"Il Procedimento Penale"
Concetto di procedimento
Il diritto penale ricomprende tutte le norme che sanzionano con la pena un fatto illecito denominato reato. Poiché la pena è la più drastica, infamante e intimidatoria delle sanzioni, essa può essere inflitta solo dallo Stato (e cioè dall’unica istituzione finalizzata ad assicurare lo svolgimento ordinato e pacifico della vita in comune) e solo all’esito un “procedimento” rigorosamente regolato, affidato all’Autorità giudiziaria e quindi particolarmente garantito che rappresenta, appunto, il «procedimento penale»[1].
Il procedimento penale è il meccanismo attraverso il quale gli Organi giudiziari (Polizia Giudiziaria, Pubblico Ministero e Giudice) pervengono attraverso vari momenti e varie fasi all'accertamento, positivo o negativo di un reato e alla applicazione al caso concreto della norma che stabilisce essere stata violata.
All'accertamento del reato ed ai suoi effetti punitivi, si perviene, dunque, attraverso il «procedimento penale». Esso prevede il compimento di atti da parte dei vari Soggetti (la Polizia Giudiziaria, il Pubblico Ministero, l'imputato, il difensore....) e si articola in vari momenti e varie fasi (come quella delle indagini preliminari, del giudizio di primo grado, dell'appello...).
La nostra procedura penale, fondata sul sistema accusatorio, è calibrata sulla distinzione tra la «fase delle indagini preliminari», svolte dalla Polizia Giudiziaria sotto la direzione del Pubblico Ministero o da quest’ultimo personalmente, e la «fase del processo» celebrata innanzi ad un Giudice nel contraddittorio tra Pubblico Ministero ed imputato.
► Il procedimento, pertanto, comprende:
L’ampio significato del termine "procedimento" si riflette nella terminologia del codice vigente che lo utilizza in riferimento sia ad entrambe le fasi procedimentali (la pre-processuale e la processuale), sia soltanto alla fase delle indagini preliminari (pre-processuale)
Sia l’individuazione dei “Soggetti” del procedimento penale sia l’individuazione e la disciplina dei loro compiti e funzioni sono regolate da norme che si denominano processuali penali e che, per la loro gran parte, sono collocate nel Codice di Procedura Penale e in altre disposizioni ad esso complementari.
[1] Il termine «procedimento» esprime l’idea comune del procedere..., del proseguire..., del susseguirsi di una serie di atti in ordinata e prestabilita sequela verso una meta o finalità.
Lo Stato è l'ente originario (il suo potere non deriva da nessuno) e sovrano, destinato a garantire le condizioni fondamentali e indispensabili perché, sul suo territorio, i rapporti tra i singoli si svolgano in modo ordinato e si dirigano allo sviluppo ed al benessere dell’intera collettività.
Al conseguimento delle finalità di conservazione e sviluppo della comunità stabilita sul suo territorio, lo Stato provvede con una serie di attività che costituiscono le sue “funzioni”.
In particolare, l'attività del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera (così come per le altre forze e organi di polizia) si colloca all'interno del più ampio contesto della "funzione amministrativa " dello Stato che, in via principale, ha il fine di mantenere l’ordine interno mediante l' «Attività di Polizia», ossia l'attività rivolta a prevenire condotte in grado di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica oltre ché a reprimere le violazioni già verificatesi di norme penali, impedendone gli eventuali ulteriori effetti.
La funzione legislativa, giurisdizionale e amministrativa
Mediante la «funzione legislativa» lo Stato detta ai suoi consociati delle regole di condotta «norme» che vietano atti socialmente dannosi e spronano invece ad operare in senso vantaggioso. Poiché il complesso delle norme emanate dallo stato ne costituisce il «Diritto», può anche dirsi che la funzione legislativa è quella mediante la quale lo Stato pone e modifica il suo diritto.
L’osservanza del diritto - e quindi delle norme che ha emanato con l'esercizio della funzione legislativa - è realizzata dallo Stato mediante l’esercizio della «funzione giurisdizionale» (semplicemente giurisdizione). Tale funzione è ritenuta spesso la più delicata (se non la più importante) delle tre funzioni in quanto con essa si attribuisce ad un uomo (Giudice) la grave e talora drammatica responsabilità di giudicare il proprio simile. La giurisdizione consiste pertanto nel potere attribuito dallo Stato ai Giudici che hanno la funzione, all’esito di una ordinata sequenza di atti denominata «procedimento», di dichiarare se nel caso specifico la norma è stata violata nonché, di conseguenza, di infliggere e far applicare anche coattivamente, le «sanzioni» che dalla stessa norma violata sono previste in caso di sua infrazione. A differenza della funzione legislativa, che ha carattere generale ed astratto, quella giurisdizionale ha dunque anzitutto un carattere concreto.
Proprio partendo dall’esempio appena fatto, può allora dirsi che, a seconda del tipo di norme che deve essere applicato nei casi concreti la "giurisdizione" può essere distinta in:
La "giurisdizione penale" riguarda la capacità di giudicare fatti e situazioni relativi a violazioni di norme penalmente sanzionate.
La "giurisdizione penale militare" costituisce una specie della giurisdizione penale in quanto riguarda la capacità di giudicare fatti e situazioni relative a violazioni di norme penali militari commesse dagli appartenenti alle Forze Armate.
La "giurisdizione civile" che riguarda la capacità di giudicare fatti e questioni attinenti a violazioni di «diritti soggettivi»[1] tutelati dall’ordinamento.
La "giurisdizione amministrativa" che riguarda la capacità di giudicare fatti e questioni relativi a violazioni di interessi (cc.dd. legittimi) nei rapporti fra privati e pubblica amministrazione.
► In particolare:
Mediante la «funzione amministrativa», lo Stato realizza gli interessi pubblici che, mediante la funzione legislativa, ha assegnato a se stesso in via preventiva ed astratta. Nell’attuale ordinamento del nostro Stato, i principali fini della funzione amministrativa sono quelli di:
La "conservazione dell’ordine interno e della sicurezza esterna" è attuata, in via prioritaria, mediante l’«attività di polizia» e cioè, mediante quell'attività amministrativa tesa alla prevenzione e repressione dei fatti che possono turbare la tranquillità, il benessere e la pacifica convivenza dei cittadini e che, con riferimento allo specifico oggetto degli interventi, solitamente si suddivide poi in:
La "conservazione della sicurezza esterna" è invece attuata dallo Stato sia mediante attività rivolte alla cura delle pacifiche relazioni con gli altri Stati sia mediante attività rivolte alla preparazione di mezzi di difesa militare (come la predisposizione di armamenti, il reclutamento dei militari e il loro addestramento)
La "finanza pubblica" si estrinseca, sia nella raccolta dei tributi sia nel controllo e nella regolamentazione dei modi di erogazione delle spese.
La "cura del benessere materiale della collettività" si esplica in prevalenza nel settore della previdenza, della sanità, dei lavori pubblici e delle comunicazioni (con la creazione di un efficiente sistema sanitario e di assistenza, con la costruzione di alloggi, strade, ospedali, con la predisposizione dei servizi postali e telefonici) ma che può esplicarsi altresì incoraggiando o esercitando direttamente attività economiche nel campo dell’agricoltura, dell’industria, del commercio.
La "cura del benessere morale della collettività" si esplica principalmente assicurando l’istruzione pubblica e incrementando le attività fisiche e sportive oltreché quelle culturali o di spettacolo.
[1] Diritti soggettivi pubblici: diritto all’uso dei beni demaniali, di ammissione alle scuole pubbliche, diritto alla libertà personale e patrimoniale, di libertà di pensiero, diritto all’elettorato e all’aspirazione alle cariche pubbliche, ecc.
Dovendo tentare di collocare in un giusto ambito le “funzioni” attribuite alla Polizia Giudiziaria, e per effetto, a chi appartenendo al personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, ha - sia pure limitatamente a taluni reati - la qualità di Ufficiale ed Agente di polizia giudiziaria, può dirsi, anzitutto, che la «Polizia Giudiziaria» è un soggetto del procedimento penale (artt. 55-59 c.p.p.) e. partecipa con gli altri soggetti (e in specie con gli altri soggetti pubblici del procedimento: il Pubblico Ministero e il Giudice) a stabilire se un fatto concreto che è stato commesso costituisce reato, chi ne è responsabile e quale pena merita.
La sua attività si colloca, pertanto, dopo la commissione di un fatto illecito che astrattamente può costituire reato e come abbiamo detto più volte, la funzione della polizia giudiziaria è una funzione diretta all’accertamento e alla repressione di un reato che è stato commesso ed alla ricerca del suo autore o autori per assicurarli alla giustizia.
Nello svolgimento dei ruoli assegnati il Pubblico Ministero e l’indagato/imputato fruiscono, rispettivamente, dell’ausilio della Polizia Giudiziaria e del Difensore.
La Polizia Giudiziaria ha la funzione di ricercare le fonti di prova e di compiere attività ed accertamenti volti a consentire il Pubblico Ministero di stabilire la “fondatezza” della notizia di reato.
Il difensore ha la funzione di assistere tecnicamente l’indagato/imputato e di consentire che il processo-duello giudiziario si svolga «ad armi pari»: cosa che non potrebbe accadere se dovessero fronteggiarsi un accusatore competente come il Pubblico Ministero e un accusato digiuno di diritto come l’imputato.
Accanto ai soggetti necessari fin qui indicati (Giudice, Pubblico Ministero, Polizia Giudiziaria, indagato/imputato e difensore), si muovono, sulla scena del processo, altri soggetti che possono essere definiti «eventuali»; la loro presenza nel procedimento può essere spontanea o provocata (artt. 348, comma 4 e 359 c.p.p.) [1] e non è mai indispensabile.
Tra i soggetti eventuali una specifica considerazione meritano:
[1] Art. 348, 4° comma c.p.p. - La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee (c.d. ausiliari di polizia giudiziaria) le quali non possono rifiutare la propria opera.
Art. 359 c.p.p. (Consulenti tecnici del Ministero) – Il Pubblico Ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare (art. 225 c.p.p. e art 73 att.) e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera. Il consulente può essere autorizzato dal P.M. ad assistere a singoli atti di indagine.
L’art. 232 c.p.p. (Liquidazione del compenso al perito) – Il compenso al perito è liquidato con decreto del Giudice che ha disposto la perizia, secondo le norme delle leggi speciali (art. 73 att). Per i compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, si veda la Legge 8 luglio 1980, n. 319 e, per i successivi adeguamenti, il D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 e il D.M. 30 maggio 2002 del Ministero Giustizia
Il termine «Autorità Giudiziaria» (=A.G.) è sinonimo di Magistratura cioè a dire il complesso degli Organi che amministrano la giustizia. Istituzionalmente ha competenza in materia di reati e si ripartisce in:
Il Codice di procedura penale [1] si apre con la normativa intitolata al "Giudice", proprio per segnalare la centralità della "funzione giurisdizionale", che è quella di gran lunga preminente nel processo. Tocca al Giudice, infatti, risolvere la controversia fra il Pubblico Ministero ed imputato, esprimendo la sua valutazione sugli elementi raccolti nel processo. Nell'assolvere questo compito il Giudice gode di ampia indipendenza, egli è soggetto solo alla legge, e deve essere estraneo agli interessi in conflitto.
Il nostro ordinamento giuridico prevede «tre gradi di giudizio», nel cui contesto si sviluppa uno schema processuale unitario: un organo che esercita la pubblica accusa (funzione requirente) nei confronti di un difensore (avvocato); il tutto davanti ad un Organo imparziale e terzo che viene definito "organo giudicante" che emetterà una sentenza di condanna o di assoluzione.
La Magistratura giudicante è organizzata secondo il principio (contenuto nell'art. 101 della Costituzione) per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Quindi, nonostante vi siano diversi giudici e vari gradi del giudizio,non esiste fra i giudici nessuna gerarchia.
La Magistratura, pur essendo formata di dipendenti pubblici, gode di una particolare autonomia nei confronti degli altri due poteri fondamentali dello Stato (quello legislativo del Parlamento e quello esecutivo del Governo).
I "magistrati di carriera" (Giudici e Pubblici Ministeri) sono distribuiti in senso orizzontale (o geografico) in 24 distretti di Corte d'Appello (oltre che 3 sezioni distaccate di esse) ed in Roma presso la Corte di cassazione., oltre che nelle Procure della Repubblica presso i vari Uffici giudiziari. Nell'ambito di ciascun distretto esistono gli uffici giudiziari di primo e secondo grado (appello)
A decorrere dal 2 giugno 1999, in seguito alla riforma del "Giudice unico di primo grado" (D.lgs. n. 51/98 e successive norme), vi è stato l'assorbimento delle Preture e delle relative Procure della Repubblica rispettivamente nei Tribunali ordinari e nelle corrispondenti Procure, mentre nulla è stato innovato nell'organizzazione dei restanti uffici giudiziari.
Per quanto attiene all'amministrazione della giustizia penale e qui considerando anche gli uffici del Pubblico Ministero, si hanno:
In base al «numero delle persone» necessarie ad integrare la composizione dell’Organo decidente, si hanno:
I magistrati del Pubblico Ministero (che non sono giudici, non avendo funzioni di giudizio) operano, usualmente in composizione monocratica e solo eccezionalmente, ove lo ritengono (ad esempio in indagini complesse), si aggregano in pool.
I magistrati (giudici e pubblici ministeri), quali «persona fisica», possono essere di "carriera" (o professionali o togati), se sono legati allo Stato da rapporto di impiego ovvero, nel caso opposto, "onorari" (o laici).
Sono magistrati onorari monocratici i Giudici di pace ed in Giudici onorari di tribunale (G.O.T.), nonché i componenti privati di organi collegiali (di Corte d'Assise di primo e secondo grado, nonché gli esperti del tribunale per i minorenni, quelli della corrispondente Corte d'Appello per i minorenni e quelli del Tribunale di sorveglianza).
Sulla base della «natura delle funzioni» si hanno:
In base alla «ampiezza della loro cognizione», si hanno:
La «giurisdizione penale» è il potere attribuito a determinati Organi dello Stato (Giudici penali) di accertare, secondo regole e garanzie ben brecise (procedimento o processo penale) se un determinato fatto commesso da un uomo (c.d. fattispecie concreta) corrisponde o meno alla sua previsione generale (c.d. fattispecie astratta) contenuta in una legge penale. In una legge, cioè, che precede, per cho commette quel fatto (reato) un particolare tipo di sanzione (ergastolo, reclusione e/o multa; arresto e/o ammenda), detta, appunto, sanzione penale o pena.
Le leggi, infatti, contengono disposizioni generali ed astratte, dettate, cioè, per qualunque persona e per qualunque caso. Pertanto, quando si verifica la concreta violazione di una norma penale, è compito della giurisdizione penale accertare se l’imputato ha commesso o meno quel determinato reato e, in caso di accertamento positivo, applicargli la relartiva sanzione tenendo conto delle particolari modalità con le quali il reato è stato realizzato.
Il Giudice può esercitare la funzione giurisdizionale solo se un Organo dello Stato (Pubblico Ministero) gli formula la richiesta di decidere su una accusa (imputazione) mossa a carico di un soggetto (imputato). E’ mediante tale richiesta che il Pubblico Ministero esercita l’azione penale.
Il Pubblico Ministero deve esercitare l’azione penale quando, al termine delle indagini preliminari, svolte con l’ausilio della Polizia Giudiziaria, ritiene di aver acquisito "elementi idonei" a sostenere l’accusa di fronte al Giudice.
Sia il Giudice che il Pubblico Ministero fanno parte della «Magistratura» . Istituzionalmente ha competenza in materia di reati e si ripartisce:
Il "Procuratore della Repubblica presso il Giudice unico" (=Tribunale ordinario) rappresenta la magistratura «inquirente», e cioè quella che inizia e conduce le indagini. Questo organo è il “dirigente” della Polizia Giudiziaria nel territorio di sua competenza. A lui la Polizia Giudiziaria deve inviare le “segnalazioni” e al medesimo il privato cittadino può indirizzare una denuncia o una segnalazione per illeciti penali (=reati).
Il nostro ordinamento giuridico prevede «tre gradi di giudizio», nel cui contesto si sviluppa uno schema processuale unitario: un Organo che esercita la pubblica accusa (funzione requirente) nei confronti di un difensore (avvocato); il tutto davanti ad un Organo imparziale e terzo che viene definito organo giudicante che emetterà una sentenza di condanna o di assoluzione.
► Il Giudizio di primo grado
In primo grado esistono un organo «requirente» e un organo «giudicante».
Un "Procuratore della Repubblica presso il Giudice unico" (Dlgs. N. 51/98)[1] eserciterà la pubblica accusa presso il "Tribunale giudicante" – il quale fungerà, a seconda dei casi, da organo di giudizio monocratico o collegiale.
Un «organo speciale» insediato presso ogni Tribunale formato da sei giudici popolari e da due giudici togati si chiama "Corte d’assise" e giudica su reati di massima gravità come ad esempio l’omicidio volontario.
Una distinzione selettiva, che corrisponde più o meno concettualmente a gradi di gravità dei reati, fa si che alcuni illeciti penali siano sanciti come di competenza del Tribunale in «composizione monocratica» (meno gravi, più frequenti) altri del Tribunale in «composizione collegiale» (più gravi).
Il Tribunale in composizione monocratica (un solo Giudice) giudica reati di "facile accertamento" e per lo più quelli punibili con la "pena della reclusione non superiore ai 10 anni".
Il Tribunale in composizione collegiale (tre giudici: un presidente e due a latere) giudica viceversa quei reati per cui è prevista la "pena della reclusione superiore ai 10 anni" e per tutte quelle fattispecie che sfuggono alla sfera di competenza della Corte d’Assise.
Il Tribunale al termine del processo (che si chiama anche dibattimento o rito ordinario) emette una “sentenza” che può essere impugnata (c.d. gravame) sia dall’imputato (se viene condannato) sia dal P.M. (ove la sentenza sia di assoluzione contro la sua richiesta di condanna)[2] .
Il Tribunale in composizione monocratica è anche "Giudice d’Appello" avverso le "sentenze del Giudice di pace".
► Il Giudizio di secondo grado (=Appello)
La "Corte di appello", che in genere ha competenza su tutti i Tribunali della Regione, svilupperà il giudizio di secondo grado[3] .
La pubblica accusa sarà esercitata da un solo Organo requirente che si chiama “Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello” e che è il diretto superiore del procuratori presso i Tribunali di tutta la Regione.
La sentenza della Corte di appello può essere ancora impugnata (=ricorso) sia dall’imputato (se viene condannato) sia dal procuratore generale (ove la sentenza sia di assoluzione contro la sua richiesta di condanna).
► Il Giudizio di terzo grado (=Ricorso)
L’ultimo grado di giudizio viene esercitato dalla "Suprema Corte di Cassazione" che si trova a Roma e giudica su tutte le sentenze di tutte le Corti di appello del Paese. La pubblica accusa sarà esercitata da un solo organo requirente che si chiama "Procuratore Generale presso la Corte di cassazione".
Contro la sentenza della Cassazione non è più possibile nessuna impugnazione e si dice che questa sentenza è definitiva ovvero, in termine tecnico, è «passata in giudicato». Soltanto da questo momento la sentenza spiega tutti i suoi effetti e, ad esempio, viene registrata sul certificato penale e diventa esecutiva.
Questo Organo supremo della giustizia assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Esso è Giudice di «legittimità» in quanto non giudica sul fatto (come i Giudici di 1° e 2° grado cc.dd. di merito) ma sul modo in cui il diritto è stato applicato al fatto.
Quando ritiene che tale applicazione non sia stata corretta, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di cancellare (=cassare) il provvedimento che davanti ad essa è stato impugnato e di rimetterlo ad un Giudice c.d .del rinvio ovvero annullarlo senza rinvio nei casi espressamente previsti all’art. 620 c.p.p.[4]
[1] In attuazione della legge delega 16 luglio 1997, n. 254, il D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ha introdotto nel nostro ordinamento il “Giudice unico di primo grado” (il Tribunale ordinario), che riunisce in un unico ufficio la pretura e il tribunale. La legge 16 giugno 1998, n. 188 ha reso operante dal 2 giugno 1999 tale unificazione. Con D.L. 24.5.1999, n. 145, convertito in legge 234/1999, è stata differita al 2.1.2001 l’operatività in campo penale della riforma.
[2] Ai sensi dell’art. art. 593 c.p.p., come sostituito dall’art. 1 Legge. n. 46/2006 (c.d. Pecorella), l’imputato e il PM possono impugnare la sentenza di proscioglimento solo se le richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello sia basata su nuove e decisive prove. Il Giudice dell’appello, qualora in via preliminare non disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, dichiara inammissibile l’appello con Ordinanza impugnabile in Cassazione.
La condanna può essere impugnata sempre, tranne che in alcuni casi (art. 593 c.p.p.):
[3] Vedi ricorso immediato per Cassazione o “per saltum” (art. 569 c.p.p.)
[4] Art. 620 c.p.p.: lett. a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto (150 ss. C.p.) o se l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (336 ss, 649); lett. b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario; […] lett. l) in gni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero per essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare procedimenti necessari.
Per competenza penale si intende la «porzione di giurisdizione» che è attribuita a ciascun Giudice, con riferimento:
1. alla materia
2. allo spazio territoriale nel quale ciascuno Giudice opera
3. alla connessione
Attraverso il rispetto delle regole sulla competenza viene chiammato a giudicare su determinati fatti-reato il c.d. Giudice naturale individuato con criteri predeterminati e astratti prima della commissione del fatto (art. 25 Cost.).
Ogni reato si caratterizza per il suo titolo (nomen juris) o per la sua gravità (desunta da tipo e dalla misura della pena prevista); inoltre rileva il luogo ove venne commesso ed i legami con altri reati; possono ancora assumere rilevanza le caratteristiche personali del suo presunto autore (infatti, se di età compresa tra i 14 anni ed i 18 anni non ancora compiuti, verrà giudicato dal Tribunale per i minorenni).
Questi parametri costituiscono appunto la "misura della giurisdizione" dei Giudici, e cioè la loro competenza.
La competenza è disciplinata secondo "criteri" che tengono conto di:
La «competenza per materia» consiste nella sfera di giurisdizione appartenente a ciascun tipo di Giudice-ufficio ratione materiae. Essa individua, tra una molteplicità di giudici-ufficio, coesistenti nel medesimo territorio (ad esempio, tra Giudice di pace e Tribunale monocratico) quello competente secondo il tipo di reato (materia).
Nell’ambito di un determinato territorio uno solo (ad esempio, il Tribunale collegiale) è il Giudice-ufficio astrattamente competente per un dato tipo di reato (ad esempio, inquinamento marino).
In grado di appello, la competenza per materia è determinata secondo il criterio funzionale e, quindi, di sovraordinazione funzionale (Corte di appello rispetto al Tribunale, monocratico o collegiale; Corte d’assise di appello rispetto alla Corte di assise di 1° grado).
In terzo grado è sempre competente, per materia e territorio, la Corte di cassazione, che è l’unico Giudice di legittimità nello Stato.
Il «Giudice di Pace» appartiene all'ordine giudiziario così come il magistrato ordinario ma, a differenza di questo, è un magistrato onorario a titolo temporaneo (laureato in Scienze giuridiche ovvero ex magistrato, ex avvocato, insegnante di materie giuridiche). Rimane in carica quattro anni e alla scadenza può essere confermato una sola volta per altri quattro anni. Al compimento del 75° anno il Giudice di Pace cessa dalle sue funzioni. Egli è tenuto ad osservare i doveri previsti per i magistrati ed è soggetto a responsabilità disciplinare.
Il Giudice di Pace dal 1º ottobre 2001 è anche un giudice penale (ma è entrato effettivamente in funzione il 1º gennaio 2002): il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla sua cognizione, una larga parte dei reati di lieve e di facile accertamento cc.dd. di microcriminalità, consistente in forme illegalità minori per gravità, ma molto diffuse nell’ambiente sociale e tra gli altri, alcuni reati di notevole diffusione:
Tra le fattispecie delittuose previste dal "Codice della Navigazione" affidate alla tutela penale del Giudice di pace, rientrano:
Il processo davanti al Giudice di pace ha luogo normalmente per iniziativa del Pubblico Ministero. Il Pubblico Ministero dopo aver disposto le necessarie investigazioni, se ravvisa elementi sufficienti per sottoporre a processo il soggetto indagato, richiede il suo rinvio a giudizio.
Anche la persona offesa, per i reati perseguibili a querela, può chiedere al giudice l'instaurazione del processo. In questi casi, l'offeso può presentare un "ricorso diretto" al Giudice di Pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito.
Il Giudice di Pace, se non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé.
Il processo penale innanzi al Giudice di Pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa.
Il giudice, sentita la persona offesa, può dichiarare estinto il reato se l'autore della violazione dimostra di aver provveduto alla riparazione del danno causato e di avere eliminato la situazione di pericolo eventualmente determinata.
È inoltre previsto che il Giudice di Pace possa astenersi dal procedere quando risulti, per l'esiguità dell'offesa e l'occasionalità del comportamento, la particolare "tenuità" del fatto (tenuto conto anche del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento arrecherebbe alle esigenze di lavoro, famiglia o salute dell'imputato), sempre che l'offeso non si opponga.
L'imputato e la persona offesa sono difesi da un avvocato. Alle persone che non hanno i mezzi per far fronte alle spese di un procedimento penale è assicurato, anche davanti al Giudice di Pace, il gratuito patrocinio, cioè la difesa a carico dello Stato.
A seguito della riforma apportata dalla Legge 16 dicembre 1999, n. 479 [2][1] (c.d. legge CAROTTI dal nome del parlamentare, relatore alla Camera dei Deputati), in materia penale, il Giudice Unico di primo grado[2] è unicamente il Tribunale, il quale giudica, in alcuni casi, in «composizione collegiale» (tre magistrati) e in altri in «composizione monocratica».Trattandosi di un unico Giudice che lavora in composizione monocratica e collegiale non vi è una vera e propria ripartizione di competenza, ma piuttosto di attribuzione degli affari all’interno del medesimo ufficio.
Le funzioni del Tribunale monocratico possono essere affidate anche ai giudici "onorari del tribunale" (G.O.T.)[3] «in caso di impedimento o mancanza dei Giudici ordinari».
Innanzi al Tribunale monocratico possono esercitare le funzioni di Pubblico Ministero soggetti non togati (i cc.dd. Delegati dal P.M.), ma limitatamente ai reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio (art. 58 legge 479/99, che ha modificato l’art. 72, comma 3 Ord. Giudiziario).
Dal 2 gennaio 2008 è stata attribuita al Giudice del tribunale monocratico la "convalida" dei provvedimenti del «Prefetto» in materia di espulsione dal territorio dello stato, e dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento in un centro di accoglienza temporanea emanati dal Questore (secondo quanto previsto dal Decreto Legge 29.12.2007, n. 249, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2008).
[1]
La legge 479/99, pubblicata sulla G.U. n. 296 del 18.12.1999 è entrata in vigore il 2.1.2000 ed è stata ulteriormente modificata dall’art. 2bis, D.L. 7.4.2000, n. 82 (conv. in L. 144/2000).
Appare opportuno evidenziare che l’endiade «Giudice unico di primo grado» non è sinonimo di «Giudice monocratico»
[3]
Ai sensi dell’art. 10 D.lgs 51/98, i G.O.T. non possono svolgere le funzioni di Giudice per le indagini preliminari, né di Giudice dell’Udienza Preliminare.
