a contatto con la seconda, trova in questa una specie di sacca e, nel tentativo di sfuggire, si impiglia sempre di più.
La parte superiore della rete è collegata a una lima da galleggianti mentre quella inferiore è connessa a una lima da piombi. L’azione combinata dei galleggianti e dei piombi mantiene lo stiramento verticale della rete.
I galleggianti sono in genere di forma ovoidale, lunghi 10 cm con 5 cm di diametro. I piombi, di norma situati in corrispondenza dei galleggianti, hanno forma cilindrica cava, lunghezza di 10 cm circa e peso di circa 170g.
Con tremagli da fondo viene usato un peso sufficiente a tenere la lima da piombi aderente sul fondo del mare mentre la galleggiabilità fornita dai galleggianti è sufficiente solo a mantenere la tensione verticale.
Sistema Tramaglio (pannello)
Nel caso di tremaglio a mezz’acqua, vengono usati galleggianti sufficienti per controbilanciare il peso della lima da piombi che viene usata per assicurare la verticalità della rete. I cavi connessi alle due lime, a ciascuna estremità della rete sono collegati a quelli che collegano le ancore in fondo al mare ai galleggiamenti in superficie che mostrano la posizione e l’estensione della rete e successivamente vengono utilizzati per il recupero della rete. Le reti vengono calate spesso in estate. Quando si raggiungono le zone di pesca si preparano un’ancora e un galleggiante. Si cala l’ancora e, mentre si posiziona il galleggiante, la nave si muove in avanti a una velocità di circa 3-5 nodi. Il tremaglio viene generalmente ancorato al fondo e viene impiegato per la cattura di pesce ad alto valore commerciale (sparidi, crostacei, pesci piatti, ecc.).
Più produttiva sui fondali rocciosi o misti, è per questo meno utilizzata nell’Adriatico, mentre mostra frequenze notevoli nel Tirreno, nello Ionio e nelle isole. Tra le specie più importanti nei mix di cattura del tramaglio si segnalano, in ordine di importanza economica: triglie, scorfani, seppie, merluzzi e aragoste, quest’ultime pescate con reti a maglia larga spesso denominate “tramaglioni”. Tra le catture accessorie hanno una certa rilevanza anche polpi, mormore, orate e spigole. I pesci più piccoli rimangono impigliati nello strato mediano mentre i pesci più grossi urtano contro lo strato mediano e lo fanno rientrare nelle maglie più larghe degli strati esterni rimanendo imprigionati in una specie di sacco.
Nessuna limitazione è stabilita per le dimensioni delle maglie delle reti adibite alla pesca di sardine o di acciughe.
Esiste infine una terza tipologia di rete da posta, spesso denominata come “rete incastellata”.
Questa rete combina i vantaggi delle due reti descritte precedentemente essendo formata nella parte superiore da una rete ad “imbrocco” (per la cattura dei pelagici) e nella parte inferiore da un “tremaglio” (per la cattura del pesce di fondo).
È abbastanza diffusa nel Tirreno, dalla Liguria al Lazio, rara o assente nelle altre regioni d’Italia: ciò potrebbe forse suggerirne una sperimentazione in aree di pesca con caratteristiche analoghe.
Sistema da posta (Incastellata)
Questi attrezzi operano in genere in superficie. Prevalentemente sono reti da imbrocco, costituite da uno o più pannelli, armate in alto ad una linea dei sugheri che permette il galleggiamento, ed in basso ad una linea dei piombi.
Il peso dei piombi neutralizza l’azione dei galleggianti facendo rimanere la rete in posizione verticale.
La rete viene tenuta ancorata al fondo mediante dei pesi o delle ancore.
I filamenti possono essere: monofilamento (filamenti singoli), multifilamento (elevato numero di fibre finissime) e multimonofilamento (unione di alcuni monofilamenti leggermente ritorti).
La posizione della rete viene segnalata in superficie, permettendone il recupero, mediante delle boe e delle bandierine.
La rete viene lasciata in “pesca” per un periodo di tempo variabile, in genere nelle ore notturne, e poi recuperate. L’unità da pesca rimane comunque sempre collegata alla rete.
Rete da imbrocco
La «rete circuitante» è una normale rete da posta fissa (ad imbrocco) che invece di essere calata in mare in modo rettilineo, è calata in cerchio, o a semicerchio se in prossimità della costa.
Questo sistema di pesca, generalmente si usa in vicinanza della costa, con unità da pesca di piccole dimensioni, per catturare pesci che si trovano addensati in una spazio abbastanza ristretto.
Una volta che il cerchio è chiuso, l’unità si pone all'interno dello stesso ed inizia a produrre rumori per spaventare il pesce e indirizzarlo verso le pareti della rete.
Poco usata (2% a livello Italia), non deve confondersi con le “reti a circuizione”. Mantiene una certa diffusione solo in alcune marinerie della Liguria, della Calabria e del Medio Adriatico, mentre tende a scomparire nelle altre regioni d’Italia dove il numero di equipaggi che la impiegano non supera le 15 unità. Nel mix di cattura spicca per valore economico il pesce bianco.
Schema sistema da posta (circuitante)
Sono da posta (imbrocco) a tutti gli effetti, calate in modo che le lime si dispongano circolarmente, così da imprigionare, all’interno del cilindro che si forma, i pesci che vengono poi spaventati in modo che indirizzarli verso le pareti della rete, nelle quali restino imbroccati o impigliati.
Rete da imbrocco
E' consentito l’impiego di tutti i tipi di rete da posta (imbrocco, tramaglio o incastellata) sia fisse che derivanti (D.P.R. 1639/68 – Reg. CE 1967/06).
► E’ vietato l’uso di tutte le reti da fondo per la cattura delle seguenti specie (Reg. CE 1967/06):
A titolo di deroga, le catture accessorie accidentali di non più di 3 esemplari delle specie di squali suddette possono esere detenute a bordo o sbarcate purché non si tratti di specie protette ai sensi del diritto comunitario.
La rete circuitante deve avere altezza pari a 10 metri (Reg. CE 1967/2006). pertanto non deve essere confusa con una rete a circuizione (sistema di pesca diverso indicato in licenza) perché quest’ultima, per ragioni puramente geometriche, deve avere necessariamente altezza superiore a 10 metri.
Le reti da posta devono essere muniti di “segnali” costituiti da «galleggianti di colore giallo», distanziati fra, loro non più di 200 metri. Le estremità dell'attrezzo debbono essere munite di «galleggianti di colore giallo» con bandiere di giorno, e fanali di notte, dello stesso colore; tali segnali debbono essere visibili a distanza non inferiori a mezzo miglio.
Le reti da posta sono contrassegnate, “di giorno”,
con corpi galleggianti gialli in numero sufficiente ad indicarne la posizione
Le reti da posta sono contrassegnate, “di notte”, con luci ordinarie gialle
in numero sufficiente ad indicarne la posizione
È vietato collocare reti da posta ad una distanza inferiore a 200 metri dalla congiungente i punti più foranei, naturali o artificiali, delimitanti le foci e gli altri sbocchi in mare dei fiumi o di altri corsi di acqua o bacini.
Per le reti calate "oltre le 12 miglia" nautiche misurate dalle linee di base dello Stato costiero, il Regolamento (CE) n. 356/2005, (che stabilisce le modalità d’applicazione per la marcatura e l’identificazione di attrezzi da pesca fissi e sfogliare) modificato dal Reg. (CE) n. 1805/2005, prevede ai fini del controllo e la sorveglianza delle attività di pesca, le modalità d’applicazione per la “marcatura” e la “identificazione” degli attrezzi da pesca detenuti a bordo o utilizzati nelle acque comunitarie.
Posizionamento delle “targhette” sulla lima da sughero alle estremità dell’attrezzo.
Il cavo è di materiale sommergibile o provvisto di pesi
Posizionamento delle “targhette” fissate sulla lima da sughero ad intervalli regolari
non superiore a 1 miglio nautico per gli attrezzi di estensione superiore a 1 miglio nautico.
I «cavi» che collegano le boe all’attrezzo fisso sono di materiale sommergibile oppure debbono essere provvisti di pesi
Agli attrezzi fissi di estensione superiore a 5 miglia nautiche sono fissate “boe segnaletiche intermedie”
ad intervalli regolari non superiore a 5 miglia nautiche.
L’asta di ogni boa segnaletica situata all’estremità ha un’altezza di almeno 1,5 metri dal livello del mare, misurata dal punto più alto del galleggiante.
Le boe segnaletiche situate all’estremità sono colorate, ma non di color rosso o verde.
Ogni boa segnaletica situata all’estremità è composta da:
Le boe segnaletiche situate alle estremità sono fissate agli attrezzi fissi nel seguente modo:
L’asta di ogni boa segnaletica situata all’estremità ha un’altezza di almeno 1,5 metri dal livello del mare, misurata dal punto più alto del galleggiante.
Le boe segnaletiche situate all’estremità sono colorate, ma non di color rosso o verde.
Ogni boa segnaletica situata all’estremità è composta da:
Le boe segnaletiche situate alle estremità sono fissate agli attrezzi fissi nel seguente modo:
Caratteristiche delle boe segnaletiche situate alle estremità e delle boe segnaletiche intermedie
L’uomo nella sua storia ha inventato innumerevoli tipi di “trappole” per catturare le prede di cui aveva bisogno per nutrirsi. Le trappole per la cattura del pesce sono quanto di più ingegnoso si può trovare, sia come concezione della trappola, di metodi cioè adottati per invogliare l’ingresso ed impedire l’uscita, sia come materiali utilizzati nella costruzione della trappola, sia infine come esche per attirare il pesce. In ogni zona vi sono tipi particolari di trappole diverse sia in funzione della specie e dei fondali in cui si opera sia in funzione dei materiali.
Le «trappole a postazione fissa» sono calate in un punto scelto sulla base della esperienza ed ivi lasciate per tutta la stagione di pesca. Il calo in ogni modo è un’operazione piuttosto delicata e laboriosa. E’ necessario un sistema di ancoraggio sicuro cui fissare le varie parti dell’attrezzo; è necessario conoscere le correnti prevalenti nella zona in cui si opera; è necessario conoscere la normale direzione dei pesci che si vogliono catturare in modo da disporre il braccio di incanalamento nella giusta posizione cioè in posizione che convogli il pesce verso l’attrezzo e non viceversa.
Nelle reti a postazione fissa, l’ingresso deve essere facile ed invitante, l’uscita in pratica impossibile. Per questo molto spesso si hanno vari ingressi consecutivi sempre più sicuri da cui è impossibile e difficile uscire. L’ultima camera dell’attrezzo è la camera della morte, dove il pesce resta fino che il pescatore salpi la rete e lo prelevi.
Le reti a postazione fissa normalmente non sono innescate, sfruttano solo le abitudini o le migrazioni dei pesci, note per la lunga esperienza ai pescatori.
Le trappole fisse di cui le più note sono la “tonnara” per la cattura del tonno rosso e il “lavoriero” per la cattura delle anguille, cefali, spigole e orate, sono caratterizzate da avere una postazione fissa, e di essere mantenute per una stagione di pesca o per un tempo più lungo quando si tratta di strutture complesse.
Sono collocate i specifiche aree di pesca dove sfruttano determinati comportamenti della specie bersaglio.
Sia nel caso della tonnara che del lavoriero è l’istinto delle specie a riprodursi che la porta ad incontrare questi attrezzi sul suo cammino.
Nel caso del tonno, avvicinandosi alla costa dalle acque al largo, nel caso dell’anguilla nel tentativo di raggiungere il mare dalle acque dolci o salmastre dove vive.
Le «trappole mobili», sono attrezzi passivi che a differenza di quelle fisse, vengono salpate e controllate ogni 1 o 2 giorni ed eventualmente spostate in un’altra area di pesca (Nasse, cogolli e bertovelli). L’impiego di tali attrezzi richiede un’approfondita conoscenza delle zone e del comportamento delle specie bersaglio perché la pesca risulti redditizia.
Non è certo possibile confondere la «tonnara» con un altro attrezzo da pesca. Le stesse dimensioni sono tali da non lasciare dubbi. Gli impianti fissi per la cattura del tonno sono chiamati “tonnare per mattanza”.
E’ la maggiore fra tutte le reti da posta fissa. Le zone poi dove sono calate le tonnare sono molto note da lungo tempo ormai. La cosa più difficile oggi è trovare la tonnara. Questo attrezzo da pesca ormai è ridotto a poche unità. La cattura si svolge in diversi momenti tutti collegati fra loro ma distinti. I tonni oggi si catturano con la tonnara volante.
La tonnara è un impianto di sbarramento, un labirinto composto di reti ancorate sul fondo del mare che obbligano i tonni a finire in una trappola costituita da diversi corridoi e camere, la cui disposizione viene segnalata in superficie da boe.
Schema Tonnara per tonno rosso
La tonnara è costituita da una rete verticale detta “pedale”, che partendo dalla costa si dirige verso il largo con una direzione quasi perpendicolare al litorale; al largo si trova un insieme di reti verticali che costituiscono un complesso chiamato “isola”, formata da numerose camere da 4 a 9, tutte, tranne l'ultima, non hanno fondo e sono divise tra loro da apposite porte.
Tonnara (Camera della morte)
Il tonno avvicinandosi alla costa trova uno sbarramento costituito da reti che formano
un vero e proprio muro che lo costringe ad entrare in un labirinto di camera fino a quella finale (della morte)
L'impianto di una tonnara, non può essere consentito se non a distanza di 3 miglia marine sopra vento e di 1 miglio marino sottovento da altre preesistenti, salvo che i proprietari o i concessionari abbiano diritto a maggiori distanze in forza di titoli particolari. Tali distanze debbono essere osservate negli eventuali spostamenti di tonnare.
La tonnara deve essere segnalata con unità o galleggianti ancorati al largo della sua parte centrale foranea.
Su tali barche devono essere collegati i seguenti segnali:
Durante il periodo di funzionamento della tonnara, sia di corsa che di ritorno, è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 3 miglia sopravento e di un miglio sottovento dalla tonnara stessa, salvo che i proprietari o i concessionari abbiano diritto a maggiori distanze in forza di titoli particolari.
È altresì vietato l'esercizio di qualsiasi altra forma di pesca nella zona di tre miglia verso l'alto mare dal punto più foraneo di ciascuna tonnara.
Durante il periodo di funzionamento della tonnarella è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 500 metri sopravento e di 200 metri sottovento dalla tonnarella stessa, salvo le maggiori distanze cui i proprietari o i concessionari abbiano diritto in forza di titoli particolari.
È altresì vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca nella zona di 500 metri verso l'alto mare, misurata dal punto più foraneo di ciascuna tonnarella.
Le distanze suindicate raddoppiate per la pesca esercitata con fonti luminose.
Un momento della mattanza
Il cogollo è un attrezzo da pesca ormai in disuso. Si utilizza per la pesca in laguna e nelle acque basse costiere.
Viene ancorato a tre pali infissi sul fondo, due dal lato della bocca ed uno in fondo all'attrezzo. Nei pressi della bocca, legati ai due pali anteriori, vi sono due braccia di incanalamento formate da due pezzi di rete rettangolare, la bocca è rigida e ha di forma circolare.
Cogollo
A partire dalla bocca si susseguono diverse camere a forma di imbuto con l'ingresso che si stringe sempre di più fino all'ultima camera, dove il pesce rimane prigioniero.
In mare il cogollo è generalmente calato in prossimità della riva; a volte la parte superiore dell’attrezzo è ben visibile a pelo d’acqua.
In ogni caso la sagoma permette di evidenziare il braccio (o i bracci) di incanalamento, la prima bocca d’ingresso e il corpo dell’attrezzo. Il sacco è segnalato da un galleggiante per permettere il periodico prelievo del pescato.
Schema: Il cogollo (da: FAO-Catalogue Small Scale Fishing gear, 1987, modificato)
Il «Lavoriero» è un impianto fisso destinato alla cattura dei pesci maturi che dalla laguna o dalle foci dei fiumi tornano al mare per riprodursi.
E’una costruzione complessa e delicata a forma di doppio cuneo e può essere considerato una grande trappola.
E' costituito da diverse camere che guidano il pesce in comparti sempre più stretti, dove è più facile la cattura; è costruito in modo tale da permettere sempre la risalita del novellame dal mare verso la laguna. Principalmente viene usato per la cattura delle anguille (quando attratte dall’acqua salata che entra dai canali nelle valli, cercano di guadagnare il mare per la riproduzione dopo il periodo di crescita ed ingrasso in valle) anche se in camere separate vi restano imprigionati altre specie di pesce quali i cefali e spigole.
Questo metodo di pesca sfrutta i movimenti migratori di massa delle specie che si riproducono in mare e maturano nelle acque interne: in primavera anguille, cefali, spigole e orate entrano in valle allo stadio di novellame, mentre in autunno gli adulti sessualmente maturi sono richiamati al mare dove si riprodurranno. La pesca avviene, quindi, in autunno durante la migrazione riproduttiva. A febbraio, si aprono le chiaviche per effettuare il ricambio dell’acqua salata delle valli e viene fatta la semina del pesce, in quanto l’entrata naturale del novellame dal mare è scarsa. In marzo vengono seminati gli individui giovani di anguille (Anguilla anguilla), delle diverse specie di cefali (Mugil cephalus, Chelon labrosus, Liza sp.), di orate (Sparus aurata) e di spigole (Dicentrarchus labrax). Nel lavoriero particolari incannicciate (grisole), infisse nel fondo lagunare e sostenute da un’intelaiatura di pali e pertiche, delimitano un perimetro cuneiforme nel quale una serie di bacini triangolari, come punte di freccia, comunicanti fra loro, consentono la cattura differenziata del pesce.
Nel corso del tempo, dal lavoriero primitivo di canna si è passati a quello moderno in cemento e metallo, più facile e rapido da costruir.
Lavoriero
La «mugginara» è una rete a trappola con cui si pratica una pesca a vista: si tratta di una sorta di tonnarella dove una rete viene calata tra la costa e due barche ancorate a formare una camera, regolata di giorno in giorno, a seconda dell’intensità della corrente da cavi che partono da terra e dai natanti.
La mugginara porta sulla parte superiore, al di sopra dei sugheri, una pezza supplementare di rete disposta parallelamente al pelo dell'acqua.
Schema di Mugginara
Questa rete viene utilizzata per la cattura di cefali in acque lagunari e viene utilizzata spaventando i pesci colpendo l'acqua con bastoni, i cefali, molto agili, saltano fuor d'acqua per scavalcare la rete e restano ammagliati nella pezza orizzontale. Viene chiamata per questo motivo anche rete a battere. Durante il periodo di funzionamento della mugginara, è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 100 metri dalla mugginara stessa.
E' una trappola particolare destinata soprattutto alla cattura dei cefali. È costituita da pezzi di rete chiamate “braccia”, assemblate su pali infissi nel fondale, sistemati in modo da fare assumere al saltarello una forma a spirale detta “corte”, che impedisce al pesce di retrocedere una volta entrato.
Lungo tutto il perimetro, in superficie, è posto un tremaglio in senso orizzontale detto “incannata” e sul fondo vengono posizionati alcuni cogolli.
L'incannata serve per catturare i pesci che tentano la fuga saltando, mentre i cogolli per catturarne altri che preferiscono tentare la via di fuga dal basso.
Il bertovello è una nassa fatta di rete fissata a cerchi di plastica.
E' costituito da camere a forma di “cono” l'uno dentro l'altro, che consentono al pesce di muoversi solo verso l'interno intrappolandolo. Quando non è in pesca può essere chiusa a fisarmonica occupando pochissimo spazio a bordo.
In genere i bertovelli vengono immersi in serie.
Bertovello
Attrezzo tipico della pesca artigianale, costruito con materiali diversi (vimini, giunco, legno, ferro e plastica). Sono in pratica delle gabbie nelle quali le prede potenziali vengono incoraggiate con esche ad entrare e dalle quali non sono più in grado di uscire.
Le Nasse sono attrezzi “passivi” dove la cattura avviene per intrappolamento del pesce in una parte dell’attrezzo da cui gli è praticamente impossibile sfuggire. L’incanalamento del pesce verso questo punto si ottiene in genere per mezzo di esche poste al suo interno. Vengono usate per la cattura di una varietà enorme di specie che vanno dai pesci ai crostacei e ai molluschi. Normalmente vengono ancorate al fondo marino per mezzo di pesi e segnalate in superficie con corpi galleggianti per facilitarne l’avvistamento ed il successivo recupero.
Le dimensioni non sono elevate e a volte vengono calate in mare non ad una ad una, ma legate insieme a distanza fissa, ad una corda chiamata “madre” o “trave”.
Sistema da posta (nasse)
Approfondimenti:
Questo attrezzo è utilizzato soprattutto dalla piccola pesca, ne esistono tipi diversi con diverse forme legate alla costruzione che fino a qualche tempo fà era di tipo artigianale. A seconda delle diverse marinerie e delle regioni italiane potevano essere di legno armate con una rete di metallo o di vimini intrecciato. Fino a pochi anni fa soprattutto in Adriatico, venivano utilizzate nasse a forma di parallelepipedo, all'interno delle quali venivano posti dei rametti di alloro per la cattura delle seppie. Questo tipo di pesca viene effettuata quando le seppie si avvicinano alla costa durante il periodo riproduttivo; i ramoscelli di alloro, servono per attirare la seppia che li utilizza come substrato per deporre le uova. Oggi queste nasse sono state sostituite ormai del tutto dai “bertovelli”. Altre specie catturabili sono saraghi, anguille, gronchi, cefalopodi (seppie, polpi), crostacei (granchi, aragoste e gamberi).
Un altro tipo di nassa è il “cestino”. Il cestino è una piccola nassa a forma di tronco di cono che serve per la cattura dei lumachini ed altri gasteropodi; il cestino è rivestito da una rete a maglie piccole con l'apertura nella parte superiore. Come esca in genere viene usato del pesce morto poco pregiato. I lumachini attratti dall'esca salgono facilmente lungo le pareti esterne, ma una volta entrati, non sono più in grado di risalire in senso inverso.
La nassa è una sorta di cesta usata per la pesca. Può essere a rete (nassa a rete) (a), a grata (nassa metallica) (b) o a intreccio (nassa a canestro) (c). L’apertura si stringe verso l’interno a forma d’imbuto (d) e fa sì che l’organismo oggetto di pesca, una volta entrato, non possa più uscirne. Viene calata sui fondi più diversi e segnalata in superficie con galleggianti.