E' organo collegiale giudicante i reati (quale che ne sia la gravità o tipo - art. 3 D.P.R. 2.9.1988, n. 448) attribuiti ai minori di 18 anni, al fine di assicurare al giovane una effettiva, piena attuazione del suo diritto all'educazione e cioè ad una adeguata strutturazione di personalità e ad un regolare processo di socializzazione.
Innazitutto sono previsti dei tribunali "specializzati", che risiedono presso i Tribunali che sono sede di Corte d'Appello (il Tribunale, in ogni capoluogo ha una sezione dedicata ai minori), e presso i quali sono costituite delle Procure della Repubblica per i minorenni, altrettanto specializzate. La finalità risocializzante e recuperatoria dei procedimenti a carico di minori giustifica la concentrazione innanzi al Giudice specializzato ratione personae (età minore degli anni 18).
Presso il Tribunale per i minorenni viene costituito l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) (art. 50bis, R.D. n. 12/1941, aggiunto all'art. 14 del D.P.R. n. 449/88), che agisce singolarmente per i provvedimenti da adottarsi durante la fase delle indagini, mentre risulta integrato da due giudici onorari, un uomo e una donna, in sede di Udienza preliminare.
La «Corte di assise» è un organo collegiale composto da 8 giudici, di cui 2 togati (uno è il presidente, l’altro il giudice "a latere") ed altri 6 ordinari (che vengono definiti giudici popolari) estratti a sorte tra i cittadini di nazionalità italiana, senza alcuna distinzione di sesso, in una età compresa tra i 30 e i 65 anni; requisito minimo è il titolo di studio: diploma di licenza media inferiore per i giudici popolari del 1° grado e diploma di licenza media superiore per i giudici popolari del 2° grado.
La Corte è articolazione autonoma del Tribunale. I magistrati ed i giudici popolari costituiscono un collegio unico. In particolare i giudici popolari della Corte d'Assise realizzano la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, in esecuzione dell'art. 102 Cost., relativamente ai reati che hanno maggior risonanza nel campo sociale.
La Corte d'Assise ha competenza a giudicare i "delitti più gravi", quali omicidio, omicidio preterintenzionale, strage, ed "i più gravi delitti politici", oltre ad alcuni delitti comportanti valutazioni etico-professionali (per es. omicidio del consenziente), mentre solitamente è priva di competenza nel giudicare reati che richiedano conoscenze tecnico-giuridiche che i giudici popolari, di regola, non hanno.
Con la Legge Grassi viene definitivamente disciplinata la Corte d’Assise, che attualmente è divisa in due gradi:
E' un organo collegiale, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'Appello. Ogni distretto di Corte d'Appello ha un'estensione pressapoco equivalente a quella di una Regione.
In materia penale «esercita giurisdizione» sulle decisioni pronunciate in 1° grado dal Giudice unico del tribunale nelle due diverse composizioni.
Ogni Corte d'Appello è suddivisa in sezioni e ha la stessa composizione del Tribunale collegiale (tre magistrati, di cui uno presidente e gli altri due a latere). Esistono anche sezioni staccate delle Corti d'Appello nei comuni indicati in una apposita tabella.
La «Corte d’assise d’appello» è un organo collegiale la cui composizione comprende sia giudici togati (cioé magistrati di carriera) che giudici "laici", cioé giudici popolari.
La Corte d'Assise d'appello svolge funzione di giudice d'appello delle sentenze emesse in 1° grado dalla Corte d'Assise: è un organo collegiale composto da 8 giudici, di cui 2 togati (uno è il presidente, l’altro il giudice "a latere") ed altri 6 ordinari (che vengono definiti giudici popolari) estratti a sorte tra i cittadini di nazionalità italiana, senza alcuna distinzione di sesso, in una età compresa tra i 30 e i 65 anni; requisito minimo è il titolo di studio: diploma di licenza media superiore.
La «Corte di Cassazione» è l'organo giudicante posto al vertice della organizzazione giudiziaria ordinaria, essendo il Tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario (penale e civile) italiano: ha sede (unica) a Roma, e giurisdizione su tutto il territorio dello Stato.
La Corte si articola in diverse sezioni (civile, penale e del lavoro). Nei casi più importanti o nei casi per i quali vi siano orientamenti contrastanti delle diverse sezioni, la Cassazione si riunisce in Sezioni Unite (SS.UU.). Le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in tale composizione sono di un'autorevolezza tale da somigliare a dei "precedenti vincolanti", concetto altrimenti estraneo all'ordinamento italiano.
La Cassazione riunita in Sezioni Unite, inoltre, ha il compito di "giudice della giurisdizione": essa deve, cioè. esprimersi ogni qual volta vi sia un conflitto di giurisdizione (tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali, come quella amministrativa).
La Corte di Cassazione ha il compito di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge (art. 65 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 sull'ordinamento giudiziario).
Di regola, giudica in seguito ad un «gravame» successivo ad una pronuncia di una Corte d'Appello, fintantoché il gravame sia possibile, e cioè finché la questione non sia coperta da giudicato. Non giudica sul fatto, ma sul diritto, controllando che le sentenze pronunciate dai giudici di merito (cioé quelli che valutano direttamente i fatti) siano conformi alla legge: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, bensì può solo verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo nei gradi precedenti si sia svolto secondo le regole (vale a dire, che sia stata correttamente applicata anche la legge processuale, oltre che quella del merito della causa).
In Italia la Corte Suprema di Cassazione è al vertice della giurisdizione ordinaria; tra le principali funzioni che le sono attribuite dalla legge fondamentale sull'ordinamento giudiziario del 30 gennaio 1941 n. 12 (art. 65) vi è quella di assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni". Una delle caratteristiche fondamentali della sua missione essenzialmente nomofilattica ed unificatrice, finalizzata ad assicurare la certezza nell'interpretazione della legge (oltre ad emettere sentenze di terzo grado) è costituita dal fatto che, in linea di principio, le disposizioni in vigore non consentono alla Corte di Cassazione di conoscere dei fatti di una causa salvo quando essi risultino dagli atti già acquisiti nel procedimento nelle fasi che precedono il processo e soltanto nella misura in cui sia necessario conoscerli per valutare i rimedi che la legge permette di utilizzare per motivare un ricorso presso la Corte stessa.
Il ricorso in Cassazione può essere presentato avverso i provvedimenti emessi dai Giudici ordinari nel grado di appello o nel grado unico: i motivi esposti per sostenere il ricorso possono essere, in materia civile, la violazione del diritto materiale (errores in iudicando) o procedurale (errores in procedendo), i vizi della motivazione (mancanza, insufficienza o contraddizione) della sentenza impugnata; o, ancora, i motivi relativi alla giurisdizione. Un regime simile è previsto per il ricorso in Cassazione in materia penale.
Quando la Corte rileva uno dei vizi summenzionati, ha il potere-dovere non soltanto di cassare la decisione del giudice del grado inferiore, ma anche di enunciare il principio di diritto che il provvedimento impugnato dovrà osservare: principio cui anche il giudice del rinvio non potrà fare a meno di conformarsi quando procederà al riesame dei fatti relativi alla causa. I principi stabiliti dalla Corte di Cassazione non sono, invece, vincolanti per i giudici, in generale, quando questi devono decidere cause diverse, rispetto alle quali la decisione della Corte Suprema può comunque considerarsi un "precedente" influente. In realtà, i giudici delle giurisdizioni inferiori si conformano alle decisioni della Corte di Cassazione nella maggioranza dei casi.
Non è necessaria alcuna autorizzazione speciale per presentare un ricorso innanzi alla Corte Suprema.
Secondo l'articolo 111 della Costituzione ogni cittadino può ricorrere alla Corte di Cassazione per violazione di legge contro qualunque provvedimento dell'autorità giudiziaria, senza dover esperire alcun appello in materia civile o penale, o contro qualunque provvedimento che limiti la libertà personale.
Alla Corte di Cassazione è anche attribuito il compito di stabilire la giurisdizione (vale a dire, di indicare, quando si crea un conflitto tra il giudice ordinario e quello speciale, italiano o straniero, chi abbia il potere di trattare la causa) e la competenza (vale a dire, di risolvere un conflitto tra due giudici di merito).
La Corte di Cassazione svolge anche funzioni non giurisdizionali in materia di elezioni legislative e di referendum popolare per l'abrogazione di leggi.
Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.): giudice singolo (=monocratico) inserito nell’organico di ciscun Tribunale e al quale spetta, a seconda dei casi, sia l’adozione dei provvedimenti che vengono richiesti dal Pubblico Ministero durante le indagini preliminari (ad esempio, l’applicazione della custodia cautelare, l’autorizzazione alle intercettazioni telefoniche o ambienatli, ecc.) sia la pronuncia di provvedimenti che definiscono il giudizio in alcune ipotesi di di procedimenti speciali che saltano il dibattimento (ad esempio, la pronuncia della sentenza di patteggiamento o del decreto penale di condanna).
Il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni: giudice monocratico (di carriera) avente, in via generale, le stesse competenze del G.I.P. nel procedimento a carico di imputati maggiorenni.
Il Giudice per l’udienza preliminare (G.U.P.) è un giudice singolo (=monocratico) che appartiene all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari e dinanzi al quale si celebra (se il tipo di procedimento la prevede) l’udienza preliminare (oltre che l’eventuale giudizio abbreviato) quando risulta che il G.I.P. delegato al procedimento (art. 328 c.p.p.) ha già adottato, prima della setssa udienza preliminare, provvedimenti che hanno comportato valutazioni sul merito della imputazione (art. 34 commi da 2bis a 2 quater c.p.p.).
Il Giudice dell’udienza preliminare per i minorenni: giudice collegiale composto da un magistrato di carriera e da due cittadini (uomo e donna) in qualità di esperti – componenti privati.
Nei procedimenti a carico di imputati minorenni, la giurisdizione non è dunque mai esercitata né dalla Corte d'assise né dal Tribunale ordinario né dal Giudice di pace.
Nel novero dei giudici ordinari rientra il Giudice di di sorveglianza (o uffico di sorveglianza), le cui funzioni, pur essendo prese in considerazione anche delle disposizioni sul procedimento penale, trovano più ampio sviluppo in quelle dell’ordinamento penitenziario (L. 26.7.1975, n. 354) perché riguardano specialmente la gestione della pena: (=il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati). Le compotenze del giudice di sorveglianza sono distribuite tra:
Presso ogni distretto e per ogni sezione distaccata di Corte d'Appello è istituito il Tribunale di Sorveglianza (giudice collegiale), al quale sono devoluti gli affari in materia di misure alternative alla detenzione e di revoca anticipata delle misure di sicurezza in grado di appello.
Il Tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto e da professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia.
I provvedimenti vengono adottati da un collegio composto da un presidente (magistrato di cassazione), da un magistrato di sorveglianza e da due degli esperti.
Il magistarto di sorveglianza (giudice monocratico), è organo cuoi è demandato l'obbligo di vigilare sulla organizzaione degli istituti di prevenzione e pena, prospettando al Ministro di Giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo al trattamento rieducativo.
Nel confronto di coloro che hanno commesso il reato quando erano minori dei 18 (diciotto) anni, le attribuzioni del giudice di sorveglianza sono esercitate, per la parte spettante al tribunale di sorveglianza, dal tribunale per i minorenni e, per quella spettante al magistrato di sorveglianza, da un magistrato addetto allo stesso tribunale (=magistrato di sorveglianza per i minorennni).
La loro competenza cessa al compimento del 25° anno di età del condannato.
Il Tribunale del riesame è un istituto creato dal legislatore per far fronte a quella esigenza di sottoporre ad un controllo esterno, non solo di legittimità ma anche di merito, i provvedimenti restrittivi della libertà personale, caratterizzato da tempi rapidi e da una natura pienamente devolutiva. Si inserisce nella tematica relativa ai rapporti tra libertà personale, esigenze processuali e diritto di difesa.
E' istituito presso il Tribunale del capoluogo della Provincia in cui ha sede il giudice, contro la cui ordinanza di limitazione della libertà personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari) l'imputato ha chiesto il riesame. La richiesta, che può riferirsi anche al sequestro di beni, può essere fatta entro 10 (dieci) giorni dall'esecuzione o notificazione del provvedimento e il tribunale, entro altri dieci giorni, se non dichiara l'inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l'ordinanza.
La «competenza per territorio», consiste nell’attribuzione del potere di decidere su un reato a quel Giudice, competente per materia, che essendo insediato sul territorio in cui il fatto reato è stato commesso (ratione loci), ha destato maggior allarme sociale ed é più facile ricercare le prove. Per queste ragioni, il codice fissa la regola generale in base alla quale la competenza per territorio è determinata dal luogo di verificazione dell’evento: competente è il Giudice del luogo in cui l’evento del reato è stato realizzato (locus perpetrati delicti).
Tuttavia, qualora l’evento sia rappresentato dalla morte, competente è il Giudice del luogo di verificazione della condotta (azione o omissione) e non più dell’evento (art. 8 e 9).
In tema di delitto tentato, in cui per definizione manca l’evento (art. 56 c.p.), la competenza è collegata all’ultimo atto diretto a commettere il delitto e cioè all’ultimo segmento della condotta. Per il reato permanente è competente il Giudice del luogo in cui ha avuto inizio.
Il territorio compreso nella competenza dei vari Giudici è delimitato (locus commissi delicti) dal:
► Esemplificando:
il Tribunale esercita le sua funzione nell’ambito di un territorio denominato circondario; la Corte di assise, invece, nell’ambito di un territorio denominato circolo e comprendente di solito più circondari.
La «competenza per connessione» attribuisce a un solo Giudice il potere di decidere su procedimenti collegati fra loro da vincoli particolarmente intensi e, in specie, da vincoli di persone, di finalità, di tempo e di luogo (=procedimenti connessi).
In via di approssimazione, può dirsi che la competenza per connessione deroga ai criteri generali della competenza per materia o per territorio e serve a evitare che debbano essere “celebrati” più processi in relazione a fatti che presentano elementi comuni e per i quali è perciò opportuna la trattazione unitaria.
La competenza e l’attribuzione per connessione sono determinate dal rapporto di collegamento tra un procedimento principale (attraente) e uno o più procedimenti secondari (attratti).
La connessione tra procedimenti modifica la competenza e può giustificare la loro «riunione» (artt. 12 e 17) nelle seguenti tassative "ipotesi":
I reati commessi da un unico agente possono essere legati da un vincolo (rilevante ai fini della pena: art. 61 n. 2 c.p.):
Una particolare disciplina della «connessione» è prevista nel processo innanzi al Giudice di pace».
Una particolare disciplina della connessione è prevista nel processo innanzi al “Giudice di pace”. In tale sede si distingue tra:
La prima è quella che si realizza fra procedimenti relativi a uno o più reati appartenenti alla competenza del Giudice di pace e uno o più reati appartenenti alla competenza del Tribunale o della Corte di assise.
E’ regolamentata dall’ art. 6 Dlgs 274/2000 e opera solo nel caso di persona imputata di più reati, commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati – art. 81, comma 1 c.p.).
Come già detto, si tratta di una precisa scelta del legislatore che ha voluto limitare l’applicazione della connessione a quei soli casi in cui è più elevato il rischio di giudicati contrastanti, come appunto accade quando reati commessi con un’unica condotta, sono giudicati separatamente.
Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza del Giudice di pace e altri a quella della Corte di assise o del Tribunale, è competente per tutti il «Giudice superiore». Come se già visto, in questo caso opera un’apposita disciplina in ordine alle norme sostanziali e processuali, che il Giudice «diverso» dal Giudice di pace è tenuto ad osservare.
La seconda invece, è quella che riguarda i rapporti fra procedimenti che sono tutti di competenza del Giudice di pace. E’ regolamentata dall’art. 7 cit. Dlgs che prevede le seguenti ipotesi di connessione omogenea innanzi al Giudice di pace:
Nel caso di connessione innanzi al Giudice di pace, se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, la competenza per territorio appartiene per tutti al Giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il «primo reato». Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, questa appartiene al Giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi (art. 8), dovendosi intendere come tale il Giudice ove per primo il P.M. ha provveduto all’iscrizione della notizia di reato (art. 4).
ll «Pubblico Ministero» (=P.M.) è figura indefettibile in qualsiasi procedimento penale, essendo «soggetto necessario» nella fase investigativa e «parte essenziale» nel processo.
Nella prima fase (pre-processuale), il P.M. è il dominus delle indagini preliminari; egli è responsabile delle indagini necessarie per l’esercizio, o meno, dell’azione penale e, quindi, preliminari ad essa e si avvale della Polizia Giudiziaria, che collabora con lui (longa manus). Il P.M. ha funzioni di giustizia, anche se non giurisdizionali. Le sue funzioni hanno i caratteri della pubblicità e dell’obiettività.
La natura dell’azione penale (obbligatoria) e, il valore del bene della libertà personale, messo a rischio dal suo esercizio, esigono che la funzione di accusa sia affidata ad un organo pubblico, che agisca nell’interesse della collettività.
La nostra Costituzione, a garanzia di tali interessi pubblici, affida la funzione di P.M. a magistrati nominati per concorso (art. 106 Cost.) e rende per essi obbligatorio l’esercizio dell’azione penale (art. 109 Cost.).
Il P.M. deve essere un magistrato obiettivo perché a lui sono affidati gli stessi interessi di libertà dell’imputato, rientrando nel panorama delle sue funzioni di giustizia anche la tutela di essi, quando siano conformi a legge.
L’obiettività del P.M. è evidenziata dalla sua esclusiva soggezione alla legge, nell’interesse generale e, in quanto pur sempre connessa al suo ruolo di parte, tuttavia, è quantitativamente minore della imparzialità del Giudice, istituzionalmente super partes.
Egli è comunque tenuto a «svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (art. 358 c.p.p.).
La classificazione delle funzioni del P.M. rispecchia la sua posizione nel corso del procedimento prima di “soggetto” e poi di “parte” processuale.
Presso ogni Tribunale e ogni Corte d'Appello e presso la Corte di Cassazione è costituito un Ufficio del Pubblico Ministero. I vari uffici del P.M. sono strutturati in livelli organizzativi “paralleli” a quelli dei corrispondenti uffici giudicanti.
[1] La requisitoria può riferirsi al rito (es. giudizio immediato, giudizio per decreto, citazione di testi, cross examination, periti o consulenti tecnici) ovvero al merito (es. applicazione della pena patteggiata, richiesta di condanna)i o controesame dei testi delle parti ovvero richiesta di patteggiamento, ecc.
I vari Uffici del P.M. sono strutturati in livelli organizzativi “paralleli” a quelli dei corrispondenti Uffici giudicanti.
A seguito della scomparsa dell’antica figura ibrida di un "Pretore-P.M.", che sotto la vigilanza dell’abrogato Codice svolgeva entrambe le funzioni e poi della riforma del Giudice unico di primo grado e della conseguente soppressione delle 165 Preture della Repubblica presso le Preture circondariali, le «funzioni di Pubblico Ministero» sono esercitate:
Tra i diversi uffici del P.M. non esiste un rapporto di dipendenza gerarchica, ma una semplice relazione di mera subordinazione, collegata alla progressione del processo al grado di giudizio successivo. In ciascun grado di giudizio, legittimato ad esercitare le funzioni di P.M. è unicamente l'ufficio costituito presso il corrispondente Giudice, salvo le ipotesi espressamente contemplate (e quindi eccezionali). Il Pubblico Ministero esercita le proprie funzioni nello stesso ambito di competenza del Giudice.
Innanzi al Tribunale in composizione monocratica, a seguito di delega nominativa del Procuratore Capo, le funzioni di accusa possono essere esercitate sia da magistrati di carriera appartenenti alla Procura presso lo stesso tribunale ordinario, sia dai cc.dd. «Delegati del P.M.» ossia vice procuratori onorari, Ufficiali di polizia giudiziaria (per esigenze di obiettività, necessariamente diversi da quelli che hanno partecipato alle indagini), uditori giudiziari in tirocinio (art. 22 D.P.R 22.9.1988, n. 449 e art. 4 D.lgs 28.7.1989, n. 273). Tali delegati sono, però, legittimati a partecipare solo alle udienze di convalida dell’arresto o fermo, dibattimentale o camerale, nonché a formulare al G.I.P. la richiesta di decreto penale. La loro legittimazione è comunque limitata ai procedimenti del “Tribunale monocratico” relativi ai reati meno gravi e, quindi, limitatamente a quelli per i quali, non essendo contemplata l’Udienza Preliminare, il P.M. potrebbe direttamente emettere decreto di citazione a giudizio.
Anche innanzi al Giudice di pace in sede penale è prevista una minore qualificazione professionale del P.M., anche perché presso di esso non esiste alcun autonomo ufficio di Procura.
[1] Istituto del "gravame"
[2] La disposizione consente al Pubblico Ministero del giudizio di primo grado di seguire il procedimento per tutto il suo cammino. Essa si collega alle altre disposizioni processali secondo le quali il Pubblico Ministero originariamente designato non va, almeno tendenzialmente, sostituito durante le indagini (art. 3 att. c.p.p.) né durante l'udienza di primo e secondo grado.
La «Procura della Repubblica» è l’ufficio del Pubblico Ministero, un organo dello Stato composto da magistrati ordinari cui sono assegnate le così dette funzioni “requirenti”: loro compito è infatti quello di proporre richieste in materia penale o civile sulle quali toccherà poi ai giudici (la magistratura così detta “giudicante”) pronunciarsi con provvedimenti idonei a diventare definitivi.
In particolare, al Pubblico Ministero sono attribuite dalla legge sull’ordinamento giudiziario e dal codice di procedura penale numerose funzioni:
Il P.M. deve intervenire inoltre obbligatoriamente in alcune cause civili (es.: cause in materia matrimoniale, cause relative alla cittadinanza, ai rapporti familiari, alle interdizioni e inabilitazioni): la sua eventuale assenza determina la nullità del processo.
è cioè l’organo cui spetta accertare la fondatezza delle notizie di reato che provengono da denunce delle forze di Polizia, da querele o esposti di privati, da referti degli organi medici, e chiedere di conseguenza al giudice la dichiarazione della colpevolezza di un soggetto (imputato) e la conseguente condanna del medesimo, ovvero, in mancanza di elementi di prova, la dichiarazione di infondatezza della notizia di reato (così detta archiviazione).
Allo scopo di sostenere l’accusa davanti al Giudice, il P.M. svolge le indagini preliminari (per questo con riferimento ai P.M. si parla anche di magistratura “inquirente”); dirige l’attività della Polizia giudiziaria; può chiedere ad un apposito giudice, detto giudice per le indagini preliminari – GIP, l’emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari ecc.), che hanno funzione cautelare, servono cioè di impedire che i reati commessi possano ripetersi o che ne vengano occultate le prove o che l’autore del fatto possa darsi alla fuga. Il P.M. inoltre interviene obbligatoriamente nelle udienze penali. Il P.M. infine è l’organo competente per l’esecuzione dei provvedimenti di condanna emessi dal giudice: spetta a lui, una volta che una sentenza sia diventata irrevocabile, disporre che il condannato venga assoggettato alla pena, detentiva o pecuniaria, prevista, determinando il preciso ammontare della sanzione da irrogare, nonché delle eventuali sanzioni accessorie.
Il Procuratore della Repubblica assegna a se stesso e ai colleghi – secondo dei criteri prestabiliti – i procedimenti penali che nascono dalle notizie di reato trasmesse alla Procura della Repubblica, nonché dei procedimenti civili che prevedono l’intervento del P.M. e, più in generale, organizza il lavoro dell’Ufficio.
Ogni Magistrato svolge le indagini relative ai procedimenti che gli sono stati assegnati e prende parte alle udienze penali per i processi instaurati a seguito delle indagini.
Per migliorare la qualità delle indagini attraverso la specializzazione, in molte Procure della Repubblica sono stati costituiti gruppi di lavoro che si occupano delle indagini relative a determinati tipi di reato:
Ogni sostituto è assegnato a due gruppi di lavoro, seguendo le indagini sui procedimenti delle relative materie. Ogni gruppo è coordinato e seguito da un Procuratore Aggiunto.
Con il Decreto Legislativo 20 febbraio 2006, n.106 (pubblicato sulla GU n. 66 del 20.3.2006) sono state dettate le nuove disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150 (c.d. Riforma dell’ordinamento giudiziario).
Le nuove disposizioni prevedono in particolare che:
Vertice istituzionale e giurisdizionale dell’ufficio è il “Procuratore della Repubblica”, (presso i tribunali per i minorenni e i tribunali ordinari) spettano poteri di organizzazione e di direzione dell’Ufficio secondo le norme poste in materia dalla legge sull’ordinamento giudiziario.
Negli uffici, di maggiori dimensioni, delle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari, il Procuratore viene coadiuvato nelle sue funzioni dal “Procuratore Aggiunto“ (in numero non superiore a quello risultante dalla proporzione di un procuratore aggiunto per ogni dieci sostituti addetti all’uffico) e dai “Sostituti procuratori”: la assegnazione dei procedimenti ai vari magistrati spetta al Procuratore nel rispetto di criteri predeterminati.
Presso le Procure operano inoltre i “Vice procuratori onorari“, che fanno parte della magistratura onoraria, cioè non sono reclutati secondo le ordinarie procedure concorsuali ma vengono nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, (CSM) con incarichi limitati nel tempo, tra soggetti aventi particolari requisiti.
A loro possono essere delegate dal Procuratore funzioni relative alla partecipazione all’udienza penale, ma non quelle relative allo svolgimento delle indagini ed all’esercizio dell’azione penale.
Per la trattazione di alcuni reati di "particolare gravità e complessità" (reati di mafia, reati di terrorismo, reati legati al traffico degli stupefacenti, reati di sequestro di persona a fini di estorsione), a partire dal 1992 sono state istituite, presso ogni Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario avente sede nel capoluogo del distretto di Corte di Appello (c.d. distrettuale), le “Direzioni Distrettuali Antimafia” (D.D.A.), coordinate a livello nazionale dalla “Direzione Nazionale Antimafia”, (D.I.A.) con sede a Roma, al cui vertice c’è il “Procuratore Nazionale Antimafia”.
A capo di ogni Direzione distrettuale c’è il Procuratore della Repubblica (procuratore aggiunto) o un magistrato da lui delegato, che assumono la funzione di “Procuratore distrettuale antimafia”. Alla D.D.A. sono poi assegnati, per periodi di tempo limitati, uno o più “Sostituti” addetti all’ufficio.
Presso le sezioni distaccate di Corte d’appello le funzioni di procuratore generale sono esercitate dall’Avvocato Generale, a norma dell’art. 59 dell’Ordinamento Giuidiziiario.
Per garantire l'obbligatorietà dell'azione penale di fronte ad eventuali ritardi od omissioni delle Procure, in caso di obiettive situazioni di inerzia del P.M. designato o del suo dirigente, è attribuito il potere di «avocazione» al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello (P.G.).
L'avocazione consiste quindi nella eccezionale «auto-assunzione», da parte del P.G., della funzione investigativa e di promuovimento dell'azione penale in riferimento a procedimenti penali in fase investigativa, in luogo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale che per qualche motivo non opera o non è in grado di adempiere ai propri compiti.
L’avocazione trova, quindi, fondamento in obiettive situazioni di inerzia o di incompatibilità del P.M.: per rimuoverle e, quindi, ristabilire il corretto corso del procedimento, il P.G. il potere-dovere di auto-sostituirsi al P.M. interessato.