Nasse (tipologie)
Le nasse sono utilizzate per la cattura delle seppie durante il periodo riproduttivo, i cogolli, o bertovelli, vengono impiegati per la pesca delle anguille, dei crostacei, delle seppie e di piccoli pesci.
Tra gli altri attrezzi da posta, si assiste ad un recupero del mestiere delle nasse, che alcuni autori indicano come un’arte caduta progressivamente in disuso dalla fine dell’ultima guerra, ma comunque praticata da medie e piccole imbarcazioni.
Tra le specie catturate con le nasse, quelle che più pesano sul ricavo totale sono polpi, seppie, pannocchie e gamberi rossi.
Una realtà produttiva importante nell’Alto e Medio Adriatico, con una particolare diffusione in Emilia Romagna, è infine la pesca con i cestelli per lumachini, questi ultimi considerati a ragione una importante risorsa locale. Praticata da piccole imbarcazioni dotate di motore fuoribordo, questa tecnica è utilizzata da alcune migliaia di operatori soprattutto nei mesi invernali.
Nelle stagioni primaverile ed estiva è invece più frequente la pesca con i cogolli, essenzialmente mirata alla cattura di seppie.
La normativa relativa alle Trappole in generale si basa, a livello Compartimentale, sul DM 14/9/99 della “Piccola pesca” che prevede piani di gestione degli specchi acquei e delle risorse, ma anche sulle “Ordinanze” locali emesse dalle singole Capitanerie di Porto relative ad attrezzi specifici e a determinate specie.
Le unità da pesca che attuano tale tipo di pesca fanno parte in genere della piccola pesca o pesca artigianale e quindi le dimensioni devono essere LFT inferiore a 12 e comunque di TSL inferiore a 10.
La distanza minima dalla costa non è soggetto a normativa (come per la piccola pesca) ma viene stabilita con Ordinanze delle locali Capitanerie di Porto.
Per «reti da posta derivanti» si intendono tutte quelle reti che non vengono ancorate al fondo ma sono lasciate libere di muoversi in balìa delle correnti: grazie a dei galleggianti vengono tenute sopra o appena sotto la superficie dell'acqua.
La loro altezza varia a seconda del tipo di pesca, ma per le grandi reti è generalmente compresa fra i 20 e i 30 metri. Alla parte inferiore della rete sono attaccati dei pesi che la mantengono in verticale neutralizzando la spinta dei galleggianti.
Le reti possono andare alla deriva da sole oppure, più comunemente, sono trainate da unità in movimento a cui è fissata una loro estremità.
In genere vengono calate di notte, almeno per la cattura delle specie di grandi dimensioni, e sono destinate di norma alla pesca di specie pelagiche: pesci che nuotano vicino alla superficie, come le sardine, le aringhe, il tonno, il pesce spada e il salmone.
Un’estremità della rete è collegata ad un galleggiante mentre l’altra è collegata alla unità stessa.
Dato che questo sistema di pesca si effettua in vicinanza della superficie è necessaria un’ottima segnalazione e un’accurata sorveglianza al fine di evitare incidenti con la navigazione marittima.
Generalmente le reti derivanti sono ad “imbrocco” non a tramaglio. Questi attrezzi sono abbastanza simili fra loro e si differenziano dalle altre reti ad imbrocco per la grandezza delle maglie e lo spessore del filato, molto più grosso.
Approfondimenti:
L'Unione europea vieta le reti da posta derivanti. Nella riunione dell'8 giugno 1998 il Consiglio dei Ministri ha preso una decisione difficile, ma necessaria: quella di vietare l'uso di reti da posta derivanti per la cattura del tonno nell'Atlantico e nel Mediterraneo a decorrere dal 1° gennaio 2002. La decisione è stata presa tenendo conto di una serie di fattori di natura biologica, economica e sociale. Viene vietata una tecnica di pesca, quella delle reti da posta derivanti, e non la pesca del tonno, che potrà continuare ad essere praticata con tecniche più sicure, più selettive ed interessanti dal punto di vista economico. A breve termine, questo divieto potrà avere ripercussioni economiche e sociali negative per le collettività interessate, ma lo status quo avrebbe avuto conseguenze ancora più gravi. Per aiutare queste collettività nel loro processo di transizione verso tecniche più sicure l'Unione europea, in cooperazione con gli Stati membri, adotterà le misure necessarie affinché queste ripercussioni siano ridotte al minimo.
Che cosa sono le reti da posta derivanti ?
Le reti da posta derivanti sono reti che grazie a dei galleggianti vengono tenute sopra o appena sotto la superficie dell'acqua. La loro altezza varia a seconda del tipo di pesca, ma per le grandi reti è generalmente compresa fra i 20 e i 30 metri. Alla parte inferiore della rete sono attaccati dei pesi che la mantengono in verticale neutralizzando la spinta dei galleggianti. Le reti possono andare alla deriva da sole oppure, più comunemente, sono trainate dall'imbarcazione in movimento a cui è fissata una loro estremità. In genere vengono calate di notte, almeno per la cattura delle specie di grandi dimensioni, e sono destinate di norma alla pesca di specie pelagiche: pesci che nuotano vicino alla superficie, come le sardine, le aringhe, il tonno, il pesce spada e il salmone.
Quali sono i principali problemi connessi a questo tipo di pesca ?
L'accusa che viene mossa alle reti da posta derivanti è quella di non essere sufficientemente selettive e di intrappolare un numero inaccettabile di cetacei, mammiferi marini, uccelli e rettili.
All'origine le reti da posta derivanti venivano utilizzate per catturare specie di piccole dimensioni e non davano luogo a preoccupazioni. Nel Mediterraneo, ad esempio, questa tecnica è stata a lungo impiegata per pescare diverse specie di tonnidi con reti di lunghezza limitata. I problemi sono sorti quando le reti derivanti sono state modificate allargandone le maglie in modo da permettere la cattura di specie più grandi ed aumentandone le dimensioni globali al fine di massimizzare le catture. L'uso di queste grandi reti si è prima affermato nel Pacifico, per poi estendersi alla pesca del tonno dell'Atlantico. Anche se la natura e il volume delle catture di specie che non sono specie bersaglio - e cioè le catture accessorie (specie catturate accidentalmente) - variano a seconda del modello delle reti, del tipo di pesca e delle zone in cui si utilizzano, le reti con maglie più larghe e di maggiori dimensioni sono risultate fatali per moltissime specie.
Per venire incontro alle preoccupazioni espresse dall'opinione pubblica, le Nazioni Unite (NU) all'inizio degli anni '90 approvarono una risoluzione che chiedeva una moratoria dell'impiego delle grandi reti da posta derivanti. Da parte sua il Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, con l'appoggio del Parlamento europeo, decise di imporre un limite massimo di 2,5 km per le reti da posta derivanti utilizzate dalle imbarcazioni dell'UE. (Questa misura, così come la moratoria delle NU, non si applicava al Mar Baltico).
I problemi però non sono cessati perché, nonostante i sensibili miglioramenti registrati nell'Atlantico, hanno continuato a prodursi una miriade di casi di inosservanza delle norme sulla lunghezza massima. Un controllo effettivo dell'applicazione di questa norma in mare presenta molti problemi pratici e richiede altresì ingenti risorse finanziarie e disponibilità di personale, con un livello di spesa difficile da sostenere sul lungo periodo sia per l'UE che per i singoli Stati membri. Così, nonostante la normativa esistente, la pesca con le reti da posta derivanti ha continuato ad espandersi. Preoccupata per gli effetti di questa pressione crescente sulle risorse ittiche e per il conseguente aumento del volume delle catture accessorie, la Commissione propose nel 1994 di vietare le reti da posta derivanti, divieto che sarebbe diventato effettivo di lì a qualche anno, ma gli Stati membri non si ritennero in condizione di adottare tali proposte.
Dopo qualche difficoltà di adattamento al limite dei 2,5 km, le tonniere dell'Atlantico sono riuscite ad aumentare la loro efficienza e dopo un certo tempo questa tecnica è risultata la più produttiva. Tuttavia nel giugno 1998 la maggioranza degli Stati membri ha deciso che, tutto considerato, era venuto il momento di vietare l'uso delle reti da posta derivanti per la pesca del tonno.
Dove si usano attualmente le reti da posta derivanti ?
Le grandi reti da posta derivanti vengono attualmente utilizzate da diversi paesi. Nell'Unione europea, questa tecnica è impiegata nella pesca del tonno da circa 670 pescherecci italiani che pescano pesce spada nel Mediterraneo e da circa 70 pescherecci francesi e 30 pescherecci irlandesi e britannici che pescano tonno bianco nell'Atlantico settentrionale tra giugno e ottobre/novembre. Come abbiamo visto prima, ci sono anche alcune zone di pesca nel Mediterraneo in cui questa tecnica viene utilizzata da pescherecci spagnoli e italiani per la cattura di tonni. Le reti da posta derivanti vengono utilizzate anche per la pesca di piccole specie, come le sardine e le aringhe, il che non pone però alcun problema.
Le «spadare» sono particolari reti derivanti (ad imbrocco) che hanno la particolarità di avere un’altezza superiore ai 30 metri., lunghezza superiore a 5 miglia e con maglia in genere superiore a 350 mm. di apertura e filato molto spesso. Le spadare vengono calate in modo da formare delle campanate: viste dall’alto, le spadare formano una sinusoide e devono quindi essere molto lunghe .
Mantenute in superficie tramite dei galleggianti, vanno a formare dei veri e propri sbarramenti in mezzo al mare con inevitabili conseguenze per le specie pelagiche o per le imbarcazioni che si trovano sulla stessa rotta.
La pesca al pesce spada veniva effettuata con delle unità particolari, denominate “passerelle” perché dotate di un lungo pulpito a prua, dal quale veniva lanciato l’arpione, e di un altissimo albero per l’avvistamento da lontano.
Attualmente sono oggetto di polemiche perché oltre ad essere distruttive per la pesca catturano delfini e tartarughe marine che sono specie protette.
Spadara
Approfondimenti:
Si tratta di reti da posta derivanti, quindi non fisse, che vengono calate in mare e lasciate alla deriva, usate per la cattura di grossi pesci pelagici, come diverse specie di tonni, ma soprattutto per il pesce spada, da cui prendono appunto il nome. Sono reti lunghissime, anche fino a venti chilometri, e larghe fino a trenta metri, fatte di nailon molto resistente.
Rispetto ai tradizionali metodi di pesca la differenza è sostanziale: non vengono più usate reti di poche centinaia di metri, bensì autentiche barriere lunghe diversi chilometri, che provocano il cosiddetto “effetto muro”; le moderne spadare di fibre sintetiche inoltre non vengono calate vicino alla costa da piccole imbarcazioni a remi o a vela, bensì da pescherecci con potenti motori che si spostano in mare aperto.
Il loro livello di selettività è molto basso, cosicché, oltre alle cosiddette specie bersaglio, può incapparci di tutto, come ad esempio Tartarughe, piccoli delfini come le Stenelle, ma anche Cetacei molto più grandi come i Capodogli e le Balenottere presenti nel Mediterraneo. Da un’indagine condotta nel 1993 è risultato che solo il 18% circa di pesci catturati, in termini numerici, era costituito da specie bersaglio. Uno studio promosso dall’allora Ministero della Marina Mercantile, accertò nel 1990 e nel 1991 che almeno 30 specie diverse erano incappate nelle reti calate nel Mar Ligure e nel Mar Tirreno. La Commissione Baleniera Internazionale (IWC) calcolò nel 1990 in almeno 8000 all’anno i cetacei vittime delle spadare, esprimendo preoccupazioni sia per il livello “insostenibile” di mortalità delle popolazioni mediterranee di Stenella, che per l’incidenza delle spadare sulla popolazione di Capodogli. In quest’ultimo caso, se tali popolazioni dovessero risultare distinte da quelle atlantiche, il livello di mortalità artificiale sarebbe allora altissimo.
Ma le spadare sono state accusate di arrecare un danno non solo alle cosiddette specie accessorie, ma alle stesse specie di interesse commerciale, sia in termini di aumento dello sforzo di pesca, sia per la cattura sempre più frequente di pesci spada immaturi o sotto misura: in parole povere si pescano pesci di taglia sempre più piccola. Nel Tirreno centrale e meridionale la media dei pesci spada catturati con il sistema del palamito o palàngaro, che fa uso di ami, è compresa tra 12 e 17,5 kg.
Si consideri che la flotta italiana, comprese le piccole barche per i pesci pelagici di dimensioni medie e piccole, era arrivata a circa un migliaio di unità e che la lunghezza media delle spadare era di 12, 5 chilometri, per cui 700 imbarcazioni potevano calare in mare qualcosa come 8500 km di rete, una lunghezza superiore al profilo costiero dell’Italia, Isole comprese.
Contro questo tipo di pesca vi fu dapprima la risoluzione 44/225 del dicembre 1989 delle Nazioni Unite, cui fece seguito a livello comunitario (Regolamento CEE n.345/92 del 28/10/1991) il divieto di usare reti più lunghe di due chilometri e mezzo a partire dal 1° giugno 1992 (divieto praticamente non rispettato a causa della scarsissima redditività di reti così corte) e, successivamente, il regolamento 894 del 29 aprile 1997, che disponeva la messa al bando totale delle spadare a partire dal 1 gennaio 2002 “ per assicurare la protezione delle risorse biologiche marine nonché uno sfruttamento equilibrato delle risorse della pesca conforme all’interesse sia dei pescatori che dei consumatori” (punto 2 del Regolamento (CE) 894/97.
A partire dal 1998 furono varati dei piani per la dismissione e la riconversione delle spadare, con dei contributi economici a sostegno sia degli armatori che degli equipaggi e a questi piani aderirono, non senza polemiche, tutti gli armatori che usavano le spadare, tranne un novantina.
Un recente Decreto del Ministero delle politiche Agricole e Forestali del 27 marzo scorso e una circolare della Direzione Generale Pesca del 10 aprile, hanno riaperto la questione, perché autorizzano anche coloro che avevano beneficiato del cosiddetto “piano spadare” ad aggiungere, al sistema di pesca noto come “ferrettara”, anche le reti da posta fisse, purché lunghe fino a cinque chilometri.
La cosiddetta ferrettara è già una rete da posta di maglia non superiore a 100 mm di apertura, ma non dovrebbe superare i due chilometri di lunghezza e non potrebbe essere usata oltre le tre miglia dalla costa, per catturare specie come le ricciole, gli sgombri, le sardine o le acciughe. Il problema è che, in mancanza di controlli, la circolare potrebbe essere utilizzata per il riutilizzo delle spadare, di lunghezza ben superiore ai cinque chilometri, vanificando di fatto il regolamento comunitario, proprio quando invece sarebbe opportuno intraprendere delle iniziative a livello internazionale per estendere il divieto anche ai numerosi pescherecci nordafricani ( circa 600 tra libici, tunisini, marocchini), che continuano ad usare le spadare. Va sottolineato che è assolutamente indispensabile applicare anche alle risorse del mare, che non sono affatto inesauribili, i principi dell’ecologia e della dinamica delle popolazioni al fine di ottenere uno sforzo di pesca sostenibile dall’ecosistema e quindi una pesca responsabile. Quindi occorre definire quanto di una risorsa può essere prelevato senza arrecare danno alla popolazione animale e quali sono le condizioni che consentono un razionale utilizzo del risorsa stessa, senza intaccarne la capacità di sopravvivenza. Una necessità che dovrebbe essere sostenuta prima di tutto dagli stessi pescatori, perché se si pesca troppo oggi, domani non ci sarà più niente da pescare.
Una certa importanza su scala locale hanno anche le reti da posta derivanti «Alalungara», oggi utilizzate in alcune marinerie della Puglia, della Sicilia e del basso Tirreno da unità da pesca di stazza medio-alta.
Attualmente la regolamentazione prevede dei limiti sulle aree di pesca e sulle dimensioni delle reti; a partire dal 1° gennaio 2002 il loro uso sarà comunque proibito.
E’ una rete da superficie derivante usata raramente al largo per la cattura delle alalunghe. E’ la principale delle reti derivanti, se si esclude la spadara ormai vietata, con una lunghezza massima di duemila metri e con una maglia che non supera i 18 centimetri. L’altezza è compresa tra i 20 e i 30 metri. Nella parte superiore è fornita di galleggianti mentre nella parte inferiore vengono attaccate delle mazzare (pesi) che servono a mantenere la rete verticalmente. Le reti derivanti rivestono una certa importanza in poche marinerie.
Sistema reti derivanti
E’ vietato tenere a bordo o effettuare pesca con reti derivanti destinate alla cattura di alcune specie (elencate nell’Allegato VIII dei Regolamenti: tonni, palamite, tonnetti, tombarelli, aguglie, pesci spada, costardelle, corifene, squali, (alcune specie), cefalopodi. Vietato anche lo sbarco delle specie elencate (Reg. CE 1239/98 e Reg. CE 894/97)
E’ vietata la detenzione a bordo di reti o attrezzi di cui sia in modo assoluto proibito l’uso con l’impiego dell’unità. Non è più necessario l’accertamento della condotta vietata esclusivamente durante l’effettivo esercizio dell’attività di pesca, ma sarà sufficiente che venga accertata la presenza a bordo delle reti spadare per contestare la violazione e procedere al sequestro (art. 15 lettere a e b Legge 963/65, come modificata dall’art. 8 del Dlgs. n. 101/2008).
Una particolare rete derivante è la ferrettara, caratterizzata da dimensioni più piccole rispetto alle derivanti canoniche (la lunghezza massima consentita è di 2,5 km) e da una maglia non superiore ai 100 mm d’apertura, (art. 2, n. 2 del D.M. 21 settembre 2011 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, pubblicato in G.U.n.223 del 24 settembre 2011 che abroga il Decreto 24 maggio 2006).
Sono reti ad imbrocco (una sola pezza) di fibra poliammidica con nodo e possono essere calate a mezz’acqua o con la lima da sugheri in superficie.
Si tratta di un attrezzo relativamente diffuso in Sicilia e nel Basso Tirreno il cui uso è consentito, a decorrere dal 1° gennaio 2012 solo entro le 3 miglia dalla costa (art. 1 del D.M. 21 settembre 2011) Con l’entrata in vigore delle nuove restrizioni, le unità da pesca che impiegano reti derivanti e/o la ferrettara potranno comunque avvalersi degli altri sistemi di pesca previsti in Licenza, limitando il danno economico derivante dalla riconversione obbligatoria. I dati mostrano che già oggi il 95% delle unità che operano con le reti derivanti e il 99% di quelle che operano con la ferrettara utilizzano parallelamente altri sistemi di pesca.
Sistema Ferrettara
In particolare, la «Menaide» (o Tratta): è una rete da posta derivante molto antica che generalmente viene utilizzata per la pesca del pesce azzurro ed il meccanismo di cattura è quello delle reti ad imbrocco. È formata da diversi segmenti quadrati riuniti in modo da formare un lungo rettangolo, alto da 12 a 20 metri, che si cala verticalmente, grazie ai piombi fissati nella sua parte inferiore e ai galleggianti situati in quella superiore. Può funzionare in modo vagante (o alla deriva, perché in balia della corrente) o manovrata dalle unità per circondare un banco di pesci. Con essa si catturano i soliti pesci azzurri, nonché Palamite e Tonnetti.
Nella zona del Catanese è abbastanza diffusa e viene utilizzata una piccola menaide per la cattura delle acciughe (masculini) che vengono commercializzate freschissime.
La «Palamitara»: è una rete usata raramente al largo per la cattura dei Palamiti, Tombarelli e Allitterati.Questo tipo di pesca è in disuso, e la rete viene soprattutto calata sotto costa per la cattura dei Palamiti.
Tonno bianco: Thunnus alalunga; Tonno rosso: Thunnus thynnus; Tonno obeso: Thunnus obesus; Tonnetto striato: Katsuwonus pelamis; Palamita: Sarda sarda; Tonno pinna gialla: Thunnus albacore; Tonno pinna nera: Thunnus atlanticus; Tonnetti: Euthynnus spp.; Tonno del Sud: Thunnus maccoyii; Tombarelli: Auxis spp.; Pesce castagna: Brama rayi; Aguglie imperiali: Tetrapturus spp.; Makaira spp.; Pesci vela: Istiophorus spp.; Pesce spada: Xiphias gladius; Costardelle: Scomberesox spp.; Cololabis spp.; Corifene: Coryphoena spp.; Squali: Hexanchus griseus; Cetorhinus maximus; Alopiidae; Carcharhinidae; Sphymidae; Isuridae; Lamnidae; Cefalopodi: tutte le specie.
A decorrere dal 1° gennaio 2012, l'impiego dell'attrezzo ferrettara è consentito esclusivamente entro le 3 miglia dalla costa (per la cattura di ricciole, occhiate, sgombri, salpe, boghe, alaccie, sardine ed acciughe) non può essere di lunghezza superiore a 2,5 Km. e deve avere una maglia non superiore a 100 mm. di apertura (D.M. 21/09/2011).
D.M. 21 settembre 2011 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, pubblicato in G.U.n.223 del 24 settembre 2011 che abroga il Decreto 24 maggio 2006).
La pesca con gli ami è uno dei sistemi più diffusi ed antichi del mondo, sia per la facilità di costruzione dell’attrezzo (un pezzo di ferro opportunamente piegato e appeso ad un filo), sia per la semplice manovrabilità ed adattabilità a tutte le condizioni ambientali.
Il «palangaro» è l’attrezzo ad ami più usato a livello professionale: nelle sue linee essenziali esso è composto da una serie di lenze (braccioli) di cui una estremità termina con un amo e l’altra è collegata ad un cavo (trave) lungo anche diversi chilometri. I braccioli vengono legati al trave ad intervalli regolari, pari a circa 2 volte la loro lunghezza.
Generalmente, la pesca del palangaro viene effettuata di notte: si cala verso il tramonto e si salpa all’alba. Durante il giorno si allestiscono le ceste e si innescano gli ami. Gli ami hanno diverse forme e dimensioni in relazione alla specie da catturare.
I palangari possono essere calati in prossimità del fondo e qui ancorati (palangari fissi) per la cattura di specie demersali (naselli, gronchi, corvine, rombi, palombi, saraghi) oppure possono essere calati a mezz’acqua o in superficie per la cattura dei grossi pesci pelagici (tonnidi e pesce spada).
Palangari fissi Palangari derivanti
In quest’ultimo caso sono lasciati alla deriva in balia delle correnti e dei venti (palangari derivanti).
I due tipi si differenziano tra loro, oltre che per il metodo di pesca, anche per la lunghezza dei braccioli e la grandezza degli ami: piccoli per i parangali fissi, grandi per quelli derivanti.
Nella pesca professionale per ottenere una cattura che ricompensi del lavoro sono necessari moltissimi ami; si calano quindi varie “ceste di ami”.
Schema sistema palangari (coffe)este di ami (Coffe)
La cesta è in pratica la "unità di palangaro". Il recupero è manuale, quindi lungo, faticoso e pericoloso. Oggi sono stati introdotti strumenti atti a ridurre la fatica e i tempi di lavoro in modo che si possano calare più ami e quindi si possa avere un rendimento superiore.
Si hanno infatti, strumenti per l’innescamento automatico mentre si cala con continuità e strumenti che permettono il recupero più o meno automatico (salpapalangari).
In generale la pesca con il palangaro, è una pesca che si effettua con limitati consumi energetici ed è molto rispettosa delle risorse che si stanno sfruttando. E’ infatti, un metodo di pesca fortemente selettivo.
Approfondimenti:
Il successo di questo tipo di pesca è legato in modo particolare al numero degli ami che ogni barca riesce a calare in mare: lo sviluppo di questi attrezzi, che richiedono un basso consumo energetico, è legato essenzialmente all’automazione di tutte le fasi operative di escamento, cala e recupero.
Attualmente, in quasi tutte le marinerie italiane, queste operazioni, tranne il recupero del cavo principale vengono svolte manualmente anche se, da diversi anni, sui mercati internazionali sono comparse macchine salpalangari completamente automatizzate che assolvono, in particolare per il palangaro da fondo, a tutte e tre le suddette operazioni.
L’attività ha carattere prettamente stagionale (Maggio-Giugno) in quanto legata al passaggio dei tonni nel Canale di Sicilia. Ciò comporta l’effettuazione di bordate di pesca assai lunghe e di durata variabile.
Un tipico palangaro derivante da superficie per la cattura di pesci spada, tonnidi ecc. è costituito da un trave pressoché simile a quello da fondo. I braccioli invece sono molto più lunghi, da 5 a 10metri, e sono formati in due parti: quella unita al trave è, come questo, in nylon o poliestere anche se di diametro un pò’ inferiore mentre la seconda parte, quella unita all’amo, è quasi sempre in acciaio.
Le due porzioni sono unite tra loro tramite un “tornichetto” che ne impedisce l’attorcigliamento al dimenarsi della preda (V. figura a lato).
Se tale tipo di pesca è finalizzato alla pesca del tonno, l’attrezzatura usata consta di ami, opportunamente escati e l’imbarcazione ha un equipaggio formato dal comandante e da nove marinai. Un tipico palangaro fisso da fondo è costituito da un trave generalmente in nylon o poliestere del tipo ritorto o treccia. I braccioli, quasi sempre in nylon del tipo monofilo, hanno una lunghezza che va da 50 a 150 cm.
La pesca del tonno è caratterizzata da un’elevata aleatorietà del quantitativo di pesce catturato e pertanto, al fine di elevare il rendimento dell’attrezzatura, è necessario calare un elevato numero di ami con un conseguente forte aumento del tempo di controllo.
Dato l’elevato valore economico del pescato, molte volte, alcune unità, che operano nella stessa zona di pesca si alternano nel rientro in porto lasciando la propria attrezzatura in acqua; il peschereccio che resta continua a pescare, controllando contemporaneamente a distanza l’attrezzatura abbandonata, mentre quello che rientra porta in banchina sia le sue catture che quelle dell’altro.
Una tipica bordata ha la durata di quattro giorni ed ha inizio verso la mezzanotte della domenica per terminare all’alba del giovedì; si scarica il proprio pesce e quello dell’eventuale nave restata in zona per il controllo, si fa rifornimento di viveri e la sera stessa si riparte.
I palangali debbono essere muniti di “segnali” costituiti da galleggianti di colore giallo, distanziati tra loro non più di 500 metri. Le estremità dell'attrezzo debbono essere munite di galleggianti di colore giallo, con bandiera di giorno, e fanale di notte, dello stesso colore; tali segnali debbono essere visibili a distanza non inferiore a mezzo miglio (D.P.R. 1639/68).
Estremità dell’attrezzo segnalate di "giorno" con boe gialle e bandiere
visibili ad una distanza non inferiore a mezzo miglio
Estremità’ dell’attrezzo segnalate di "notte" con fanali gialli
visibili ad una distanza non inferiore a mezzo miglio.
► Attrezzi calati oltre le 12 miglia:
Segnalazione dei palangari di lunghezza superiore a 5 miglia nautiche
calati oltre le 12 miglia dalla costa: posizionamento delle targhette
Palangaro di fondo:
Palangaro di superficie (derivante):
Nel caso di bordate di pesca superiori ai 2 giorni si può detenere a bordo un ugual numero di ami di riserva.
La pesca del tonno rosso con palangari derivanti effettuata da pescherecci di lunghezza superiore a 24 metri è vietata nel periodo dal 1 giugno al 31 dicembre.
E’ vietato l’uso di aeroplani o elicotteri per la ricerca del tonno rosso.
La pesca del pesce spada in Mediterraneo è vietata dal 15 ottobre al 15 novembre 2008.
Gli ami dei palangari non sono selettivi anche gli individui di pesce spada o tonno rosso di piccole dimensioni riescono ad abboccare agli ami più grandi.
Studi recenti hanno cercato di limitare la cattura di giovanili modificando la forma degli ami (di forma circolare); più recentemente sono stati impiegati i “pingers” (strumenti acustici) come deterrente per i delfini (i risultati non sono così’ soddisfacenti poiché’ i delfini apprendono per cui il segnale emesso dai pingers dopo le prime volte risultava essere addirittura un attrattiva per i delfini).
Pingers
I palamiti si usano oltre che al limite fra i fondi coralligeni e fangosi, anche in acque più profonde come sulla scarpata continentale fra i 200 e i 500 metri o più. Caratteristica principale: questi attrezzi rientrano nell’elenco di quelli della “Piccola pesca”.
Meno usate professionalmente rispetto ai palangari le «lenze», che costituiscono una tecnica accessoria usata prevalentemente nel Meridione (isole comprese) in alternanza con attrezzi da posta o palangari. La caratteristica particolare di questo sistema di cattura sta nella presenza continua dell'uomo, nella fase operativa. Le lenze, a differenza dei palangari, sono infatti calate e tenute sotto controllo continuo da parte del pescatore. Appena un pesce abbocca si inizia il recupero, agendo in modo da garantire che il pesce non possa liberarsi.
Le lenze sono caratterizzate da un cavetto su cui sono legati uno o più ami, o ancorette. La preda viene attirata dall'esca che può essere naturale, artificiale, ad attrazione olfattiva o luminosa. Le esche naturali impiegate sono costituite in genere da pezzi di sardine, di calamari o di altri molluschi freschi e da anellidi. L'esca artificiale invece può essere ad attrazione olfattiva o luminosa, cioè può attirare la prede grazie ad un richiamo odoroso oppure visivo. Le lenze si distinguono fra loro per le modalità con le quali vengono impiegate. Possono essere trainate a velocità appropriata per la pesca di lampughe, calamari o altri pesci da zuppa, ovvero controllate manualmente o tramite una canna da pesca; in quest’ultimo caso i target prevalenti sono polpi e totani. In relazione al loro impiego si dividono in:
Decreto 27/1/1995:
E’ consentito l’uso di canne a lenze fisse o da lancio da terraferma a coloro che utilizzano la pesca da unità con canna a mulinello e con bolentino da fondo armato con max 3 ami.
D.M. 27/7/98:
Può essere utilizzata da chi ha in licenza: sistema lenze o attrezzi da posta:
Essendo tenuta a mano dal pescatore, questa lenza è sempre sotto il controllo diretto dell'operatore. Può essere utilizzata con o senza canna ed è costituita da una cavetto robusto, di lunghezza variabile e dotato di un piombo di zavorra. Per la pesca in acque profonde le lenze vengono normalmente accoppiate ad un “mulinello”.
Sistema lenze a mano
In genere sono lenze ancorate sul fondo provviste di più ami e di un galleggiante di segnalazione. Vengono lasciate in mare per un certo periodo, poi il pescatore torna sul posto e recupera la lenza a partire dal galleggiante.
Togna
Le lenze trainate sono quelle, composte da uno o più ami, rimorchiate da imbarcazioni. L'esca, per effetto del traino, imita il movimento di un pesce ed inganna i pesci predatori che abboccano.
Possono essere tenute direttamente a mano o, meglio, utilizzando dei buttafuori. I buttafuori permettono di calare più lenze contemporaneamente e sono in grado di evidenziare la cattura del pesce.
Correntina
Attrezzo da pesca destinato alla cattura di molluschi cefalopodi (totani, seppie, calamari). La pesca al totano è praticata nelle ore notturne, preferibilmente quando non c’ è la luna, su un fondale variabile dai 20 ai 200 metri di profondità.
Sistema totanara
La lenza è costituita da un filo alla cui estremità è fissata la «totanara», un cilindro metallico o di piombo con una corona di ami appuntiti, dotato di una luce intermittente alimentata da piccole pile: nelle profondità marine il totano, animale che di notte va a caccia di piccoli pesci, scambia la luce artificiale per la scia di una preda in fuga, e afferrandosi all’ attrezzo viene catturato dagli ami.
Tale sistema comprende gli attrezzi attualmente denominati come “arpione”, “fiocina”, “asta e specchio per ricci” e “rastrello per ricci”.
La pesca con arpioni e fiocine, strumenti che feriscono od uccidono il pesce che si vuole catturare, molto nota in passato oggi è fortemente ridimensionata e limitata alla cattura di poche specie.
Arpione
La cattura del pesce spada infatti, avviene con il palangaro derivante (o le reti da posta derivanti calata principalmente per la cattura di tonnidi, alalonghe) o con l’arpione con le tradizionali barche caratteristiche per la presenza di un altissimo albero con “coffa” e di un lungo "ponte prodiero" (prolungamento della prua). Il pesce è avvistato da un marinaio (che esplora il mare in cima all’albero e guida poi l’inseguimento) e viene arpionato da un altro pescatore che lancia l’arpione dalla estremità del ponte. Con tale metodo di pesca si catturano solo pesci spada adulti, a differenza del palangaro che cattura anche i giovani.
Approfondimenti:
La pesca con l'arpione per la cattura del pesce spada è ancora praticata nello stretto di Messina. Questa pesca avviene nel periodo della riproduzione che nello Stretto di Messina va da maggio ad agosto, quando gli esemplari si avvicinano alla costa. La pesca con l'arpione si pratica con mare molto calmo, per facilitare l'avvistamento dei pesci.
Si tratta di un sistema conosciuto fin dall'antichità, quando le imbarcazioni erano provviste di un albero di avvistamento molto alto, detto "coffa" e di una lunga passerella prodiera. Il "pisci spata" viene infatti individuato a vista, da un “marinaio” esperto del tratto di mare in cui si naviga e del comportamento del pesce. Dopo l'avvistamento la barca deve iniziare l'inseguimento per portarsi a una distanza utile per il lancio dell'arpione: compito di un altro “marinaio” appostato sulla passerella di prua. Questo sistema di pesca si caratterizza soprattutto per la selettività, dato che è possibile scegliere di catturare solo animali adulti che possono raggiungere, considerando anche la spada, i 4-5 m di lunghezza e un peso di 300-350 kg. Il periodo di pesca è quello a cavallo della riproduzione, da maggio ad agosto nel Mediterraneo, quando i pesci spada si avvicinano alla costa
Barca tradizionale per la cattura del pesce spada
Barca tradizionale per la pesca con lampara e fiocina
E' consentita la pesca professionale del riccio di mare con la sola utilizzazione dei seguenti attrezzi da raccolta:
I pescatori subacquei professionali possono effettuare la pesca del riccio di mare in immersione e solo manualmente.
Il pescatore professionale non può catturare giornalmente più di 1.000 esemplari: la taglia minima di cattura del riccio di mare non può essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei. Tale pesca è vietata nei mesi di maggio e giugno.
Approfondimenti:
Nella “Regione Sardegna”, la raccolta dei ricci di mare può essere esercitata:
E’ vietata la raccolta del riccio di mare mediante attrezzi trainati con unità o anche a mano mediante mezzi meccanici (strumenti in ferro), compresi i rastrelli.
La taglia minima di cattura è di 50 mm esclusi gli aculei; ogni esemplare di taglia inferiore prelevato in qualsiasi circostanza, da qualunque tipologia di imbarcazione e da qualsiasi categoria autorizzata alla pesca, anche non appartenente a quella dei pescatori professionali di echinodermi, dovrà essere immediatamente restituito al mare.
Il pescatore professionista, accompagnato da assistente a bordo dell’unità, può raccoglierne giornalmente 6 ceste (dimensioni: altezza 35 cm, lunghezza 60 cm, larghezza 50 cm), equivalenti, per due unità lavorative, a circa 3000 esemplari; se il professionista non è accompagnato da un assistente può raccogliere giornalmente 3 ceste pari a circa 1500 ricci.
Il pescatore sportivo, per uso personale, può raccogliere esclusivamente durante il periodo consentito dal calendario, un numero massimo di 50 ricci al giorno.
La stagione di pesca del riccio di mare per l'anno 2008-2009 è consentita dal 1 novembre 2008 al 13 aprile 2009.
Per l'esercizio della pesca dei ricci è necessario richiedere l'autorizzazione all'Assessorato regionale dell'Agricoltura. Il servizio pesca rilascerà le autorizzazioni in base alla disponibilità del numero di licenze non assegnate per ciascuna capitaneria di porto.
E' necessario richiedere il rinnovo prima della scadenza.
Innumerevoli sono i metodi di pesca che non rientrano tra quelli fino ora descritti e che i pescatori hanno usato ed usano ancora. Basti pensare alla pesca senza strumenti, direttamente a mano, alla pesca con l’ausilio di animali. Tra gli strumenti più noti troviamo:
Le reti da lancio sono quelle costituite da un telo di rete, destinate con moto dalla superficie al fondo a catturare i pesci. Sono reti poco usate professionalmente per lo scarso reddito che possono dare e per la fatica che richiedono.
La rete era lanciata su un branco di pesci individuato ad occhio. Per azione idrodinamica la rete si apriva mentre scendeva sul fondo trascinatavi dalla gravità. Lentamente poi iniziava il recupero facendo in modo che il pesce trattenuto sotto la rete restasse impigliato nei risvolti che la rete stessa determinava quando era salpata.
Rete da lancio (Rezzaglio)
Le reti da raccolta sono quelle costituite da un telo di rete di varia grandezza e forma, con o senza intelaiatura di sostegno, destinate, col moto dal fondo alla superficie, a catturare animali marini. Sono reti poco usate perché poco redditizie. Sono reti usate soprattutto sotto costa. Hanno maglie di dimensioni diverse a secondo la specie che si vuole pescare.
Tra le reti da raccolta troviamo la “Quadra”, che è la più grande delle reti da raccolta. Si tratta di un impianto fisso in cui la rete, l’attrezzo da pesca, è la parte minore. Generalmente consiste di una capanna (sulla terra ferma) da cui si manovra la rete.
La rete è calata e salpata con argani manuali o meccanici che tramite rinvii agendo sui quattro pali che ne assicurano l’apertura, permettono di alzarla a di abbassarla. Il pesce catturato è generalmente prelevato con il coppo o con altri attrezzi.
Rete da raccolta (Quadra)
La “Bilancia” è più piccola della quadra ed è la versione portatile di questa. L’apertura sul piano orizzontale, è assicurata da due pertiche (in legno o acciaio) a croce che vanno ai quattro angoli della rete che è quadrata. Per calarla e salparla si agisce sull’incrocio tra le due pertiche. In qualche caso la bilancia può essere tenuta aperta anziché dalle pertiche da un’intelaiatura rigida (e smontabile) armata sui bordi della pezza quadrata. La bilancia può essere usata a terra o da bordo di natanti. In pratica è usata solo a livello sportivo.
Bilancia
Il “Coppo” può essere considerato anch’esso una rete da raccolta anche se le sue dimensioni sono molto piccole. Come attrezzo da pesca è poco usato, mentre il suo uso è frequente come ausilio per il recupero del pesce catturato con altri attrezzi da pesca (rete a circuizione). Il coppo ha svariate forme. La più nota è quella formata da un cerchio, da una rete che forma un sacco e da un manico che serve per manovrarlo.
Spesso si hanno organismi marini che o vivono all’interno di massi sul fondo marino o che sono a questi ultimi ben fissati da rendere necessario per staccarli, l’uso di picconi e martelli. Si tratta naturalmente di pesche effettuate da palombari su specie che hanno un alto valore economico se si tratta di professionisti. I martelli e i picconi sono usati ad esempio per il prelievo del corallo, quando si adopera con il palombaro; la Pesca del Corallo viene effettuata soprattutto nei mari caldi del basso Mediterraneo e del Mar Rosso. Questa pesca distrugge e cambia il fondo marino.
Per la cattura industriale del “corallo” è spesso usato l’ingegno. Si tratta di un attrezzo da traino che, tirato a velocità opportuna, rompe il corallo e i rami staccati, almeno in parte restano impigliati sugli sfilacci o nei pezzi di rete che sono trascinati sul fondo appesi alla parte rigida dell’ingegno stesso. L’ingegno può essere formato da due sbarre di legno duro e zavorrato unite tra loro a “croce di S.Andrea” a cui sono attaccati i vari pezzi di materiale tessile su cui si impigliano i rami di corallo staccati dai bracci della croce.
La luce è stata ed è utilizzata frequentemente per la cattura di organismi marini. Basti pensare alla rete a circuizione chiamata anche “lampara” . Come principio è sfruttato il potere di attrazione che la luce ha su alcune specie. La luce è prodotta da lampade che attingono energia da generatori elettrici azionati da motori Diesel o da lampade a gas liquido o a petrolio. Generalmente le lampade vengono tenute fuori dall’acqua, ma non mancano casi di lampade immerse per poter attirare pesce da profondità superiori. Questa pesca è effettuata solo di notte, soprattutto nelle notti senza luna quando è più facile la raccolta sotto le lampade. Si cattura principalmente pesce azzurro e celopodi.
E’ un metodo di cattura del pesce che sfrutta il particolare comportamento degli organismi acquatici alla presenza di un campo elettrico.
In Italia la legge ne vieta l’uso per la tutela delle risorse biologiche e dell’attività di pesca. La pesca con fonti elettriche si effettua mediante l’impiego “diretto” e quello “indiretto”.
Il primo metodo è quando l’organismo è attratto e paralizzato dall’anodo, un fenomeno conosciuto col nome di galvanonarcosi e con una pompa immersa nel mare è trasportato a bordo.
Il secondo invece è quando si immette la corrente elettrica in uno degli attrezzi già conosciuti ed appositamnete modificato. Così si può avere dal campo elettrico l'attrazione verso l'amo del palangare; oppure da una barca generare la corrente verso i due poli immersi a prua e a poppa in mare, mentre una rete circuisce il branco di pesci; infine si può provocare agli elettrodi un campo energetico davanti alla bocca della rete a strascico, così da convogliare i pesci all’interno ed impedire la eventuale fuga agli altri.
I “sistemi” di cattura nei mari italiani e nel Mediterraneo hanno subito una costante evoluzione, specialmente in questi ultimi decenni; altri invece professionalmente e commercialmente non rappresentano più che un fatto puramente storico e folcloristico, privo di una reale applicazione in mare.
La conoscenza delle caratteristiche di selezione degli attrezzi da pesca sulle diverse specie ittiche riveste un ruolo importante in merito alle scelte necessarie per evitare uno sfruttamento eccessivo delle risorse biologiche marine.
In particolare. la selettività delle reti al “traino” rappresenta un aspetto di notevole importanza nella gestione delle risorse demersali. Infatti, soprattutto nella pesca al traino vengono catturati grandi quantitativi di individui di piccola taglia, anche se di scarso valore commerciale. Ciò è dovuto alla ridotta dimensione delle maglie dell'attrezzo utilizzato.
La regolamentazione della maglia è quindi una misura indispensabile per salvaguardare le forme giovanili.
Una buona gestione della pesca richiede che gli attrezzi catturino gli individui adulti (grandi) e permettano ai giovani (piccoli) di fuggire. L'attrezzo, quindi, dovrebbe essere in grado di selezionare la cattura in funzione della taglia (lunghezza o circonferenza) ottimale del pesce.
E' infatti la taglia del pesce che determina la possibilità di fuga attraverso le maglie della rete, o nuotando fuori dell' attrezzo.
La selettività degli attrezzi al traino viene controllata fissando la dimensione minima della maglia della rete, in particolare di quella del sacco.
Teoricamente, per ogni specie, dovrebbe essere garantita la possibilità di fuga agli individui di dimensioni inferiori alla taglia di prima maturità. L'obiettivo principale è ridurre la mortalità dei pesci sotto questa taglia, nelle operazioni di pesca.
La pesca demersale nel Mediterraneo è caratterizzata dalla multispecificità delle catture e dell'ampio intervallo di taglie della maggior parte delle specie catturate, per cui la determinazione della maglia ottimale, spesso è il frutto di un compromesso che tiene conto di questa pluripresenza.
Le ricerche sulla selettività degli attrezzi da pesca permettono di conoscere, per ogni specie, le taglie effettivamente catturate dall'attrezzo considerato, in funzione della dimensione di maglia usata.
In seguito a tali studi il legislatore è in grado di fissare la dimensione minima della maglia sulla base delle taglie minime catturabili, che risultano dagli studi biologici sulle diverse specie commerciali.
Più in generale, gli studi sulla selettività degli attrezzi puntano a migliorare le conoscenze anche su altri parametri dell'attrezzo che hanno effetti trascurabili sulla selettività.