L'avocazione può essere «obbligatoria» o «facoltativa», a seconda la fattispecie giustificatrice di essa si presti o meno a valutazioni discrezionali del P.G.
La «Procura Nazionale Antimafia» (P.N.A.) è stata istituita presso la Procura Generale della Corte di Cassazione (art. 76bis e 76ter Ord. Giud., introdotti dalla L. 8/1992, modif. da L. 356/1992).
Ad essa sono funzionalmente collegate le c.d. Direzione Distrettuali Antimafia (D.N.A.), (c.d. superprocure) costituenti, a loro volta, articolazioni interne delle Procure della Repubblica presso i tribunali aventi sede nei capoluoghi del distretto della Corte d'Appello.
Al suo vertice è destinato il "Procuratore nazionale Antimafia" (P.N.A.), un magistrato di Cassazione dotato di specifiche capacità ed attitudini, scelto tra i magistrati i quali abbiano svolto per almeno 10 anni le funzioni di P.M. o di Giudice istruttore. La sua nomina è di competenza del C.S.M.
Presso la «Direzione» le funzioni di «sostituto» sono svolte dai magistrati di qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d'Appello.
Le funzioni dell Procura Nazionale Antimafia consistono soprattutto in un'attività di coordinamento e di impulso dei procuratori distrettuali e della polizia giudiziaria per assicurare la completezza e la tempestività delle indagini in ordine ai delitti di criminalità organizzata (art. 52, comma 3bis c.p.p.) anche se commessi nel territorio delle cd. procure periferiche dello stesso distretto.
Parallela alla estensione distrettuale della D.D.A. sono le competenze del G.I.P. e del G.U.P. del capoluogo del distretto, anch'esse di tipo distrettuale.
In pratica, quando per le indagini relative ad un grave omicidio di camorra procede la D.D.A., che ha sede presso la Procura del Tribunale del capoluogo della Corte d'Appello ove è sito il Giudice competente (art. 51, comma 3bis c.p.p), le funzioni di G.I.P. sono svolte dal Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale del predetto capoluogo (art. 328, comma 1bis c.p.p.). A titolo esemplificativo, se il delitto di mafia è commesso ad Avellino, le indagini saranno svolte dalla D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Napoli e le funzioni di G.I.P. da un magistrato del Tribunale di Napoli. Inoltre, dopo l'esercizio dell'azione penale, nonché le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare (G.U.P.) devono essere svolte da un magistrato del Tribunale del capoluogo (G.U.P. di Napoli).
A tali strutture giudiziarie corrispondono, sul piano degli organi investigativi di polizia Giudiziaria, la «Direzione Investigativa Antimafia» (D.I.A.) ed i Servizi Speciali di polizia, centrali e regionali.
Il Codice di rito colloca la “Polizia Giudiziaria” tra i soggetti del procedimento penale (artt. 55-59 c.p.p.). Si tratta di una scelta sistematica che sottolinea lo stretto rapporto della Polizia Giudiziaria con l’Ufficio del Pubblico Ministero e la centralità dei compiti a essa affidati nelle delicate fasi di avvio del procedimento penale.
Approfondendo ulteriormente le nozioni generali sopra esposte, può dunque notarsi che per «attività di polizia giudiziaria» si intende solo quella, svolta dai relativi Ufficiali ed Agenti, dopo che si è verificato un reato, per reprimerlo, prendendone notizia, impedendo che venga portato a conseguenze ulteriori, ricercandone gli autori, compiendo gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliendo quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (art. 55 c.p.p.).
L’attività di polizia giudiziaria, proprio perché collegata all’accertamento ed alla repressione di un reato già commesso, si colloca all’interno del procedimento penale.
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dai relativi Uifficiali ed Agenti. La distinzione tra Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria è rilevante sia per quanto riguarda la organizzazione interna delle varie “unità” di polizia giudiziaria (art. 56 c.p.p. e art. 5 e ss. att.) sia per quanto riguarda la competenza a compiere determinati atti.
A quest’ultimo proposito, le disposizioni dettate dal Codice di rito e dalle norme di attuazione (D.lgs. n. 271/89) stabiliscono che, in via generale, gli atti di polizia giudiziaria possono essere compiuti, indistintamente, dagli Ufficiali e dagli Agenti e che alla regola si fa eccezione solo per quegli atti di cui il compimento è espressamente “riservato” agli Ufficiali di polizia giudiziaria in via “assoluta” o “relativa”.
La riserva è «assoluta» quando l’atto, per la sua complessità e delicatezza, può essere compiuto esclusivamente dagli Ufficiali di polizia giudiziaria e cioè dai soggetti che, per la qualifica rivestita, sono titolari di più collaudate capacità tecnico-professionali.
E «relativa» quando l’atto può essere compiuto anche dagli Agenti di polizia giudiziaria nei casi di particolare necessità e urgenza (=nei casi che esigono l’immediato svolgimento di attività operativa)
Nelle ipotesi di riserva relativa, la necessità e urgenza che legittimano l’intervento degli Agenti di polizia giudiziaria non devono essere espressamente motivate, ma possono essere desunte anche da elementi collegati alla concreta situazione di indagine.
L’Agente di polizia giudiziaria che compie un atto in assenza di una situazione di necessità e urgenza può risponderne disciplinarmente
Nella ipotesi di riserva assoluta, l’atto compiuto da Agenti di polizia giudiziaria è invece considerato illeggittimo (Cass. 4408/98).
La Polizia Giudiziaria nell’ambito della loro competenza può trovarsi, quando agisce o di iniziativa o su delega del Pubblico Ministero, nella necessità di compiere atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche che essa non possiede.
Fra gli “ausiliari” di polizia giudiziaria rientrano, ad esempio, il funzionario ASL, il Chimico di porto o il veterinario a cui la Capitaneria di Porto deve spesso ricorrere per far certificare, rispettivamente, l’entità, le caratteristiche e la natura di un “agente” inquinante ovvero per le opportune verifiche nei mercati ittici, ecc.
In questi casi la polizia giudiziaria può avvalersi di «persone idonee» e cioè di persone in possesso delle competenze tecniche necessarie ad operare in quel determinato settore che forma oggetto dell’attività di polizia giudiziaria (art. 348, 4° comma c.p.p.)
► Tali soggetti:
Fra le persone idonee di cui si tratta va compreso anche l’interprete del quale la polizia giudiziaria deve necessariamente avvalersi per:
L’obbligo di avvalersi dell’interprete sorge anche quando l’Ufficiale di polizia giudiziaria ha personalmente conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
Anche quando si avvale di persona idonea a norma dell’art. 348, 1° comma c.p.p., l’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria continua pur sempre ad assumere la «paternità dell’atto»: spetta a lui formulare i quesiti necessari, controllare l’attività del tecnico, consacrare in Verbale o (annotazione) le operazioni effettuate e i risultati conseguiti allegando, quando sia il caso, gli elaborati tecnici redatti.
Ciò vuol dire che, sotto il profilo formale, gli atti compiuti dall’ausiliare hanno la stessa natura ed efficacia degli atti compiuti dall’autorità che si è avvalsa dell’opera dell’ausiliare.
I «compensi» agli ausiliari saranno liquidati a norma dell’art. 11 legge 8.7.1980, n. 319 come modif. dal D.M. 30.5.2002 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria).
Si definisce «indagato», in termine non strettamente tecnico, colui che il Codice di procedura penale denomina «persona sottoposta alle indagini preliminari».
E', in sostanza, la persona fisica che non ha ancora assunto la qualità formale di «imputato» ma nei cui confronti sono svolte le indagini relativamente a fatti che possono costituire reato.
Peraltro, talvolta il Codice usa il termine «indiziato», inteso come persona nei cui confronti gravano elementi di prova (indizi) di reaità. Indiziato è quindi sinonimo di indagato, anmche se il termine di indagato descrive una mera posizione procedurale passiva, mentre quello di indiziato la qualità sostanziale di persona pregiudicata da un'ipotesi di reità.
La posizione di indagato e indiziato sono configurabili solo durante la "fase (pre-processuale) delle indagini preliminari".
La qualità di indagato o indiziato di reato sorge anche prima dell'invio della "informazione di garanzia" (art. 369 c.p.p.), che è spedita per posta dal P.M. per informare l'interessato di indagini a suo carico. L'informativa in questione mira, infatti, a salvaguardare i diritti e le facoltà difensive (garanzie, appunto) e rimane confinata ai rapporti interni tra P.M. ed indagato. In particolare la qualità di indagato si acquista nel momento in cui un soggetto è indicato come tale nella notizia di reato (art. 347, comma 2 c.p.p.) e cioé prima ancora che il P.M. la iscriva negli appositi registri (art. 335 c.p.p.) ed ancor prima che la persona riceva comunicazioni delle indagini a suo carico svolte.
La qualità di indagato (o indiziato) cessa con l'archiviazione del procedimento oppure si consolida in quella di «imputato».
Per l'indagato il riacquisto (=reviviscenza) della qualità di indagato si verifica solo nel caso di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.,p.).
L'Imputato, è nel procedimento penale, la persona (fisica) alla quale è attribuita la commissione del reato e nei cui confronti il P.M. esercita (promuove o prosegue) l'azione penale.
Ai sensi dell'art. 60 c.p.p. la qualità di imputato è assunta dall'interessato da momento in cui è formulata a suo carico una imputazione e cioé quando dalla fase pre-processulae delle indagini si passa a quella del processo innanzi ad un Giudice.
La qualità di imputato è, dunque, legata a specifici e formali atti del procedimento, nei quali si concreta l'effettivo esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero. Prima e al di fuori di questi atti potrà parlarsi soltanto di persona sottoposta alle indagini, di indiziato, di indagato e simili.
La qualità di imputato è conservata in ogni stato e grado del processo, sino a “definitiva pronuncia di condanna o di proscioglimento”. Essa è però riacquisita in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e in caso di revisione del processo. Ai sensi dell'art. 27 della Costitutzione l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Egli ha diritto al rispetto delle norme di procedura penale, cioé all'assistenza della difesa, alla libertà di giustificarsi, alla formulazione dell'imputazione, ecc.
Perduta la qualità di imputato, l'interessato assume quella di prosciolto o condannato (definitivo); in questo caso inizia la fase della esecuzione della pena.
L'attività di polizia giudiziaria, proprio perché collegata all'accertamento ed alla repressione di un reato già commesso, si colloca all'interno del procedimento penale. Di solito, anzi, ne costituisce il primo momento poiché il procedimento sorge quando la Polizia Giudiziaria (o anche, ma in concreto assai più raramente, il Pubblico Ministero) acquisisce la notizia di un reato compiuto o in atto. Tale informazione sul reato può giungere alla Polizia Giudiziaria da una fonte esterna (la denuncia o la querela della vittima del reato o di un qualsiasi privato; un referto medico; la segnalazione di un Pubblico Ufficiale), ma può anche dipendere da una iniziativa autonoma della stessa Polizia Giudiziaria: poiché a questa spetta isituzionalmente il compito di ricercare anche di propria iniziativa tali informazioni.
Una volta acquisita la notizia di reato commesso, la Polizia Giudiziaria è tenuta a svolgere indagini ed a riferirne (al più tardi entro 48 ore) al Pubblico Ministero cui spetta, da quel momento, la direzione delle indagini stesse. Le indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria e dal Pubblico Ministero si denominano «indagini preliminari» perché servono a stabilire se la notizia di reato è fondata o meno e, in caso positivo, a consentire al Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale a carico di colui al quale il reato è attribuito (imputato).
Il Pubblico Ministero esercita l'azione penale quando ritiene di aver acquisito durante le indagini elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Se ritiene invece che tali elementi non siano idonei a sostenere l'accusa e che, pertanto, non essendo essa dimostrabile il processo avrebbe, come esito scontato, l'assoluzione dell'imputato, il Pubblico Ministero non esercita l'azione penale, ma chiede al Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) l'archiviazione del procedimento penale (artt. 55, 326, 405, 408 c.p.p.).
Nel corso della fase iniziale del procedimento penale, la Polizia Giudiziaria svolge dunque un ruolo fondamentale in stretto e continuativo contatto con il Pubblico Ministero.
Ed è fuori dubbio che dalle modalità di conduzione delle indagini preliminari dipende, nella gran parte dei casi, l'esito dell'intero procedimento.
Alla Polizia Giudiziaria ed al P.M. spetta, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, compiere ogni attività necessaria per le determinazioni inerenti all’azione penale.
Le indagini sono svolte unitariamente dalla P.G. e dal P.M.: questi dispone direttamente della prima e ne ha la direzione.
Per la realizzazione dei propri compiti istituzionali, la Polizia Giudiziaria è stata strutturata in «Sezioni» e «Servizi»: fermo restando che, ad un primo e più ampio livello, i Magistrati possono servirsi di qualsiasi organo di polizia giudiziaria
Si sottolinea che nel contempo tutti gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti a tutte le forze di polizia e ad altri organi sono obbligati per legge di svolgere indagini a seguito di una notizia di reato.
L'Autorità Amministrativa – sia essa Stato o Ente Locale – ha il compito di preservare l’ordine pubblico, la tranquillità sociale, la sicurezza delle persone, la tutela della proprietà.
La «polizia» intesa in senso generale (dal greco polis =città ovvero politeia =cittadino) è costituita dal complesso di attività che lo Stato e altri enti pubblici svolgono per assicurare le condizioni di un ordinato e tranquillo vivere civile sociale. Questa attività può essere diretta a «prevenire condotte in grado di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica» oltre ché a «reprimere le violazioni già verificatesi di norme penali impedendone gli eventuali ulteriori effetti».
► Per «attività di polizia amministrativa» si intende quel complesso di attività (ante delictum) svolta dallo Stato o da altri enti pubblici, volta a realizzare le misure amministrative (ordinanze, provvedimenti, decreti, ordini, diffide, ecc.), di vigilanza ed osservazione:
L’attività di polizia amministrativa in senso ampio, comprende la polizia marittima, demaniale, ambientale, forestale, sanitaria, di frontiera, urbanistica, ecc.
Tale attività amministrativa può esercitarsi sia in forma regolamentare – disciplinando cioè le attività concernenti una specifica materia (ad esempio, polizia urbanistica, demaniale, ecc.) – costituendo quindi la c.d. “Polizia Amministrativa in senso stretto” – sia in forma repressiva oltre che preventiva, intesa come vigilanza sulle attività medesime al fine di prevenire e quindi reprimere ogni comportamento illecito o imprudente – costituendo in tal caso la c.d. “Polizia di Sicurezza”.
La Polizia Amministrativa si pone quindi come regolamentazione delle attività umane; la Polizia di Sicurezza si pone invece quale controllo e repressione delle stesse.
Una particolare specie di Polizia Amministrativa si ha ad esempio nella c.d. ”Polizia Portuale”: essa consiste sia in Polizia Amministrativa in senso stretto (esplicantesi attraverso il potere di Ordinanza), sia in Polizia di Sicurezza, finalizzata alla prevenzione dei pericoli in ambito portuale,sia generici che specifici.
Le Capitanerie di Porto – quale Organo periferico dell’Amministrazione Marittima dello Stato – espletano al riguardo sia funzioni prettamente amministrative (la c.d. ”amministrazione attiva”), sia funzioni di Polizia Amministrativa (effettuata in forma regolamentare) che funzioni di Polizia di Sicurezza (effettuata in forma operativa), sia, infine, funzioni di Polizia Giudiziaria.
► La «attività di polizia giudiziaria», invvece, è costituita da complesso di attività (post delictum) che hanno lo scopo di accertare e reprimere i reati, ed a ricercare i responsabili per assicurarli alla giustizia.
L’attività di polizia giudiziaria interviene, quindi, in una fase patologica data dalla violazione di un ordine giuridico ed è essenzialmente finalizzata allo svolgimento di attività repressive. Il suo interesse è, quindi, prevalentemente circoscritto alle norme penali. Inoltre la stessa è volta a vigilare sulla preservazione dell’ordine, sull’incolumità fisica delle persone e sulla tutela ella proprietà, mediante l’adozione di provvedimenti e misure sia di natura preventiva che, prevalentemente, repressiva.
Ciò vuol dire che non può parlarsi di attività di polizia giudiziaria tutte le volte in cui le Forze o gli organi di polizia e comunque i soggetti stessi cui è attribuita la qualità di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria (art. 57 n. 3 c.p.p.), si limitano a svolgere attività di polizia amministrativa e cioè a «controllare» che i privati rispettino le limitazioni che la legge impone al loro operato e svolgano la propria attività senza procurare danni agli altri consociati. In questa situazione, infatti, chi svolge attività di polizia amministrativa agisce con finalità preventiva, di controllo delle attività altrui o di garanzia dell’ordine e della sicurezza dei cittadini: e non con le finalità di informarsi su reati già commessi o in atto e di reprimerli individuandone l’autore.
Mentre l’esercizio dell’attività amministrativa fa capo alla Autorità amministrativa (ad esempio, l’Autorità marittima), quello della polizia giudiziaria fa capo all’Autorità Giudiziaria.
L’Autorità amministrativa ha il compito di preservare l’ordine, la tranquillità, la sicurezza delle persone, la proprietà, la moralità, contro eventuali atti illeciti del privato. Viceversa l’Autorità Giudiziaria interviene quando l’azione antigiuridica è già avvenuta, per infliggere la sanzione prevista dalla legge penale.
E’ naturale, peraltro, che nella gran parte dei casi, dell’avvenuto verificarsi di un reato si prenda notizia proprio durante l’attività di polizia amministrativa e che, in questi casi, l’acquisizione della notizia di reato “modifica la qualità” del personale di polizia operante.
Nell’ambito della polizia amministrativa, si suole individuare, la «polizia di sicurezza» che potrebbe definirsi come quella branca dell’attività di polizia amministrativa, è precisamente quella che la legge commette all’Autorità di pubblica sicurezza, diretta a vigilare sull’ordine inteso come ordine sociale, sui diritti e sulla sicurezza fisica delle persone, contro ogni comportamento illecito e imprudente.
A questo scopo, l’Autorità di pubblica sicurezza[1] adotta le misure ed i provvedimenti, sia preventivi che repressivi, previsti dalla legge.
La polizia di sicurezza è essenzialmente attività di «prevenzione», cioè tendente ad impedire lo svolgimento di atti o attività contrastanti con l’ordinamento giuridico, oppure comunque in grado di infrangere l’ordinata e sicura convivenza civile.
La Polizia di Sicurezza, può – per quanto concerne le materie d’interesse del Corpo delle Capitanerie di porto – suddividersi come segue:
Naturalmente le funzioni di polizia sopra citate sono esercitate normalmente quale Polizia Amministrativa nei modi e nelle forme di cui alla Legge 689/81; per le violazioni penali previste dalle medesime leggi si procede invece quale Polizia Giudiziaria applicando invece le forme ed i modi stabiliti dal c.p.p.
La Polizia di Sicurezza può essere esercitata solo dallo Stato: è quella parte della Polizia Amministrativa intesa a vigilare sull’Ordine Pubblico inteso come ordine sociale, sui diritti e sulla sicurezza delle persone, contro ogni comportamento illecito o imprudente – tramite provvedimenti sia preventivi che repressivi – previsti ex lege.
L’Autorità Amministrativa (Stato o Enti Locali) ha il compito di preservare l’ordine, la tranquillità sociale, la sicurezza delle persone, la proprietà; l’Autorità Giudiziaria interviene invece successivamente - quando l’ordine è stato violato - per infliggere la relativa sanzione.
[1] La Prefettura è l’organo periferico del Ministero dell’interni che esercita in ogni provincia le funzioni dell’amministrazione generale dello Stato. E’ retta dal Prefetto che è la più alta autorità dello Stato in quel territorio. Egli vigila sull’andamento di tutte le pubbliche amministrazioni ad eccezione dell’amministrazione della giustizia, dell’amministrazione militare e di quella ferroviaria, tutela l’ordine e sovraintende alla pubblica sicurezza. Egli dispone della forza pubblica (forze di polizia e forze militari comandate in ordine ) e ne coordina le attività. Il Questore è l’autorità provinciale di pubblica sicurezza che ha la direzione, la responsabilità ed il coordinamento a livello tecnico-operativo dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e di impiego della forza pubblica. Al Prefetto spettano scelte politico-amministrative mentre al questore prettamente scelte tecnico-operative nella concreta azione di polizia.
Nell'ambito del procedimento penale ed in particolare nelle indagini preliminari le Forze ed i Corpi di polizia che, nel loro complesso, congiuntamente ad altre figure compongono gli Organi di polizia giudiziaria in senso ampio, rivestono un ruolo di spicco, in quanto nella stragranza maggioranza dei casi un'indagine nasce perché una notizia di reato è portata a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria attraverso lo svolgimento di attività d'iniziativa della Polizia Giudiziaria
E’ utile evidenziare che la Legge 1 aprile 1981, n. 121 [3] che ha sancito il “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, all’art. 16 espressamente preve le varie componenti delle “Forze di Polizia” cui spetta lo svolgimento delle funzioni di polizia, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica
La citata legge è stata modificata dal Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 177, [4]recante "Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo Forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 20l5, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche".
► Queste sono:
Vengono, altresì, considerati “forze di polizia” e possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica:
Le forze di polizia così individuate riguardano soltanto la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica considerati in generale. In altri termini, l’art. 16 della Legge n. 121/81, ricomprende nella categoria di forze di polizia, oltre alla Polizia di Stato quale primaria tipica struttura funzionale di polizia, anche tutti gli organismi istituzionali che, pure essendo sottoposti ad autonomi ordinamenti, svolgano o siano chiamati a svolgere funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Funzioni di polizia «limitatamente» all’accertamento di determinati reati (art. 57, 3° comma c.p.p.), spettano, poi ad altri «soggetti» nelle materie attribuite alla loro specifica competenza.
In materia di «tutella dell'ordine», si rammenta, che il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Coostiera può intervenire esclusivamente nelle ipotesi di cui all’art. 82 Cod. nav. (disordini nei porti e sulle navi).
Ad adiuvandum si menziona il R.D. del 13/1/1931, n. 724, con il quale è disposto che «…i Nocchieri di porto fanno parte integrante della forza pubblica e delle forze militari dello Stato, e sono preposti, in concorso con gli altri Agenti della forza pubblica, alla tutela della sicurezza e delle persone nei porti e nelle rade dove esercitano funzioni esecutive e di polizia giudiziaria ed amministrative».
Il Corpo delle Capitanerie di Porto, pur non essendo incluso tra le forze di polizia, può essere considerato, di fatto, un «corpo di polizia» (in funzione di polizia giudiziaria), laddove si consideri che trattasi di un organismo chiamato per legge a disimpegnare, fra l’altro, compiti di polizia amministrativa e giudiziaria.
E ancora, in materia di ordine pubblico, a mente dell’art. 18 della citata Legge n. 121/81, il Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto può essere chiamato dal Ministro dell’interno a partecipare alla riunione del Comitato Nazionale per l’ordine e sicurezza pubblica (G8 - Genova).
Le forze e gli organi di polizia possono essere utilizzate anche in «servizio di pubblico soccorso». L'impiego delle forze di polizia per il soccorso pubblico in occasione di calamità naturali è stato previsto anche dal D.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66. (Regolamento di esecuzione della Legge 8 dicembre 1970, n. 996, reacante norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità e sulla protezione civile) che ha attribuito al Prefetto, in veste di Organo ordinario titolare di funzioni di protezione civile, la dsiponibilità delle forze dell'ordine non solo per i servizi straordinari di vigilanza e tutela richiesti dall'emergenza, ma anche per assicurare il soccorso pubblico per le prime urgenti necessità.
[1] In forza del previsto coinvolgimento delle Forze Armate non è escluso che gli equipaggi delle Unità M.M. presenti nei porti o nell’ambito delle acque territoriali possano essere chiamati a prestare il proprio concorso in materia di ordine , nei casi in cui al citato art. 82 cod. nav., compatibilmente con l’assolvimento dei prioritari compiti di istituto e fermo restando la salvaguardia della sicurezza delle unità
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte, nell’ambito delle proprie competenze e attribuzioni, da tutti coloro cui il Codice di procedura penale [5] o specifiche leggi attribuiscono la «qualifica» di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria (art. 55, comma 3 c.p.p.).
Per ottenere risultati ottimali dall’attività di polizia giudiziaria, il Codice di rito prevede, tuttavia, particolari «organismi» e «strutture», sempre composte da Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria, appositamente istituiti per compiere attività di indagine in modo continuativo e permanente e collegati, più o meno intensamente, con l’Autorità giudiziaria e, in particolare, con il Pubblico Ministero al quale la legge attribuisce il potere di dirigere le indagini (art. 327 c.p.p.).
L’art. 109 Cost. prevede che l’Autorità giudiziaria «dispone» direttamente della Polizia Giudiziaria. Il potere di piena utilizzazione e direzione della Polizia Giudiziaria rende ciascun Procuratore della Repubblica, giuridicamente Capo (o direttore) della Polizia Giudiziaria nell’ambito del proprio circondario.
A seconda della dipendenza solo funzionale o anche organica della Polizia Giudiziaria dal Pubblio Ministero, la Polizia Giudiziaria può essere così "tripartita" (art. 56 e artt. 5-12 att. c.p.p.):
Le «Sezioni» di polizia giudiziaria, hanno una totale dipendenza "funzionale-operativa" ed una ampia dipendenza organica dal P.M. Sedi operative delle Sezioni di P.G. sono le Procure della Repubblica presso il Tribunale ordinario e quello presso il Tribunale per i minorenni. Non sono istituite presso le Procure Generali presso le Corti di appello.
Nei casi di «avocazione» (e cioè nei casi in cui il Procuratore Generale si autosostituisce, per giustificati motivi, al Procuratore della Repubblica nello svolgimento delle indagini) il Procuratore Generale può peraltro disporre di tutte le Sezioni del "distretto", fermi restando i suoi poteri di coordinamento e sorveglianza.
Le Sezioni svolgono attività di polizia giudiziaria in modo permanente ed esclusivo e ricevono direttive solo dal Pubblico Ministero e non anche dalle istituzioni di provenienza.
La loro composizione è «interforze» (art. 16 Legge n. 121/81 e succ. modif.): della Sezione fanno parte Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti alla Polizia di Stato, alla Forza Arnata dei Carabinieri e al Corpo della Guardia di Finanza specificamente addestrati nell’accertamento e repressione di particolari reati (ad esempio, come quelli ambientali, urbanistici, marittimi, ecc.).
La scelta del personale da assegnare alle Sezioni spetta al relativo Procuratore della Repubblica, che vi provvede di intesa con il Procuratore Generale (P.G.), mediante una designazione vincolante per l’Amministrazione di provenienza (artt. 5-20 D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 ed art. 17 L.1 aprile 1981, n. 121).
Alle Sezioni possono essere «applicati», in soprannumero, Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad “Organi” diversi dalle tre forze di polizia fin qui indicate.
Fanno parte dei «Servizi» di polizia giudiziaria quegli Uffici ed unità ai quali è affidato dalle rispettive Amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, il compito di svolgere, in via prioritaria e continuativa, le funzioni di polizia giudiziaria
Per questi vi è una più intensa dipendenza funzionale, con taluni marginali profili di dipendenza anche organica. I servizi sono adibiti in via permanente, anche se giuridicamente non esclusiva, a funzioni di polizia giudiziaria., ma nell’ambito dell’ istituzioni di appartenenza, sicché ricevono direttive sia da queste, sia dal Pubblico Ministero.
Il personale che fa parte dei Servizi rimane gerarchicamente ed organizzativamente inquadrato nei Corpi di appartenenza, ma le disposizioni di attuazione attribuiscono all’Autorità giudiziaria un controllo sulla mobilità (ad esempio: allontanamento anche provvisorio dalla sede, promozioni, ecc.) del personale addetto ai servizi (artt. 12, 14 e 15 att.).
L’Ufficiale di P.G. preposto al Servizio di P.G. è responsabile dell’efficienza del Reparto verso il Procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale (art. 59. 2° comma c.p.p.) [1]
Accanto alle Sezioni ed ai Servizi, svolgono funzioni di polizia giudiziaria anche «generici organi» di polizia giudiziaria. Per questi vige un livello minimale di dipendenza solo funzionale. Trattasi di tutti quegli organismi obbligati per legge ad espletare indagini ma normalmente investiti di funzioni amministrative.
Tali generici organi di polizia giudiziaria differiscono dalla restante categoria dei generici Pubblici Ufficiali per il fatto che essi sono obbligati ad iniziare o a continuare indagini, anche su richiesta del Pubblico Ministero, mentre gli altri Pubblici Ufficiali sono tenuti solo a fare denuncia (art. 361 c.p.p.).
Si tratta degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria che non sono inseriti nei servizi e nelle sezioni, ai quali, tuttavia, la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di notizia di reato e che possono avere una «competenza generale» (e cioè in ordine a qualunque reato) o «limitata» (e cioè solo in ordine a determinati reati).
Tali organi devono eseguire, nell’espletamento dell’attività di polizia giudiziaria, le direttive del Pubblico Ministero, ma è bene ribadire, comunque, che ferma tale subordinazione, tali organi continuano ad essere subordinati anche ai loro superiori gerarchici per tutto ciò che non abbia attinenza ai compiti di polizia giudiziaria.
Va da sé, poi che anche nell’espletamento dei compiti di polizia giudiziaria, continueranno ad operare le distinzioni di grado e qualifica derivanti dai rapporti gerarchici stabiliti dall’ordinamento di appartenenza. Gli inferiori sono tenuti ad eseguire gli ordini dei Superiori, salvo che tali ordini siano manifestamente criminosi.
La differenza tra Sezioni e Servizi si fonda sulla diversità delle dipendenze funzionali e organica dal P.M., emblematicamente palesata dalla diversa ubicazione della sede di servizio.
Le Sezioni di P.G., hanno sede presso la Procura della Repubblica; i Servizi, presso i Comandi di appartenenza (le sedi delle Questure, dei Comandi dei CC., della G.d.F., delle Capitanerie di Porto, ecc.).
[1] Art. 59, n. 2 c.p.p. (Subordinazione della polizia giudiziaria) - Il Pubblico Ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria (NODM, NOIP e NOE) è responsabile verso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente
Il personale di Polizia Giudiziaria è costituito dai soggetti obbligati per legge ad esperire indagini per accertare reati oltre che a sporgere denuncia (art. 361 c.p.)
Non hanno qualità di organo di polizia giudiziaria, invece, tutti quei Pubblici Ufficiali e incaricati di un pubblico servizio che pur avendo l’obbligo di denuncia (art. 331), non hanno il potere-dovere di compiere attività investigativa processuale.
Peraltro, l’obbligo di denuncia è limitato ai fatti-reati appresi a causa e nell’esercizio delle proprie funzioni amministrative.
La qualifica di Ufficiale o Agente di P.G. compete ad ampie categorie di pubblici dipendenti (civili, militari e militarizzate).
A seconda della ampiezza della loro "sfera operativa", gli organi di P.G. si suddividono in:
Da qui la «bipartizione» che fa il codice fra gli Ufficiali ed Agenti a “competenza generale” e quelli a “competenza limitata”.
Tutti esercitano le "funzioni" di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p.. Tuttavia, esse spettano, nella loro intierezza, solo agli Ufficiali di P.G., senza distinzione, nel loro ambito, di qualifiche o profili professionali, né di gradi, salve le esigenze di coordinamento, comando o direzione interne e specifiche della propria Amministrazione....
Le funzioni di P.G., spettano solo in parte ai semplici Agenti di P.G., in considerazione della loro minore presunta qualificazione, in rapporto al minore grado o livello impiegatizio.
La casistica degli organi secondari di P.G. comprende Ufficiali ed Agenti di P.G. ai quali è conferito l’incarico di accertare e ricercare solo determinate specie di reati e precisamente quelle nelle quali essi possono imbattersi nello svolgimento del servizio cui sono destinati (…competenza settoriale o limitata) e secondo le rispettive attribuzioni (…in riferimento ai diversi poteri conferiti, rispettivamente, agli Ufficiali ed agli Agenti, specie con riguardo alla legittimazione a compiere, da parte dei primi, tutti gli atti di polizia giudiziaria e, da parte dei secondi, solo alcuni di essi).
Sono equiparati al «privato», gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria a competenza limitata, quando operano al di fuori delle loro specifiche attribuzioni o del servizio cui sono destinati.
La Polizia Giudiziaria è centro propulsivo del procedimento penale e, come soggetto del procedimento, ha la titolarità di poteri investigativi che sono autonomi fino a quando il P.M., cui essa deve riferire la notizia di reato sensa ritardo, non abbia assunto la direzione delle indagin ed impartito le direttive necessarie (art. 348 c.p.p.). Va sottolineato tuttavia che anche dopo l'assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., la Polizia Giudiziaria può svolgere indagini di propria iniziativa.
Il momento dell’intervento della Polizia Giudiziaria è per forza di cose connesso ad un reato ed è ben diverso dal carattere preventivo della polizia amministrativa, assumendo in realtà una finalità più schiettamente repressiva.
Tale momento di intervento è caratterizzato da diversi «obblighi e doveri» e, in particolare, ha il compito di (art. 55 c.p.p.)
[1] Art. 30 (Uso del demanio marittimo) – L’amministrazione dei trasporti regola l’uso del demanio marittimo e vi esercita la polizia (art. 1164, comma 1 cod. nav.)
Art. 27 Reg. cod. nav. (Vigilanza) – L’esercizio della concessione è soggetto alle norme di polizia sul demanio marittimo (art. 30 cod. nav.). L’Autorità marittima vigila sull’osservanza delle norme stesse e delle condizioni cui è sottoposta la concessione.
[…]
Le funzioni di polizia giudiziaria tendono tutte alla ricostruzione del fatto-reato ed alla individuazione del presunto autore.
► Esse sono così classificabili:
Gli elementi di fatto raccolti in sede di interruzione del reato sono, a loro volta, utili ai fini della funzione investigativa.
Quando un "Ufficiale" o "Agente" di polizia giudiziaria interviene nei confronti di un soggetto sospettato di un reato o nel momento in cui sta commettendo un reato:
Attenzione !
L’art. 349 c.p.p. sancisce che di questo accompagnamento coattivo ai fini identificativi deve essere subito notiziato il Procuratore della Repubblica del posto.
Se la persona si oppone con la forza all’accompagnamento, commette il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale (art. 337 c.p.) per il quale è possibile l’arresto in flagranza.
Qualora l’U.P.G. non voglia, per motivi di opportunità o per altro, ricorrere all’uso della forza per l’accompagnamento coattivo, cercherà di identificare, attraverso altri mezzi (ad esempio: targa dell’autovettura, informazioni, testimonianze, ecc.) la persona, trasmettendo l’informativa di reato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente al quale illustrerà dettagliatamente l’evoluzione dei fatti.
In nessun caso è possibile far uso delle eventuali armi in tali circostanze, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria integrità fisica da un pericolo attuale ed inevitabile, e sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa e non sussista l’alternativa di un comportamento diverso oppure qualora il militare operante sia costoro all’uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza.
Attenzione !
la cosiddetta “resistenza passiva” (rifiuto senza minacce o violenza ed atteggiamento passivo ed inerte) non integra il reato di resistenza ma soltanto il reato di cui all’art. 650 e/o 61 c.p.
In uno Stato democratico, ove massima tutela viene riconosciuta ai diritti del cittadino ed i limiti alla libertà costituzionali sono oggetto di precise garanzie, i compiti degli Organi preposti alle funzioni di polizia devono essere svolti mantenendo, sempre, il “giusto equilibrio” tra l’esplicazione di un «atto autoritativo» qual è normalmente l’atto posto in essere dal Pubblico Ufficiale, ed il rispetto dei diritti della persona che ne subisce gli effetti.
L’identificazione di una persona rappresenta, ad esempio, più che un invito a declinare le proprie generalità personali e quant’altro possa valere ad identificarla compiutamente, un ordine dell’Autorità che, nel quadro dei principi anzidetti, va considerato un potere da esercitare, non solo con la puntuale osservanza delle norme che la regolano, ma anche con atteggiamenti e comportamenti improntati alla buona educazione, al rispetto della persona ed alla salvaguardia dell’immagine dell’Amministrazione di appartenenza.
Alla necessaria fermezza nell’intervento deve, pertanto, coniugarsi la cortesia nei modi e nel linguaggio, qualunque sia o appaia il soggetto destinatario del controllo d’identità; in tal modo, non solo si rappresenta la funzione esercitata con adeguato livello di professionalità, ma, contestualmente, si evita una giusta rimostranza o addirittura, il tentativo di far passare per arbitrario l’atto medesimo.
Allo scopo di scongiurare possibili malintesi o incertezze, la richiesta dei documenti identificativi è opportuno che sia effettuata comunque da personale in “uniforme”.
Qualora gli operatori siano in abiti civili e sia necessario ed improrogabile procedere al controllo, devono essere attuate tutte le possibili cautele per consentire al cittadino un inequivocabile riconoscimento.
Proprio la necessità di garantire la sicurezza della collettività e degli operanti rappresenta l’ulteriore criterio cui uniformare alcune elementari regole di condotta nel corso degli interventi da parte del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera.
E’ necessario, quindi, in presenza dell’utente, mantenere costante un atteggiamento fermo e prudente: pur nel rispetto delle libertà del cittadino, è importante adottare ogni accorgimento teso a garantire la propria e altrui incolumità.
Anche quando le persone fermate, oggetto dell’attività di identificazione, mostrano tranquillità e disponibilità agli accertamenti di polizia, deve essere tenuta sempre elevata e vigile la concentrazione operativa, al fine di scongiurare ogni reazione ed essere pronti a fronteggiare inattese situazioni d’emergenza.
Quando decide di procedere al controllo di una o più persone, e qualora non sia necessario attivarsi presso il proprio Comando, il militare del Corpo deve ponderare, oltre alla tecnica di avvicinamento e di approccio, il luogo più idoneo all’intervento stesso.
L’approccio con le persone deve, possibilmente, avvenire con l’utilizzo della «tecnica di protezione ravvicinata», che consiste nell’operare sempre con il sostegno, a distanza, di uno o più collaboratori in posizione reattiva, ossia pronti a fronteggiare l’eventuale reazione del fermato ovvero di terze persone presenti nelle vicinanze.
Non tutti gli operatori, quindi, devono trovarsi contemporaneamente impegnati nel controllo: mentre uno procede alla identificazione ed agli accertamenti conseguenti, l’altro o gli altri devono tenersi a distanza pronti ad intervenire.
Giova sottolineare che una procedura operativa adeguata rappresenta un valido deterrente nei confronti dell’utente reticente o malintenzionato, il quale, al contrario, in presenza di atteggiamenti rilassati ed eccessivamente fiduciosi dei tutori dell’ordine, potrebbero approfittare di un momento opportuno per sottrarsi con forza al controllo.
Dell’avvio dell’attività di controllo, nonché del luogo in cui il personale del Corpo opera, è opportuno informare via radio/telefonino la Centrale Operativa del proprio Ufficio che, in caso di emergenza, sarà in condizione di attivare tempestivamente le misure di conseguenza.
Le norme di attuazione del Codice di procedura penale (artt. 16-19) regolamentano il tema delle "sanzioni disciplinari" che possono essere applicate agli Ufficiali ed agli Agenti di polizia giudiziaria che, violando le norme relative all’esercizio delle loro «funzioni», e cioè:
►Iniziativa: l’azione disciplinare è promossa dal Procuratore Generale presso la Corte di appello del "distretto" in cui presta servizio l’U.P.G. o l’A.P.G. Dell'inizio dell'azione disciplinare è data comunicazione all'amministrazione dalla quale dipende l'Ufficiale o l'Agente di polizia giudiziaria in questione.
►Contestazione: l'addebito viene contestato all'incolpato per iscritto. La contestazione, che indica succintamente il fatto e la specifica trasgressione della quale l'incolpato è chiamato a rispondere, è notificata all'incolpato e contiene l'avviso che fino a 5 giorni prima dell'udienza, egli ha la facoltà di presentare memorie, produrre documenti e richiedere l'audizione di testimoni.
►Competenza: competente a giudicare dell’infrazione disciplinare è una apposita "Commissione" (composta da due magistrati e da un Ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell’incolpato) avente sede presso la Corte d’Appello e i cui componenti sono nominati dal consiglio giudiziario, per i magistrati, e dai soggetti indicati nell’art. 17 co.3 att., per gli appartenenti alle Forze di Polizia. Nel procedimento disciplinare l’accusa è rappresentata dal Procuratore Generale (P.G.) che ha promosso l’azione disciplinare o da un suo sostituto.
►Le garanzie difensive: l’incolpato ha facoltàdi nominare un difensore di fiducia (che può anche essere un appartenente alla sua Amministrazione) o da un difensore di ufficio (designato a norma dell’art. 97).
►Notifica del provvedimento: all'esito dell'iter procedimentale, il Procuratore Generale comunica il provvedimento all'amministrazione di appartenenza dell'Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria nei cui confronti è stata promossa l'azione disciplinare.
►Impugnazione: avverso la decisione emessa della Commissione, sia l'incolpato che il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello possono ricorrere ad una "Commissione Centrale" (di 2° grado) che ha sede presso il Ministero di Giustizia ed il cui provvedimento conclusivo non è ricorribile in Cassazione. L'accusa è esercitata da un magistrato della Procura Generale presso la Corte di cassazione.
All’esito del procedimento, all’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria, ritenuto responsabile della trasgressione disciplinare è inflitta la sanzione della «censura» o, nei casi più gravi, la «sospensione dall’impiego» per un tempo non superiore a sei mesi.
Agli Ufficiali o agli Agenti addetti alle Sezioni di polizia giudiziaria potrà essere altresì irrogata la sanzione dell'esonero dal servizio presso le sezioni. Nei confronti dell'Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. incolpato può essere disposta anche la "sospensione cautelare" dalle funzioni di polizia giudiziaria.
Va precisato che il procedimento disciplinare sia in 1° che in 2° grado, nonostante l'intervento dell'Autorità Giudiziaria e le forme proprie di un procedimento giurisdizionale, resta un procedimento di natura amministrativa.
L’Ufficiale o l’Agente che viola i doveri inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria può essere assoggettato solo al procedimento disciplinare appena delineato (art. 16 comma 3 att.) e non anche (congiuntamente o alternativamente) al procedimento disciplinare che le varie amministrazioni prevedono per i loro appartenenti che trasgrediscono ad ordini emanati ovvero violino doveri generici o specifici del servizio o della disciplina militare.
E', infatti, evidente che le sanzioni dinanzi citate, previste dalle disposizioni di attuazione al nuovo codice di rito non possono essere certo assorbire provvedimenti di diversa natura quali ad esempio la destituzione, o profili di rilevanza disciplinare peculiari, per ciascuna amministrazione di appartenenza, come ad esempio quelle previste dalla L. 121/81 e dal successivo decreto di attuazione D.P.R. 737/81 per gli appartenenti alla polizia di Stato.
Il procedimento disciplinare promosso per la violazione commessa nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, non esclude, viceversa, che per la stessa violazione possa essere dato inizio anche a un «procedimento penale». Per il medesimo fatto, perciò, può prospettarsi l’ipotesi di dare autonomi procedimenti: quello disciplinare o quello penale.
Gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria a competenza generale o limitata (fra cui gli appartenenti al Corpo) sono legittimati a compiere, sia pure per accertare solo determinate categorie di reati, tutti gli atti di polizia giudiziaria. Va peraltro rilevato che mentre gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono svolgere qualsiasi atto, gli Agenti possono compierne alcuni e non altri.
La distinzione tra Ufficiali ed Agenti di polizia giudizraia è rilevante sia per quanto riguarda la organizzazione interna delle varie unità di polizia giudiziaria sia per quanto riguarda la competenza a compiere determinati atti.
A quest’ultimo proposito, le disposizioni dettate dal Codice di rito e dalle norme di attuazione stabiliscono che, gli atti di polizia giudiziaria possono esssere compiuti, indistintamente, dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria e che alla regola si fa eccezione solo per quegli atti il cui compimento è espressamente “riservato” agli Ufficiali di polizia giudiziaria in via assoluta o relativa.
La riserva è assoluta quando l’atto, per la sua complesità e delicatezza, può essere compiuto dagli Ufficiali di polizia giudiziaria e cioè dai soggetti che, per le qualifica rivestita, sono titolari di più collaudate capacità tecnico-professionali.
La riserva è relativa quando l’atto può essere compiuto anche dagli Agenti di polizia giudiziaria nei casi di particolare necessità e urgenza, cioè a dire, nei casi che esigono l’immediato svolgimento di attività operativa (art. 113 att.)..
Nelle ipotesi di riserva relativa, la necessità e urgenza che legittimano l’intervento degli Agenti di polizia giudiziaria non devono essere espressamente motivate, ma possono essere desunte anche da elementi collegati alla concreta situazione di indagine.
L’agente che compie un atto in assenza di una situazione di necessità e urgenza può rispondere disciplinarmente. Nell’ipotesi di riserva assoluta, l’atto compiuto da Agenti di polizia giudiziaria è invece considerato illegittimo (Cass. 4408/98).
► In particolare gli «Ufficiali di P.G.» possono procedere, ad esempio:
Va rilevato che mentre gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono svolgere qualsiasi atto, gli Agenti possono compierne alcuni e non altri.
► In particolare gli «Agenti di P.G.» possono procedere ad esempio:
La Polizia Giudiziaria è «soggetto» procedimentale, ma non anche parte processuale. E’ soggetto perché, nella fase pre-processuale, è titolare di proprie potestà e funzioni investigative, anche parzialmente autonome da quelle del P.M. (ad esempio: arresto, fermo, atti di indagine) ed anche perché ha una propria funzione esecutiva di direttive e di atti delegati dal P.M. (artt. 347 e 370 c.p.p.).
La P.G. non è parte perché innanzi al Giudice non può iniziare, né proseguire l’azione penale, di cui unico ed esclusivo titolare è il P.M. . L’Ufficiale di P.G. benché possa fungere da P.M. nei riti dibattimentali innanzi al Giudice monocratico, ivi non rappresenta il proprio Corpo o Arma di appartenenza, ma il Procuratore della Repubblica delegante (art. 22 D.P.R. 449/1988, modificato dall’art. 72 Ord. Giud.).
Ha carattere "preliminare" (art. 347 c.p.p.) perché è volta a fornire al P.M. l’imput investigativo: spettando poi al P.M. stesso sviluppare l’indicazione ricevuta finalizzandola processualmente.
Questo vuol dire che dal momento in cui il P.M. ha concretamente assunto la direzione delle indagini, la P.G. ha il dovere di muoversi entro le linee da lui tracciate, salvo a riacquistare sfere di autonomia più o meno ampie in relazione ad indagini richieste da elementi successivamente emersi (art. 348 co.3 c.p.p.).
Ha carattere "ausiliario" perché spetta al P.M. la direzione delle indagini e disporre direttamente della P.G.
Nel primo caso, ampia è la discrezionalità della Polizia Giudiziaria; nel secondo caso è assai limitata (art. 348 comma 3). In ogni caso, la P.G. conserva la titolarità della c.d. indagine parallela, che nella sua autonomia, può sempre espletare, pur essendo comunque obbligata anche a svolgere le indagini commissionate dal P.M.
Si aggiunga che a seguito del trasferimento di alcune competenze penali in capo al Giudice di Pace, l’attività di iniziativa della Polizia Giudiziaria, nelle materie affidate al Giudice onorario, ha subito un ampliamento potendo la P.G., oltre che condurre le indagini, procedere, in determinati casi, alla citazione diretta in giudizio della persona indagata.
L’attività autonoma è quella che la P.G. è legittimata e tenuta a compiere in base a «propri autonomi poteri» che le derivano direttamente dalla legge e non da richieste od ordini del P.M.
Consiste nel compimento di qualsiasi legittima attività, tipica o atipica, di informazione, investigazione e assicurazione diretta alla ricostruzione del fatto e alla individuazione dell’autore o dei presunti autori del reato.
L’attività autonoma ha come momento iniziale quello dell’acquisizione della N.d.R., perdura certamente fino a che la notizia criminis non viene comunicata al P.M. (art. 347 c.p.p.) e può continuare fino a che questi non assume concretamente e di fatto la direzione delle indagini.
Una volta che il P.M., ricevuta la comunicazione di N.d.R. ha assunto concretamente la direzione delle indagini, egli può compierle personalmente oppure avvalendosi della P.G. In questo secondo caso, può limitarsi a impartire alla P.G. delle «direttive» di indagine oppure può ad essa «delegare» il compimento di specifici atti (artt. 348 co.3 e 370 co.1). Se il P.M. si limita ad impartire direttive di indagine, l’attività della polizia giudiziaria si denomina «attività guidata». Se, invece, il P.M. delega alla polizia giudiziaria specifici atti, l’attività della P.G. si denomina «attività delegata».
L’attività guidata è, pertanto quella che la Polizia Giudiziaria svolge nell’ambito delle direttive del P.M. e, cioè, entro le linee generali (=obiettivi di indagine) da lui tracciate. Le circostanze che il P.M. abbia impartito direttive di indagine, non impedisce alla polizia giudiziaria di seguire proprie «piste» di indagine o sulla base di quanto richiesto da elementi successivamente emersi (=attività successiva) o in attuazione di proprie idee investigative (=attività parallela).
In questi casi, la Polizia Giudiziaria, come in tutti i casi in cui il P.M. si limita ad impartire direttive, resta libera di scegliere i mezzi e il tipo di investigazione più idonei per raggiungere l’obiettivo di indagine indicatole.
Sarà, perciò, autorizzata a perseguire l’obiettivo di indagine assumendo informazioni da potenziali testimoni, eseguendo osservazioni di persone e pedinamenti, acquisendo dati sulla personalità dei membri dell’equipaggio del motopesca oppure compiendo altra attività ritenuta necessaria od opportuna, e ponendo in essere, altresì, tutte quelle attività informali, rientranti nelle regole della buona tecnica di indagine e quindi non vietate...
L’attività delegata consiste, invece, nel compimento da parte della polizia giudiziaria, di atti specificamente richiesti e indicati dal P.M. intervenuto nella direzione delle indagini.
A differenza di quello compiuto su direttiva, l’atto delegato ha lo stesso regime dell’atto compiuto personalmente dal P.M, ed è evidente che solo da uno specifico provvedimento del P.M. (=delega) può essere argomentata tale ammissibilità.
La «delega» deve, pertanto, assumere la forma scritta, ma ciò non impedisce, tuttavia, che, quando sussistono ragioni di urgenza o necessità, possa essere data oralmente e poi ribadita per iscritto.
La Polizia Giudiziaria in quanto soggetto del procedimento, è titolare di autonomi funzioni investigative che esercita mediante «atti tipici» (artt. 244-271 c.p.p.) e anche di «atti atipici» (art. 189).
Nella sua attività di ricerca delle fonti di prova, la Polizia giudiziaria pone in essere:
Il procedimento penale ha inizio con l'acquisizione della notizia di reato da parte della Polizia Giudiziaria (art. 330 c.p.p.) o del Pubblico Ministero. All'acquisizione segue una prima fase della procedura (fase delle indagini preliminari) che ha per protagonista la Polizia Giudiziaria la quale, fino a quando il P.M. non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini..., raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole (art. 348, comma 1 c.p.p.).
La Polizia Giudiziaria ha il compito di informarsi sul fatto ma anche di informare tempestivamente il P.M. dell'intervenuta acquisizione della notizia di reato.
Le indagini compiutre dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria mirano a consentire al P.M. di assumere le sue determinazioni in ordine o meno dell'azione penale (art. 326 c.p.p.).
Gli Organi che svolgono le indagini preliminari, sono il «Pubblico Ministero» e la «Polizia Giudiziaria». Nel modello processuale vigente il Pubblico Ministero è solo organo inquirente e di azione penale con funzioni direttive della Polizia giudiziaria che è l’altro organo deputato delle indagini. In particolare il P.M., pur essendo Autorità giudiziaria, svolge un ruolo di parte, in posizione di sostanziale parità con la persona indagata.
Da ciò deriva che il P.M. non ha poteri sulla libertà personale di quest’ultima (salvo il potere-dovere di fermo che ha, però carattere provvisorio ed eccezionale).
L’attuale sistema non attribuisce al Pubblico Ministero e alla Polizia giudiziaria il potere di formare la prova e di incidere sui diritti costituzionali garantiti dell’indagato/imputato. Tali poteri, infatti, possono appartenere solo ad un soggetto che non svolge né funzione di investigazione né funzione di accusa e che, invece, è rigorosamente estraneo alla contesa tra le parti (Pubblico Ministero e imputato).
Anche se la fase delle indagini preliminari ha natura essenzialmente investigativa, è tuttavia previsto, che durante la fase operi un Giudice: il Giudice per le indagini preliminari (=G.I.P). Questo Giudice che è singolo (monocratico) e privo di qualsiasi funzione investigativa, è istituito presso i Tribunali ordinari ed i Tribunali per i minorenni (ove opera, come Giudice collegiale nell’Udienza Preliminare).
Il G.I.P., non svolge indagini preliminari, ma esercita su di esse «funzioni di controllo». Interviene, infatti, in funzione di garanzia delle posizioni di libertà dell’indagato ed in funzione di controllo e garanzia sui tempi di svolgimento delle indagini e sull’esercizio dell’azione penale.
Spetta ancora al GIP autorizzare il compimento delle intercettazioni telefoniche (art. 267) richieste dal P.M.: trattandosi, infatti, di un mezzo insidioso che può incidere sulla riservatezza delle relazioni personali dell’indagato, non è consentito a chiunque captarne le comunicazioni, ma solo a chi indaga su certi reati particolarmente gravi e dietro autorizzazione del Giudice. Il GIP proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)
Il tal modo il G.I.P. controlla che le indagini siano correttamente svolte e che non si verifichino delle irregolarità investigative che incidano sul corretto andamento del procedimento penale.
Abbiamo detto in precedenza che il G.I.P. è l’organo delle indagini in Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di GIP sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello «c.d. G.I.P. distrettuale».
Il G.I.P. è, altresì, organo con poteri di decisione nella fase successiva alla chiusura delle indagini e nell’esercizio dell’azione penale in quanto chiamato a decidere sul rinvio a giudizio dell’indagato.
Questa duplicità di ruoli distingue il Giudice per le indagini preliminari dagli altri Giudici ordinari ai quali spettano sempre poteri di decisione, connessi, per lo più, allo svolgersi di una udienza dibattimentale.
E', nel nuovo Codice di procedura penale, il Giudice cui competono gli «atti giurisdizionali» più importanti nella fase delle indagini preliminari.