Negli ultimi decenni, l’obiettivo primario perseguito dal legislatore nel settore della pesca marittima è consistito nel tutelare l’insieme degli interessi legati, direttamente o di riflesso, alla filiera della pesca, mediante l’individuazione di metodologie di cattura e limitazioni, in termini di quote e dimensioni del pescato, tali da consentire uno sfruttamento sostenibile della risorsa ittica, compatibile sia con la tutela dell’ecosistema mare nel suo complesso e sia con la necessità di garantire il naturale ed indispensabile ripopolamento della fauna ittica.
Come facilmente intuibile, infatti, il ripopolamento ittico si pone come presupposto irrinunciabile, al fine di mantenere un ragionevole equilibrio nel ricambio tra l’entità delle catture operate e i nuovi esemplari adulti in grado di sostituire i primi, in modo da prevenire il progressivo impoverimento delle specie con conseguenti ripercussioni a catena lungo l’intera filiera della pesca.
Per tali motivi, è stato indispensabile identificare precise limitazioni nell’esercizio della pesca marittima, atte a prevenire uno sistematico depauperamento delle specie bersaglio che, in ragione delle inscindibili interconnessioni che legano l’un l’altro tutti gli abitanti del mare, può interrompere, talvolta in via irreversibile, alcune fondamentali catene vitali.
Per raggiungere tali finalità il legislatore italiano, fin dal 1965 con l’abrogata Legge 14 luglio 1965, n. 963 (“Disciplina della pesca marittima”) e relativo Regolamento di attuazione (DPR 02/10/1968, n. 1639) ha ritenuto di individuare, per ciascuna specie ittica di interesse commerciale, una precisa “taglia minima” di riferimento, identificata secondo parametri squisitamente scientifici legati all’avvenuto raggiungimento, da parte degli esemplari, di una maturità sessuale tale da consentirne la riproduzione.
Conseguentemente la stessa normativa vietava, non solo la pesca, bensì anche la detenzione, il trasporto, l’immagazzinamento ed il commercio del novellame di pescato che non raggiungeva la misura minima prevista, con il conseguente obbligo, a carico del pescatore, di effettuare una prima immediata cernita al momento della cattura finalizzata a rigettare il mare l’eventuale pescato “irregolare”.
Le taglie minime in parola sono attualmente disciplinate dalla normativa unionale, da quella nazionale o da entrambe. I capisaldi di questa normativa sono:
Contengono norme a tutela delle «forme giovanili» di diverse specie, in modo da limitare i danni derivanti agli stock ittici[1] dalla cattura massiva di individui sottomisura. Determinate taglie minime vengono oltremodo stabilite da norme speciali quali Decreti Ministeriali o Regolamenti ad hoc.
Ai sensi dell’art. 86, per «novellame» si intendono gli esemplari allo stadio giovanile delle specie animali, viventi nel mare, non pervenuti alle dimensioni indicate negli artt. 87, 88 e 89 del Regolamento medesimo.
L’art. 91 stabilisce il divieto di detenzione di organismi sotto misura: pesci, crostacei e molluschi, di dimensioni inferiori a quelle stabilite, eventualmente catturati, debbono essere rigettati in mare.
L’art. 7, comma 1 lettera a), fa divieto di detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore.
L’art. 7, comma 1 lettera b), fa divieto di trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore.
L’art. 7, comma 2 stabilisce che in caso di cattura accessoria o accidentale di esemplari di dimensioni inferiori alla taglia minima, questi devono essere rigettati in mare.
L’art. 8, comma 1 stabilisce che chiunque viola i divieti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a), b), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 2.000 euro a 12.000 euro (reato contravvenzione).
Non si applica la sanzione se la cattura è stata realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali, autorizzati dalla licenza di pesca (Art. 8, comma 3).
L’art. 15 Allegato III, Capo V stabilisce le “taglie minime” al di sotto delle quali pesci, molluschi o crostacei vengono considerati sotto misura e quindi non possono essere catturati, tenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasferiti, immagazzinati, venduti, esposti o messi in vendita (art. 15, n. 1) e, fattore di notevole rilevanza, non prevede la tolleranza di una qualsiasi percentuale di “organismi marini sotto taglia” se non nei casi specificati dal Regolamento stesso.
Lo sbarco, il trasporto, il trasbordo e la commercializzazione di esemplari sottomisura rimane solo per le specie (e nelle percentuali) per cui ciò sia chiaramente specificato nella normativa comunitaria (ad esempio: Tonno Rosso, Reg. (CE) 1559/2007, art. 9, par. 1).
Effettuando un cambio di tendenza, il Reg. (UE) 1380/2013, entrato in vigore all’inizio del 2015, relativo alla politica comune della pesca (che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione 2004/585/CE del Consiglio), ha apportato delle importanti innovazioni nel settore della pesca.
La riforma della politica comune della pesca (PCP) istituisce per la prima volta il c.d. obbligo di sbarco, cioè il ha abolito la pratica del rigetto in mare per le specie soggette a taglia minima (pratica abbastanza consueta nelle attività di pesca professionale) e introdotto l’obbligo di sbarco divieto di rigettare in mare pesci morti.
Attenzione !
Si ricorda che le Regioni a statuto speciale (Sardegna) possono legiferare autonomamente in materia di pesca (anche per le taglie minime), tali norme prevalgono sulla normativa nazionale ma NON su quella comunitaria, a meno che non contengano misure più restrittive.
[1]. Uno stock ittico (o semplicemente stock) è una subpopolazione [1] di una specie di organismo (pesce [2] o invertebrato) soggetto a pesca commerciale [3]. È l'unità di base della biologia della pesca [4].
La riforma comune della politica della pesca (PCP), stabilisce per il Mediterraneo il divieto di rigetto in mare per quelle specie per cui è prevista una taglia minima comunitaria, in base al Reg. 1967/2006.
In genere, una specie può essere rigettata in mare dopo la cattura per diversi motivi:
Inoltre, le catture di specie che il pescatore intende scartare dovranno essere tenute a bordo registrate nei “Giornali di pesca” in maniera da essere chiaramente distinguibili dalle catture “commerciali”.
Una volta sbarcate, l’uso delle catture di specie di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione è autorizzato unicamente a fini diversi dal consumo umano diretto, come la farina di pesce, l’olio di pesce, gli alimenti per animali, gli additivi alimentari, i prodotti farmaceutici e cosmetici.
Gli obiettivi principali del Regolamento sono di rendere la pesca più selettiva e di ridurre gradualmente i rigetti in mare.
Le catture accidentali e i rigetti costituiscono di fatto uno spreco considerevole e incidono negativamente sullo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine e sugli ecosistemi marini.
a) specie la cui pesca è vietata e che sono identificate come tali in un atto giuridico dell’Unione adottato nel settore della PCP;
b) specie per le quali, secondo i migliori pareri scientifici disponibili, presentano un elevato tasso di sopravvivenza quando sono
rilasciate in mare;
c) pesci danneggiati da predatori, quali mammiferi marini, che, essendo potenzialmente pericolosi per la salute umana e degli
animali domestici, devono essere immediatamente smaltiti in mare.
L’obbligo di sbarco è stato introdotto in modo differenziato a seconda delle varie attività di pesca.
In particolare, l’obbligo di sbarco è già entrato in vigore dal 1º gennaio 2015 per la pesca dei “piccoli pelagici”, vale a dire per la pesca di sgombro, sugarello, acciuga, argentina, sardina, spratto. Per le attività di pesca che mirano alle “specie demersali” [1], l’obbligo di sbarco in Mediterraneo sarà attuato al più tardi dal 2019.
In Italia, le attività di pesca interessate dall’obbligo di sbarco fin dal 1º gennaio 2015 sono sostanzialmente la pesca con i “ciancioli” (o lampare) e la pesca con “reti volanti”.
Lo scopo dell’obbligo di sbarco è duplice, da una parte evitare i comportamenti come il cosiddetto “high grading” (o rigetto selettivo) cioè pescare di più e rigettare morti i pesci che presumibilmente avrebbero un valore minore sul mercato, e dall’altra quantificare lo “spreco” di risorse che deve essere affrontato tramite una maggiore selettività degli attrezzi.
In Italia le specie interessate dall’obbligo di sbarco dal 1º gennaio 2015 sono quindi acciuga, sardina, sgombro, lanzardo, suro, aventi le seguenti taglie minime stabilite dal Regolamento CE 1967/2006:
- acciuga (Engraulis encrasicolus)......... 9 cm
- sardina (Sardina pilchardus)............... 11 cm
- sgombro (Scomber scomber)
- lanzardo (Scomber japonicus)............. 18 cm;
- suro o sugarello (Trachurus spp)....... 15 cm.
Essendo praticamente impossibile per gli Organi di controllo verificare la taglia minima di tutte le acciughe e sardine, in caso di grandi quantitativi, il Regolamento suddetto lasciava agli Stati Membri la facoltà di convertire la taglia di acciuga e sardina come segue:
Da questo punto di vista il Regolamento 1380/2013 ha introdotto un cambiamento radicale rispetto a quanto previsto nel Regolamento CE 1967/2006.
Infatti, il Regolamento CE 1967/2006 stabiliva taglie minime per alcune specie commerciali senza alcuna tolleranza lungo tutta la filiera. L’obiettivo era quello di scoraggiare la vendita finale di prodotto sotto misura e di conseguenza anche la richiesta di mercato di pesce sotto taglia. Questa norma, per quanto poco gradita alla categoria dei pescatori, era in ogni caso riconosciuta da questi come necessaria, se applicata e fatta rispettare con buon senso.
Al contrario, il Regolamento 1380/2013, pur vietando la commercializzazione ai fini del consumo umano di prodotto ittico sotto taglia, ha aperto la possibilità di utilizzare tale prodotto per altri fini, attivando potenziali nuovi canali di mercato (farine di pesce, ad esempio).
Questa prospettiva sembra di fatto contraddire i propositi di buona gestione della risorsa insiti nel Regolamento 1380/2013. Infatti, se una unità da pesca potrà in qualche modo commercializzare prodotto ittico anche sotto misura, se ben valutato ai mercati, sarà interessata a catturare il maggior quantitativo di pesce possibile, indipendentemente dalla taglia dello stesso.
Attenzione !
La risposta corretta alla domanda “Cosa succede se pesco pesce di misura inferiore al consentito ? ” è: “Niente se il pesce sotto misura viene immediatamente rigettato in mare. In mancanza di rigetto immediato, invece, si rischia l’arresto da 2 mesi a 2 anni o l’ammenda da 2.000 a 12.000 euro”.
Attenzione !
Attenzione !
[1]. Si definiscono “demersali” quelle specie di organismi marini che nuotano attivamente ma si trattengono nei pressi del fondale, sul quale o nei pressi del quale trovano il nutrimento. Il vocabolo si contrappone a “bentonico [5]” o bentos (dal greco [6] βένϑος = “abisso” ) ed a “pelagico [7]”, nel primo caso ci si riferisce a specie (murena, il grongo, la razza, la sogliola, ecc.) che passano tutto o gran parte del loro tempo sul fondale (sono al limite “sessili [8]”), mentre con il secondo si intendono specie che passano la loro vita nell'acqua aperta ed instaurano rapporti con il fondale in modo limitato (tonno [9], pesce spada [10], sardina [11], barracuda, ecc.). In zoologia sono “sessili” gli animali [12] acquatici, incapaci di movimento e che vivono ancorati ad un qualche tipo di substrato [13] solido come per esempio rocce [14], scafi [15] di imbarcazioni [16], piante, alghe [17] o altri animali. Tra gli organismi sessili vi sono le spugne [18], i coralli [19], capaci di autocostruirsi il proprio substrato, i briozoi [20], i crostacei [21] balanidi [22] e ctamalidi [23], gli ascidiacei [24].
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n. 250) e succ. mod. e ai Reg. CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di pesci allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Gli esemplari sotto misura non possono essere detenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasportati, immagazzinati, esposti o venduti e quelli eventualmente catturati, devono essere rigettati in mare.
Tutti i pesci hanno una taglia minima di 7 cm., al di sotto della quale sono considerati forme giovanili, ad eccezione di quelle specie che raggiungono lo stadio adulto prima di questa lunghezza, e di quelle per le quali è fissata una lunghezza minima doiversa (artt. 87 e 93 DPR. 1639/68 e succesive integrazioni).
Ricciola: LT= 7 cm.
In figura, la ricciola:pesce predatore molto resistente, che vive in banchi e raggiunge le dimensioni di 50-80 cm fino ad arrivare ai 190 cm. Gli adulti sono grigio verdi o marrone chiaro sul dorso e più biancastri sul ventre, mentre i piccoli sono gialli con macchie di colore scuro che dal dorso scendono ai fianchi. Questa differenza ha fatto credere per molto tempo che appartenessero a specie diverse. Mentre i piccoli vivono vicino alla costa, gli adulti si spostano in mare aperto dove si nutrono di pesce e invertebrati. Le ricciole sono diffuse in tutte le acque nazionali ma sono più numerose al sud. Reti da posta e circuizione sono i metodi usati per pescarle, soprattutto in Sicilia e basso Tirreno: a volte finiscono nelle tonnare e possono essere catturate con la lenza. Sono più rinomati gli esemplari piccoli dalla carne bianca e con poche spine. Sono stati fatti diversi tentativi di allevarle anche in Italia, come avviene nei paesi orientali, e si cominciano ad avere le prime produzioni.
Tonno: P=30 Kg. o LF=115 cm.
È un pesce migratore di mare aperto che può raggiungere una velocità di 70 km/h. Vive in gruppi numerosi ed è un vorace predatore. La riproduzione avviene tra la metà di luglio e la seconda metà di settembre. È noto anche per riuscire a mantenere una temperatura corporea intorno ai 10° C, più alta rispetto alla pelle, grazie ad un sistema dei vasi sanguigni altamente sofisticato. Se acquistate tonno fresco, qualora il pesce superi il peso di 40 kg, si tratta di tonno rosso; se è di piccole dimensioni potrebbe essere un alletterato, un'alalunga, una palamita o un biso che, pur essendo della stessa famiglia, hanno caratteristiche organolettiche diverse.
Alalunga
E' un grosso pesce pelagico della famiglia dei tonni, da cui si differenzia per la pinna pettorale, lunghissima, dalla quale prende il nome, e per il colore della carne che è bianca e non rossa. Arriva a misurare un metro di lunghezza e può superare i 30 kg.
E' chiamato anche tonnetto, è diffuso nei nostri mari più caldi, dove vive radunandosi in banchi. Ha il corpo allungato, a forma di fuso, con la coda molto assottigliata. La pelle è liscia dal colore inconfondibile: il dorso è azzurro nerastro e presenta linee sinuose molto scure. Il fianco e il ventre sono argentati. Sul corpo sono evidenti alcune macchie nere tondeggianti il cui numero varia a seconda degli individui. L'alletterato misura al massimo 1 metro e può arrivare fino a 12 kg di peso, più comune tra i 4 e i 7 kg.
P=25 Kg. o LF=125 cm.
LF=140 cm.
È una specie conosciuta fin dall'antichità. Il suo nome deriva dalla caratteristica più evidente, l'enorme sviluppo della mascella superiore, prolungata a formare la "spada", un rostro acuminato e tagliente, lungo circa un terzo della lunghezza dell'animale. Ha un colore grigio ardesia con fianchi argentati, la cui tonalità sfuma via via verso il bianco del ventre. Può raggiungere eccezionalmente la lunghezza di 4-5 m e toccare anche i 500 kg di peso. Nei nostri mari raggiunge al massimo i 3 m di lunghezza e un peso di 350 kg. Vive isolato o in coppia. La pesca avviene con maggiore intensità da maggio a ottobre, quando le acque superficiali sono più calde, tramite palangresi di superficie, usando come esca il calamaro o lo sgombro. Uno dei pregi del pesce spada è la sua carne soda, bianca, delicata e priva di lische e spine.
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n. 250) e succ. mod. e ai Reg. CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di molluschi[1] allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Gli esemplari sotto misura non possono essere detenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasportati, immagazzinati, esposti o venduti e quelli eventualmente catturati, devono essere rigettati in mare.
Le dimensioni dei «molluschi» si riferiscono alla lunghezza massima o al diametro massimo delle conchiglie:
[1] I molluschi sono animali con il corpo molle. Esempi di molluschi sono le lumachine di mare, le seppie, i polipi, le vongole, ecc. Pur con una grande varietà di forme, nel corpo di tutti i molluschi si osservano le seguenti parti:
L’apparato digerente dei molluschi è diviso in parti (l’esofago, lo stomaco e l’intestino) e termina nella “cavità palleale”, che si trova tra il piede e il mantello. Essa contiene gli organi della respirazione (branchie) e vi sbocca l’apparato escretore.
L’apparato circolatorio, in cui è presente un cuore, è di tipo aperto, poiché il sangue circola in vasi sia in lacune del corpo. Il sistema nervoso è formato da gangli collegati da cordoni nervosi. La riproduzione è sessuata; alcune specie hanno sessi separati, altre sono ermafrodite. I molluschi si dividono in gasteropodi, bivalvi e cefalopodi.
Lerreralmente, gasteropode significa animale che cammina sul ventre; la maggior parte dei gasteropodi possiede una conchiglia costituita da un solo pezzo, ma in alcune specie la conchiglia non c’è. Appartengono a questa classe le lumachine di mare, muride.
La loro conchiglia è formata da due valve, cioè due pezzi collegati da una sorta di cerniera azionata da potenti muscoli. Alcuni bivalvi sono produttori di perle, che si formano per una reazione di difesa dell’animale nei confronti di granelli di sabbia o di parassiti che sono penetrati tra le valve. Esempi di bivalvi sono le vongole e i mitili.
Il nome cefalopode significa animale che cammina sulla testa: il piede infatti si trova vicino alla testa dell’animale ed è suddiviso in numerosi tentacoli. Il capo ha una sorta di becco con il quale il cibo viene frantumato. In alcuni cefalopodi la conchiglia è interna (come l’osso della seppia), altri cefalopodi invece non hanno la conchiglia (come il polpo).
[2]Articolo 89 - Dimensione minima dei molluschi bivalvi
Si considerano molluschi bivalvi (Lamellibranchi) allo stadio giovanile gli esemplari inferiori alle seguenti dimensioni:
- ostrica (Ostea sp.) ............................................... . ..cm. 6
- mitilo (Mitilus sp.) ............................................... . ...cm. 5
- vongola (Venus gallina e Venerupis sp.) ..................cm. 2,5
- tartufo di mare (Venus verrucosa) ..................... ... cm. 2,5
- cannello o cannolicchio (Solen sp. e Ensis sp)... ...cm. 8
- datteri di mare (Lithophaga Lithopaga) ............... ..cm. 5 (Vietato R. CE 1967/2006)
- capasanta (Pecten jacabaeus) ............................ . ...cm. 10
- tellina (Donax trunculus) .................................... . ..cm. 2
E’ vietata la pesca, la detenzione e il commercio del dattero di mare (lithophaga lithophaga) e del dattero bianco (pholas dactylus) e della pinna (pinna nobilis) e della patella (patella ferruginea ) in tutte le coste italiane.
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n 250) e succ. mod. e ai Reg CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di «crostacei» allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Tra i «crostacei», soltanto alcune specie di Decapodi (Astice, Scampo e Aragosta) hanno misure minime particolari, al di sotto delle quali gli esemplari sono considerati allo stato giovanile (vedi art. 88 DPR 1639/678 e successive modifiche). la normativa nazionale però non si applica in quanto le stesse specie sono soggette alla normativa europea.
Comprendono gamberi, aragoste, astici, granchi Il corpo è suddiso in "cefalotorace" e "addome", coperto in parte o totalmente da uno scudo molto resistente con funzione protettiva, detto “carapace”. Sul capo vi sono due paia di antenne con funzione di organi di senso. La respirazione è branchiale, gli arti sono in numero variabile (in genere cinque paia di zampe), di cui il primo è trasformato in robuste appendici, chiamate “chele”, che possono essere usate per difesa oppure per trattenere e lacerare le prede.
Aragosta (Palinuride)
[1] La pesca della “aragosta“ (e dell’astice) è vietata nel periodo 1° gennaio al 30 aprile
Crostaceo dal corpo allungato con la parte anteriore, il «carapace», robusto munito di «rostro» dentellato ai lati del quale si trovano gli occhi, possiede due paia di antenne di cui un paio lunghe ed un paio più corte bifide. Possiede quattro paia di braccia e l’addome termina con una sorta di coda che si apre a ventaglio (telson).
Il colore è rosa con macchie bianche ed arancio. Della stessa famiglia dell’astice, si distingue per le minori dimensioni, per la forma delle chele, lunghe e sottili, e per il diverso colore.
Il maschio è più grande della femmina, può raggiungere una lunghezza massima di 25 cm, comunemente si pesca attorno ai 10 - 20 cm.
I sessi sono separati, il maschio si può distinguere per la presenza sotto l’addome di due appendici a forma di spina, gli organi copulatori, la femmina porta le uova sotto l’addome fino alla schiusa e le larve sono planctoniche.
Tra 20 e 800 metri di profondità, vive nascosto in gallerie che scava sul fondo, per questo predilige fondali con sabbia compatta, si muove di notte per alimentarsi catturando piccoli organismi: altri crostacei ed anellidi.
E' il crostaceo più grosso del Mediterraneo, caratteristica peculiare sono le due grosse e temute chele anteriori di dimensioni diverse fra loro, possiede due paia di antenne un paio corte ed un paio lunghe quanto tutto il corpo, le chele vengono usate soprattutto per difesa e per la cattura delle prede, le altre due paia di appendici dietro alle chele oltre che per il movimento possiedono pinze che possono essere usate per portare il cibo alla bocca, le ultime due paia posteriori servono unicamente per spostarsi.
Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la crescita deve avvenire perciò per mute successive con le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne costruisce una nuova più grande.
Può raggiungere dimensioni superiori a 60 cm ed un peso di 6 kg. Il carapace è liscio, due sole spine si trovano dietro agli occhi, il colore è nero bluastro con riflessi giallastri sul dorso.
Vive abitualmente su fondali misti con sabbia e roccia, fino a 100 m di profondità, si riproduce nei mesi estivi, le uova sono portate sotto l’addome delle femmine per 10 – 11 mesi, la larva trascorre un periodo planctonico per poi portarsi nei pressi del fondo una volta acquisito l’aspetto definitivo.