Il Giudice per le indagini preliminari (detto nel linguaggio corrente G.I.P.), non svolge indagini preliminari, ma sostanzialmente esercita il «controllo» sulle attività di ricerca della prova a «garanzia» dei diritti di coloro nei cui confronti tale attività viene effettuata.
► Il G.I.P. interviene infatti:
Il Pubblico Ministero è organo inquirente rispetto al quale il cittadino assume posizione di soggezione, almeno sino a che non viene formalmente esercitata l'azione penale: al G.I.P. sono rimesse tutte le decisioni che maggiormente incidono sulla conduzione del procedimento o che più da vicino concernono la libertà dell'indagato (intercettazioni telefoniche, incidente probatorio, convalida del fermo e dell'arresto, applicazione di misure cautelari, convalida del sequestro, ecc.)
In casi eccezionali, tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., è previsto che singoli atti possano essere "richiesti" sia dallo stesso P.M. che dalle altre parti interessate al G.I.P. e che, in tal modo, l'assunzione di tali atti avvenga dinanzi al G.I.P. e nel contraddittorio tra gli interessati. Si chiama, dunque, «incidente probatorio» lo speciale procedimento per mezzo del quale si assume una prova dinanzi al G.I.P.
Infine, è sottoposta al vaglio di fondatezza del G.I.P. anche la "richiesta di rinvio a giudizio" (nelle sue varie forme: rinvio a giudizio ordinario, giudizio immediato) nonché le altre forme di definizione abbreviata del procedimento, quali il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il G.I.P. proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)
Il G.I.P. svolge le proprie funzioni presso il Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di G.I.P. sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello c.d. G.I.P. distrettuale.
Normalmente le prove vengono acquisite al dibattimento. In via eccezionale, vi sono dei casi in cui il legislatore, in previsione dei rischi che il rinvio al dibattimento presenta nell’attesa (rischio di inquinamento della loro genuinità, modificazione, alterazione naturale o indotta, scomparsa), dispone che certe prove possano essere raccolte prima, nella fase delle indagini preliminari, ma non dal P.M., bensì da un Giudice, il G.I.P., attraverso lo strumento dell’«incidente probatorio».
L’incidente probatorio consiste quindi nella anticipata acquisizione della prova non rinviabile al dibattimento. Non potendo la prova attendere il dibattimento, i meccanismi dibattimentali di formazione della prova sono anticipatamente azionati innanzi allo stesso G.I.P., nel contraddittorio delle potenziali parti e con le stesse formalità della “cross examination” (=esame incrociato). Trattasi, invero, di vero e proprio incidente (o parentesi o segmento) processuale.
Mediante l'incidente probatorio, il G.I.P. compie dunque un atto che potrebbe essere tardivo tentare di compiere in dibattimento e il cui compimento da parte della Polizia Giudiziaria o del P.M., invece, non potrebbe produrre effetti ai fini della decisione del Giudice del dibattimento (poiché si configurerebbe quale atto di indagine e cioé come un atto inidoneo a costituire prova).
► I casi di incidente probatorio sono tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., e si verificano quando:
Gli atti compiuti con incidente probatorio sono, fin dall’inizio, acquisiti al fascicolo del dibattimento e hanno la stessa utilizzabilità di quelli compiuti in giudizio.
Poiché l’incidente probatorio prevede il contraddittorio delle potenziali parti (Pubblico Ministero, difensore e, nella gran parte dei casi, anche l’indagato), di conseguenza, fa scoprire al Pubblico Ministero la direzione delle indagini.
Occorre, quindi, fare un uso molto accorto dell’incidente probatorio: Pubblico Ministero e Polizia giudiziaria devono valutare attentamente se ricorrere ad esso o rischiare che la prova si inquini o si deteriori o divenga impossibile la ripetizione.
Nel precedente sistema processuale sin dal primo atto di istruzione il Giudice Istruttore o il Pubblico Ministero doveva inviare all'imputato la «comunicazione giudiziaria» (c. d. avviso di garanzia).
Nel nuovo modello processuale, invece, la stessa comunicazione «c.d. informazione di garanzia» va inviata solo se vi è nelle indagini preliminari il compimento di un atto al quale il difensore ha diritto di assistere (art. 369 c.p.p.).
I difensori hanno altresì il diritto di assistere, ma senza avviso, per gli atti di "perquisizione" o di "sequestro" (art. 365 c.p.p.), atti «c.d a sorpresa».
Pertanto tutti gli altri atti di indagine possono essere compiuti (ad esempio, esame di persone che possono riferire sulla notizia di reato - futuri testimoni) senza l'invio della informazione di garanzia.
La fase delle indagini preliminari è «perimetrata» entro precisi confini temporali. Il legislatore, nell'intento di assicurare ritmi accelerati alla fase dell indagini e di tutelare possibili interessi dell'indagato e della persona offesa ad una tempestiva definizione delle indagini, ha prefissato termini "massimi" di durata.
Il termine di durata delle indagini è di 1 (un) anno quando si procede per uno dei delitti indicati nell’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. e cioè che riguardano ipotesi di delitti riconducibili al concetto di criminalità organizzata (eversiva, terroristica o tipo mafioso). Per gli altri reati, il termine delle indagini è di soli 6 (sei) mesi.
Il termine delle indagini preliminari (sia esso di sei mesi o di un anno) può essere "prorogato" una o più volte dal G.I.P. su richiesta del Pubblico Ministero. La richiesta di proroga contiene l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano. Deve essere notificata (a cura del G.I.P.) all’indagato e alla persona offesa che, nella notizia di reato (ad esempio, nella querela o nella denuncia) o successivamente alla sua presentazione, ha dichiarato di volerne essere informata.
La notificazione della richiesta di proroga non è prevista quando si procede per uno dei delitti di mafia.
La proroga è concessa o negata dal G.I.P. La prima proroga, di durata non superiore a 6 (sei) mesi, può essere concessa per qualsiasi giusta causa. Le altre, solo quando la giusta causa consiste nella particolare complessità delle indagini o nella oggettiva impossibilità di concluderle.
In totale, computate tutte le proroghe, la durata delle indagini non può superare i 18 (diciotto) mesi.
Il termine di durata delle indagini può essere di "quattro anni" quando si procede per i delitti di più grave allarme sociale (art. 407 comma 2 lett. b c.p.p.).
Entro i termini prefissati il Pubblico Ministero, valutati i risultati delle indagini compiute, deve operare la scelta fra l’archiviazione o l’esercizio dell’azione penale.
La notizia di reato deve essere ritenuta "infondata" dal Pubblico Ministero quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio e ciò al fine di evitare processi e dibattimenti inutili.
Sulla richiesta di archiviazione, è particolarmente intenso il controllo del G.I.P. che quando è in disaccordo rispetto alle conclusioni del P.M. può anche "imporgli di compiere nuove indagini o di formulare l’imputazione".
L'impostazione garantistica che ha animato la c.d. riforma del Giudice Unico ha accresciuto i diritti dell'imputato anche in riferimento al momemto conclusivo delle indagini.
All'approssimarsi della scadenza del termine per le indagini, "originario" (mesi 6 o, per i reati di criminalità organizzata, anni 1) o "prorogato", il P.M. può limitarsi a richiedere l'archiviazione (per improcedibilità dell'azione penale, per infondatezza della notizia criminis o per essere ignoti gli autori) senza altri adempimenti.
Quando, invece, intende esercitare l'azione penale (mediante richiesta di rinvio a giudizio per i reati attribuiti al Tribunale colleggiale o, nei casi consentiti, al Tribunale monocratico, overo mediante citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale monocratico), il P.M. procedente fa "notificare" all'indagato e al suo difensore, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari (art. 415 comma 2 c.p.p.), se non deve formulare la richiesta di archiviazione ai sensi degli artt. 408 e 411 c.p.p., l'avviso delle concluse indagini (art. 415bis c.p.p.).
La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p., nonché dall’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 375 co. 3 c.p.p. qualora la persona sottoposta alle indagini a seguito del predetto avviso abbia chiesto di essere sottoposta a interrogatorio.
E’ questo il momento in cui inizia il «processo vero e proprio» ed in cui la persona sottoposta alle indagini acquista la qualità di «imputato».
Quando il P.M. esercita l’azione penale mediante la “richiesta di rinvio a giudizio” si apre una fase giurisdizionale nella quale il "Giudice dell’Udienza Preliminare" (G.U.P.) nel pieno contraddittorio delle parti, verifica se l’ipotesi di accusa formulata dal P.M. appare o no fornita di quel tanto di fondatezza che giustifica il giudizio.
La sede a ciò destinata è la «Udienza Preliminare», che funziona come una sorta di "filtro" rispetto alle accuse mosse dal P.M. e di garanzia per l’imputato.
Il Giudice fissa la data dell’udienza entro 5 (cinque) giorni dal deposito da parte del P.M. della richiesta di rinvio a giudizio.
L’udienza si svolge in camera di consiglio con la necessaria presenza del P.M. e del difensore dell’imputato (laddove questi non compaia e sempre che sia stato ritualmente avvisato, il Giudice deve nominargli un sostituto, ai sensi dell’art. 97 co. 4 c.p.p.).
Nel corso dell’udienza, il Pubblico Ministero e il difensore formulano e illustrano le loro rispettive «conclusioni» utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini.
L’Udienza Preliminare svolge nel procedimento penale una "funzione di controllo giurisdizionale", in ordine alla consistenza degli elementi addotti dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.
L’udienza è anche la sede deputata alla "definizione anticipata del processo", ove le parti facciano richiesta di «rito abbreviato» o di «applicazione di pena su richiesta» (c.d. riti alternativi al dibattimento o pre-dibattimentali).
Il legislatore ha previsto che per tutti i reati, siano essi attribuiti alla cognizione del Giudice collegiale o del Giudice monocratico, si proceda con Udienza Preliminare, fatta eccezione per alcune ipotesi di reato per le quali, in relazione alla minore rilevanza (contravvenzioni, delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni) o alla ampia diffusione (furto aggravato, ricettazione), non è apparso opportuno prevedere il controllo del Giudice sulla richiesta di giudizio del Pubblico Ministero (art. 550 e ss.c.p.p.).
In sostanza, l’Udienza Preliminare, in contraddittorio tra le parti, dinanzi al Giudice terzo (G.U.P.), rappresenta un passaggio obbligatorio per la gran parte dei processi di primo grado. E’ caratteristica tipica del Giudizio Ordinario e può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.
L'art. 415 bis c.p.p.[1] dispone che, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari, anche se prorogato, il P.M., se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore «avviso della conclusione delle indagini preliminari».
L’atto è finalizzato a consentire all’indagato un "contraddittorio anticipato" allo scopo di evitargli incriminazioni infondate o non adeguatamente ponderate. Pertanto, l’avviso deve contenere l’enunciazione del fatto-reato addebitato e deve essere accompagnato dal deposito dell’intero fascicolo del P.M.
Nei successivi 20 giorni l’indagato ha facoltà di presentare elementi a sua difesa, prendere visione ed estrarne copia degli atti di indagine e può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive, nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni spontanee, ovvero chiedere di essere sottoposto a interrogatorio o di compiere ulteriori atti di indagine, che devono essere "espletati dal Pubblico Ministero", nei successivi trenta giorni, termine prorogabile dal G.I.P per una sola volta, al massimo, fino a sessanta giorni.
E’ evidente che se all’esito delle investigazioni svolte la notizia di reato si è rilevata priva di fondamento, o, in ogni caso, l’azione penale non può essere iniziata per altri motivi non vi è ragione di sollecitare l’indagato a prospettare ulteriori approfondimenti.
L’avviso della conclusione delle indagini "contiene":
a) di presentare memorie;
b) di produrre documenti;
c) di depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive;
d) di chiedere al P.M. di compiere atti di indagine;
e) di presentarsi per rilasciare dichiarazioni;
f) di chiedere di essere sottoposto a interrogatorio
[1] L’art. 415 bis c.p.p. è stato introdotto dall’art. 17 co. 2 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 c.d. Legge Carotti, dal nome del relatore alla camera dei Deputati ed entrata in vigore il 3 gennaio 2000.
[2] L’interrogatorio al quale l’indagato può richiedere di essere sottoposto acquista un più pregnante ed autentico significato ai fini dell’esercizio della funzione difensiva, in quanto reso alla luce del bagaglio di conoscenze e della consapevolezza della vicenda processuale che derivano dalla previa consultazione ella documentazione relativa alle indagini espletate.
Il Giudice può esercitare la "funzione giurisdizionale" solo se un organo dello Stato (il Pubblico Ministero) gli formula la richiesta di decidere su una accusa (imputazione) mossa a carico di un soggetto (imputato). E' mediante tale richiesta che il P.M. esercita l'azione penale.
Il P.M. deve esercitare l'«azione penale» quando, al termine delle indagini preliminari, svolte con l'ausilio della Polizia Giudiziaria, ritiene di aver acquisito elementi idonei a sostenere l'accusa di fronte al Giudice.
Nel nostro sistema, il P.M. non può dunque decidere a sua discrezione se esercitare o meno l'azione penale. La sua decisione deve tener conto solo dell'interesse all'osservanza della legge e non può essere condizionata da interferenze esterne, da ragioni di opportunità (anche politica), da circostanze occasionali (collegate alla particolarità del fatto o del suo autore) o, infine, dalla necessità di far prevalere interessi particolari.
Il momento iniziale dell'esercizio dell'azione penale coincide con la formulazione dell'imputazione (es. redazione della richiesta di rinvio a giudizio) e non con quello della sua conseguente comunicazione, che di norma avviene mediante notifica (es. notifica della richiesta suindicata). La cognizione è, quindi, sempre successiva al momento in cui si assume la qualità di imputato e cioè al momento della formazione dell'atto di vocatio in jus.
L’Udienza Preliminare è la caratteristica tipica del "giudizio ordinario". Essa può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.
Per il giudizio ordinario, l’Udienza Preliminare esiste indefettibilmente per i reati attribuiti al Tribunale collegiale, e solo per taluni reati attribuiti alla cognizione del Tribunale monocratico ed in particolare per quelli in ordine ai quali non è consentita la «citazione diretta a giudizio» emessa dal P.M. (artt. 33 bis, 33 ter, 549 e 550).
La mancanza dell’Udienza Preliminare costituisce la ragione dell’attribuzione al P.M. delle «funzioni propulsive» del procedimento, altrimenti spettante al G.U.P.
Il «decreto di citazione diretta a giudizio» (art. 550 e ss. c.p.p.) emesso direttamente dallo stesso P.M. ha il pregio di accelerare l’iter e di semplificare gli adempimenti procedurali, ma anche il difetto del provvisorio obnubilamento della posizione del Giudice e quindi dei valori di giurisdizione (terzietà ed imparzialità), che egli incarna.
Peraltro, anche per tutti i predetti reati si procede con il rito dell’Udienza preliminare se essi sono connessi con altri reati per i quali sia prevista l’Udienza Preliminare.
L'Udienza preliminare è la caratteristica tipica del "giudizio ordinario" e può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.
Per il giudizio ordinario, l'Udienza preliminare esiste indefettibilmente per i reati attribuiti al "Tribunale collegiale", e solo per taluni reati attribuiti alla cognizione del "Tribunale monocratico" ed in particolare per quelli in ordine ai quali non è consentita la "citazione diretta a giudizio" emessa dal P.M. (art. 550 e ss. c.p.p.).
L'Udienza preliminare consiste nell'udienza destinata alla verifica preliminare, a fini esclusivamente procedurali, della fondatezza dell'accusa. Essa manca innanzi al "Giudice di pace". Non è così per i reati destinati al "Tribunale monocratico", la cui cognizione comprende anche delitti punibili con la pena della reclusione fino a 10 anni; pertanto, per i reati-delitti si hanno procedimenti sia con Udienza preliminare, sia senza di essa, con afflusso, in questo caso, del processo direttamente al Giudice dibattimentale tramite "citazione diretta" disposta dallo stesso P.M. (artt. 649 e 550 c.p.p.).
Pertanto, la disciplina dell'Udienza preliminare è identica sia per i delitti destinati al Tribunale collegiale, sia per quelli destinati al Tribunale monocratico, nei casi in cui quest'ultimo essa è previsto
Il Giudice dell'Udienza preliminare (G.U.P.) deve vagliare l'intero fascicolo delle indagini e ha, una funzione diversa dal Giudice preposto al controllo di singoli atti di indagine (G.I.P.). Il G.U.P. interviene al termine della fase investigativa per decidere, sulla base dell'intero fascicolo, se accogliere la richiesta del P.M. di rinvio a giudizio.
Il Giudice fissa la data dell’Udienza entro 5 (cinque) giorni dal deposito da parte del P.M. della richiesta di rinvio a giudizio. L’Udienza si svolge in "camera di consiglio" con la necessaria presenza del P.M. e del difensore dell’imputato (laddove questi non compaia e sempre che sia stato ritualmente avvisato, il Giudice deve nominargli un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma. 4 c.p.p.).
Nel corso dell’Udienza, il Pubblico Ministero e il difensore formulano e illustrano le loro rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini.
L’Udienza preliminare svolge nel procedimento penale una funzione di «controllo giurisdizionale», in ordine alla consistenza degli elementi addotti dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.
L’Udienza è anche la sede deputata alla definizione "anticipata" del processo, ove le parti facciano richiesta di «rito abbreviato» o di «applicazione di pena su richiesta» (c.d. riti alternativi al dibattimento o pre-dibattimentali).
Il legislatore ha previsto che per tutti i reati, siano essi attribuiti alla cognizione del Giudice collegiale o del Giudice monocratico, si proceda con Udienza preliminare, fatta eccezione per alcune ipotesi di reato per le quali, in relazione alla minore rilevanza (contravvenzioni, delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni) o alla ampia diffusione (furto aggravato, ricettazione), non è apparso opportuno prevedere il controllo del Giudice sulla richiesta di giudizio del Pubblico Ministero (art. 550 e ss. c.p.p.).
In sostanza, l’Udienza preliminare, in contraddittorio tra le parti, dinanzi al Giudice terzo, rappresenta un passaggio obbligatorio per la gran parte dei processi di primo grado.
[1] Ai sensi dell’art. 428 c.p.p. come sostituito dall’art. 4 Legge n. 46/2006, la sentenza pronunciata dal GUP in sede di udienza preliminare di non luogo a procedere è inappellabile ma ricorribile in Cassazione sempre per il PM; per l’imputato non è possibile quando è stato assolto con formula piena.
A seguito del «decreto che dispone il giudizio», viene formato il c.d. fascicolo per il dibattimento. Questo fascicolo ha un contenuto assai esiguo, poiché, come si è detto, la prova deve tendenzialmente formarsi nel dibattimento al quale il Giudice deve pervenire senza essersi precostituito un convincimento attraverso la lettura delle «carte».
Gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, sono i soli che il Giudice della fase dibattimentale potrà conoscere prima dell’apertura del dibattimento e che, insieme agli atti compiuti o acquisiti nel dibattimento stesso, potrà utilizzare pienamente ai fini della decisione.
Tutti gli altri di indagine, compresi quelli compiuti dopo l’esercizio all’azione penale e quelli acquisiti dal Giudice nell’Udienza Preliminare, vanno raccolti nel c.d. fascicolo del Pubblico Ministero, che potrà essere consultato e utilizzato soltanto dalle parti e, al quale, quindi, il Giudice del dibattimento non potrà avere accesso.
Il sistema del «doppio fascicolo» serve a impedire che il Giudice del dibattimento possa formarsi il suo convincimento prima dell’udienza: attraverso la lettura degli atti compiuti nella fase delle indagini preliminari e, quindi, senza il contraddittorio orale e, e cioè in una fase diversa separata da quella del giudizio.
In questa sede si dà un breve cenno ai riti, introdotti dal nuovo Codice di procedura penale per sfoltire il dibattimento da tutti quei processi, in cui per varie ragioni appare opportuna una trattazione più rapida.
La filosofia che accompagna tali procedimenti è quella di eliminare alcune fasi del processo (udienza preliminare, dibattimento o entrambe), in modo tale da deflazionare il normale iter processuale.
Il procedimento che si svolge secondo il modello ordinario presenta notevoli costi di tempo o di mezzi. Tali costi si accentrano in particolare, nell'Udienza preliminare e nel dibattimento. E in particolare l'Udienza preliminare richiede un considerevole uso di risorse umane e di mezzi materiali ed è superflua nei casi di evidenza delle risultanze di prova acquisite durante le indagini.
Proprio per tali motivi, il legislatore ha ritenuto di dover semplificare il meccanismo processuale tipico prevedendo che, in casi del genere, possa saltarsi l'Udienza preliminare e possa procedersi direttamente al dibattimento con le forme e le modalità del «giudizio direttissimo» o del «giudizio immediato».
Il giudizio direttissimo e il giudizio immediato rappresentano dunque i modelli differenziati (o alternativi o semplificativi) che, nell'attuale sistema processuale, si volgono a semplificare e ad accelerare l'ingresso al dibattimento evitando i costi dell'Udienza preliminare.
Altri procedimenti speciali si rivolgono, invece, a ottenere la definizione della vicenda processuale evitando il dibattimento e, quindi, in pratica, abbreviando in modo considerevole i tempi di durata del processo.
La celebrazione del dibattimento è inutile quando le parti sono disponibili a farne a meno e a preferire un giudizio fondato sulle carte già esistenti ovvero quando le parti sono addirittura d'accordo sulla pena che è congruo irrogare.
Da qui la determinazione del legislatore di prevedere che, in ipotesi del genere, il dibattimento venga saltato ricorrendo, rispettivamente, alle più agili procedure del «giudizio abbreviato» e della «applicazione su richiesta o patteggiamento»: i due più importanti ed innovativi procedimenti alternativi che, nel sistema attuale, consentono di evitare il dibattimento.
In entrambi i casi, il legislatore ha ritenuto di dover prevedere che alla rinuncia al dibattimento da parte dell'imputato si accompagni un "premio" (riduzione della pena in caso di condanna) per la sua condotta collaborativa e la sua disponibilità a semplificare il meccanismo processuale e a consentire una definizione più rapida o anticipata.
E' evidente l'economia di tempo e di energie, che consentono di trattare meglio e più rapidamente i processi che richiedono, invece, la celebrazione del rito ordinario.
I procedimenti speciali del giudizio abbreviato e del patteggiamento possono innestarsi anche nel corso degli altri procedimenti speciali (giudizio direttissimo, giudizio immediato, decreto penale di condanna.
Alcuni di tali riti speciali richiedono il consenso delle parti, e comportano allora delle limitazioni alla facoltà di appello (così il giudizio abbreviato e la pena richiesta dalle parti, per la quale l'appello è addirittura escluso); altri invece sono posti in essere dalla volontà del solo P.M. (giudizio direttissimo e per decreto) ovvero del P.M. o dell'imputato (giudizio immediato).
Il Giudizio Abbreviato (art. 438-443 c.p.p.) è un giudizio «pre-dibattimentale» (diretto ad evitare il dibattimento), del tipo premiale, che ha luogo di regola in Udienza camerale innazi al G.U.P. (Giudice dell’udienza preliminare): vale a dire un giudice singolo (monocratico) anche quando si tratta di decidere su reati che sarebbero di competenza di un giudice collegiale come il Tribunale e la Corte d'Assise.
Esso consiste in un accordo tra le parti (l'imputato che formula la richiesta ed il P.M. che vi acconsente) e nella valutazione del G.U.P. di poter decidere allo «stato degli atti delle indagini preliminari», che hanno qui piena valenza probatoria.
L'accordo verte sul rito e non sulla pena nel senso che esso mira soltanto ad evitare il dibattimento: (per questo motivo è denominato anche patteggiamento sul rito per distinguerlo dal patteggiamento vero e proprio).
Il giudizio abbraviato si svolge in camera di consiglio, senza l'interveno del pubblico, con la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore dell'imputato e con la possibilità di intervento della parte civile che abbia accettato il giudizio abbraviato.
Conseguentemente il giudizio abbreviato potrà concludersi con una "sentenza di condanna" che con una "sentenza di proscioglimento".
L'imputato che sceglie questo rito ha il vantaggio, in caso di condanna, di ottenere la riduzione della pena nella misura c.d. secca (fissa) di un terzo in modo che la pena irrogata è pari a due terzi (ad esempio, mesi due) rispetto a quella (ad esempio, tre mesi) che sarebbe altrimenti applicata.
La riduzione della pena determinata in concreto, e cioè anche dopo la valutazione di eventuali circostanze, rappresenta il “premio” offerto dal legislatore all'imputato che ha collaborato all'economia processuale.
Il rito è ammissibile anche per i delitti ipoteticamente punibili con l'ergastolo. In tal caso, alla pena dell'ergastolo, è sotituita quella di 30 anni di reclusione.
E' applicabile anche nel caso di processo a carico di minorenni (art. 25 D.P.R. n. 448/1988).
Poiché la finalità del giudizio abbreviato è quella di rendere pià rapida la definizione del processo, sono previsti del limiti alla appellabilità delle sentenze. I limiti valgono sia per il P.M. che per l'imputato.
Il P.M. non può appellare, in specie, le sentenze di condanna che non hanno modificato il titolo del reato. L'imputato, invece, non può appellare le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria ovvero le sentenze di proscioglimento.
L'Applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) (art. 444-448 c.p.p.) consiste in un procedimento speciale «pre-dibattimentale» di tipo premiale.
Le sedi nelle quali può svolgersi il patteggiamento sono varie perché l'accordo può sorgere sia nella fase delle indagini preliminari sia nell'udienza preliminare, sia, ancora successivamente, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Esso può inserirsi durante lo svolgimento di altri procedimenti speciali.
A differenza del rito abbraviato, riservato alla volontà unilaterale dell'imputato, il patteggiamento presuppone un accordo tra il P.M. e l'imputato non solo sul rito (come nel giudizio abbraviato), ma anche sul merito (sulla pena da irrogare) e cioé sia il giudizio sulla responsabilità che la determinazione della pena da applicare.
Il rito del pattaggiamento è privileggiato dal Codice perché arreca notevoli economie processuali e potenzialmente soddisfa anche le esigenze dell'accusa (la rinuncia dell'imputato a far valere la propria innocenza, una implicita ammissioine di colpevolezza ed accettazione della pena).
Al patteggiamento può farsi ricorso quando si tratta di reati sanzionabili con sanzioni sostitutive (art. 53 e ss. L. 689/81) ovvero con pena pecuniaria (multa o ammenda) o detentiva purché, in quest'ultimo caso, la pena determinata in concreto (e cioé valutate tutte le circostanze e la speciale diminunete «fino ad un terzo» prevista per l'imputato che sceglie questa procedura) non superi i 2 anni di reclusione o di arresto.
Compito del Giudice resta quello di verificare che la qualificazione giuridica del fatto (titolo del reato) e la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti sia corretta, e se è congrua la pena proposta, senza necessità di un espresso accertamento della responsabilità del giudicabile.
La sentenza con la quale il Giudice applica la pena richiesta è generalmente inappellabile. Essa non ha la natura della sentenza di condanna (perché non contiene il pieno accertamento della responsabilità dell'imputato e quindi un giudizio di colpevolezza).
Il vantaggio più evidente che consegue al patteggiamento è rappresentato, oltre dalla possibilità per l'imputato di ottenere una riduzione fino a un terzo della pena (non supeiore ad un terzo), dal fatto che la sentenza con la quale il Giudice applica la pena richiesta non produce alcuni degli effetti negativi generalmente conseguenti alle sentenze di condanna.
Il patteggiamento taglia fuori la parte civile, che non può in alcun modo sindacare sull'accordo imputato-pubblico ministero e neppure chiedere la condanna al risarcimento del danno. Il Giudice può però riconoscere alla parte civile il diritto di ottenere dall'imputato il pagamento delle spese processuali. per il risarcimento dei danni, la parte offesa deve invece rivolgersi al giudice in sede civile.
Il Giudizio direttissimo (art. 449-452 c.p.p.) è un riro speciale «dibattimentale», di tipo non premiale, azionabile unilateralmente e unicamente dal P.M.
Il rito (alla pari del giudizio immediato), salta l'udienza preliminare, con economia di tempo e di attività processuali, ed affluisce direttamente innanzi al Giudice dibattimentale.
Nei casi in cui è ammissibile il giudizio direttissimo, la presentazione dell'imputato da parte del P.M. al Giudice del dibattimento deve avvenire, se si tratta di persona arrestata in flagranza, entro 48 ore dall'arresto (se il P.M. vuole che si proceda alla convalida dell'arresto ed al contestuale giudizio) o entro 15 giorni dall'arresto in flagranza se questo è già stato convalidato autonomamente dal G.I.P.
Entrambe le ipotesi di giudizio direttissimo presuppongono che l'imputato non sia stato posto in libertà, ma che si trovi in stato di arresto o di custodia cautelare (misura coercitiva quest'ultima, adottata dal G.I.P. all'esito dell'autonoma udienza di convalida).
Se si tratta di imputato che ha reso confessione, il P.M. presenta l'imputato (se detenuto) o lo cita a comparire (se in stato di libertà) a un'udienza non successiva al 15 giorno dalla iscrizione nel Registro delle notizie di reato (artt. 335 e 449, comma 5 c.p.p.).
In tutti i casi di giudizio direttissimo, l'imputato deve essere avvertito della facoltà di chiedere un termine per preparere la difesa non superiore a 10 giorni (art. 451, comma 6 c.p.p.) ovvero della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento della pena e, per le caratteristiche del giudizio direttissimo nelle ipotesi di sua trasformazione in abbreviato (art. 452 c.p.p.).
Il Giudizio immediato (art. 453 c.p.p.) costituisce una forma di rapida definizione del procedimento penale, consistente in un procedimento speciale, del tipo non premiale, attivabile unilateralmente dal P.M. e, ovviamente, in chiave difensiva, dall'imputato che, saltando l'Udienza preliminare, perviene direttamente al giudizio, previa verifica di ammissibilità effettuata dal G.I.P., che emette il decreto di citazione a giudizio.
Questo rito viene scelto quando le prove raccolte dall'accusa sono evidenti e non sono ancora trascorsi 90 giorni dalla data di ricezione della notizia criminis, anche quando questa sia a carico di ignoti, e non già dal momento in cui l'interessato ha assunto la qualità di indagato. A garanzia contro troppo facili richieste di giudizio è inoltre previsto che l'imputato debba essere previamente interrogato, in modo che possa far presenti eventuali circostanze a propria difesa.
Il giudizio immediato è quindi disposto dal G.I.P. con suo "decreto di citazione a giudizio", a seguito della richiesta di una delle parti interessate. Esso si caratterizza, quindi, per il salto dell'Udienza preliminare e, quindi per il passaggio «immediato» dalla fase delle indagini preliminari al giudizio dibattimentale.
Il decreto del G.I.P. che dispone il giudizio immediato deve contenere l'avviso che l'imputato può richiedere, in sua alternativa, i due riti premiali predibattimentali (il giudizio abbreviato e patteggiamento), tranne quando quel rito sia stato richiesto dallo stesso imputato
Il giudizio immediato non ha connotati di premialità (né riduzioni di pena, né altri benefici), nemmeno quando è richiesto dall'imputato, giacché non comporta, nella fase del dibattimento, alcuna economia processuale.
Il giudizio immediato non è contemplato nei procedimenti innanzi al Tribunale monocratico e al Giudice di pace. Innanzi al primo, il rito è in genere più agile e sollecito, sicché non è parsa necessaria l'ulteriore accelerazione del giudizio immediato. Innanzi al Giudice di pace manca sempre l'udienza preliminare, sicché ivi il processo previene sempre «immediatamente» al giudizio.
Il giudizio immediato differisce da quello "direttissimo", perché questo è attivato in termini temporali più ridotti, prevede solo due casistiche di ammissibilità (arresto e confessione) ed è azionabile solo dal P.M. e con atto emesso direttamente da costui e non già dal G.I.P.
Nel rito immediato il G.I.P. ha una funzione di verifica solo procedurale, che lo abilita a controllare la prova di reità, esclusivamente ai fini dell'impulso processuale, ma non di dichiarare la colpevolezza o l'innocenza. Il G.I.P. è investito unicamente del potere di accogliere o rigettare la richiesta di giudizio immediato.
Il Procedimento per decreto (art. 459-464 c.p.p.) può ritenersi l'ultimo dei procedimenti speciali, del tipo premiale, diretti ad evitare il «dibattimento». A dire il vero, esso evita anche l'udienza preliminare sicché ha una doppia portata di semplificazione del meccanismo processuale.
Esso può trovare applicazione nei casi in cui si procede per reati (anche di competenza del Tribunale) perseguibili di ufficio, per i quali è prevista una «pena pecuniaria» ovvero, alternativamente, una «pena detentiva», ma il P.M. ritiene che debba applicarsi solo la prima.
Se il P.M. ritiene che per il reato debba applicarsi "solo la pena pecuniaria", chiede al G.I.P. di pronunciare un «decreto penale» che condanni l'imputato alla pena indicata nella richiesta.
La "richiesta" del P.M. rappresenta il presupposto del decreto e deve essere formulata entro 6 mesi dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato di cui all'art. 335 c.p.p.
Il P.M. ha facoltà di richiedere l'applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo e ciò costituisce un indubbio vantaggio per l'imputato.
Avverso il decreto penale l'imputato può proporre "opposizione" e chiedere, in alternativa, il giudizio dibattimentale, il giudizio abbreviato, il patteggiamento o l'oblazione.
Nel giudizio conseguente all'opposizione, il Giudice revoca il decreto di condanna e può applicare una pena anche diversa (ad esempio, detentiva e non pecuniaria) e più grave di quella fissata nel decreto.
Il momento centrale del giudizio è costituito dal «dibattimento» che si svolge pubblicamente (artt. 471 e ss. c.p.p.) e del quale l'«istruzione dibattimentale» (artt. 496-515 c.p.p.) rappresenta il momento centrale.
Poiché il Giudice giunge al dibattimento senza avere preventiva conoscenza dei risultati delle indagini in precedenza svolte dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria è questa la sede nella quale, con il rispetto del principio dell'oralità, deve nascere la prova sulla quale l'Organo giurisdizionale dovrà fondare la propria decisione.
La formazione della prova avviene attraverso il meccanismo dell' «esame incrociato» (al quale, peraltro, l'imputato può essere sottoposto solo se vi consente o ne fa richiesta: art. 208 c.p.p.) delle parti, dei testimoni, periti e consulenti tecnici ad opera del Pubblico Ministero e dei difensori.
Nel corso dell'esame, ma solo dopo che il soggetto che vi è sottoposto abbia già deposto su un fatto o una circostanza, il Pubblico Ministero o il difensore possono procedere alle opportune «contestazioni» servendosi delle dichiarazioni precedentemente rese dal soggetto e contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero (artt. 433, 500, 503 c.p.p.).
E' tuttavia da tener presente che, in linea generale ed in base al principio secondo cui la «la prova deve formarsi oralmente» ed attraverso la dialettica partecipazione del Pubblico Ministero e del difensore, «la dichiarazione utilizzata per la contestazione anche se letta dalla parte, non può costituire prova dei fatti in essa affermati», ma «può essere valutata dal Giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata» (artt. 500, commi 3 e 503, comma 4 c.p.p.).
Solo eccezionalmente talune dichiarazioni in precedenza rese, e dopo essere state utilizzate per le contestazioni, sono acquisite al fascicolo per il dibattimento diventando così «prove» che il Giudice può senz'altro utilizzare per la decisione.
Si tratta, per quanto riguarda la Polizia Giudiziaria, delle dichiarazioni assunte «...nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nella immediatezza dei fatti» (art. 500 comma 4 c.p.p.).
Dopo la «discussione finale», nella quale Pubblico Ministero e difensore formulano le rispettive conclusioni, il Giudice «delibera la sentenza» che potrà essere di condanna o di proscioglimento[1] e quest'ultima, a sua volta, di non doversi procedere (se l'azione penale non dovrà essere iniziata o non deve essere proseguita o se il reato è estinto) o di assoluzione.
► Accanto al modello ordinario descritto, il Codice di ritto prevede «procedimenti speciali» che tendono a ridurre i tempi del procedimento, evitando il dibattimento...
► oppure l'udienza preliminare...
[1] Sempre a proposito della sentenza di proscioglimento va segnalata l'importante novità costituita dalla abolizione della formula di proscioglimento per insufficienza di prove e ciò in quanto le situazioni di dubbio vengono equiparate alla mancanza di prova.
Tutte le «sentenze» emesse dai "Tribunali" e dalle "Corti di appello" formano la «giurisprudenza» che si chiama "di merito". Tutte le sentenze emesse dalla "Corte di Cassazione" formano la «giurisprudenza» che si chiama di "legittimità".
Ogni sentenza (che può essere lunga decine di pagine) è poi riasunta in un "estratto" di poche righe che si chiama «massima».
Le massime della Cassazione sono naturalmente più autorevoli perchè provengono dall'Organo di vertice.
L'insieme della giurisprudenza non crea (e non potrebbe mai creare) nuove norme. Tuttavia appare di primaria importanza perchè essa indirizza e guida l'interpretazione e l'applicazione delle norme esistenti determinando orientamenti precisi ed a volte colmando di fatto inesattezze o lacune normative con la prassi appunto interpretativa.
Il Giudice di Pace appartiene all'ordine giudiziario così come il magistrato ordinario ma, a differenza di questo, è un «magistrato onorario» a titolo temporaneo (laureato in Scienze giuridiche ovvero ex magistrato, ex avvocato, insegnante di materie giuridiche). Rimane in carica quattro anni e alla scadenza può essere confermato una sola volta per altri quattro anni. Al compimento del 75° anno il Giudice di Pace cessa dalle sue funzioni. Egli è tenuto ad osservare i doveri previsti per i magistrati ed è soggetto a responsabilità disciplinare.
Il Giudice di Pace dal 1º ottobre 2001 è anche un giudice penale (ma è entrato effettivamente in funzione il 1º gennaio 2002): il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla sua cognizione, una larga parte dei reati di lieve e di facile accertamento cc.dd. di microcriminalità, consistente in forme illegalità minori per gravità, ma molto diffuse nell’ambiente sociale e tra gli altri, alcuni reati di notevole diffusione, contro la persona, quali le percosse e le lesioni, l'omissione di soccorso; contro l'onore, quali l'ingiuria e la diffamazione; contro il patrimonio quali il danneggiamento e l'ingresso abusivo nel fondo altrui.
Rilevasi peraltro come i reati di cui agli artt. 1096 e 1119 Cod. nav. sono piuttosto rari, e comunque di difficile accertamento da parte della Polizia Giudiziaria.
Si evidenzia inoltre come l’art. 1103 impone la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai titoli o dalla professione; tuttavia, poiché il G.d.P. non ha – ex art. 55 D.Lgs. 274 / 2000 - alcun potere di emettere pene diverse da quelle stabilite dal Decreto stesso, le pene accessorie suddette non appaiono più irrogabili.
► Attività di indagine ex art. 11 d.lgs. 274/2000
Con l’introduzione della figura del Giudice di Pace nell’ordinamento nazionale – e la estensione delle competenze esercitate dallo stesso anche in materia penale – si sono contestualmente ampliate le funzioni procedurali ed i compiti che la Polizia Giudiziaria deve esercitare per le fattispecie di reato ricadenti sotto la competenza del G.d.P., in ispecie – per quanto concerne le Capitanerie di Porto - per reati di lesione personale conseguenti agli infortuni marittimi e per quelli indicati agli articoli 1095, 1096 e 1119 Cod. nav.
Una modifica in senso restrittivo delle competenze penali del G.d.P. vi è stata recentemente in materia di «circolazione stradale», laddove molte violazioni penalmente sanzionate sono tornate nella competenza dell’ A.G. ordinaria, e sottratti, quindi, al G.d.P.
A quest’ultimo Organo giudiziario è rimasta la sola competenza per il reato di cui all’art. 590 c.p. (lesioni colpose lievi) - reato punibile a querela di parte la cui commissione – a seguito o in conseguenza di incidente stradale - costituisce, giusta comma 3° dello stesso articolo – specifica violazione di competenza del G.d.P. - mentre le lesioni gravi e gravissime restano di competenza del Tribunale.
Tale evento peraltro è la conseguenza più frequente sia in caso di incidente stradale anche di media gravità – e che comporta anche la contestuale adozione del provvedimento di sospensione della patente (provvedimento questo di competenza del Prefetto), sia per eventi occorsi in corso di navigazione, e segnatamente per le lesioni e gli infortuni commessi in violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 271/99 in materia di sicurezza del lavoro marittimo e portuale.
In presenza di tali fattispecie di reato, infatti, la Polizia Giudiziaria è tenuta all’inoltro della specifica “Relazione” di indagini di cui all’art. 11 del D.Lgs. 274/2000, entro il termine di 4 mesi dall’accertamento del fatto.
Detta relazione deve contenere una "enunciazione del fatto illecito commesso con indicazione degli articoli di legge che si suppongono violati, e concludersi quindi con la richiesta al P.M. di chiedere la comparizione dell’indagato innanzi al Giudice di Pace, ovvero proporre l’emissione di un provvedimento di archiviazione per difetto di querela – qualora detto atto non sia stato prodotto dal danneggiato o dai suoi tutori o eredi entro 3 mesi dal fatto".
Si rileva come - in caso di presentazione di querela per lesioni a seguito di incidente stradale - la Circolare Ministeriale n° 300/2007 del Ministero dell’Interno prevede il contestuale «sequestro» del veicolo a mezzo del quale è stato commesso l’illecito stradale che ha causato le lesioni stesse.
Con la riforma operata dalla Legge 30.07.05, n° 155, invece, la Polizia Giudiziaria non ha più il potere-dovere di citazione diretta a giudizio dell’imputato – potere che è ritornato sotto l’egida del P.M – ferma restando la condizione di procedibilità di cui all’art. 120 c.p..
Il Pubblico Ministero dopo aver disposto le necessarie investigazioni, se ravvisa elementi sufficienti per sottoporre a processo il soggetto indagato, richiede il suo rinvio a giudizio.
Anche la persona offesa, per i reati perseguibili a querela, può chiedere al giudice l'instaurazione del processo. In questi casi, l'offeso può presentare un "ricorso diretto" al Giudice di Pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito.
Il Giudice di Pace, se non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé.
Il processo penale innanzi al Giudice di Pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa.
Il Giudice, sentita la persona offesa, può dichiarare «estinto il reato» se l'autore della violazione dimostra di aver provveduto alla riparazione del danno causato e di avere eliminato la situazione di pericolo eventualmente determinata.
È inoltre previsto che il Giudice di Pace possa astenersi dal procedere quando risulti, per l'esiguità dell'offesa e l'occasionalità del comportamento, la particolare "tenuità" del fatto (tenuto conto anche del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento arrecherebbe alle esigenze di lavoro, famiglia o salute dell'imputato), sempre che l'offeso non si opponga.
In caso di condanna il Giudice di Pace "non applica" pene detentive, ma "pene pecuniarie" oppure, nei casi più garvi, sanzioni "paradetentive":
L'imputato e la persona offesa sono difesi da un avvocato. Alle persone che non hanno i mezzi per far fronte alle spese di un procedimento penale è assicurato, anche davanti al Giudice di Pace, il gratuito patrocinio, cioè la difesa a carico dello Stato.
Gli organi delle indagini preliminari sono il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria. I due organi svolgono la loro attività in stretto e continuativo rapporto e gestiscono congiuntamente le indagini. Tutta l'attività di polizia giudiziaria ha, al pari di quella svolta dal P.M., il fine di consentire a quest'ultimo di assumere le sue determinazioni in ordine all'esercizio o meno dell'azione penale. (art. 326 c.p.p.). Si dirige cioè alla ricerca e acquisizione delle fonti di prova oltre che al compimento di un complesso di attività e accertamenti volti a permettere al P.M. di stabilire la fondatezza della notizia di reato e di decidere quindi sulla sussistenza o meno dei presupposti per dare inizio al processo penale.
► Nell'ambito di questa finalità, l'attività di indagine della polizia giudiziaria possono distinguersi in:
Tale attività riguarda sia le ipotesi in cui si interrompe un’attività criminosa nella fase del tentativo di impedire la consumazione del reato, sia le ipotesi in cui un reato è già stato consumato ma se ne vogliono impedire le ulteriori conseguenze offensive.
Il personale delle Capitanerie di Porto (facente parte di una Servizio ovvero Nucleo di polizia giudiziaria) riceve la notizia di reato di un prelevamento (=furto) di sabbia dal demanio marittimo (acquisizione di notizia di reato). Si porta su posto; pur senza cogliere in flagranza l’autore del fatto, accerta, dalle tracce di pneumatici lasciate sull’arenile, che il prelevamento della sabbia è stato commesso con un veicolo e assume le dichiarazioni di persone che sono a conoscenza dell’episodio le quali forniscono elementi utili (targa del veicolo, generalità, ecc.) all’individuazione dell’autore (attività di investigazione). Effettua una perquisizione nel domicilio di questi e vi rinviene una certa quantità di sabbia fine in parta impastata con del cemento e la sequestra (attività di investigazione seguita da attività di assicurazione). Della notizia di reato acquisita e dell’attività svolta, informa il P.M. (attività di informazione) continuando autonomamente le indagini fino a che il P.M. medesimo non assume la direzione delle indagini.
[1] Esistono varie categorie di prove. Una distinzione ricorrente si effettua tra:
La Polizia Giudiziaria deve svolgere le proprie indagini sotto la direzione del Pubblico Ministero, ma può agire anche di propria iniziativa nei casi in cui ciò sia necessario.
Poiché è al P.M che compete la direzione delle indagini è evidente che egli deve essere tempestivamente informato delle «notizie di reato» acquisite dalla polizia giudiziaria.
Le indagini sono strumentali alle determinazioni inerenti all'esercizio o meno dell'azione penale (art. 326 c.p.p.), e, come, tali richiedono che il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato (o come si suole dire la notizia criminis) "generica" o "specifica", a seconda che il reato sia stato commesso da una o più persone non identificate o identificate.
L'acquisizione di una notizia di reato, sia pur generica, da parte del Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria è indispensabile perché tali organi possano iniziare le indagini preliminari.
L’aspetto dell’acquisizione della Notizia di reato (=N.d.R) corrisponde al compito di informarsi (=prendere notizia dei reati) e non è esclusivo della Polizia Giudiziaria poiché anche il Pubblico Ministero può prendere notizia dei reati. La notizia di reato può essere “ricevuta” o “acquisita di iniziativa”.
Nel primo caso la Polizia Giudiziaria può pervenire a conoscenza di una notizia di reato "ricevendola" da altri attraverso atti tipici o qualificati, cioé espressamemte disciplinati dal Codice di rito a tale scopo: si parla, in tal caso, di «notizia nominata» =qualificata).
Nel secondo caso, l’acquisisce di iniziativa: ciò accade non solo quando la Polizia Giudiziaria constata direttamente il reato (ad esempio, coglie taluno mentre lo sta commettendo: flagranza di reato), ma anche quando perviene a conoscenza del reato attraverso vie che non sono quelle espressamente disciplinate dal Codice: si parla, allora, di notizia di reato «innominata» o atipica (=non qualificata), cioé non disciplinata dalla legge che si contrappone alle notizie di reato qualificate e proprio a causa della sua natura può assumere forme e contenuto vari
La N.d.R. non può considerarsi acquisita se si è ancora alla ricerca della informazione o si sta svolgendo un’attività di verifica o di controllo su una informazione generica; comme accade quando si sorveglia una determinata zona della costa perché in Capitaneria è giunta voce che colà si commerciano, in tempo di fermo biologico, clandestinamente prodotti ittici.
In questi casi, la Polizia Giudiziaria svolge un ruolo variamente attivo, poiché il veicolo e la fonte dell’informazione appresa non sono qualificati e quindi, a seconda della loro natura, esigono un complesso di verifiche e di indagini prima di assurgere a notizia di reato in senso tecnico.
La notizia di reato deve ritenersi acquisita quando si siano appresi gli elementi essenziali di un fatto costituente reato anche quando non se ne conosce l'autore.
ll Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria non hanno solo il dovere di prendere notizia dei reati di propria iniziativa, ma anche quello di "ricevere" le notizie di reato a essi presentate o trasmesse. Gli articoli 331 - 334 disciplinano, nel titolo II del libro V, la «notizia di reato»:
Mentre nel titolo III, con gli articoli 336-344, sono regolate le «condizioni di procedibilità»:
Si tratta - a parte l'autorizzazione a procedere - di quelle che vengono tradizionalmente definite «fonti qualificate di notizie di reato» (c.d. nominate) in quanto espressamente previste e disciplinate dalla legge processuale.
La denuncia ed il referto hanno una semplice funzione informativa; la querela, la richiesta e l'autorizzazione a procedere condizionano, con riferimento ai reati per i quali sono previste, la procedibilità e cioé il compimento degli atti dell'indagine preliminare, costituendone un presupposto essenziale.
In tema di attività di informazione, si contrappongono alle notizie qualificate di reato, le «notizie non qualificate di reato» (c.d. innominate).
Esse impongono alla Polizia Giudiziaria un ruolo variamente attivo che si sviluppa in una serie di verifiche e di investigazioni preventive finalizzate, tutte , a dare connotazioni di vera e propria notizia di reato a informazioni originariamente imprecise e sommarie o comunque inutilizzabili nel procedimento penale.
E’ l’atto (la dichiarazione) con il quale il Pubblico Ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio o un privato, anche diverso dall’offeso dal reato, ovvero un Ufficiale di polizia giudiziaria, informa il Procuratore della Repubblica, o un Ufficiale di polizia giudiziaria (art. 357 c.p.), di un fatto che possa costituire reato perseguibile d’ufficio (artt. 331 – 333 c.p.p. e art. 1236 Cod.nav.).
Il Pubblico Ufficiale non deve appartenere alla Polizia Giudiziaria: per quest’ultimo, infatti, l’obbligo di riferire la notizia di reato è disciplinato dall’art. 347 c.p.p.
Se la notizia è appresa fuori dell’esercizio e non a causa delle funzioni svolte, si applicano le norme sulla denuncia di privati (art. 333 c.p.). Essa non conferisce al soggetto nessuna potestà di esperire atti di polizia giudiziaria (ad esempio, identificazione, perquisizione, sequestro, arresto).
La presentazione e trasmissione della denuncia (rigorosamente in forma scritta) deve essere fatta dal Pubblico Ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio direttamente al P.M. o a un Ufficiale di Polizia giudiziaria (e non anche ad un Agente di P.G.).
Non esiste un termine perentorio per la denuncia al P.M. o a un U.P.G. da parte del Pubblico Ufficiale: la sua presentazione o trasmissione va effettuata, pertanto, senza ritardo o comunque senza frapporre indugi ingiustificabili.
L’omissione o il ritardo nella presentazione della denuncia sono sanzionati dagli artt. 361, comma 1, 362 e 363 c.p.
La denuncia da parte di Pubblici Ufficiali o incaricati di un pubblico servizio deve necessariamente contenere:
Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
Quando la denuncia è facoltativa non è previsto alcun termine per la sua presentazione mentre, nei casi di denuncia obbligatoria, apposite disposizioni stabiliscono il termine entro il quale essa deve essere fatta
La denuncia può essere presentata per iscritto e deve essere sottoscritta, oppure oralmente, ed in tal caso viene raccolta in un "processo verbale" dall’Autorità che la riceve.
La denuncia costituisce notizia criminis anche se non venga indicato l’autore del fatto.
Per la denuncia da parte dei privati non è previsto un contenuto formale tipico e il denunciante può limitarsi alla semplice esposizione del fatto.
[1] Chiunque rinvenga un’arma o parte di essa è tenuto ad effettuarne immediatamente il deposito presso l’Autorità locale di Pubblica Sicurezza o, in mancanza, al più vicino comando dei carabinieri (art. 20 co. 5 L.110/1975)
[2] Art. 59, n. 2 c.p.p. (Subordinazione della polizia giudiziaria) - L’Ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria (NODM, NOIP e NOE) è responsabile verso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente
Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________
Oggetto: Attestazione di ricezione o presentazione di denuncia (art. 107/D.lgs. 271/89).
Il giorno ___________________ alle ore ______________ il sottoscritto Ufficiale di P.G. attesta che il Sig. ______________________________ nato a _______________________ il ____________ residente in via _________________ tel. _________________ ha sporto/ha presentato in questi Uffici denuncia relativa a ____________________________________ avvenuto/a ________________________________ in _________________ il __________________.
Si rilascia a richiesta dell’interessato per gli usi consentiti dalla legge[1].
Firma dell’Ufficiale di P.G.
_____________________
[1] E’ opportuno limitarsi al rilascio della semplice attestazione allorché la copia del verbale di denuncia contenga notizie che devono rimanere segrete.
E’ la dichiarazione con cui l’esercente una professione sanitaria (art. 99 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, T.U. delle Leggi sanitarie) porta la commissione di un reato perseguibile d'ufficio, del quale abbia avuto notizia in occasione della prestazione della sua opera, a conoscenza del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria
Come la denuncia dei soggetti pubblici, il referto deve presentare forma scritta ed è obbligatorio per coloro che abbiano prestato assistenza (o opera) in casi che possono configurare un delitto perseguibile di ufficio (art. 334 c.p.p.) e può essere redatto anche "cumulativamente" da più sanitari e per più assistiti (referto cumulativo).
Il referto può essere, a scelta, presentato dall’obbligato al Procuratore della Repubblica, oppure ad un Ufficiale di P.G. del luogo dell’intervento o a quello più vicino alla propria sede.
In ordine al termine, l’obbligo deve essere adempiuto entro 48 ore dalla prestazione professionale ovvero immediatamente quando vi sia pericolo nel ritardo (come accade quando il paziente corre pericolo di vita) al Pubblico Ministero o ad un Ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui l'assistenza è stata prestata o, in mancanza, all'Ufficiale di polizia giudiziaria più vicino (art. 334 c.p.p.).
L’omissione del referto da parte di chi vi è obbligato configura la fattispecie delittuosa di cui all’art. 365 c.p..
La presentazione del referto è un obbligo penalmente sanzionato per gli esercenti una professione sanitaria, salvo il caso in cui il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (art. 365 comma 2 c.p.). In tal caso, sull’esigenza dell’azione penale prevale il diritto dell’assistito (qui in re illicita versatur) alla cura della propria salute. In questa ipotesi è lecito opporre il segreto professionale sanitario[1] e gli esercenti la professione sanitaria hanno non l'obbligo, ma la facoltà di presentare referto.