Si trova in tutto il mediterraneo ma è più frequente in Adriatico. Più attivo nelle ore notturne quando esce dalle tane, scavate nella sabbia o ricavate in anfratti rocciosi, per cacciare soprattutto molluschi, è un animale territoriale.
Appartiene al vasto ordine dei Decapodi e rientra, insieme ad altre importanti specie commerciali come la Mazzancolla (Melicertus kerathurus), nella Famiglia Penaeidae. Noto come «gambero bianco» o «gambero rosa», è un crostaceo dal corpo compresso lateralmente. La parte anteriore (cefalotorace) è ricoperta da un carapace da cui si diramano 13 paia di appendici. Rostro superiore fornito di 8-9 denti. Il rostro del gambero rosa è diritto o appena sinuoso e leggermente incurvato verso l'alto, dotato di 5-9 spine nella parte dorsale e privo di spine in quella ventrale. Il rostro prosegue posteriormente in una carena fin quasi al bordo del carapace. Sul carapace è ben visibile la spina epatica. La parte posteriore (addome) è composta da 6 segmenti. Occhi peduncolati, senza tubercoli. Gli occhi sono peduncolati e privi di tubercoli. La colorazione di P. longirostris è rosa-arancio tendente al rosso-violaceo sul carapace e, soprattutto, sul rostro. Nelle femmine la colorazione delle gonadi varia dal bianco al verde in funzione dello stadio di maturità sessuale; nelle femmine mature, come succede in molti crostacei, è possibile osservare in trasparenza gli ovari verdi. Questa specie presenta dimorfismo sessuale e le femmine sono più grandi dei maschi; la lunghezza totale massima riscontrata è stata di 19 cm su individui femmina.
Vive in fondali fangosi. E' comune nel Mediterraneo e nell'Atlantico sia orientale che occidentale. Abbastanza comune, distribuito nell'intero bacino Mediterraneo e nell'Atlantico. La specie, pur essendo diffusa in tutti i mari italiani, risulta molto più abbondante nel Tirreno centrale, nel canale di Sicilia e nello Ionio; nell'Adriatico centro-settentrionale le concentrazioni del gambero rosa sono sempre state piuttosto limitate, anche se negli ultimi anni la tendenza sembra aver subito un cambiamento di rotta e la specie comincia ad essere abbastanza diffusa anche in questo bacino.
L’aragosta è il crostaceo senza dubbio più famoso ed apprezzato dal punto di vista alimentare. Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la crescita deve avvenire perciò per mute successive con le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne costruisce una nuova più grande. Può raggiungere dimensioni attorno ai 50 cm ed un peso di 8 kg. Il corpo è provvisto di tredici paia di appendici cinque delle quali vengono usate per camminare, un paio è costituito da lunghe antenne, possiede una coda, il telson, a forma di ventaglio, gli occhi sono situati in cima a peduncoli mobili, non si osservano chele, il corpo e cosparso di spine e tubercoli, la colorazione è rosso violacea con macchie più chiare.
Vive abitualmente su fondali rocciosi o ghiaiosi, raramente la si può trovare su fondi sabbiosi, a profondità comprese tra 20 e 70 m, può raggiungere i 200 m. E’ diffusa soprattutto nei mari attorno alla Sardegna, predilige fondali ricchi di anfratti dove si colloca facendo sporgere le antenne, forma spesso colonie con numerosi individui.
Durante la muta l’animale è più debole perché rimane privo della corazza di protezione, il suo aspetto non cambia ma il corpo è molle e facilmente attaccabile, si ritira così in una tana dove passa la giornata mangiando conchiglie di molluschi che le consentono di acquisire i sali minerali necessari per la nuova corazza.
La riproduzione avviene a fine estate, si possono osservare le femmine con l’addome pieno di uova, le larve nascono al termine dell’inverno, sono planctoniche e raggiungono il fondo, loro habitat definitivo, attraverso una crescita caratterizzata da diversi stadi durante la quale si nutrono di plancton.
Esistono altre due specie di aragosta in Mediterraneo, Palinurus mauritanicus, che si distingue per la presenza di numerose chiazze bianche sulla corazza e per le abitudini di vita, predilige fondali più profondi, e Palinurus regius, riconoscibile per il corpo di colore verde, presente lungo brevi tratti della costa meridionale francese e spagnola, si suppone sia stata introdotta accidentalmente in Mediterraneo.
Crostaceo che può raggiungere dimensioni notevoli, il corpo può misurare fino a 25 cm di lunghezza e 18 di larghezza. È un granchio dalle zampe decisamente sproporzionate rispetto al corpo.
Il corpo è a forma di cuore e bombato con dentellature lungo il margine laterale che terminano con due denti cuneiformi più sporgenti nella parte anteriore, tutto il dorso è rugoso con spini e tubercoli più o meno sporgenti. Possiede cinque paia di zampe di cui quattro servono per il movimento ed un paio terminano con due robuste chele. Il colore è di solito giallo rossiccio, ma può variare da individuo ad individuo con sfumature rosse o marroni, a seconda del luogo in cui vive. I sessi sono separati ed il maschio è più grande della femmina.
Solitamente vive su fondali sabbiosi e detritici fino a 100 m di profondità dove si mimetizza rimanendo immobile, ma è facile trovarlo anche a profondità inferiori su fondali rocciosi , nei quali si nasconde in mezzo alla vegetazione o nelle fessure.
Granchio è il nome generico di varie specie (un'infraordine) di Crostacei Decapodi, in particolare dotati di un robusto carapace e di due potenti chele; pertanto utilizzano quattro paia di arti per il movimento e le chele per difendersi e cibarsi. L'addome è ripiegato verticalmente ed è pertanto nascosto.
Molte specie sono notturne, quando la presenza di potenziali predatori è minore; l'alimentazione varia da specie a specie e comprende animali, piante, carcasse.
Sono animali con la pelle spinosa che vivono solo in mare. Sono rappresentanti degli echinodermi la "stella marina" e il "riccio di mare". Hanno un vero e proprio scheletro esterno, il “dermascheletro”, incluso nella pelle e possiedono una simmetria raggiata, cioè a stella. Esternamente il dermascheletro presenta numerose spine, particolarmente vistose in alcune specie (come il riccio di mare).
Gli echinodermi si muovono mediante un particolare sistema di locomozione detto “apparato acquifero”, costituito da un canale circolare in comunicazione con l’estreno tramite una “piastra madreporica” forata e da cinque canali radiali, dai quali partono i “pedicelli ambulacrali” chde sporgono all’esterno e sono muniti di ventosa. La circolazione dell’acqua in questa serie di canali provoca cambiamenti di pressione al loro interno e modificazioni nella forma dei pedicelli che, aderendo al substrato, consentono un lento spostamento dell’animale sul fondale marino.
L’apparato digerente inizia con la bocca, che si trova sulla faccia ventrale dell’animale, quella che poggia sul fondale marino, e termina con l’ano, posto sulla faccia opposta. Lo scambio dei gas respiratori avviene attraverso l’apparato acquifero. Gli echinodermi si riproducono sessualmente e sono ovipari.
Per quanto riguarda il “riccio di mare“, la sua pesca è consentita esclusivamente in apnea e solo manualmente nel periodo da Gennaio ad Aprile e da Luglio a Dicembre (fatte salve le Leggi regionali ed i regolamenti locali).
Il pescatore subacqueo professionale non può raccogliere più di 1.000 (mille) esemplari al giorno (Decreto 7 luglio 1995 “Disposizioni per la pesca del riccio di mare”, art.1, n. 2 e art. 2, n. 1)[1].
La taglia minima di cattura del riccio di mare non può essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei.
[1] Decreto 7 luglio 1995 (Disposizioni per la pesca del riccio di mare)
Art. 1 (Oggetto e sfera di applicazione) :
Art. 2 (Limiti di cattura):
Art. 3 (Diametro minimo di taglia):
Art. 4 (Limiti temporali):
La natura non è un serbatoio continuo e inesauribile di risorse da cui attingere senza preoccupazioni. Il sovrasfruttamento delle risorse del mare, il cambiamento di habitat per alcune specie, l’inquinamento diretto o indiretto del mare, possono, a lungo andare, essere causa di irreparabili danni con ripercussione anche sulla specie umana.
Per salvaguardare le specie in via di estinzione e i loro ambienti di vita, sono sorte diverse organizzazioni di protezione della natura in senso lato e sono stati stipulati trattati internazionali (convenzioni) che ogni singolo Paese firmatario ha ratificato.
L’Unione Europea ha emanato precise e puntuali direttive, nonché regolamenti, volti a tutelare e conservare gli habitat naturali e la fauna selvatica. L’Italia ha dato attuazione a queste direttive con proprie leggi ed ha aderito e ratificato le Convenzioni internazionali che vincolano il nostro paese alla tutela concreta delle specie indicate.
Nella Tabella sono riportate alcune tra le specie soggette a norme di protezione che si possono rinvenire nei mari italiani
La convenzione internazionale formulata a Berna il 19.09.1979, concernente “la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa” (di seguito denominata Convenzione di Berna) è stata ratificata in Italia con Legge 5 agosto 1891, n. 503, la quale riporta il testo integrale della Convenzione stessa. La convenzione di Berna è stata formulata nell’ambito del Consiglio d’Europa con lo scopo di assicurare la conservazione di flora e fauna selvatiche e i loro habitat naturali con particolare riguardo alle specie vulnerabili e minacciate di estinzione.
Il testo della convenzione prevede che i paesi firmatari adottino misure di conservazione per la flora e la fauna elencata nei suoi annessi, nonché degli habitat importanti alla conservazione delle specie. In particolare si presta attenzione alle specie e agli habitat di specie vulnerabili/in pericolo di estinzione/endemiche. I paesi si impegnano a pianificare e monitorare lo stato di conservazione di flora e di fauna e si impegnano a promuovere l’educazione in questa materia.
L’articolo 5 della Convenzione stabilisce i divieti che le parti si impegnano a far rispettare tramite opportune leggi e regolamenti per le specie di flora selvatica mentre, l’articolo 6 stabilisce i divieti previsti per le specie in Allegato II: “Specie di fauna rigorosamente protette”. Inoltre la convenzione prevede la salvaguardia degli habitat con particolare attenzione alla protezione di aree di svernamento, migrazione, raduno, alimentazione e muta. I divieti stabiliti previsti per le specie di cui all’Allegato II, ed illustrati all’articolo 6, sono:
“Ogni parte contraente adotterà necessarie e opportune leggi e regolamenti onde provvedere alla particolare salvaguardia delle specie di fauna selvatica enumerate all'allegato II. Sarà segnatamente vietata per queste specie:
L’articolo 9 prevede che ogni Parte Contraente potrà derogare alle disposizioni degli articoli 4-7 della Convenzione stessa per specifici motivi quali: la protezione della flora e della fauna, la prevenzione di danni alla natura e altre forme di proprietà, nell’interesse della salute e la sicurezza pubblica e per fini di ricerca/educativi, per il ripopolamento/reintroduzione delle specie in questione, e consentendo una cattura selettiva ed entro limiti precisati.
Questo importante atto sopranazionale è stato in parte attuato con l’adozione in Italia della Legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
Tuttavia è da segnalare che tale legge e tutti i suoi riferimenti di regolamentazione si riferiscono alla fauna selvatica omeoterma. Pertanto l’attuazione della Convenzione di Berna, promulgata tramite la legge n. 157, si può applicare solo ai mammiferi e all’avifauna selvatica, tralasciando tutte le altre specie di fauna e di flora considerate rigorosamente protette ai sensi della Convenzione di Berna, tartarughe marine incluse.
La Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici, appartenenti alla fauna selvatica è stata adottata a Bonn nel 1979 è stata ratificata ed è entrata in vigore in Italia nel 1983. L’obiettivo di tale convenzione è quello di conservare al di fuori dei confini nazionali, le singole specie migratrici e i loro habitat, nell’ambito dell’intera area di distribuzione, attraverso l’adozione di specifici accordi e di efficaci misure di protezione per le specie considerate in pericolo di estinzione. La Convenzione di Bonn individua due categorie di specie migratrici elencate nell’Appendice I e nell’Appendice II. Nella prima sono inserite le specie che richiedono una immediata protezione mentre nell’Appendice II figurano le specie per le quali gli Stati si sforzano di stipulare accordi con altri Stati per assicurarne la conservazione e la gestione.
La Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (di seguito nominata CITES) del 3.3.1973, ratificata in Italia con Legge. 874/1975, è stata recepita dalla Comunità Europea con Regolamento (CE) n. 3626/82, sostituito con Regolamento (CE) 338/97 del 9.12.1996 che ne fornisce una più completa e precisa attuazione. In Italia la Legge 150 del 7 febbraio 1992, modificata da ultimo dal decreto legislativo n. 275 del 18 maggio 2001, recepisce la normativa CITES, prevedendo un regime di sanzioni per le violazioni. La Convenzione di Washington è nata dall'esigenza di controllare il commercio di esemplari di fauna e flora (vivi, morti o parti e prodotti derivati), in quanto lo sfruttamento commerciale è, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, una delle principali cause dell'estinzione e rarefazione in natura di numerose specie. La Convenzione, pertanto, è un accordo internazionale che regolamenta il commercio di fauna e flora in via di estinzione comprendendo anche i sottoprodotti o derivati dalle medesime.
La Convenzione elenca alcune specie animali e vegetali in tre appendici, secondo il loro grado di rischio di estinzione in natura. L’Appendice I, “Specie minacciate d'estinzione”, comprende quelle specie gravemente minacciate di estinzione per le quali è rigorosamente vietato il commercio. La loro utilizzazione è consentita solo per circostanze eccezionali. L’Appendice II, riguarda le specie il cui commercio è regolamentato per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza. L’Appendice III invece comprende specie protette da singoli stati, e iscritte nell'appendice, per regolamentare le esportazioni dai loro territori.
Lo strumento comunitario che recepisce questa convenzione (Regolamento CE n. 338/97) la regolamenta e formula dei nuovi allegati identificati con le seguenti sigle: A, B, C e D. Questo permette di controllare anche le popolazioni europee di specie che non sono necessariamente incluse nelle appendici CITES a livello globale ma che la Comunità Europea intende tutelare in maniera più restrittiva tramite lo strumento della CITES, oltre ad impedire l’introduzione nella U.E. di specie esotiche che possano mettere in pericolo quelle autoctone. Le specie in Allegato A comprendono tutte le specie elencate in Appendice I, alcune specie di Appendice II e Appendice III per le quali l’Unione Europea ha adottato misure più’ restrittive, nonché alcune specie non listate nella CITES. L’allegato B comprende tutte le specie presenti in Appendice II, alcune specie presenti in Appendice III ed alcune specie non listate nella CITES. L’Allegato C include tutte le altre specie listate in Appendice III. L’Allegato D include alcune specie listate in Appendice III per le quali l’Unione Europea ritiene necessario condurre un’attenta attività di monitoraggio, nonché alcune specie non listate nella CITES.
In Italia l'attuazione della Convenzione di Washington è affidata al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare con il supporto del Ministero del Commercio Internazionale e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per tramite del Corpo forestale dello Stato. Questo ultimo, tramite il Servizio CITES, cura la gestione amministrativa ai fini del rilascio della certificazione di riesportazione e di riconoscimento delle nascite in cattività, oltre all’attività di enforcement e controllo sul territorio dell’applicazione della normativa CITES. Il Servizio CITES è strutturato in un Servizio Centrale, presso l’Ispettorato Generale del Corpo forestale dello Stato a Roma, e in 41 Uffici periferici, oltre ad altri 5 istituiti presso le Regioni a Statuto Speciale e la Provincia autonoma di Bolzano. Il Servizio Centrale ha funzioni di assistenza operativa, di coordinamento e di indirizzo per l’attività degli uffici periferici di concerto con il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, di consulenza tecnico-scientifica nonché di rapporto con Enti e Organismi Internazionali. Gli Uffici periferici si differenziano in 27 Uffici territoriali, con funzione di certificazione, accertamento infrazioni e controllo territoriale, e in 19 Nuclei Operativi presso le Dogane, con funzione di verifica merceologica, controllo documentale e verifica della movimentazione commerciale nonché collaborazione nell’accertamento di illeciti.
Tutte le tartarughe marine presenti nei mari italiani, sono elencate in Appendice I e nell’Allegato A e ricevono dunque la massima protezione: ne è vietato l’acquisto, l’offerta per l’acquisto, l’acquisizione ai fini commerciali, l’esposizione ai fini commerciali, l’uso ai fini commerciali, l’offerta e il trasporto ai fini dell’alienazione (rif. Art. 1, Reg. CE 338/97). A norma dell’art. 1 della L. 150/1992, come novellato in ultimo dal decreto legislativo n. 275/2001, è punito chiunque “in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/1997”, tra l’altro, “trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del regolamento (CE) n. 338/97 […]” e “detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta autorizzazione”. A norma dell’art. 4 della L. 150/92, in caso di violazione dei divieti indicati è disposta sempre la confisca dell’esemplare; qualora venga confiscato l’esemplare vivo si procede, sentita la Commissione scientifica CITES, “all’affidamento a strutture pubbliche o private anche estere”; mentre nel caso di confisca dell’esemplare morto è disposta “la conservazione ai fini didattici o scientifici, o la loro distruzione”. Quanto sopra esposto non sembra contemplare la necessità di intervento della Commissione scientifica CITES nel caso, come quello in esame, in cui gli esemplari siano accidentalmente recuperati dal mare o spiaggiati, e poi siano detenuti o trasportati da strutture pubbliche autorizzate, non ai fini commerciali ma per la loro cura e riabilitazione. Infatti, tale fattispecie di “prelievo” dalla natura non sembra normato dalla legislazione CITES.
Si elenca di seguito, una breve sintesi dei principali strumenti legislativi, comunitari e nazionali, che possono essere applicati alle tartarughe marine e in particolar modo alla regolamentazione delle modalità inerenti la loro importazione ed esportazione ai fini del commercio.
Regolamento CE n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie di flora e fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio.
Il Regolamento n. 338/97 sostituisce il Regolamento precedente n. 3626/82 che già applicava la Convenzione ed introduce norme più restrittive per il commercio di esemplari di fauna e di flora (nei due allegati A e B sono state inserite specie che non sono incluse nelle Appendici della Convenzione, ma per le quali l'Unione Europea ha inteso estendere la tutela normata dalla Convenzione stessa). Il Regolamento n. 865/2006 della Commissione stabilisce le modalità per l'applicazione del Regolamento n. 338/97.
L’articolo 8, comma 1 del Regolamento CE 338/97 stabilisce i seguenti divieti per le specie in Allegato A: acquisto, offerta di acquisto, acquisizione, esposizione ai fini commerciali, uso a scopo di lucro e alienazione, detenzione, offerta o trasporto ai fini dell’alienazione. Il regolamento stabilisce che tali specie possono essere tuttavia esportate/importate dalla/nella Comunità purché munite di una specifica licenza. Le licenze di importazione possono essere concesse per le specie in allegato A (art.4), qualora l’Autorità Scientifica CITES abbia stabilito che:
Nel caso di introduzioni dal mare, la spedizione avverrà in maniera da ridurre al minimo il rischio di lesioni o il danno alla salute o il maltrattamento dell’esemplare in questione. Le licenze di esportazione possono essere concesse per le specie in Allegato A (art. 5 comma 1-3), qualora l’Autorità Scientifica abbia stabilito che:
La Legge 150 ordina e disciplina sotto il profilo sanzionatorio i reati relativi ai divieti posti dalla Convenzione. Gli articoli 4 comma 2, 5, 6, 8 bis, 12 ter sono stati modificati e integrati dall'articolo 4 della Legge 9 dicembre 1998 n.426 (Nuovi interventi in campo ambientale) e successivamente dal D.L. n.2, del 12.1.93 (Modifiche e integrazioni alla Legge 7febbraio 1992, n. 150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione) nonché dalla legge n. 59, del 13.03.93 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 gennaio 1993, n.2, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 febbraio 1992, n.150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione). La più recente integrazione della legge 150 è stata portata dal D.L. 275, 18 maggio 2001.
Il decreto modifica alcuni articoli della legge 7 febbraio 1992, n. 150. In particolare, il decreto sostituisce il testo degli articoli 1, 2 e 4, integra l’articolo 3 e inserisce un nuovo articolo inerente le sanzioni penali in materia di importazioni di pellicce animali (art.5). L’articolo 1 stabilisce, al comma 1, le sanzioni (arresto da 3-12 mesi e ammenda da €7.746 a €77.468) per chi viola i seguenti divieti per le specie incluse nell’Allegato A:
L’art. 1, stabilisce inoltre (comma 2) che, in caso di recidiva, è previsto l’arresto da 3-24 mesi e l’ammenda (da €10.329 a €103.291) e qualora l’illecito dovesse essere condotto nell’ambito di una attività di impresa, oltre alla condanna di cui sopra, è prevista la sospensione della licenza per un periodo da 6-18 mesi. Qualora sia implicata l’importazione, l’esportazione o riesportazione di oggetti derivati da esemplari di specie di cui all’Allegato A, si applica la sanzione amministrativa da € 1.549 a € 9.296.
In caso di violazione dei divieti di cui agli art.1 e 2, è sempre prevista la confisca degli esemplari. Per gli esemplari vivi, la Commissione Scientifica CITES può procedere al rinvio allo stato esportatore, all’affidamento a strutture pubbliche/private, o vendita mediante asta pubblica. Per gli esemplari morti invece, la stessa Commissione può prevedere la conservazione ai fini didattici/scientifici o la distruzione dell’esemplare (art. 4).