L’obbligo del referto non sussiste per i reati punibili a querela e in particolare per il delitto di «lesioni colpose» (art. 590 c.p.), salvo che non si tratti di lesioni gravi o gravissime o di malattie professionali, i cui termini di guarigione superano i 40 giorni, conseguenti a fatti commessi con violazione delle norme per la “prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro”. Secondo alcuni, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un pubblico servizio (medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.
► Il referto deve indicare:
[1] Secondo la dottrina minoritaria, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un servizio pubblico (come ad esempio, medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.
La categoria delle «notizie innominate» di reato (atipiche o non qualificate), cioè non disciplinate dalla legge, è costituita dagli atti o fatti più vari, quali ad esempio:
Quando riferisce al P.M. la notizia confidenziale, la Polizia Giudiziaria può omettere il nominativo della fonte.
Rientrano nella categoria delle notizie di reato non qualificate, ad esempio, le segnalazioni informali (o di natura atipica) quali le segnalazioni via radio provenienti da unità di superficie o velivolo relativa alla presenza in mare di sostanze inquinanti; esposti anonimi corredati di documenti fotografici relativi ad opere abusive insistenti sul suolo demaniale marittimo; reclami di marittimi attinenti condizioni di bordo pregiudizievoli per la sicurezza della navigazione oppure per la salvaguardia della vita umana in mare, solitamente manifestati per vie brevi e, il più delle volte, in occasione del frenetico disbrigo delle pratiche di sbarco del marittimo interessato.
Al fine di rendere più agevole la ricostruzione delle modalità di accertamento e degli adempimenti svolti in occasione di fatti penalmente rilevanti e dei contatti intercorsi con la competente Autorità Giudiziaria, è consigliata la predisposizione, presso gli Uffici marittimi, di un “Registro delle notizie di reato” cronologico ed alfabetico, nel quale dovranno essere annotati i seguenti dati:
Di regola il Pubblico Ministero esercita l'azione penale d'ufficio, non appena abbia acquisito, in ordine al reato oggetto di notizia, elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
Peraltro in alcuni casi eccezionali l'esercizio dell'azione penale è subordinato all'integrazione di una cosiddetta «condizione di procedibilità», cioè di un atto o un fatto in mancanza del quale, anche se la notizia di reato appare fondata, il Pubblico Ministero non può esercitare l'azione penale e neppure iniziare le indagini.
Il Codice di rito disciplina quattro «condizioni di procedibilità»:
Normalmente l’azione penale è esercitata dall’ufficio del Pubblico Ministero; vi sono, però, taluni casi in cui la legge subordina l’esercizio dell’azione penale alla manifestazione di volontà della persona offesa o di altro soggetto.
Tali manifestazioni di volontà, in quanto condizionanti l’azione penale, prendono il nome di «condizioni di procedibilità» di procedibilità.
In particolare, la «querela» (art. 336 e segg. c.p.p.) è la dichiarazione facoltativa, raccolta in un atto o resa oralmente, con la quale la persona offesa da un reato, la cui perseguibilità la legge appunto subordina a querela, o un altro soggetto agente nell'interesse di costei ex artt. 120 e 121 c.p.p. (es. legale rappresentante) manifesta la volontà che il Pubblico Ministero proceda in ordine al reato stesso.
La «richiesta di punizione» assume rilevanza nei soli casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell’offeso (reati procedibili a querela).
La legge esige una siffatta condizione di procedibilità talora in considerazione della tenuità del reato, la quale induce il legislatore a ritenere che la repressione penale debba attivarsi per esso solo se la persona offesa lo richiede, tal'altra, ad esempio quando si tratti di reati contro l'onore o contro la libertà sessuale, per consentire all'offeso di decidere se al pregiudizio arrecatogli dal reato convenga aggiungere quello che potrebbe derivargli dallo strepitus fori, cioè dalla risonanza data al reato stesso dal processo.
In ordine alle formalità di presentazione, la dichiarazione di querela può essere proposta «per iscritto» (in carta non bollata, purché con firma autenticata a norma dell'art. 39 disp. att. c.p.p., quindi eventualmente dal difensore nominato nell'atto stesso oppure spedita per raccomandata) o anche «oralmente» alla Polizia Giudiziaria[1] o anche al Pubblico Ministero.
L'Autorità che riceve la querela "attesta" la data e il luogo della ricezione, identifica la persona che la presenta (e che, se la presentazione è orale, deve sottoscrivere il Verbale di ricezione), e trasmette il tutto al Pubblico Ministero (art. 337 c.p.p.).
Per esigenza di certezza in ordine alla provenienza dell’atto, va sempre identificato dal Pubblico Ufficiale il soggetto che propone, rinuncia, rimette o accetta la remissione di querela. Il soggetto legittimato a proporla è la persona offesa o legale rappresentante dell’ente o associazione. Se la persona offesa è un minore degli anni 14 o inferma di mente, la querela è presentata dall’esercente la potestà dei genitori, dal tutore ovvero da un curatore speciale all’uopo nominato dal Giudice su richiesta del P.M. (art.121 c.p. e 338)
In ordine al termine, il diritto di querela va proposto, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato[2], altrimenti è priva di effetti.
Il termine è di 6 mesi quando si tratta di «delitti contro la libertà sessuale»[3] (violenza sessuale) o «atti sessuali con minorenne».
► Il diritto di querela si estingue per:
- decadenza per decorso del termine;
- morte dell’offeso;
- remissione.
In quanto disponibile, la querela può essere «rimessa» dopo la sua presentazione (art. 380) ovvero essere oggetto di rinuncia prima della sua presentazione (art. 339).
Nel caso di reati perseguibili a querela di parte, in mancanza della querela, che può sopravvenire (entro tre mesi), possono essere compiuti solo atti di indagine preliminari necessari per assicurare le fonti di prova (art. 346 c.p.p.).
La «remissione» è la dichiarazione (scritta o orale) con la quale la persona offesa dal reato (= querelante) o chi la rappresenta propone la revoca della querela precedentemente proposta. Per essere efficace (e produrre la estinzione del reato), la remissione deve essere «accettata dal querelato». Poiché la persona querelata (= autore del reato) ha interesse, se innocente, a dimostrare, attraverso il processo, la sua completa estraneità al fatto-reato che le è stato addebitato nella querela, la remissione di questa non produce effetto se il querelato la ha «tacitamente od espressamente ricusata»: vale a dire se alla remissione non è seguita la sua accettazione.
Le spese del procedimento sono a carico al querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 13 Legge 25.6.1999, n. 205)
Anche per la querela non è richiesta l’adozione di alcuna formula sacramentale purché in essa risulti con sufficienza chiarezza la volontà del querelante.
► La querela, pertanto, deve indicare:
Diversa dalla remissione di querela è la «rinuncia preventiva a proporre querela». Questa può essere espressa (art. 339 c.p.p) o tacita (art. 124 c.p.) e comporta in radice la estinzione del diritto di proporla successivamente, ma la rinuncia non comporta l'estinzione del diritto di risarcimento dei danni.
La rinuncia espressa a proporre la querela può essere fatta personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione scritta rilasciata all'interessato a ad un suo rappresentante oppure con dichiarazione orale verbalizzata da un Ufficiale di polizia giudiziaria o da un notaio e "sottoscritta dal dichiarante". La rinuncia è inefficace se è priva di questa sottoscrizione. Essa può essere accompagnata dalla rinuncia all'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno (art. 339 c.p.p.).
[1] Eccezionalmente, in caso di flagranza di delitto che impone o consente l’arresto (artt. 380 co. 3 e 381 co. 3), la querela può essere proposta (anche con dichiarazione orale) a un Agente di P.G. (anziché a un Pubblico Ufficiale) presente nel luogo. Della dichiarazione di querela va dato atto nel verbale di arresto.
[2] Costante è l’affermazione per cui per notizia del fatto che costituisce reato, ai fini della decorrenza del termine per proporre querela, deve intendersi la piena conoscenza di tutti gli elementi indispensabili per la valutazione dell’esistenza del reato, cioè la notizia completa, diretta, precisa e certa del reato stesso; pertanto uno stato soggettivo di sospetto e di dubbio in ordine alla sussistenza del reato non è sufficiente per far decorrere i termini per la presentazione della querela (Cass. 30.10.1982)
[3] Non di gruppo poiché, per questa, si procede d’ufficio
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Si rilascia a richiesta dell’interessato per gli usi consentiti dalla legge [1]
(Da apporre in calce all’atto di querela)
[1] E’ opportuno limitarsi al rilascio della semplice attestazione allorché la copia del verbale di querela contenga notizie che devono rimanere segrete.
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Il Verbale va trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario del luogo in cui il fatto è stato commesso.
Nella fase delle indagini preliminari, la rinuncia consente al P.M. di richiedere la «archiviazione» essendo venuta meno la «condizione di procedibilità».
Consiste nella domanda con la quale il privato, persona offesa, chiede che si proceda contro i responsabili di taluni "reati comuni" (non politici) commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero che, se fossero stati commessi nel territorio dello Stato sarebbero perseguibili di ufficio.
La mancanza dell’istanza di procedimento precluderebbe l’instaurarsi del procedimento penale: essa realizza, infatti, una «condizione di procedibilità».
Come la querela, l’istanza di procedimento può essere presentata al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria o anche ad un Agente consolare all’estero, sempre entro tre mesi dalla ricezione della notizia del fatto-reato ed entro tre anni dalla presenza dell’autore a cui il fatto è addebitato sul territorio dello Stato.
Suo contenuto essenziale è la manifestazione di volontà punitiva in ordine ad un determinato fatto-reato, anche se sommariamente indicato.
La «richiesta di procedimento» (art. 342), come la querela e l’istanza, consiste anch’essa in una manifestazione di volontà punitiva, e si estende di diritto a tutti i responsabili.
E’ un atto (amministrativo e discrezionale) con cui un "Organo pubblico" (generalmente il Ministro di Giustizia e nell’ipotesi dell’art. 260 comma 1 e 2 c.p.m.p., il Ministro dal quale il militare dipende o il comandante del corpo), elimina, spinto da opportunità politiche, un ostacolo procedurale permettendo così il perseguimento di determinati reati commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero.
In ordine alla forma, la Pubblica Autorità (in genere il Ministro di Giustizia) redige richiesta scritta, fatta pervenire direttamente al Pubblico Ministero, e non anche ad un Ufficiale di P.G.
Tale richiesta deve essere sottoscritta personalmente da Ministro o da funzionario da lui delegato (Cass. 23.5.1994) e formulata, come la querela e l’istanza di procedimento, entro tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato, a pena di inefficacia.
Non è consentita rinunzia, preventiva o successiva, in quanto la richiesta è «irrevocabile» (art. 120 c.p.).
La «autorizzazione a procedere» è la dichiarazione(atto amministrativo) discrezionale e irrevocabile con cui un Organo dello Stato estraneo all'Organizzazione giudiziaria, a richiesta del Pubblico Ministero, consente che nei confronti di una determinata persona o in rapporto ad un determinato reato l'Autorità giudiziaria proceda penalmente oppure compia taluni atti limitativi di libertà (in quest'ultimo caso si parla più specificamente di autorizzazione ad acta).
Organo competente a richiedere l’autorizzazione a procedere è il Pubblico Ministero: va richiesta entro 30 giorni dalla iscrizione della notizia criminis nell’apposito Registro.
Se l’autorizzazione non viene concessa, non possono compiersi una serie di atti specificamente indicati nel comma 2 dell’art. 343 c.p.p.:
Tali atti sono, peraltro, consentiti se la persona è colta in flagranza di uno dei delitti indicati nell’art. 380 (per i quali l’arresto è obbligatorio)
Se l’autorizzazione è concessa, il procedimento penale prosegue e si conclude secondo le regole ordinarie (con sentenza di proscioglimento o di condanna).
L'art. 347, comma 1 c.p.p. radica l'obbligo di comunicare la notizia di reato in capo alla «Polizia Giudiziaria» e non al singolo Ufficiale od Agente di polizia giudiziaria che l'ha acquisita, dimostrando, in tal modo, di voler fare riferimento all'Ufficio e per esso al suo «Dirigente» e non alle singole persone che, in posizione subordinata rispetto al primo, lo compongono.
Ciò è reso chiaro anche dal fatto che per altre ipotesi, relative all'adempimento di particolari doveri, il Codice ha diversamente disposto, impegnando alla loro esecuzione il singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria.
Un ulteriore argomento a sostegno della tesi qui prospettata, emerge dalla lettura dell'art. 389, comma 2 del Codice, che attribuisce al solo Ufficiale di polizia Giudiziaria il potere di liberazione della persona oggetto di misura precautelare, se risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se le misure sono divenute inefficaci per il mancato rispetto dei termin i previsti dall'art. 386, comma 3 c.p.p.
La liberazione che può conseguire anche alla “valutazione” della insussistenza della notizia di reato compete, dunque, all'Ufficiale di polizia giudiziaria che ha la funzione di controllo e di prima deliberazione dell'attività di chi è gerarchicamente subordinato (art. 59 c.p.p.). Si tratta di una ulteriore applicazione del principio secondo il quale permane, anche nel nuovo Codice di rito, un rapporto diretto fra chi opera l'arresto in flagranza (e la flagranza costituisce il modo più immediato di acquisizione della notizia di reato) od il fermo e l'Ufficio cui appartiene.
D'altronde, il legislatore ha voluto espressamente evidenziare questo rapporto, prevedendo, con l'art. 120 att. c.p.p., che se l'arresto o il fermo è stato eseguito da Agenti di polizia giudiziaria, a questi incombe l'obbligo di darne immediata notizia all'Ufficiale di polizia giudiziaria competente ad adottare il provvedimento di liberazione previsto dall'art. 389, comma 2 del Codice.
Le indicazioni normative che depongono per l'attribuzione del potere di valutare la sussistenza della notizia di reato al Dirigente dell'Ufficio sono anche coerenti con ragioni d'ordine organizzativo e funzionale, poiché, altrimenti, l'attività dell'Ufficio o Comando si frantumerebbe, inevitabilmente, in una molteplicità di iniziative assunte estemporaneamente da questo o quel dipendente, anche all'insaputa di chi all'Ufficio è preposto, il quale invece, valutata la sussistenza della notizia di reato, oltre a riferirla al Pubblico Ministero, impartirà, prima dell'intervento di questi, le opportune disposizioni in merito all'attività di indagine ancora da svolgere.
Poiché il potere attribuito al Dirigente è quello di «valutare la sussistenza della noizia di reato» acquisita dai dipendenti Ufficiali od Agenti, in caso di giudizio positivo, il termine della comunicazione all'A.G. previsto dall'art. 347 c.p.p. decorre dalla «acquisizione» della notizia (art. 347, comma 4 c.p.p.) e non da quello in cui il Dirigente dell'Ufficio ne ha «valutato la sussistenza».
Ove la valutazione del Dirigente sia nel senso dell'insussistenza della notizia di reato, non avrà luogo la comunicazione - ex art. 347 c.p.p. - al Pubblico Ministero, ma il Dirigente ben potrà, negli opportuni casi, impartire le disposizioni per lo svolgimento di ulteriori attività volte ad approfondire il fatto in vista della possibile acquisizione degli elementi necessari a configurare la notizia di reato.
La notizia di reato deve ritenersi acquisita quando si siano appresi gli elementi essenziali di un fatto costituente reato anche quando non se ne conosce l'autore.
Costituisce il secondo aspetto della attività di informazione della Polizia Giudiziaria e consiste nell’obbligo di riferire la N.d.R. all’Autorità Giudiziaria.
La "valutazione" della sussistenza della notizia di reato spetta al Dirigente dell'Ufficio dal quale dipende chi l'ha acquisita autonomamente. E' da tale Dirigente, pertanto, e non dal singolo Ufficiale od Agente di Polizia Giudiziaria che deve provenire la «informativa» (=o comunicazione) al Pubblico Ministero.
Dal momento dell'acquisizione della notizia di reato "prende vita il procedimento penale" e prendono vita le funzioni di polizia giudiziaria (artt. 247-357 c.p.p.). Da quel momento decorre poi il termine entro il quale la Polizia Giudiziaria deve dare comunicazione al Pubblcio Ministero della notizia di reato acquisita e assolvere così al «compito di informare»: secondo e distinto aspetto della attività in esame.
L’obbligo di informativa al Pubblico Ministero da parte della Polizia Giudiziaria sussiste soltanto per i reati perseguibili di ufficio; negli altri casi, tale obbligo vige soltanto qualora la Polizia Giudiziaria compia attività di investigazione in mancanza di condizione di procedibilità (art. 346 c.p.p.). In tal caso, riferisce al Pubblico Ministero, senza ritardo, in merito alla circostanza, fin dall’inizio dell’attività d’indagine (art. 112 norme att.)..
La Polizia Giudiziaria deve effettuare la comunicazione della notizia di reato al Pubblico Ministero entro i termini previsti dall’art. 347 c.p.p (come modificato dal D.L. 8.6.1992, n. 306, convertito in Legge 7.8.1992, n. 356)., vale a dire:
Con l’introduzione di tale regime differenziato, relativo ai tempi entro cui effettuare la comunicazione di reato, si è teso soddisfare due esigenze:
L'attività di informazione si sostanzia quindi nell'acquisire la notizia di reato, secondo le forme dell'apprensione diretta o della ricezione (art. 330 c.p.p.) e nel riferirla, con ritmi accelerati, ancorché variamente stabiliti, al Pubblico ministero (art. 347 c.p.p.).
Ove la notizia di reato non venga riferita o venga riferita con ritardo ricorrono responsabilità penali (artt. 361, comma 2 e 363 c.p.p. - Omessa denuncia di reato aggravata) e disciplinari (art. 16 att. c.p.p.).
La «informativa di reato», corrispondente all'antico rapporto di denuncia della Polizia Giudiziaria previsto da Codice abrogato, consiste nella segnalazione, preliminare ed immediata, di una notizia di reato dalla Polizia Giudiziaria al Pubblico Ministero (art. 347 c.p.p.).
I generici Pubblici Ufficiali sporgono denuncia (art. 331 c.p.p.), senza alcuna esigenza di provvisoria informativa, anche perché essi non sono legittimati al successivo compimento di atti di indagine, riservati, invece, alla Polizia Giudiziaria.
La comunicazione (o informativa) della notizia di reato è, anzitutto, uno “strumento conoscitivo”: essa consente al P.M. di apprendere i dati necessari per la iscrizione della notizia di reato nel «Registro» (momento da cui decorrono, di conseguenza, i termini delle indagini) e di essere posto in condizione di orientare le indagini verso quel fatto-reato fornitogli dalla Polizia Giudiziaria.
La informativa, oltre ad avere tempi rigorosi di trasmissione, deve essere dotata di un contenuto dettagliato e vincolante dei fatti.
La segnalazione deve enunciare in ordine logico e cronologico i fatti, avendo cura di indicare:
La necessità di riferire anche tale elemento trova la sua ragione d’essere nell’esigenza di controllare che la comunicazione sia stata inoltrata nei termini previsti dalla legge.
E’ importante rilevare come la Polizia Giudiziaria abbia l’obbligo di inoltrare la comunicazione della notizia di reato anche nell’ipotesi in cui, acquisita la notizia, non è pervenuta all’individuazione dell’autore del reato (notizia di resto a carico di ignoti).
La documentazione delle attività compiute deve essere sempre allegata all’informativa scritta quando questa segue senza ritardo, l’informativa che è stata data immediatamente in forma orale per ragioni di urgenza, ovvero, perché si tratta di uno dei delitti di particolare allarme sociale.
Alla Polizia Giudiziaria competono poteri di approfondimento della notizia di reato, di conseguenza non vi è un ingiustificabile ritardo tutte le volte in cui la informativa stessa è stata preceduta da accertamenti di polizia giudiziaria volti ad approfondire la notizia di reato stessa.
Quindi, nel caso di indagini lunghe e laboriose è opportuno darne avviso all’Autorità Giudiziaria per poi comunicare, alla stessa, l’esito e la relativa notizia di reato al termine di tutti gli accertamenti effettuati, con riserva di eventuali successive comunicazioni ed integrazioni.
La forma è sempre scritta per l'informativa, ma la pre-informativa quando sussistono ragioni di urgenza, può essere in forma orale (Cassazione, Sez. II, 6.3.1990 imp. Frigione) o telefonica ed essere consegnata su supporto magnetico o trasmessa per via telematica (art. 108bis disp. att. c.p.p.): in ogni caso, deve seguirei, poi, seguire la comunicazione scritta (art. 347, comma 3 c.p.p.), corredata dalla documentazione delle attività compiute.
L'unica eccezione alla immediatezza dell'obbligo è costituito per la Polizia Giudiziaria della mera facoltà di riferire la notizia, quando questa sia relativa a reato la cui punibilità sia sottoposta a «condizione di procedibilità» (es. reato procedibile a querela) non ancora verificatasi, sempre che per tale fatto non siano stati compiuti atti di indagine; se questi, invece, sono stati compiuti, anche qui scatta l'obbligo di riferire la notizia, anche se non quello di trasmettere gli atti (art. 112 att. c.p.p., modif. da L. 356/1992, e art. 346 c.p.p.).
L’art. 107 bis delle disposizioni di attuazione e coordinamento del Codice di rito, introdotto dalla Legge 479/99 (c.d. Legge Carotti) stabilisce che le "denuncie a carico di ignoti" sono trasmesse all’Ufficio di Procura competente da parte degli Organi di polizia, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identificazione degli autori del reato, con «elenchi mensili».
In tal modo si evita la trasmissione continua agli uffici di Procura di un ingente numero di notizie di reato prive di concreta rilevanza per l’attività del Pubblkico Ministero consentendo anche una più razionale organizzazione degli Uffici delle forze di polizia che possono centralizzare la raccolta di siffatte notizie e inviarle secondo tempi e modalità predeterminati.
Il comma 4 dell’art. 415 c.p.p. semplifica l’attività delle Procure e degli Uffici del Giudice per le indagini preliminari (GIP) consentendo al P.M. di richiedere al GIP di disporre la «archiviazione» dei procedimenti contro ignoti, trasmessi dalla P.G. con elenchi mensili di cui all’art. 107 bis, cumulativamente per ciascun elenco.
Per effetto della nuova normativa, il P.M. formulerà un’unica richiesta di archiviazione e il GIP emetterà un unico decreto di archiviazione in relazione a tutte le N.d.R. contenute in ciascun elenco mensile.
Rimangono ferme le facoltà del P.M. e del GIP, rispettivamente, di "escludere" dalla richiesta di archiviazione quelle notizie di reatro, ritenute "meritevoli di approfondimento" e di non adottare il provvedimento di archiviazione in quei casi in cui la richiesta dell’organo dell’accusa non appare condivisibile.
Quando la notizia crimnis trasmessa dalla Polizia Giudiziaria possiede le caratteristiche della notizia di reato, il Pubblico Ministero provvede a iscriverla nell’apposito “Registro delle notizie di reato”[1]: tale iscrizione fa decorrere il termine per le indagini preliminari.
Il Pubblico Ministero. iscrive nel Registro di cui all’art. 335 c.p.p. solo quelle informative che costituiscono effettivamente notizia di reato e impongono di conseguenza sia le indagini preliminari sia la loro chiusura con un provvedimento di archiviazione o con l’esercizio dell’azione penale.
Ciò significa che, anche quando la Polizia Giudiziaria ha ritenuto sussistere una notizia di reato e ne ha riferito al Pubblico Ministero, quest’ultimo resta "arbitro di valutare" se la informativa ha davvero rilevanza penale o sia una “pseudo-notizia di reato”.
Solo in caso di valutazione positiva, il Pubblico Ministero, la iscrive nel Registro delle notizie di reato. In caso contrario, iscrive la informativa nel “Registro degli atti non costituenti reato” (mod. 45), esistente presso ogni Procura della Repubblica, trasmettendo poi direttamente gli atti all’archivio senza richiedere su di essa al G.I.P. un formale provvedimento di archiviazione (c.d. potere di cestinazione o di archiviazione diretta).
Trattandosi infatti di una pseudo-notizia di reato il procedimento penale non ha motivo di iniziare e non vi è necessità neppure di un controllo del G.I.P. nelle forme del provvedimento di archiviazione.
[1] Si tratta, a seconda dei casi, del “Registro delle notizie di reato contro noti” (mod. 21 e mod. 22) e del “Registro delle notizie di reato contro ignoti” (mod. 44).
L’attività di investigazione svolta dalla Polizia Giudiziaria di propria iniziativa si colloca all’inizio delle indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui la Polizia Giudiziaria ha acquisito la notizia di reato e consiste nella raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto (c.d. fonti di prova) ed alla individuazione del colpevole (art. 348 comma 1 c.p.p.), procedendo sia alla ricerca e conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato (c.d. fonti di prova reali) sia alla ricerca di persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (c.d. fonti di prova personali) nonché al compimento di atti specificamente indicati (artt. 340-354 c.p.,p.).
L'attività di investigazione può consistere nel compimento di «atti tipici» di indagine, espressamente disciplinati dal Codice (ad esempio, le perquisizioni artt. 247 – 252, 352; le sommarie informazioni dall’indagato e da altre persone artt. 350 e 351), e di «atti atipici» (o informali) e cioè quella attività che, pur non essendo espressamente disciplinata dal codice, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine.
Le attività della Polizia Giudiziaria, dirette a stabilire la natura del reato e l'identificazione dell'autore, comportano specifiche operazioni che vengono generalmente suddivise secondo una consueta classificazione, in:
Sono atti di «investigazione diretta», gli atti nei quali l’attività si svolge immediatamente su persone e cose. Sono «dirette» quelle compiute sul luogo del reato e consistono: nell’osservare, fissare ed evidenziare con precise metodologie tutto ciò che presenta l’ambiente soggetto in esame in specifica attinenza con il fatto per cui si opera.
Sono atti di «investigazione indiretta», gli atti dove l’attività prevede il contributo di persone diverse dagli operanti (es. persona offesa, potenziale testimone, indagato). Sono «indirette» quelle compiute in parallelo o successivamente alle dirette: per acquisire elementi e informazioni utili alla identificazione del responsabile del reato in esame.
Con le indagini dirette si fissano dati di fatto «inconfutabili», cioè obbiettivi e controllabili mentre con le indagini indirette si acquisiscono dati «confutabili» cioè soggettivi e non sempre controllabili.
Più in particolare, si precisa che la Polizia Giudiziaria non può porre in essere attività che, di fatto, precludano in modo irreversibile le future valutazioni processuali del Pubblico Ministero. In tal senso, per la polizia giudiziaria sussiste il “divieto” di compiere “atti irripetibili”, se non nei casi specificamente previsti..
La Polizia Giudiziaria, dopo aver acquisito la notizia di reato ed averla eventualmente comunicata al Pubblico Ministero a norma dell'art. 347 c.p.p., sino a quando costui non abbia assunto la direzione delle indagini compie di propria iniziativa gli atti di indagine preliminare che risultano necessari a norma dell'art. 55 comma 1 «per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale».
L'art. 348 commi 1 e 2 precisa che essa raccoglie «ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole» mediante la ricerca tanto «delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti» quanto «delle cose e delle tracce pertinenti al reato». Provvede altresì alla conservazione delle tracce e dello stato dei luoghi.
A tal fine la Polizia Giudiziaria compie una «attività formale» d'indagine, consistente in atti specificamente regolati dalla legge, sia un'«attività informale», cioè non disciplinata specificamente, costituita da atti non implicanti l'esercizio di poteri autoritativi.