Il decreto stabilisce i soggetti tenuti a dotarsi di registro, numerato e vidimato prima del suo utilizzo dal Servizio certificazione CITES del Corpo forestale dello Stato, sul quale annotare, entro il 31 gennaio 2002, gli esemplari delle specie della flora e della fauna selvatica di cui agli allegati A e B del regolamento CE n. 338\97 e successive modificazioni. L'annotazione sul registro di qualsiasi variazione degli esemplari detenuti andrà riportata entro trenta giorni dalla variazione medesima. Le sanzioni per coloro che non rispettassero i termini suddetti oscillano tra €3.098 e €9.296. I soggetti al quale questo decreto si indirizza sono, tra l’altro, chiunque utilizzi detenga o esponga esemplari a fini di lucro o ponga in essere atti di disposizione finalizzati allo scambio, alla locazione, alla permuta o alla cessione a fini commerciali di qualsiasi natura e titolo, ivi compreso chiunque ottenga esemplari provenienti da sequestro, confisca, affidamento fatte salve le disposizioni della L.157/1992. Proprio dalla lettura di questo ultimo paragrafo (art.2, comma 1 lett. c) del D.M. 8 gennaio 2002), sembrerebbe previsto l’obbligo della tenuta del registro di detenzione delle specie animali e vegetali CITES anche per i centri di riabilitazione, tenendo gli stessi gli esemplari CITES in una forma di affidamento.
1.2.4 Direttiva 92/43/CEE, “Habitat”
Il D.P.R. 357 dell’8.09.97 regolamenta l’attuazione della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE. Le specie elencate negli allegati B, D, ed E (Allegati II, III e IV nel testo della Direttiva CEE) sono specie di interesse comunitario, e sono considerate tali perché ritenute in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche. Le specie elencate in allegato B (Allegato II nel testo della Direttiva) sono specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione (ZSC). Alcune di queste sono evidenziate come specie prioritarie per le quali l’Unione ha una particolare responsabilità (la tartaruga comune è una di queste).
Spetta alle Regioni e le Province autonome l’adozione di misure di monitoraggio sullo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario, in particolar modo quelli prioritari. In particolare, le Regioni e le Province autonome rappresentano le amministrazioni preposte a instaurare un monitoraggio continuo delle catture e delle uccisioni accidentali rispetto alle quali devono trasmettere un rapporto annuale al MATT. Le linee guida per il monitoraggio delle specie e degli habitat sono definite tramite decreto del Ministero dell’Ambiente, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (art.7).
Le specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa sono elencate nell’allegato D. I divieti di massima protezione previsti per la fauna presente in questo allegato sono stabiliti nell’articolo 8:
► art. 8 -Tutela delle specie faunistiche
Il MATTM, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, autorizza le deroghe ai divieti di cui agli articoli 8-10 per fini di protezione, per la prevenzione di danni specifici, per interesse della sanità, la sicurezza pubblica, inclusi i motivi socio-economici e a fini didattici, di ricerca, per il ripopolamento e la reintroduzione. Le deroghe concesse sono trasmesse con cadenza biennale alla CEE (art.11). Il MATTM promuove altresì programmi di ricerca per il monitoraggio e per l’individuazione di aree di collegamento ecologico funzionali (art. 14).
► Art. 11 – Deroghe
Il D.P.R. 120 apporta alcune modifiche al D.P.R. 357 identificando, nello specifico, il compito del MATT nella definizione di linee guida per il monitoraggio e per i prelievi e le deroghe delle specie rigorosamente protette. In particolare, l’art. 8 stabilisce che:
► Art. 8 ( Modifiche all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 35
► Art. 7 (Indirizzi di monitoraggio, tutela e gestione degli habitat e delle specie);
Protocollo Aspim (Aree Speciali di Protezione di Interesse per il Mediterraneo)
Il protocollo comprende l’istituzione di aree protette importanti per potere conservare le componenti della diversità biologica nonché di ecosistemi specifici al Mediterraneo o habitat di specie minacciate e di interesse scientifico, estetico e culturale garantendone la protezione. Le aree protette, denominate ASPIM, possono essere costituite da zone marine costiere sotto la giurisdizione dei Paesi o zone parzialmente/interamente in alto mare. I paesi che aderiscono si impegnano a mantenere in buono stato di conservazione la flora e la fauna marina e a garantire massima protezione alle specie elencate negli annessi del protocollo e a sviluppare Piani d’Azione Nazionali per la conservazione delle specie protette. Per le specie in Appendice 2, “Lista di specie in pericolo o minacciate”, il protocollo prevede che i paesi garantiscano misure di protezione e di conservazione per le specie vietandone l’uccisione, il commercio, ed il disturbo durante i periodi di riproduzione, migrazione, svernamento ed altri periodi in cui gli animali sono sottoposti a stress fisiologici. In particolare, gli art. 11 e 12 stabiliscono che:
► Parte III - Articolo 11
[…]
► Articolo 12
1.2.6 Regolamento 1967/2006/CE
Alcuni bivalvi sono comunemente consumati (cozze, vongole, cannolicchi, fasolari, pettini, telline), ma altri sono protetti: il Dattero di mare, il Dattero bianco, la Pinna nobilis e la Patella ferrosa - la Pinna e il dattero di mare sono inseriti nella lista di specie strettamente protette della Direttiva Habitat della Comunità Europea, mentre tutte e tre sono incluse nell'Appendice 2 del Protocollo ASPIM.
I 4 Bivalvi sono inclusi in questa lista poiché subiscono pressioni antropiche che mettono a rischio, o lo stato di conservazione della specie (nel caso della Pinna), o dell'ambiente in cui vivono (nel caso dei datteri).
E’ distribuito in tutto Mediterraneo e nell’oceano Atlantico orientale, dal Portogallo al Senegal. Presenta una conchiglia liscia, cilindrica, con valve uguali e arrotondate all’estremità, di colore marrone scuro. Spesso ha striature violacee lungo il dorso. Raggiunge una lunghezza di 8-12 cm
Vive nei fondali rocciosi di tipo calcareo. Qui perfora la roccia calcarea, scavando una galleria. Vive fino a 30 metri profondità; più frequente nei primi metri. E' capace di perforare il substrato fino a 20 cm di profondità (n.b. lithophaga significa “che si nutre di pietra").
Cresce molto lentamente. Tre anni dopo la fissazione al substrato arriva ad 1 cm ed impiega 15-20 anni per raggiungere i 5 cm di lunghezza. L‘ età degli esemplari più grandi è stimata intorno agli 80 anni.
La specie è consumata in tutti paesi Mediterranei per la sua prelibatezza ma è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli subacquei pneumatici che ne distruggono l’habitat costituito da biocenosi che ospitano molte specie autoctone. Tale sistema di pesca ha causato la rarefazione della specie in varie località mediterranee (i.e. il sud della Francia) e la distruzione di molte scogliere Mediterranee. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat.
Dattero rosso
La specie di per se non è minacciata ma la sua protezione è importante per diminuire l’impatto ambientale causato dalla sua pesca (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006)
E’ presente in tutto il Mediterraneo e nell'Atlantico orientale, dalla Gran Bretagna al Marocco. E' un bivalve perforante. Le valve sono di forma allungata e appuntita anteriormente. La superficie della conchiglia è bianco-grigia, con costole concentriche e strie radiali. Le estremità del mantello hanno proprietà fosforescenti, che rendono il bivalve luminoso, con toni verde-blu, in condizioni di illuminazione ridotta. Raggiunge una lunghezza media di 8 cm ed una massima di 15cm. Vive in substrati rocciosi (fessure, grotte o sotto massi) fino alla profondità di 20 metri. Scava delle gallerie in substrati di diversa natura come, fango solidificato, argilla, sabbie e rocce (scisti, calcari, gneiss, e graniti), compiendo movimenti rotatori delle valve.
Dattero bianco
La specie è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli pneumatici subacquei che portano la distruzione dei fondali. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat costieri.
Il dattero bianco è inoltre sensibile alla contaminazione da composti sintetici e metalli pesanti. (Reg. CE 1967/2006)
E’ una specie endemica, distribuita in tutto il Mediterraneo. E’ il bivalve più grande del Mediterraneo. La conchiglia è triangolare, allungata, sottile e fragile con la superficie cosparsa di lamelle squamose. Con il tempo si ricopre di organismi. Secerne il bisso, una sostanza filamentosa con cui si fissa sul fondo marino.
Il colore esterno è bianco sporco, l’interno madreperlaceo. L’altezza media è di 50 cm ma può raggiungere il metro.
Da larva, la pinna si insedia sul fondale marino (sabbioso) ed inizia a crescere. Si può trovare nelle praterie di Posidonia oceanica, su substrato sabbioso o anche su detritico grossolano. Vive a profondità massime di 30-40 metri (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006).
Pinna
Nel Mediterraneo occidentale ed in particolare in Italia, le popolazioni esistenti sono in forte diminuzione per svariate cause:
Consigli per la conservazione:
Storicamente presente in tutto il bacino, è endemica del Mediterraneo, anche se la sua distribuzione attuale è oramai molto puntiforme e limitata. La specie è segnalata nel mare di Alboran, nelle Isole Egadi, a Pantelleria, in Tunisia, in Sardegna ed in Corsica.
E’ estinta nelle coste continentali italiane e francesi ad eccezione di Piombino del promontorio di Portofino.
La conchiglia tondeggiante con un ampio piede muscoloso, spessa ed ornata da bande beige, presenta una superficie caratterizzata da solchi e rilievi costolari cospicui.
Patella ferrosa
E’ presente nell’ambiente litorale roccioso; qualche metro sopra il limite superiore dell’alta marea fino a qualche metro sotto il livello dell’acqua (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1976/2006).
Quando si parla di echinodermi, ossia di quel gruppo di animali del mare solitamente dotati di "spine sulla pelle", si fa riferimento generalmente ai ben noti ricci e alle stelle di mare. Pochi sanno che invece fanno parte di questa famiglia anche i crinoidi (o gigli di mare), le oloturie (o cetrioli di mare) e infine un particolare tipo di "stelle", se proprio così le vogliamo definire, dette ofiure o, più comunemente, stelle serpentine.
Il «riccio di mare» detto volgarmente femmina (Paracentrotus lividus) è una prelibatezza che il mare offre ai pescatori professionisti e sportivi. La normativa sulla pesca dei ricci di mare prevede che possono essere pescati solo i ricci che superano il diametro di 7 cm (compresi gli aculei), al contrario i più piccoli devono essere rilasciati in mare per permettere loro la crescita. In particolare il DPR n. D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 vieta la cattura del «Riccio Diadema».
Vive sulle scogliere coralline, dalla superficie fino a 30 metri di profondità. Prestare molta attenzione quando si maneggiano questi ricci: i loro aculei penetrano facilmente nella pelle, provocando spesso infezioni. Non dimenticate di mettere in vasca, alcuni ossi di seppia: saranno un'utile fonte di calcio per i ricci
In natura si nutre di alghe e detrito. In acquario si abitua a mangiare lattuga o verdura cotta, anche se talvolta non disdegna cibo di origine animale
Ha abitudini prevalentemente notturne; generalmente di giorno si nasconde tra gli anfratti delle rocce. I lunghi aculei costituiscono spesso un rifugio per alcuni piccoli crostacei e pesci. Vive in genere in gruppi numerosi. Il corpo misura circa 10 cm di diametro, gli aculei possono superare i 30 cm di lunghezza. Color nero.
Evitare di porre questo riccio assieme ai pesci balestra e pesci palla: nonostante gli aculei, infatti, questi pesci lo attaccano e spesso riescono a ucciderlo. Il riccio a sua volta può attaccare piccoli crostacei, soprattutto nel periodo della muta.
E’ vietato catturare o uccidere esemplari di questa specie nell’ambiente naturale. E’ inoltre vietato il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (D.M. 3/5/89; art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997).
L'aspetto degli Storioni, è fortemente caratterizzato: il capo è ricoperto da scudi ossei, il muso è allungato, con profilo superiore concavo, la bocca è infera, tubiforme, guarnita anteriormente da quattro barbigli.
Il corpo ha sezione pentagonale, con i vertici del pentagono corrispondenti a 5 serie longitudinali di caratteristiche placche ossee che percorrono il dorso, i fianchi e il ventre. La coda eterocerca contribuisce a dare a questi pesci una sagoma squaliforme.
Gli storioni risalgono i fiumi a scopo riproduttivo, ma trascorrono la maggior parte della vita in mare. In molti luoghi la risalita è oggi ostacolata da sbarramenti di varia natura e questo, assieme alla pesca e al degrado ambientale, è uno dei fattori che hanno determinato un drammatico calo delle presenze di questi pesci nelle nostre acque.
Due comunque sono le specie potenzialmente presenti: lo Storione comune (Acipenser sturio) che vive nei mari di tutta Europa e può superare i 3 m di lunghezza, e il più piccolo Storione cobice (Acipenser naccarii), che raggiunge di rado il metro e mezzo.
A prima vista è quasi indistinguibile dall'Acipenser sturio, tanto che le due specie sono regolarmente confuse dai pescatori, sportivi o professionisti, che in Italia hanno la fortuna di catturare questa rara specie di acipenseride. Il corpo di A. naccarii è slancíato, con sezione subcilindrica. Rispetto allo storione comune, ha testa più larga e tozza, ornata da placche ossee disposte in maniera simmetrica sui lati e sulla fronte. Il muso è più tozzo e corto, ad apice arrotondato e profilo superiore concavo, con gli scudi ossei di rivestimento più rilevati. La lunghezza del muso non supera un terzo di quella della testa. La bocca dello storione Cobice è ampia, ventrale, tubolare e protrattile, con il labbro posteriore, meno evidente che in A. sturio, sottile e nettamente inciso. La cavità orale, nello storione Cobice termina poco dopo l'estremità anteriore dell'opercolo, mentre nello storione comune termina a metà. L'apertura orale è preceduta da quattro barbigli che si originano più vicino all'estremità del muso che alla bocca. I barbigli non sono appiattiti e, se rivolti all'indietro, non raggiungono il labbro superiore. I primi scudi ossei della serie dorsale sono più piccoli dei successivi. Non sono mai presenti serie supplementari di placche ossee tra la serie di scudi ossei dorsali e quelle laterali. La colorazione del dorso e dei fianchi è bruna, tendente al nero od al verdastro, il ventre è biancastro. Appare simile a quella dello storione comune, tranne che per le pinne che sono verdastre invece che rosee. Gli scudi dorsali e laterali sono bruno-verdastri, mentre gli scudi ventrali possono assumere anche sfumature rosee. Gli scudi ossei sono sempre più chiari rispetto al colore di fondo.
Storione cobice
Le dimensioni della specie sono considerevoli: il cobice può raggiungere 25 kg di peso e 1,5 m di lunghezza.
Gli storioni sono principalmente predatori e si alimentano sul fondo catturando molluschi e altri invertebrati e occasionalmente pesci. La loro dieta comprende, seppur in minima parte, anche materiale vegetale.
Struttura dell'Acipenser naccarii
In Italia la specie è autoctona. È stato segnalato in tutti i mari, ma abita anche nei fiumi. Oggi, però, la presenza dello storione in acque interne è piuttosto scarsa. In mare predilige fondali sabbiosi e profondi 40-150 metri. In acque interne frequenta fiumi a grande portata con correnti lente e profonde, fondali melmosi, ghiaiosi o sabbiosi, prediligendo le buche più profonde dei fiumi. Lo storione è stato allevato e riprodotto con successo in grandissimi acquari.
A causa delle sue dimensioni, finora, è stato allevato soltanto in strutture pubb liche. Questo tipo di storione ha muso breve e largo, barbigli labiali più lunghi dello storione comune (Acipenser sturio). Può raggiungere dimensioni di 2 m, placche ossee sul dorso, fianchi e ventre.
Storione comune
Il colore è bruno olivastro, bianco sul ventre. Corpo allungato fusiforme ricoperto di 5 serie di scudi ossei. Muso lungo, triangolare a forma di rostro. Bocca piccola con 4 barbigli, disposta nella parte ventrale, priva di denti. Unica pinna dorsale posizionata verso il fondo; la pinna caudale ha la parte superiore molto più lunga. Occhio piccolo.
Colorazione grigio scura sul dorso, più chiara sul ventre. La lunghezza varia da 50 cm fino a 4 metri Storione
Struttura dell'Acipenser sturio
L’unico pinnipede presente nel Mediterraneo è la «Foca Monaca». Sono vietati la cattura o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 21/5/80). La CITES ha inserito la Foca Monaca nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie protette in pericolo di estinzione.
La Foca Monaca del Mediterraneo
(Monachus monachus)
È l’unico Pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha il corpo massiccio lungo circa 240-280 cm nel maschio adulto (la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai 350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato, ornato da lunghe vibrisse (i “baffi”); lunghe sopracciglia ornano gli occhi. Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua estremità. Le pinne posteriori, dalla forma molto caratteristica, hanno il primo e il quinto dito più lungo e le dita intermedie più corte. La coda è piccola e poco visibile. Il pelo è corto.
La specie fu descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flemming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili:
La foca monaca è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove lateralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una volta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il ventre.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni. Ogni due anni, dopo una gestazione di 11 mesi un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16 settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua.
Non restano che 300 esemplari di foca monaca del Mediterraneo, distribuiti tra Turchia, Mauritania, Spagna, Tunisia e Grecia. Fino agli anni ‘70 era presente in Sardegna, nelle isole Tremiti, all’isola d’Elba, accusata dai pescatori di rubare pesce dalle reti causando danni alle stesse è stata barbaramente uccisa per decenni persino con la dinamite. Data il suo scarso tasso riproduttivo,(ogni due anni un cuccioli dopo il quinto anno di età e data l’altissima mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto novembre, spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano il cucciolo incapace di nuotare per i primi quattro mesi) la sua sopravvivenza è legata solo all’opportuno ed efficace intervento dell’essere umano per la sua protezione e conservazione. Solo creando aeree protette e controllate si può sperare di riottenere i successi che sono stati raggiunti con la specie hawaiana. Ciò impedirebbe la scomparsa della specie dal Mediterraneo.
Le«tartarughe marine» appartengono all’ordine dei Cheloni, sono rettili che nel corso della loro evoluzione si sono adattati a vivere in mare. Sono 7 le specie che popolano i mari di tutto il mondo:
Per tutte le tartarughe che vivono nei mari italiani sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 31/5/89). La CITES ha inserito tutte le specie presenti nelle nostre acque nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie più minacciate e per le quali è tassativamente vietata qualsiasi forma di commercio.
Le specie di tartarughe marine esistenti
Nome scientifico Nome comune Nome inglese
Con una lunghezza massima di circa 140 cm di carapace è una delle tre specie di tartarughe marine che vivono in Mediterraneo. Il carapace presenta una colorazione marrone – rossiccia con 5 placche neurali, 5 paia di placche costali e 12 paia di placche marginali. Il piastrone ha una colorazione tendente al giallo. La sua alimentazione è costituita prevalentemente da crostacei e molluschi ma anche da organismi planctonici come ad esempio alcune specie di meduse. In alcuni contenuti stomacali sono stati ritrovati esemplari di cavallucci marini e pesci ago (generi Hippocampus e Syngnathus).
Caretta caretta: peculiarità
Il periodo della deposizione varia dai primi di maggio fino alla fine di agosto. Un nido è composto da un numero variabile di uova (fino ad un massimo registrato di 190). In Mediterraneo i maggiori siti di deposizione sono in Grecia, Turchia, Libia , Tunisia ed Italia. Questa specie è l’unica che regolarmente depone le uova in alcuni siti lungo le coste italiane ( es. Isole Pelagie).
Tartaruga comune (Caretta caretta)
Caratteristica sistematica di questa specie è la presenza di 5 placche neurali, 4 paia di placche costali e 11 paia di placche marginali. Il carapace ha una colorazione verde tendente al nero e il piastrone è giallastro. Raggiunge i 125 cm di carapace e i 250 kg di peso.
E’ una tartaruga erbivora che predilige le acque basse anche se nelle fasi giovanili è principalmente carnivora. Particolare è la ranfoteca dentellata che facilita la sua alimentazione basata principalmente su piante marine quali Posidonia e Zostera.
Chelonia mydas: peculiarità
Il periodo di deposizione è legato alla latitudine in cui esse vivono. In Mediterraneo i siti principali sono in Turchia, Cipro ed Israele principalmente nel periodo estivo. Ogni nido può essere formato da 38-195 uova.
Tartaruga verde (Chelonia mydas)
La particolarità di questa tartaruga è l’assenza di un carapace osseo che è stato sostituito da una pelle cuoiosa supportata da placche ossee. La colorazione è nera con macchie rosa prevalentemente sul collo e nella parte anteriore e posteriore degli arti. Le natatoie anteriori possono raggiungere i 2,5 metri di lunghezza. E’ la più grande tartaruga esistente: può raggiungere infatti i 2 m di lunghezza e i 700 Kg di peso. Nella parte anteriore della ranfoteca la presenza di due cuspidi forniscono, quando la stessa è chiusa, la caratteristica forma a W.
Dermochelys coriacea: peculiarità
Si nutre principalmente di meduse, salpe, calamari, larve di crostacei e pesci. Animali prevalentemente pelagici sono conosciuti per il loro comportamento durante la deposizione. Presente in Mediterraneo dove però non nidifica. Le deposizioni ad esempio avvengono da marzo a giugno in Colombia e da ottobre a febbraio in Messico. La tartaruga liuto si riproduce ogni 2-3 anni e può deporre da 4 a 5 nidi per stagione riproduttiva. Un nido può contenere un numero variabile di uova: da 46 a 160.
Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)
Tra le tartarughe marine è la più colorata: il carapace presenta striature marroni e nere su un fondo color ambra, il piastrone è giallastro. Presenta 5 placche neurali, 4 paia di costali e 11 paia di marginali come la Chelonia. Il suo nome deriva dalla conformazione delle placche che nei giovani sono in parte sovrapposte, quindi embricate. Con la crescita la struttura delle pacche cornee tende a uniformarsi risultando così perfettamente unite negli individui adulti. Si nutre principalmente di crostacei, molluschi e alghe raggiungendo anche i 100 metri di profondità. Si ciba inoltre di spugne. E’ la più tropicale delle tartarughe marine. Predilige le acque tropicali, calde e basse, dell’area indo-pacifica e dell’Atlantico centrale. In Mediteranno è considerata una specie occasionale. I luoghi di deposizione di questa specie sono molto isolati. Il periodo di nidificazione dipende dalla latitudine. Ogni nido può contenere da 71 a 250 uova. Anche se raggiunge la maturità sessuale abbastanza precocemente (intorno ai 3 anni) e i siti di deposizione siano molto isolati le popolazioni di tartarughe embricate sono molto rare. Infatti questa specie, nei tempi passati, è stata sempre soggetta ad una pesca finalizzata alla produzione di oggetti decorativi e gioielli. Sebbene oggi siano state istituite delle normative per la tutela di questa specie non è difficile trovare piccoli souvenir nei mercatini delle regioni che si affacciano nell’Oceano Indiano.
Tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata)
Tartaruga di piccole dimensioni era considerata frutto di un incrocio tra la tartaruga comune e la tartaruga verde. Per questo motivo era stata denominata “bastarda”. La livrea del suo carapace cambia con l’età. I piccoli sono grigio scuro per raggiungere una colorazione verde oliva negli individui adulti per poi ridiventare grigio scuro negli esemplari molto vecchi. Anche il piastrone cambia colorazione da bianco a giallastro. La sua alimentazione è principalmente carnivora. Le sue abitudine riproduttive sono poco conosciute ma sembra che questa specie deponga le uova in una sola spiaggia del Messico. Caratteristica di questa specie è il fenomeno della “arribada” un deposizione di massa. Ad esempio in una singola spiaggia di Racho Nuevo nel Golfo del Messico sono state registrate 40.000 femmine in deposizione. Con i passare del tempo il numero di femmine che determinano questo particolare evento sono drasticamente diminuite. Nel 1995 la grande arribada ha interessato soltanto 1429 femmine. I giovani di questa specie vivono soprattutto lungo le coste europee e africane dell’oceano Atlantico.
Tartaruga bastarda (Lepidochelys kempii)
La colorazione verde oliva del suo carapace conferisce il nome a questa tartaruga, la più piccola tra le specie di tartarughe marine (in media 68 cm di carapace).
Prevalentemente carnivora si nutre di pesci, molluschi (bivalvi e gasteropodi), crostacei (antipodi, isopodi), briozoi, ascidie. Come avviene per la tartaruga bastarda le femmine di questa specie si danno appuntamento e risalgono tutte insieme sulla stessa spiaggia per deporre le uova. In Messico il periodo di deposizione inizia con l’estate per protrarsi fino al tardo autunno. Ogni nido può essere formato al massimo da circa 102 uova. Vive nelle regioni tropicali dell’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico dove predilige le acque che coprono la piattaforma continentale.
Tartaruga olivacea (Lepidochelys olivacea)
Caratteristica di questa tartaruga è la presenza di un unico artiglio nelle pinne anteriori. Il carapace di forma piatta ed ellittica ha una colorazione verde- grigio mentre in piastrone è uniformemente chiaro.
Il suo habitat principale è caratterizzato da acque basse del sottocosta e quelle delle barriere coralline. Poco si conosce sulle sue abitudini alimentari. E’ una specie endemica dell’Australia dove, nel periodo compreso tra novembre e dicembre, depone le uova nella zone a nord-ovest del continente. Ogni nido contiene un numero ridotto di uova ( da 7 a 73 uova). Poco o niente si conosce circa il suo comportamento e le sue migrazioni.
Tartaruga piatta (Natator depressus)
I «Cetacei» un ordine di mammiferi euplacentati, completamente adattatisi alla vita acquatica. Il nome cetaceo deriva dal greco kētos, che significa balena o mostro marino e fu introdotto da Aristotele per designare gli animali acquatici dotati di respirazione polmonare.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce. Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti. Esiste un terzo sottordine, Archaeoceti, cui appartengono solo specie estinte.
Tra i misticeti si trovano gli animali comunemente chiamati balene, i più grandi conosciuti al mondo: in particolare la balenottera azzurra è il più grande animale mai esistito sulla Terra, più grande anche dei famosi Dinosauri. Tra gli odontoceti, invece, si trovano delfini e orche, spesso allevati e addestrati nei delfinari.
Nel Mediterraneo e in particolare nei mari italiani vivono in forma stanziale 2 specie di misticeti e 6 specie di odontoceti. Altre specie di odontoceti possono entrare nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra ed essere avvistate sporadicamente nei mari italiani.
Tutti i cetacei che vivono nei mari italiani sono inclusi nell’elenco delle specie rigorosamente protette nei mari europei (Convenzione di Berna, All. 2). Per tutti sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997). Per gli esemplari catturati in acque internazionali, valgono le norme della Convenzione di Washington.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce.
Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti.
LR: specie a basso rischio;
VU: specie Vulnerabile;
EN: specie in pericolo;
CR: specie in pericolo in modo critico
Il «Santuario dei Cetacei» si estende in un’area protetta di vaste dimensioni, ben 87.500 chilometri quadrati, quasi due volte la Svizzera, la maggior parte dei quali in acque internazionali, e ha come limiti Punta Escampobariu (43°20'00''N ; 004°50'30''E) in Francia, Capo Falcone (40°58'00'' N ; 008°12'00''E) e Capo Ferro (41°09'18'' N ; 009°31'00'' E) nella Sardegna Occidentale e Fosso Chiarone (42°21'24'' N ; 011°31'00'' E) in Toscana.
Confini del Santuario Mediterraneo per i Cetacei
Dopo anni di studi e progetti, la firma ufficiale che sancisce la nascita è stata firmata a Roma nell’ottobre del 1999 dai ministri italiano, francese e monegasco e rattificato dal Governo Italiano con legge n°391 dell''11 ottobre del 2001.
Il Santuario dei Cetacei comprende numerose "Aree Marine Protette", inoltre è delimitato da ben 5 grandi Aree Protette Terrestri: 4 Parchi Nazionali ed un Parco Regionale. Il Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria, il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, il Parco Regionale della Maremma Toscana, Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena ed il Parco Nazionale dell'Asinara. Essi possono essere considerati non solo i limiti geografici ma parte integrante del Santuario stesso, poichè l'area di tutela spesso si estende anche al mare.
Un triangolo marino ricco di vita, un ambiente che può vantare la più alta concentrazione di cetacei fra tutti i mari italiani e che con tutta probabilità rappresenta l'area faunisticamente più ricca dell'intero Mediterraneo.
Capodogli, balenottere comuni, delfini, grampi, globicefali costituiscono un ecosistema di grande ricchezza che connota quest'area come eccezionalmente produttiva e ricca di forme viventi.
Un ecosistema prezioso di cui occorre mantenere le condizioni ottimali se non si vuole correre il rischio di vederlo modificato dalle attività umane che si svolgono sul mare.
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Misticete
Famiglia: Balaenopteridae
Genere: Balaenoptera
Specie: Balaenoptera physalus
Dimensioni: fino a 21 m. di lunghezza oltre 50 t. di peso.
Corporatura: estremamente affusolata e idrodinamica.
Capo: cuneiforme, dorsalmente diviso a metà da una cresta longitudinale.
Pinna dorsale: alta e falcata, situata all’inizio del terzo posteriore.
Pinne pettorali: piccole e lanceolate.
Coda: possente, con marcato seno interlombare.
Colorazione: grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, sulla superficie inferiore delle pettorali e della coda; parte destra della mandibola bianca.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). E’ inclusa tra le specie di cetacei in pericolo mondiale di estinzione (CITES, App. 1).
Balenottera comune (Balaenoptera physalus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Globicephala
Specie: Globicephala melas
Dimensioni: 5-6 m. di lunghezza e 2 t. di peso.
Corporatura: allungata.
Capo: globoso e voluminoso, con melone pronunciato e rostro quasi assente.
Pinna dorsale: in posizione avanzata, con base molto larga.Pinne pettorali: lunghissime, sottili e ricurve.
Colorazione: nero ebano, talvolta le regioni golare e ventrale portano un disegno bianco.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Globicefalo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Globicefalo (Globicephala melas)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Physeteridae
Genere: Physeter
Specie: Physeter macrocephalus
Dimensioni: fino a 18 m. di lunghezza e oltre 50 t. di peso.
Capo: squadrato e di enormi dimensioni (tra ¼ e 1/3 delle dimensioni totali). Mandibola lunga, sottile e dotata di denti (nella mascella non erompono dalla gengiva).
Pinna dorsale: bassa, smussata, triangolare, posta prima del terzo posteriore. Dietro di essa sono presenti delle gibbosità che arrivano alla coda.
Coda: larga, triangolare, con margine posteriore rettilineo e cospicuo seno interlobare.
Colorazione: generalmente grigia uniforme, bordata di bianco sulla mandibola. Rari esemplari albini.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Capodoglio in particolare, è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 1).
Capodoglio (Physeter catodon)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Grampus
Specie: Grampus griseus
Dimensioni: circa 3,5 m. di lunghezza e 400 kg di peso.
Corporatura: relativamente slanciata ma tozza nella parte anteriore.
Capo: rotondeggiante con melone ben sviluppato, rostro assente.
Pinna dorsale: mediana, alta e falcata.
Pinne pettorali: lunghe e appuntite.
Colorazione: generalmente grigia con numerose graffiature chiare che aumentano con l’età.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Grampo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Grampo (Grampus griseus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Ziphiiidae
Genere: Ziphius
Specie: Ziphius cavirostris
Dimensioni: circa 6 m. di lunghezza e 3 t. di peso.
Corporatura: siluriforme e piuttosto tozza.
Capo: piccolo, lateralmente compresso, con piccolo melone e rostro corto; rima boccale corta, sigmoide.
Pinna dorsale: piccola, arretrata e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili, vicino al corpo vengono tenute in una apposita depressione.
Coda: grande, priva di seno interlombare.
Colorazione: grigia ardesia nel maschio, dal grigio al bruno nelle femmine, nero bluastro nel piccolo. Presenza di macchie e graffiature chiare.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Lo Zifio non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2), anche se si conosce molto poco sulla sua consistenza numerica.
Zifio (Ziphius cavirostris)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Stenella
Specie: Stenella coeruleoalba
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: slanciata ed elegante.
Capo: melone visibile, rostro lungo e sottile.
Pinna dorsale: di medie dimensioni e leggermente falcata.
Pinne pettorali: piccole e leggermente incurvate.
Colorazione: grigio scuro sul dorso, grigio chiaro sui fianchi, bianca sul ventre. Fiamma chiara vicino la dorsale. Tre striature scure che partono dall’occhio.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Anche se la frequenza di cattura è elevata nei mari europei, non è considerata in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2). Non sempre le catture vengono segnalate perché dalle Stenelle si ricava il “musciame”, che viene poi venduto clandestinamente.
Stenella (Stenella coeruleoalba)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Delphinus
Specie: Delphinus delphis
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: estremamente slanciata.
Capo: melone modesto ma distintamente separato dal rostro, che è lungo e sottile.
Pinna dorsale: relativamente alta e falcata, in posizione mediana.
Pinne pettorali: piccole, sottili e leggermente incurvata.
Colorazione: generalmente grigia scura sul dorso, biancastra sul ventre, area a forma di clessidra color senape sui fianchi, linea scura che congiunge la pettorale alla mandibola.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Al di fuori del Mediterraneo il Delfino comune non presenta particolare rischio di estinzione (CITES, App. 2). Le popolazioni dei mari europei invece sono a rischio, anche se le cause del declino sono sconosciute.
Delfino comune (Delphinus delphis)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Tursiops
Specie: Tursiops truncatus
Dimensioni: circa 3 m. di lunghezza e 300 kg di peso.
Corporatura: piuttosto tozza e possente.
Capo: melone ben sviluppato, rostro corto e tozzo.
Pinna dorsale: alta e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili.
Colorazione: generalmente grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, ma esistono numerose varianti.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). La densità del Tursiope nel mondo è ancora alta (CITES, App. 2) malgrado venga cacciato o catturato in numerosi stati: Nell’area geografica europea è in forte diminuzione.
Tursiope (Tursiops truncatus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Il “cavalluccio marino” è uno dei pesci più curiosi, per vari aspetti che lo caratterizzano come la forma e il modo in cui si muove, così elegante, e tra i pesci decisamente "singolare".
La struttura fisica si sviluppa su un asse verticale che consente a questi animali di tenere una posizione eretta. Il collo arcuato pone la testa in avanti, dalla caratteristica forma che ricorda quella di un piccolo cavallo, da cui appunto l’animale prende il nome, e con un muso allungato e tubolare. Sia la livrea sia le dimensioni variano da specie a specie.
Durante il nuoto il cavalluccio marino assume una posizione più avanzata e idrodinamica: si sposta sospinto dalla pinna dorsale, chiuso nella sua fragile armatura, e si aggrappa ad alghe o gorgonie, usando la lunga coda prensile.
Il genere Hippocampus appartiene alla famiglia Syngnathidae e vive nelle acque costiere di tutto il mondo, ad eccezione di quelle glaciali. Vive in media 4-5 anni.
Durante il ciclo vitale questa specie si riproduce più volte per stagione: come per le altre specie appartenenti a questa famiglia, dopo l'accoppiamento, che è solamente preceduto da una vera e propria danza nuziale, la femmina passa le uova in una speciale sacca incubatrice (marsupio) nel ventre del maschio, situata vicino all'apertura anale che le incuba per circa un mese.
Poco prima del parto, il maschio ha delle vere e proprie contrazioni che servono ad espellere i piccoli cavallucci. (evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [25]).
Alla nascita i piccoli avannotti [26]- che misurano pochi millimetri - sono già pronti per cacciare il cibo che trovano nella colonna d'acqua.
Alla schiusa, il maschio espelle gli avannotti [26] con delle contrazioni addominali simili al parto [27] femminile, evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [25].
I cavallucci marini si trovano in tutte le acque del mondo tranne quelle glaciali, prevalentemente in prossimità delle coste dove trovano rifugio e sostegni dove potersi ancorare durante i movimenti con la lunga coda prensile. Sono particolarmente diffusi nelle barriere coralline [28] e nelle praterie di fanerogame [29] marine come la Posidonia oceanica [30].
Tutte le specie del genere Hippocampus sono state inserite nella Appendice II della Convention on International Trade of Endangered Species (CITES [31]).
Nonostante molti divieti internazionali, in alcuni paesi è pescato per essere poi venduto essiccato come oggetto decorativo o curativo specialmente sul mercato asiatico.
L’eccessivo sfruttamento da parte della pesca professionale ed in particolar modo di quella illegale hanno ridotto in modo consistente gli stock della specie nel mare Mediterraneo, al punto che l’Unione Europea sta attualmente valutando l’opportunità di inserire il tonno nell’elenco delle “specie a rischio”, con l’obiettivo di assicurargli maggiore protezione e limitarne ancor più la pesca.
Nel frattempo l’Unione ha introdotto regole più severe, subordinando ad esempio la pesca sportiva e ricreativa del prezioso tonno ad una «autorizzazione preventiva», valida unicamente nel periodo dal 15 giugno al 15 ottobre, ma al momento è difficile stabilire il livello di efficacia di queste misure, che non eliminano il problema di fondo della pesca incontrollata e illegale.
E’ su questo aspetto che si devono concentrare gli sforzi dell’Unione e dei paesi membri: l’Italia, ad esempio, non ha un corpo specificamente dedicato alla tutela ambientale ed al controllo della pesca, e se anche le Capitanerie di Porto svolgono specifiche funzioni in questo ambito, è evidente che la molteplicità dei compiti svolti e la limitata disponibilità di mezzi finiscono per minare l’efficacia della sua azione di contrasto dei fenomeni di illegalità.
La pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) in Mediterraneo è soggetta, come detto, a normativa CE. L’adesione della Comunità Europera all’ICCAT (International Commission for Conservation of Atlantic Tuna) fa si che anche in Mediterraneo venga applicata la “Raccomandazione ICCAT” entrata in vigore il 21 giugno 1999[1] . Il Reg. (CE) 302/2009, concernente “un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento (CE) n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007”) disciplina l’attività di pesca proprofessionale nonché quella sportivo-ricreativa. della specie.
La Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”, fornisce ulteriori elementi di chiarificazione circa l’applicazione degli obblighi normativi comunitari relativi alla cattura del tonno rosso ed in particolare quelli derivanti dall’introduzione del Regolamento (CE) n° 302/2009 citato che di seguito si riassume.
[1] In occasione dell’undicesima sessione straordinaria svoltasi a Santiago de Compostela (Spagna) dal 16 al 23 novembre 1998, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Altantico (ICCAT) ha raccomandato una serie di regole specifiche riguardanti le taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso. Al fine di garantire una più efficace protezione del novellame è stata segnatamente modificata una precedente raccomandazione intesa a vietare gli sbarchi di tonno rosso di età 0, finora classificato come pesce di peso pari a 1,8 kg, per vietare lo sbarco di pesci di peso inferiore a 3,2 kg. E’ stato altresì raccomandato di modificare le date relative al fermo stagionale della pesca al cianciolo.
In quanto membro dell’ICCAT, la Comunità è vincolata da tali raccomandazioni, entrate in vigore il 21 giugno 1999.
Le disposizioni in materia di taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso sono fissate dai regolamenti (CE) n. 1626/94 e (CE) n. 850/98 del Consiglio per quanto riguarda, rispettivamente, il Mare Mediterraneo e le regioni da 1 a 8 degli oceani Atlantico e Indiano. Per conformarsi ai propri obblighi internazionali, la Comunità deve adeguare tali regolamenti al fine di integrarvi le raccomandazioni dell’ICCAT. La presente proposta è finalizzata a tale obiettivo.
Per ridurre lo sforzo di pesca sono stati fissati dei periodi di fermo sia per i «palangari di superficie» che per i «ciancioli» (art. 7 Reg.).
In deroga, se uno Stato membro può dimostrare che, a causa dei venti di forza 5 o più sulla scala Beaufort, alcune delle proprie navi da cattura che praticano la pesca del tonno rosso con reti a circuizione nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo non hanno potuto utilizzare i giorni di pesca loro assegnati, tale Stato membro può riportare fino a 5 giorni persi entro il 20 giugno. Lo Stato membro interessato notifica[1] alla Commissione entro il 14 giugno i giorni di pesca supplementari concessi.
[1] Tale notifica è corredata delle seguenti informazioni: i) una relazione che illustri i particolari della cessazione del-l’attività di pesca in questione contenente le pertinenti infor-mazioni di tipo meteorologico; ii) il nome della nave da cattura; iii) il numero unico di registrazione di un peschereccio (CFR) secondo la definizione dell’allegato I del regolamento (CE) n. 26/2004. La Commissione trasmette senza indugio all’ICCAT queste in-formazioni.
La «taglia minima» per il tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo è di 30 Kg. o 115 cm.
In deroga e fatto salvo le catture accessorie, la taglia minima per il tonno rosso è di 8 kg o 75 cm nei casi seguenti:
Catture accidentali con una "tolleranza del 5%" di tonno rosso di taglia compresa fra 10 kg (o 80 cm) e 30 kg sono autorizzate per tutte le navi da cattura che praticano la pesca attiva di tale specie (art. 11 Reg.)
La percentuale è calcolata in base alle catture accidentali totali di tonno rosso effettuate dalle suddette navi da cattura, in numero di esemplari per sbarco, o all’equivalente peso, espresso in percentuale.
Le navi da cattura comunitarie che non praticano la pesca attiva del tonno rosso non sono autorizzate a detenere a bordo catture di tonno rosso superiori al 5 % delle catture totali presenti a bordo in peso e/o numero di esemplari.
Quando è aperta la pesca del tonno rosso è vietato rigettare in mare gli esemplari morti delle catture accessorie.
Il comandante di una nave comunitaria "autorizzata alla cattura attiva" del tonno rosso con «sistema a circuizione», o di un’altra nave da cattura di "lunghezza (lft) superiore a 24 metri", autorizzata con «sistema palangari», trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera, (MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) per via elettronica o con altri mezzi una «dichiarazione di cattura giornaliera» (art. 20 Reg.) comprendente le seguenti informazioni:
Il comandante di una nave da cattura di "lungheza inferiore (lf) a 24 metri", autorizzata alla cattura del tonno rosso con «sistema palangari», è tenuta a trasmettere al citato Dicastero, una «dichiarazione di cattura settimanale» comprendente le seguenti informazioni:
La dichiarazione di cattura è trasmessa, al più tardi, entro le ore 12 (dodici) di lunedì con le catture effettuate nella settimana precedente, avente termine alle ore 24 (ventiquattro) GMT della domenica. Tale dichiarazione comprende informazioni sul numero di giorni in mare trascorsi nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo dall’inizio della pesca o dall’ultima dichiarazione settimanale
In caso di sbarco in uno dei porti comunitari designati, il comandante della nave da pesca comunitaria che ha catturato tonno rosso anche se accidentalmente (o il suo rappresentante), deve darne «pre-notifica», alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) o alla PCC (le parti contraenti della convenzione e le parti, entità o entità di pesca non contraenti cooperanti) di cui intendono utilizzare i porti o i luoghi di sbarco, almeno "quattro ore" prima della prevista ora di arrivo in porto (OPA), (art. 21 comma 1 Reg.) Tale pre-notifica deve contenere le informazioni:
Le Autorità dello Stato membro di approdo conservano una registrazione di tutti i preavvisi di sbarco dell’anno in corso.
Entro 48 ore dalla conclusione dello sbarco le Autorità dello Stato membro di approdo trasmettono un «rapporto di sbarco» all’Autorità dello Stato di bandiera della nave.
Dopo ogni bordata ed entro 48 ore dallo sbarco i comandati delle navi da cattura comunitarie presentano una «dichiarazione di sbarco» (in calce alla relativa pagina del Logbook) alle Autorità competenti dello Stato membro o della PCC in cui ha luogo lo sbarco e al proprio Stato membro di bandiera.
Il comandante della nave da cattura autorizzata è responsabile dell’esattezza della dichiarazione, che indica perlomeno i quantitativi di tonno rosso sbarcati e il luogo in cui sono stati catturati. Tutte le catture sbarcate sono pesate e non stimate. Tale ultima disposizione non si applica agli sbarchi effettuate da tonniere con lenze a canna e da unità con lenze trainate nell’Atlantico orientale, agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mare Adriatico ai fini di allevamento e agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mediterraneo nell’ambito della pesca costiera artigianale di pesce fresco da tonniere con lenze a canna, pescherecci con palangari e pescherecci con lenze a mano.
Prima di effettuare un’operazione di trasferimento in gabbie rimorchiate (art. 22 Reg.), il comandante di una nave da cattura trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) una «notifica preventiva di trasferimento» indicante i dati seguenti:
L’operazione di trasferimento può avere inizio solo con la "previa autorizzazione" dello Stato di bandiera della nave da cattura. Lo Stato membro di bandiera informa il comandante della nave da cattura che il trasferimento non è autorizzato e che deve procedere al rilascio in mare del pesce se, all’atto del ricevimento della notifica preventiva di trasferimento, ritiene che:
oppure;
Il comandate di una nave da cattura compila e trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), una volta ultimata l’operazione di trasferimento al rimorchiatore, la «dichiarazione di trasferimento ICCAT».
La dichiarazione di trasferimento accompagna il trasferimento del pesce durante il trasporto verso l’allevamento o un porto designato. L’autorizzazione di trasferimento da parte dello Stato di bandiera non pregiudica l’autorizzazione dell’operazione di ingabbiamento.
Il comandante della nave da cattura deve assicurare che tutti i trasferimenti di tonno rosso dalla rete di circuizione alla gabbia, effettuati dalla sua unità, siano ripresi da una "videocamera" posta nell’acqua, al fine di consentire il monitoraggio dell’attività svolta.
E’ vietato il trasbordo di tonno rosso in mare nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo (art. 23 Reg.). Le operazioni di trabordo sono consentite solo previa «autorizzazione» dei rispettivi Stati di bandiera.
In caso di trasbordo in uno dei porti comunitari designati e prima dell’entrata in porto, il comandante della nave ricevente o un suo rappresentante deve darne «pre-notifica», almeno 48 ore prima dell’ora prevista di arrivo, alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) del porto che intende utilizzare.
Tale prenotifica deve contenere le seguenti informazioni:
Le navi da pesca non sono autorizzate a effettuare trasbordi senza previa autorizzazione dei rispettivi Stati di bandiera. Prima di cominciare il trasbordo il comandante della nave da pesca che effettua il trasbordo trasmette al proprio Stato di bandiera le informazioni di seguito indicate:
L’Autorità competente dello Stato membro del porto in cui è effettuato il trasbordo:
I comandanti delle navi da pesca comunitarie compilano una «dichiarazione di trasbordo ICCAT» (in calce alla relativa pagina del Logbook) e la trasmettono alle Autorità competenti dello Stato membro di cui le navi da pesca battono bandiera. Tale dichiarazione è trasmessa entro e non oltre 48 ore delle operazioni dalla conclusione delle operazioni di trasbordo.
Le catture della tonnara sono registrate al termine di ogni operazione di pesca effettuata mediante tonnara e trasmesse all’autorità competente dello Stato membro in cui la tonnara si trova (Capo del Compartimento marittimo competente e al MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), per via elettronica o con altri mezzi, entro 48 ore dalla conclusione di ogni operazione di pesca (art. 26 Reg.).
Non appena ricevute le dichiarazioni di cattura, gli Stati membri le trasmettono per via elettronica alla Commissione. La Commissione trasmette sollecitamente tali informazioni al segretariato dell’ICCAT.
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per garantire che tutte le navi da cattura figuranti nel registro ICCAT delle navi autorizzate a praticare la pesca attiva del tonno rosso che entrano in un porto designato al fine di sbarcare e/o trasbordare catture di tonno rosso effettuate nell’Atlantico orientale o nel Mediterraneo siano sottoposte a controllo in porto (art. 27 Reg.).
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per procedere al controllo di ogni operazione di ingabbiamento nelle aziende di ingrasso o di allevamento soggette alla loro giurisdizione.
Se le aziende di ingrasso o di allevamento sono situate in alto mare, le disposizioni di cui sopra, si applicano, mutatis mutandis, agli Stati membri in cui sono stabilite le persone fisiche o giuridiche responsabili dell’azienda di ingrasso o di allevamento.
Per maggiori approfondimenti vedi: Reg. (CE) 302/2009 e Circolare n° 10778/2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”.
Durante la fase di sbarco del prodotto ittico catturato presso le banchine per il successivo carico su vettori stradali dovranno essere osservate le norme nazionali e comunitarie emanate in materia igienico-sanitaria.
L’Autorità marittima potrà richiedere al Dipartimento di prevenzione – Area sanità pubblica veterinaria dell’Azienda Unità Sanitaria Locale N. ____ di _________ la verifica del rispetto delle condizioni igienico-sanitarie durante le operazioni di sbarco.
Sono vietate operazioni di lavorazione del prodotto in banchina.
Al termine delle operazioni di travaso, dovrà essere assicurata la pulizia del tratto di banchina utilizzato.
Al momento dell’arrivo presso la banchina del porto designato e successivamente all’avvenuto sbarco del prodotto, a cura del Comandante dell’unità da pesca dovrà essere resa prontamente disponibile e posta in visione al personale dell’Autorità Marittima presente in banchina, la documentazione di cui al Regolamento (CE) n° 302/2009 (come richiamata dalla Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009), secondo la tempistica prevista, decorrente dall’orario in cui sono terminate le operazioni di sbarco stesse. In particolare andrà curata la corretta compilazione della seguente documentazione:
La nota di vendita del prodotto (fattura o documento equivalente) di che trattasi, all’atto della prima vendita, deve essere rilasciata dai centri per la vendita all’asta del mercato ittico, da altri organismi autorizzati, ovvero dal compratore autorizzato; tale documentazione deve essere inviata all’Autorità marittima del luogo ove è avvenuta la prima vendita. La nota di vendita dovrà contenere le seguenti informazioni:
Della presentazione delle note di vendita in cui si trovano elencati tutti i dati sopra elencati sono responsabili i suddetti centri per la vendita all’asta o gli altri organismi o persone autorizzate.
Nel caso in cui il prodotto non sia venduto direttamente, verrà rilasciata una dichiarazione di assunzione in carico da parte dell’armatore dell’imbarcazione o del suo mandatario. La dichiarazione di assunzione in carico dovrà contenere le seguenti informazioni:
Il Regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite, si applica alle navi da pesca, adibite o destinate allo sfruttamento commerciale delle risorse di tonno rosso, incluse le navi da cattura, le navi officina, le navi di appoggio, i rimorchiatori, le unità che partecipano a operazioni di trasbordo, le navi da trasporto attrezzate per il trasporto di prodotti a base di tonno e le navi ausiliarie, tranne le navi container.
Gli Stati membri provvedono inoltre affinché tutti i rimorchiatori battenti la loro bandiera, a prescindere dalla lunghezza, siano dotati di un «impianto di localizzazione e di controllo via satellite» a norma degli articoli da 3 a 16 del Regolamento (CE) n. 2244/2003. 2.
Gli Stati membri provvedono affinché i loro centri di controllo della pesca trasmettano alla Commissione e ad un organismo designato dalla stessa, in tempo reale e nel formato «https data feed», i messaggi del sistema di controllo via satellite (VMS) ricevuti dalle navi da pesca battenti la loro bandiera. La Commissione trasmette tali messaggi per via elettronica al segretariato dell’ICCAT.
Sistema di controllo dei pescherecci via satellite (VMS) (DM 10 /11/2004)
Gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che tutti i messaggi resi disponibili alle loro navi da ispezione siano trattati in modo riservato e siano limitati alle operazioni di ispezione in mare.
Il «Sistema di Controllo Satellitare Pesca» (SCP) è un sistema di localizzazione e controllo delle navi da pesca nazionali basato sull'utilizzazione di tecnologie satellitari.
Il sistema SCP consente il monitoraggio dei pescherecci aventi lunghezza fuori tutta superiore ai 15 mt in termini di posizione, rotta e velocità, di archiviare e gestire le relative informazioni, di rappresentare lo scenario su idoneo sistema cartografico di presentazione.
Le unità da pesca sono state dotate di un apposito apparato di bordo (c.d. "Blue Box"), attivato all'interno della rete di trasmissione satellitare «Inmarsat», che consente di trasmettere al Centro di Controllo le informazioni relative alla posizione, velocità e rotta dell'imbarcazione, alle emergenze ed agli allarmi nonché di ricevere dal Centro i parametri necessari alle impostazioni di funzionamento e di controllo.
Il sistema SCP consente la ricezione e trasmissione dei dati tramite «Inmarsat-C», con l'archiviazione automatica dei messaggi in arrivo ed in partenza e la possibilità di interrogazione degli archivi storici:
La struttura tecnico/informatica e di localizzazione pescherecci che costituisce il sistema SCP (Sistema di Controllo Pesca) comprende:
La Blue-Box costituisce il sottosistema del «Sistema VMS» (Vessel Monitoring System) e garantisce sia la localizzazione continua del peschereccio, che il suo uso da parte del comandante per l'invio degli "Effort Report" (messaggi di servizio da inviare all'uscita e rientro dai porti e dalle zone di pesca).
Il sistema radio è di tipo omologato per installazioni su unità (secondo la normativa vigente) e utilizza frequenze adibite alle telecomunicazioni marittime.
E' l'unità centrale in cui sono presenti tutti i database rientranti nella normativa ed è il mezzo di raccolta e supervisione su cui vengono inviate e visualizzate tutte le informazioni di posizione e di entrata/uscita dai porti e dalle zone di pesca protette.
Qualora un peschereccio battente bandiera italiana si avvicini o entri in acque territoriali di altro Stato costiero della comunità europea, il CCNP invierà, in formato elettronico, tutte le informazioni relative a quel peschereccio al CCP dello stato membro in questione.
Anche ogni Sistema di Controllo Pescherecci (SCP) di altri paesi membri, invierà al CCNP Italiano le informazioni, in formato elettronico, relative ai pescherecci registrati presso la loro nazione e che temporaneamente si trovano in acque territoriali italiane.
Sono unità elaborative dislocate su quindici centri territoriali italiani (Direzioni Marittime) che, collegate con l'unità centrale del CCNP, permettono di gestire le informazioni riguardanti i pescherecci che navigano nelle loro zone di competenza o su cui stanno effettuando i controlli.
I CCAP sono: Genova, Livorno, Napoli, Reggio, Calabria, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Catania, Palermo, Cagliari, Pescara e Olbia.
E' l'insieme delle linee che collegano tra di loro:
Il collegamento satellitare bidirezionale tra il sistema di bordo e il CCNP, è la gateway satellitare che permette di scambiare i messaggi tra il sistema di bordo e il CCNP.
Sistema di Controllo Satellitare delle attività di pesca
Gli Stati membri auspicano che chiunque si approcci al mare per finalità ludico-sportivo-ricreative si faccia promotore di una cultura sempre più volta alla conservazione dell’ambiente marino e delle sue risorse ed alla sostenibilità delle attività svolte in esso.
Per regolare e disciplinare l’attività di pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) e le attività connesse secondo la disciplina e le norme stabilite in seno ai vigenti Regolamenti comunitari ed alla normativa nazionale, le Capitanerie di Porto recependo la regolamentazione in materia, hanno emesso apposita “Ordinanza” al fine di regolare il prelievo di tonno rosso da parte della pesca sportiva e ricreativa. A tal infine vengono indicate rispettivamente le “regole” basilari che il pescatore sportivo/ricreativo ha l’obbligo rispettare proprio per scongiurare che il tonno rosso, già abbondantemente sfruttato ed in via di estinzione in altri mari, possa estinguersi anche nel nostro mare.
► Divieti:
► Divieti:
Anche per la pesca sportiva vale la regola…”garantire, per quanto possibile, il rilascio dei tonni catturati vivi, in particolare del novellame”.
Le manifestazioni di pesca sportiva potranno avvenire solo se preventivamente autorizzate dall’ Autorità Marittima competente. I dati delle catture di tonno rosso nell’ambito delle manifestazioni sportive dovranno essere comunicati all'Autorità Marittima nel cui Circondario marittimo si svolgono le manifestazioni.
Il Ministero ha dato attuazione al Regolamento prevedendo che l'esercizio della pesca sportiva e ricreativa sia consentita ai soli possessori di specifiche “autorizzazioni” rilasciate dalle Autorità marittime (art. 12 Reg.).
L'obbiettivo e quello di monitorare le catture dei tonni e di tenere sotto controllo il quantitativo totale pescato.
Pertanto, i pescatori sportivi o ricreativi che intendano esercitare la pesca del tonno rosso dovranno chiedere il rilascio dell’autorizzazione all’Ufficio Circondariale Marittimo nella cui giurisdizione si trova il porto di stanza dell’unità da diporto da adibire a tale attività (se il porto in questione ricade nella giurisdizione di una Capitaneria di Porto, l’autorizzazione dovrà essere richiesta alla Sezione Pesca di quel Comando).
E’ il caso di chiarire che tale autorizzazione ha validità su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’Ufficio che ne ha curato il rilascio ed è limitata all’anno corrente.
Dichiarazione di cattura del tonno rosso (Reg. (CE) N. 302/2009)
Nome e/o numero di iscrizione dell’unità da diporto: __________________________________
(per i natanti, il proprietario dovrà indicare anche le matricole dei motori, come risultanti dai relativi documenti)
Riferimento comunicazione [ ] VHF [ ] telefono in data : _____________ alle ore: _______
Data: Il Comandante dell’unità ____________________
Modalità per effettuare la comunicazione preliminare
SI RICORDA CHE:
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Gli esemplari di tonno rosso provenienti dalla pesca sportiva o ricreativa possono essere sbarcati presso gli approdi del Circondario Marittimo.
Al termine della battuta di pesca, prima di rientrare in porto, i conduttori delle unità da diporto che intendano sbarcare tali esemplari, hanno l’obbligo di «prenotificare» il loro arrivo in porto, via VHF o telefonicamente, all’Autorità Marittima del porto di sbarco (ovvero alla più vicina Capitaneria di Porto), comunicando l’orario di previsto arrivo con congruo anticipo. al fine di dare la eventuale possibilità, al personale addetto, di effettuare il controllo direttamente in banchina.
Per lo sbarco del tonno rosso proveniente da operazioni di pesca sportiva e ricreativa non è obbligatoria la presenza di “ispettori” degli Organi di controllo ferma restando, tuttavia, la permanenza obblighi di prenotifica e di consegna della dichiarazione di cattura entro le 24 ore dallo sbarco.
Entro 24 ore dallo sbarco deve essere consegnata, ovvero trasmessa all’Autorità Marittima del porto di sbarco, una copia della«dichiarazione di cattura», utilizzando il modello apposito allegato all’Ordinanza.
Le unità adibite ed autorizzate alla pesca sportiva o ricreativa, una volta ormeggiate in porto, non potranno iniziare le operazioni di sbarco degli esemplari catturati sino a quando non sarà presente in banchina un incaricato dell’Autorità Marittima o, comunque, prima di aver ricevuto il preventivo nulla osta da parte della stessa.
I contravventori alla «Ordinanza» saranno perseguiti ai sensi della normativa vigente, ed in particolare, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, dalle disposizioni di legge di seguito elencate:
Il «fermo pesca» che interessa ormai da parecchi anni le unità autorizzate ad effettuare la pesca con i «sistemi a strascico e/o volante», è quel periodo di interruzione, solitamente durante la stagione estiva, che si attua per permettere la riproduzione di specie bentoniche e pelagiche.
Il fermo dell’attività di pesca che tiene conto delle esigenze di tutela degli stock ittici, può essere definito quindi come «l’arresto temporaneo delle navi da pesca per un periodo di 45 giorni consecutivi, per il quale lo Stato corrisponde un premio».
Da esso bisogna distinguere il «fermo tecnico», ossia il periodo di arresto supplementare in aggiunta al fermo biologico, per il quale non è corrisposto alcun premio, di cui alla Legge 41/1982.
Il calendario prevede il fermo biologico, per le unità da pesca iscritte nei «Compartimenti marittimi tirrenici e ionici», nel periodo… dal 31 agosto al 14 ottobre e, per le unità da pesca iscritte nei «Compartimenti marittimi adriatici», nel periodo… dal 31 luglio al 13 settembre
Nelle acque antistanti i Compartimenti marittimi in cui è attivato il fermo pesca, non è consentita la pesca a strascico o volante a nessuna unità da pesca, anche se proveniente da altri Compartimenti.
Non sono soggette al fermo biologico e possono esercitare la pesca nei periodi di interdizione, tutte le unità abilitate al «sistema di pesca a sciabica».
Per le unità iscritte nei Compartimenti marittimi della Sicilia e Sardegna il fermo biologico è disciplinato dalle rispettive legislazioni regionali. Per Sicilia e Sardegna saranno dunque i Governi regionali a decidere le opportune misure di tutela delle risorse ittiche.
Approfondimenti
Fermo bilogico 2009 in Sardegna
A partire dal 15/9/2009 sul lato occidentale e dal 22/9 sul lato orientale della Sardegna, per 45 giorni, la Regione Autonoma della Sardegna (RAS) ha decretato il fermo biologico per la pesca con reti da posta e palangari, ma si fermerà anche la pesca subacquea dei dilettanti in tutti i giorni della settimana tranne il week end, non si fermerà invece quella dei pescatori subacquei professionisti e non si fermerà, anche se ne limita gli attrezzi da pesca, quella della pesca dei dilettanti di superficie ( i”cannisti”).
Dal 15 settembre al 5 novembre inclusi vige il fermo biologico che riguarderà anche i pescatori sportivi. Esso sarà articolato in questo modo:
In queste acque la pesca sportiva marittima dovrà essere esercitata esclusivamente alle seguenti condizioni:
La pesca subacquea sportiva può essere esercita nelle sole giornate di sabato, domenica e festivi.
Le limitazioni imposte dal fermo non riguardano le gare di pesca sportiva promosse dalle competenti Federazioni, Associazioni o Enti di promozione che abbiano già ottenuto, alla data di entrata in vigore del presente decreto, la specifica autorizzazione dall’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma agro pastorale e dall’Ufficio Statale Marittimo Competente per territorio.
E’ ammessa la pesca con altri sistemi, previa esplicita istanza al Capo del Compartimento competente. Le Navi abilitate allo strascico e/o volante, od autorizzate alla “Pesca Turismo” possono optare per la continuazione della pesca durante il periodo di interruzione, rinunciando agli aiuti previsti, “previo sbarco delle attrezzature per lo strascico e/o volante” (la rinuncia deve annotarsi sulla Licenza di Pesca)
Di tale scelta l’armatore deve fornire comunicazione entro il giorno precedente l’inizio dell’interruzione alla Capitaneria di porto competente. Tali navi possono riprendere la pesca a strascico e/o volante solo a partire dalla 9^ settimana successiva al termine del periodo di interruzione.
Durante il periodo di fermo è consentita sia la manutenzione ordinaria che straordinaria, nonché operazioni di rinnovo certificati di sicurezza; è altresì ammesso il raggiungimento del luogo ove tali operazioni si devono effettuare, attestate da un impegno del cantiere e previo sbarco delle attrezzature da pesca.
L’autorizzazione è rilasciata dall’Ufficio marittimo di iscrizione, per il tempo strettamente necessario al raggiungimento del cantiere.
Se il disarmo per manutenzione è avvenuto prima dell’inizio del periodo di fermo, l’unità non è ammessa al beneficio del premio.
L’unità deve essere stata armata ed equipaggiata per almeno 120 giorni dell’anno civile quello precedente il fermo.
Salvi i casi di forza maggiore o sbarco volontario, non è consentito lo sbarco di membri di equipaggio nei 10 giorni precedenti e nei 30 giorni successivi il periodo di fermo biologico, nei casi di sbarco per forza maggiore, l’indennità è corrisposta fino alla data dello sbarco; nel caso di reimbarco da infortunio o malattia, l’indennità e corrisposta dalla data di reimbarco; in tutti gli altri casi, l’indennità è corrisposta al numero degli imbarcati risultante il giorno precedente l’inizio del fermo biologico.
Entro il primo giorno di interruzione della pesca, l’Armatore deve:
L’Autorità marittima competente accerta che:
L’Autorità marittima competente, sulla base dei prospetti di liquidazione redatti dalla Capitaneria di porto, emana gli "ordini di pagamento", singoli o cumulativi (in questo caso i soggetti beneficiari debbono, entro 7 giorni dalla disponibilità della somma, versare ai singoli interessati “importo al netto della quota associativa sindacale”).
Contro i provvedimenti emessi dalla Capitaneria di porto sono ammessi “mezzi impugnativi previsti dalle leggi vigenti”.
Chiunque attua la pesca con sistemi a strascico e/o volante nelle acque dei Compartimenti marittimi in cui è prevista l’interruzione temporanea della pesca, anche se provenienti da altri compartimenti marittimi: sospensione licenza di pesca per 30 giorni.
Nessun aiuto è previsto per l’armatore che non rispetta il “Contratto Nazionale Collettivo.
Per tutto il periodo di interruzione temporanea della pesca è concesso:
Nessun aiuto è previsto per la nave posta in disarmo prima dell’inizio dell’interruzione temporanea della pesca e che permane in disarmo durante il periodo di interruzione.
Il premio non è cumulabile con altri benefici concessi dalle Regioni, Enti pubblici, Province, Comuni, fatta salva la possibilità di integrazione nella misura massima concedibile.
Links:
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Popolazione_biologica
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesce
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_commerciale
[4] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Biologia_della_pesca&action=edit&redlink=1
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Benthos
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_greca
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Pelagico
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Sessile
[9] http://www.rivamar.it/pescapedia/tonno.html
[10] http://www.rivamar.it/pescapedia/pesce-spada.html
[11] http://www.rivamar.it/pescapedia/sardina.html
[12] https://it.wikipedia.org/wiki/Animali
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Substrato_(ecologia)
[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Rocce
[15] https://it.wikipedia.org/wiki/Scafo
[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Imbarcazione
[17] https://it.wikipedia.org/wiki/Alghe
[18] https://it.wikipedia.org/wiki/Spugne
[19] https://it.wikipedia.org/wiki/Corallo
[20] https://it.wikipedia.org/wiki/Briozoi
[21] https://it.wikipedia.org/wiki/Crostacei
[22] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Balanidae&action=edit&redlink=1
[23] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Chthamalidae&action=edit&redlink=1
[24] https://it.wikipedia.org/wiki/Ascidiacea
[25] https://it.wikipedia.org/wiki/Gravidanza_maschile
[26] https://it.wikipedia.org/wiki/Avannotto
[27] https://it.wikipedia.org/wiki/Parto
[28] https://it.wikipedia.org/wiki/Barriera_corallina
[29] https://it.wikipedia.org/wiki/Fanerogama
[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Posidonia_oceanica
[31] https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_sul_commercio_internazionale_delle_specie_minacciate_di_estinzione