Nell'ambito delle attività del primo tipo, che la legge per lo più subordina all'urgenza o ad altri particolari presupposti e limita nel tempo, tenuto conto dei rapporti di diretta disponibilità della Polizia Giudiziaria (art. 109 Cost.), rappresentata nel corso delle indagini preliminari dal Pubblico Ministero, nonché delle più ampie garanzie di legalità offerte da quest'ultimo, si collocano i seguenti atti:
Trattasi, infatti, di un «potere» in quanto ogni persona è tenuta ad ottemperare alla richiesta del Pubblico Ufficiale, ma, al tempo stesso, di un «dovere» in quanto la sopra citata norma considera necessario che la Polizia Giudiziaria stabilisca la identità del soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini (indagato) e dei soggetti che possono fornire informazioni sui fatti oggetto delle medesime (potenziali testimoni).
Chi rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità, sul proprio stato o su altre qualità personali, commette il reato di cui all'art. 651 c.p.. Chi, anziché frapporre un rifiuto, fornisce generalità false commette i reati di cui agli artt. 495 e 496 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un Pubblico Ufficiale sulla identità o qualità proprie o di altri).
Qualora, però, sia l’indagato che la persona informata sui fatti "rifiutano" di farsi identificare, oppure "forniscono generalità o documenti di identificazione in ordine ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità", vengono «accompagnati» (anche coattivamente) dalla Polizia Giudiziaria in Ufficio ed ivi "trattenuti" per il tempo strettamente necessario per l’identificazione (c.d. fermo per l’identificazione).
Un particolare "accompagnamento per l’identificazione" è quello che, in base all’Accordo di Schengen [6](Legge 30.9.1993, n. 358), può essere compiuto nei confronti della persona evasa oppure della persona colta nella flagranza di un grave reato (omicidio, storsione, stupro, traffico di stupefacenti o sostanze psicotrope, armi o esplosivi, immigrazione clandestina, ecc.) il cui atteggiamento sia continuato oltre la frontiera terrestre o marittima (c.d. inseguimento transfrontaliero) da parte di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad uno Stato aderente all’Accordo (vale a dire, per quel che direttamente interessa, appartenenti, in via principale, agli Stati italiani, francesi e austriaci). Per questa ipotesi, l’Accordo di Schengen prevede che, su richiesta deli Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, quelli del Paese ove l’inseguimento si è concluso possono procedere al fermo e alla “perquisizione di sicurezza”[3] dell’inseguito al fine di verificarne la identità provvedendo poi, se ne ricorrono le condizioni e sempre su richieta, al relativo arresto.
Peraltro il potere dovere di identificazione può spettare agli Organi di polizia, sia per finalità di polizia giudiziaria che per “finalità di polizia di sicurezza” ovvero per coloro che, pur in mancanza della qualifica di pubblica sicurezza, si trovano ad operare nel campo della "polizia amministrativa", volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi.
Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 349 c.p. è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia.
Carta d'identità digitale
[1] In base alle leggi di pubblica sicurezza, la «carta di identità» è considerata mezzo di identificazione ai fini di polizia (art. 288 del Reg. di esecuzione al T.U.L.P.S.), mentre tutti gli altri documenti sono definiti titoli equipollenti alla carta di identità (l’art. 292 del reg. T.U.-L.P.S. considera tali i documenti muniti di fotografia e rilasciati da un’Amministrazione dello Stato). Sono, pertanto, documenti validi per l’identificazione: i libretti ferroviari di cui sono muniti gli impiegati civili e militari dello Stato; le patenti di cui sono muniti i conducenti di veicoli; le tessere di riconoscimento postali; i libretti di porto d’armi; i passaporti per l’estero.
[2] Per “generalità” si intendono: nome, cognome, paternità, maternità, data e luogo di nascita (identità); residenza, domicilio, stato di coniugato, divorziato, di filiazione, o di parentela, attività lavorativa, cittadinanza (stato); professione, titoli di studio, professionali ed onorifici, situazione patrimoniale, rapporti con la giustizia (qualità personali).
[3] Rientra tra le perquisizioni previste dalle leggi speciali anche la c.d. perquisizione personale di sicurezza (con eventjuale successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti) che le autorità di polizia di uno Stato aderente all’Accordo di Schengen (e quindi quelle italiane, francesi e austriache) possono compiere all’esito di un inseguimento tranfrontaliero conclusosi con il fermo per identificazione dell’inseguito (evaso o persona colta in flaqgranza per gravi di reati). Malgrado la denominazione, non si tratta di perquisizione a carattere preventivo, ma di perquisizione di polizia giudiziaria. Essa infatti viene compiuta dopo la commissione di un reato (evasione o altro reato commesso in flagranza).
Nell’ambito della attività di polizia, il personale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera che procede all’identificazione, «invita» la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ed i soggetti in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto, a «dichiarare le proprie generalità». Trattasi di un atto dovuto che ha inizio sul luogo e può avere seguito anche in Ufficio.
Nell’ambito dell’attività di polizia in genere, le "necessità identificative" possono essere assolte, sia con la carta di identità, che con qualsiasi altro titolo equipollente.
[1] Art. 10, co. 2 D.L. 144/2005 conv. Legge 158/2005.
Il primo e più semplice "controllo" va effettuato per accertare se il documento esibito risulti denunciato rubato o smarrito da parte del titolare.
Tali notizie sono contenute in apposito «schedario elettronico», del "Centro Elaborazioni Dati" (C.E.D.) in uso alle Forze di Polizia, nel quale vengono inseriti i numeri identificativi dei documenti che vengono denunciati rubati o smarriti.
E’ sufficiente, pertanto, interrogare al terminale il numero del documento[1]. Tale accesso telematico consente di conoscere se lo stesso è stato rubato o smarrito e da chi, in che data e presso quale ufficio di polizia denunciato. In caso positivo, ovviamente, il possessore è illecito (se ne sarà appropriato direttamente o l’avrà acquisito da altri e vi avrà, quanto meno, cambiato la fotografia, in quanto utilizza un documento rubato o smarrito facendo proprie le generalità del titolare)
In "terza pagina", frapposto tra la fotografia e la pagina stessa, viene impresso un timbro a secco punzonato (ossia, che non lascia un segno con l’inchiostro, ma un rilievo, appunto, di punzonatura).
A tale proposito, è opportuno accertare che vi sia perfetta coincidenza tra la parte del timbro impresso sulla fotografia e la parte invece impressa sulla pagina; inoltre, che la dicitura del timbro a secco sia la stessa del timbro ad inchiostro esistente sulla parte sottostante della medesima pagina (Comune di _____________ ).
Per verificare se vi è stata sostituzione di foto si può anche controllare, utilizzando uno spillo, se esiste la necessaria corrispondenza tra le depressioni del timbro a secco originale (visibile sulla quarta pagina) e quelle esistenti sulla fotografia. Infine, poiché il falsificatore potrebbe aver completato la circonferenza dell’impronta usando un compasso, è opportuno riscontrare se esistono tracce di punta del suddetto strumento al centro della timbratura.
Oltre agli schedari ed archivi elettronici nazionali del CED possono essere effettuate ricerche presso gli archivi delle utenze telefoniche della TELECOM (contiene i nominativi e gli indirizzi di tutti gli intestatari di utenze telefoniche), dell’A.C.I., del P.R.A. e della Motorizzazione Civile (contengono i dati identificativi degli autoveicoli e dei loro proprietari), della Suprema Corte di Cassazione (raccoglie le sentenze civili e penali della Corte e le massime Ufficiali del Consiglio di Stato) e dell’Unione Camere di Commercio (contiene i dati e le informazioni, di natura pubblica, raccolti dalle Camere di Commercio, relativi a società e ditte), ricchi serbatoi di dati ed informazioni.
Possono essere effettuate ricerche presso i gli archivi cartacei presso l’Anagrafe al fine di consultare gli Atti dello Stato Civile (residenza e stato di famiglia, sia attuali che storici, morte, matrimonio), l’Ufficio Elettorale (elenco dei cittadini che godono dei diritti politici), l’Ufficio Carte di identità.
Altri informazioni di interesse possono essere assunte presso gli Enti che erogano servizi e forniture (Enel, Italgas, Aziende Municipalizzate o Private locali, ecc.) dai quali si possono spesso acquisirsi dati necessari per individuare la dimora di una persona che, come chiunque, non potrà far certo a meno di tali servizi di prima necessità (anche estendendo la ricerca al nome di familiari o di persone legate da vincoli affettivi, di amicizia o di colleganza).
► Inoltre, presso la Questura sono accessibili:
Presso la Prefettura è ubicato l’ Ufficio Patenti, nei cui archivi sono accessibili i atti anagrafici e le fotografie di tutti i titolari di patenti di guida rilasciate nella provincia. Nel Tribunale, il Casellario Giudiziario che contiene le notizie riguardo alle condanne passate in giudicato dei cittadini nati nel circondario, il Registro Generale Penale per i carichi pendenti raccoglie le indicazioni in ordine ai procedimenti in corso, mentre il Registro delle Imprese ed il Registro della Stampa sono consultabili per i dati relativi alle imprese ed alle testate giornalistiche registrate.
Ricordiamo, infine, il Catasto Edilizio Urbano e Terreni ove sono conservate le piante catastali, rispettivamente degli immobili urbani e rurali, la Conservatoria dei Registri Immobiliari, nel cui archivio possono essere attinte notizie utili in ordine alla proprietà degli immobili, gli Albi Professionali, gli Uffici di Collocamento, gli Uffici Finanziari (Uffici Tecnici Erariali, Uffici delle entrate, Intendenze di Finanza, ecc.).
L’elencazione di cui sopra, che non ha certamente la pretesa di avere carattere esaustivo, fornisce, tuttavia, un’idea sull’ampia gamma di mezzi conoscitivi di indagine, tramite i quali l’investigatore può trarre evidenti benefici di carattere informativo da aggiungere a quanto contenuto nei propri "Archivi cartacei" che, è bene ricordarlo e sottolinearlo, anche nell’era della telematica rappresentano una miniera ricca e facilmente attingibile di notizie.
[1] Ad esempio, il numero della carta di identità e quello del passaporto vengono stampigliati su moduli in bianco presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, i quali vengono consegnati alle Prefetture per la successiva distribuzione ai Comuni (carte d’identità) ed al Ministero degli Esteri per la successiva distribuzione alle Questure (passaporti).
Per quanto riguarda i «cittadini stranieri», a norma dell’art. 144 del T.U.L.P.S. (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) l’Autorità di P.S. la facoltà di invitare, in ogni tempo, lo straniero ad esibire i documenti di identificazione di cui è provvisto e a dare contezza di sé; qualora vi sia motivo della identità personale dello straniero, questi può essere sottoposto a rilievi segnaletici.
La identificazione può avvenire normalmente mediante l’esibizione di un "documento di riconoscimento" rilasciato dallo Stato di appartenenza dell’interessato, come ad esempio:
Mentre per i "cittadini comunitari" la patente di guida ed il passaporto sono conformi ai modelli europei fissati dalla normativa comunitaria, quindi, facilmente intellegibili e valutabili in sede di controllo, gli "stranieri extracomunitari" sono dotati di documenti tra loro diversi a seconda dello Stato di appartenenza, scritti in lingue e caratteri alfabetici diversificati e difficilmente traducibili.
Risulta così difficile, anche per il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, viste le proporzioni sempre più rilevanti del fenomeno dell’arrivo, sulle coste dell’Italia meridionale, di migliaia di persone provenienti, per lo più, da Paesi dell’Africa maghrebina, dell’area balcanica (Europa centro-orientale) e del Medio Oriente, giudicare l’autenticità del documento di riconoscimento mostrato dallo straniero e, di conseguenza, acquisire la sua veridicità.
Al fine di una migliore valutazione di siffatti documenti, possono essere interpellati l’Ufficio Stranieri della Questura o, più direttamente, l’Ambasciata o il Consolato in Italia dello Stato di provenienza dello straniero e, quindi, di emissione del documento.
Va ricordato, comunque, che molti stranieri, residenti da anni nel nostro Paese, possono essere muniti di "carta di identità italiana" (che non ha, ovviamente, validità per l’espatrio) o, anche di "patente di guida italiana".
Il cittadino straniero extracomunitario, oltre al "passaporto" di cui deve comunque essere munito perché solo con questo gli è consentito l’ingresso in Italia (salvo i casi di clandestini che hanno successivamente sanato la loro posizione in virtù di particolareggiate e limitate disposizioni di legge, come quelle sul ricongiungimento familiare e regolarizzazione per offerta di lavoro), deve essere munito del «permesso di soggiorno»[1] che, ai sensi dell’art. 4 della Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. Legge MARTELLI), va richiesto entro otto giorni dalla data di ingresso ed ha diversa durata a seconda del titolo per cui viene rilasciato (non superiore a tre mesi per motivi di turismo, a due anni per motivi di lavoro, di studio e di cura, illimitata qualora coniugato con cittadino italiano da più di tre anni risiedendo nel territorio italiano).
In base al successivo art. 6, lo straniero in possesso del permesso di soggiorno ha diritto all’iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza e, successivamente, al rilascio della "carta di identità italiana", di validità limitata al territorio nazionale ed alla durata del permesso di soggiorno medesimo.
In virtù del comma 4 dell’art. 4 comma 4, Legge n. 39/90, il "permesso di soggiorno" deve essere esibito ad ogni richiesta degli Ufficiali ed Agenti di pubblica sicurezza.
Eventuali inosservanze dello straniero ai suddetti obblighi devono essere segnalate all’Ufficio Stranieri della Questura per le opportune determinazioni in ordine alla eventuale espulsione ai sensi dell’art, 7 comma 2, Legge n. 39/90.
[1] Il permesso di soggiorno è costituito da un foglio sul quale sono trascritte le generalità complete ed i dati riguardanti lo straniero (nome, cognome, luogo e data di nascita, nazionalità, residenza all’estero, recapito in Italia, data d’ingresso, data e motivo del visto, motivo e scadenza del soggiorno, data del rilascio) e sul quale è apposta una fotografia del titolare.
I cittadini "extracomunitari" che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli "Uffici postali", anziché le Questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.
La durata del permesso di soggiorno, ad "eccezione" di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.
I «cittadini stranieri» che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.
La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli "cinque anni" dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).
Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.
Consistendo l’identificazione in un potere, come tale contrapposto ad una situazione di soggezione da parte della persona nei cui confronti è stato esercitato il potere di identificazione, il nostro ordinamento penale prevede delle "specifiche sanzioni" per chi ne ostacola il libero e legittimo esercizio.
Infatti l’art. 651 c.p. punisce, quale reato contravvenzionale (arresto fino ad 1 mese o ammenda di € 206) chi, richiesto da un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali.
In primo luogo, quindi, occorre una "esplicita richiesta" del Pubblico Ufficiale che sta esercitando la propria funzione. Non è sindacabile la necessità o la fondatezza della richiesta del Pubblico Ufficiale, in quanto questi può chiedere a chiunque le generalità purché sia nell’esercizio delle proprie funzioni (Sent. Corte di Cassazione 28 aprile 1995). Tale limite, dell’esercizio delle pubbliche funzioni, significa, pertanto, che siffatto potere deve essere esercitato non in maniera "indiscriminata", ma deve risultare una necessità o un’opportunità connessa al libero e completo svolgimento della funzione medesima.
Il "rifiuto" configura comunque il reato in questione, anche se, poco dopo, il soggetto fornisca spontaneamente le proprie generalità. Non costituisce reato, invece, il non fornire dati non espressamente richiesti dal Pubblico Ufficiale.
Chi, al contrario, "dichiara generalità mendaci", trattandosi di condotta bel più grave rispetto alla precedente, in quanto tende ad indurre in errore il Pubblico Ufficiale che le riceve, incidendo sulla fede pubblica, risponde del delitto previsto dall’art. 496 c.p., punito con la reclusione fino ad 1 anno o con la multa fino a 516 €.
Anche in tale ipotesi criminosa occorre che il Pubblico Ufficiale sia nell’esercizio delle proprie funzioni (o del proprio servizio) ed abbia "esplicitamente interrogato" la persona sulla sua identità, il suo stato e le sue qualità personali.
La pena è della reclusione fino a 3 (tre) anni, quando le dichiarazioni o le attestazioni al siano destinate ad essere ricevute in un atto (art. 495 c.p.).
Oltre che per l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p., anche per le due figure di delitto sopra menzionate non è consentito l’arresto nella flagranza di reato ed è competente il Tribunale monocratico.
La Cassazione con Sent. N. 6864 del 9 aprile 1993 stabiliva che il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento al Pubblico Ufficiale integrava gli estremi del reato di cui all’art. 221 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S in relazione all’art. 294[1] dello stesso Regolamento e non il reato di cui all’art. 651 c.p.
Il D.lgs. 13.7.1994, n. 480 ha introdotto l’art. 221 bis che punisce la violazione di cui all’art. 221 con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 154 € a 1.032 €.
[1] Art. 294 T.U.L.P.S. – La carta di identità od i titoli equipollenti devono essere esibiti ad ogni richiesta degli Ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza.
Nel campo della «polizia amministrativa», volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi (polizia tributaria, sanitaria, urbanistica, stradale, ambientale, demaniale, dei porti e della navigazione), il «potere di identificazione», per coloro che sono in possesso della qualifica di “Ufficiale ed Agente di P.S.”, deriva dalla generale disposizione dell’art. 294 del Regolamento di esecuzione al T.U.L.P.S., quando viene esplicato al fine di esercitare la attribuzione, prevista dall’art. 1 del T.U. medesimo, consistente nel curare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti dello Stato nonché delle ordinanze dell’Autorità.
In tale testo normativo manca, in realtà, una precisa disposizione che abiliti all’esercizio del “potere di identificazione” nel corso dello svolgimento dell’attività disciplinata.
Se ne desume, però, la necessità e, quindi, l’implicita previsione, quando agli artt. 13 e 14 vengono regolati gli atti di accertamento e la contestazione e notificazione, tutte azioni amministrative che non possono prescindere da una previa o contestuale identificazione dei soggetti interessati.
L’esigenza primaria volta a garantire agli Organi deputati alla tutela della pubblica sicurezza una efficiente azione di prevenzione fornisce agli stessi uno strumento operativo determinante che consiste nel potere-dovere di identificare le "persone pericolose" e "sospette"[1] o quelle, comunque, delle quali ritengano opportuno conoscere la identità per l’espletamento dei propri compiti istituzionali.
In questi casi, l’attività di controllo e identificazione prescinde dalla commissione di un reato e non è attività di polizia giudiziaria, ma di “polizia di sicurezza” (art. 11 Decreto Legge 21 marzo 1978, n. 59 [7] convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978, n. 191[2] ed art. 4 T.U.L.P.S.)
Anche di tale accompagnamento e del successivo rilascio va dato «avviso» al Procuratore della Repubblica, il quale può disporre l’immediato rilascio. In questa previsione normativa la durata massima del trattenimento in ufficio (c.d. fermo o accompagnamento per l’identificazione di p.s.) è fissata in 24 ore.
L’istituto del “fermo per identificazione”, di cui all’art. 11 D.L. n. 59/78, è strutturato in modo analogo all’accompagnamento negli uffici di polizia previsto dall’art. 349 del c.p.p.
Trattandosi di istituto concernente l’attività della polizia di sicurezza, l’istituto del fermo per identificazione appena illustrato non ha cessato di avere vigore neppure dopo l’introduzione dell’art. 349 del codice di procedura penale.
L’art. 11 del D.L. 21/3/78, n. 59 recita: “gli Ufficiali e gli Agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione o comunque non oltre le 24 ore“.
La disposizione si applica anche «...quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti». Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al Procuratore della repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi precedenti ordina il rilascio della persona accompagnata.
Al Procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui è avvenuto.
Alla identificazione della persona può procedersi, ove occorra, anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici, nonché qualsiasi altro accertamento non tipizzato che lo sviluppo tecnico-scientifico dovesse prospettare come idoneo ai fini identificativi, ad esclusione di quei rilievi che possano incidere sulla libertà fisica e morale, specialmente quando impongano un mancato riguardo al pudore ed alla dignità della persona medesima. Se gli accertamenti di cui trattasi comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero. [3]
Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 11 del D.L. 59/78 è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia.
[1] Per persone pericolose devono intendersi ad esempio: i pericolosi sociali, gli oziosi ed i vagabondi abituali; i mendicanti, gli intossicati, i malati di mente. Per persone sospette, invece, quelle che, con la loro condotta, diano luogo a giudizio sfavorevole circa la regolarità della loro vita di relazione, in particolare coloro che fuori del loro Comune, destando sospetti con la loro condotta, si rifiutano o non possono dare contezza di sé, alla richiesta di Ufficiali ed Agenti di P.S., mediante l’esibizione di una carta d’identità o documento equipollente.
[2] Le disposizioni previste da codice ricalcano, in maniera quasi letterale, l’art.11 D.L. 21.3.1978 n.59, convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978 n.191, rispetto al quale prevede la riduzione da 24 a 12 ore del termine massimo per il quale la persona può essere trattenuta. Trattandosi di leggi che regolano la stessa materia, il predetto D.L. n.59/78 dovrebbe pertanto ritenersi abrogato a far tempo dall’entrata in vigore del nuovo codice.
[3] A norma dell’art. 10, comma 4 quater, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155 per l’identificazione di pubblica sicurezza si osservano le stesse disposizioni dell’art. 349. 2 bis c.p.p.
Si prescinde, ovviamente dalle situazioni di urgenza e da qualsiasi riferimento alla gravità del reato per cui si procede quando gli Ufficiali di polizia giudiziaria compiono perquisizioni personali o locali su delega del Pubblico Ministero.
In caso di successo, alla perquisizione fa seguito altro atto (di sequestro, di ispezione, di fermo, di arresto, di misura custodiale o carcerazione).
La perquisizione è uno "strumento investigativo", usualmente attivato nel corso delle indagini di polizia giudiziaria e quasi mai in fasi processuali e, a seconda dell’oggetto, si distinguono in:
Peraltro, la Polizia Giudiziaria può procedere a perquisizione anche in taluni casi espressamente previsti da "leggi speciali" che, a seconda della finalità, si possono distinguere in:
[1] Possono procedere a perquisizione gli Agenti di polizia giudiziaria quando ricorrono situazioni di necessità e urgenza che rendono impossibile un intervento tempestivo dell’Autorità Giudiziaria o di un Ufficiale di polizia giudiziaria, come ad esempio: perquisizione a seguito di flagranza di reato.
Per intenderci, il «corpo del reato» è il complesso dei mezzi attraverso i quali il fatto criminoso viene compiuto o delle cose che rappresentano il prezzo, il prodotto o il profitto dell’illecito; «cose pertinenti al reato» sono strumenti o i mezzi legati, anche in via indiretta, alla fattispecie criminosa, che consentono di rilevare dati utili per la ricostruzione e l’accertamento dei fatti relativi al compimento di un illecito e informazioni sull’autore delle stesso.
Nella perquisizione personale la ricerca è generalmente manuale ma può essere effettuata anche con "mezzi meccanici".
In questi casi, trattandosi di atti particolarmente delicati che sottopongono il soggetto a forme di trattamento (=esplorazione) sanitario, la Polizia Giudiziaria è legittimata a procedervi avvalendosi di personale medico con funzione di «Ausiliare» e comunque previa delega del Pubblico Ministero.
Tali atti possono essere compiuti anche senza il consenso del soggetto sottoposto a perquisizione: vista la urgente necessità terapeutica, sono infatti giustificati con la necessità di preservare il soggetto perquisito dal rischio di morte che egli corre trasportando nel proprio corpo oggetti e sostanze che possono provocargli gravi lesioni e gravi forme di intossicazione o infezione.
► Il presupposto per potere procedere a perquisizione personale è costituito:
In questo ultimo caso, può peraltro procedersi a perquisizione solo se:
I presupposti delle perquisizioni sono l’esistenza di fondati motivi e di situazioni di particolare urgenza (=pericolo nel ritardo). Quanto ai fondati motivi, essi devono consistere in elementi oggettivi e non solo in semplici sospetti o vaghe congetture.
Quanto al pericolo del ritardo, esso è presunto nei casi di flagranza o quasi flagranza e di evasione.
La sussitenza dei presupposti del pericolo del ritardo e dei fondati motivi deve essere valutata con particolare attenzione dalla Polizia Giudiziaria.
La perquisizioni è infatti un “atto irripetibile” e come tale può incidere irreversibilmente sulle scelte processuali del Pubblico Ministero, in particolar modo quando questi è divenuto il dominus (ha già assunto la direzione) delle indagini preliminari.
Perquisizione effettuate in assenza dei suindicatii presupposti di legge, comportano a carico del personale operante, provvedimenti disciplinari e penali:
La perquisizione effettuata in assenza di presupposti di legge è nulla e l’eventuale sequestro eseguito all’esito della stessa è inutilizzabile salvo si tratti di sequestro di cosa costituente corpo di reato o pertinenze al reato (Cass. Sez. Un. 5021/96)
Ne consegue che i risultati di una perquisizione effettuata in assenza dei presupposti di legge (fondati motivi e pericolo di ritardo) possono comunque essere utilizzati indipendentemente dalle censure disciplinarri o penali nei confronti del personale operante (Cass. 29550/06 e Cass. 3626/06).
► Nel «procedimento davanti al Giudice di Pace», la Polizia Giudiziaria, se autorizzata dal Pubblico Ministero, può procedere alla perquisizione anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs., 28.8.200, n. 274).
[1]Stato di chi viene colto nell’atto di commettere il reato (=flagranza)o subito dopo il reato inseguito ed è sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che il soggetto ha commesso il fatto immediatamente prima (=quasi flagranza).
► Modalità esecutiva:
- la fattispecie criminosa commessa, specificandone gli elementi di tempo e azione;
- la norma penale che si ritiene violata (e non soltanto il titolo di reato).
Il decreto di perquisizione ha forma scritta e, la copia va preventivamente consegnata al perquisendo.
Non sono qualificabili come perquisizioni e possono perciò essere eseguite con modalità informali:
► Garanzie difensive:
► Documentazione e trasmissione:
I verbali delle perquisizioni compiute dalla P.G., trattandosi di “atti non ripetibili”, vengono inseriti nel fascicolo del dibattimento e attraverso la lettura di questo sono utilizzabili ai fini del giudizio (art. 511 c.p.p.
Vi sono "responsabilità disciplinari" e "penali" in caso di perquisizioni arbitrarie o illegittime (perquisizioni arbitrarie - 609 c.p.; violenza privata - 610 c.p.; violazione di domicilio - 614-615 c.p.).
Si può parlare di «perquisizione locale» solo quando il luogo perquisito è nella disponibilità (assoluta o relativa) di taluno, al contrario, si è fuori dall’ambito delle perquisizioni per i luoghi aperti (campi, strade, locali abbandonati).
Ipotesi specifica di perquisizione locale è la c.d. perquisizione domiciliare, che riguarda solo le perquisizioni compiute in una abitazione o nei luoghi chiusi adiacenti ad essa (luoghi destinati ad uso domestico o destinati al suo servizio o completamento).
► Il presupposto per potere procedere a perquisizione locale è costituito:
In questo ultimo caso, può peraltro procedersi a perquisizione solo se:
I presupposti delle perquisizioni locali sono l’esistenza di fondati motivi e di situazioni di particolare urgenza (=pericolo nel ritardo).
Quanto ai fondati motivi, essi devono consistere in elementi oggettivi e non solo in semplici sospetti o vaghe congetture.
Quanto al pericolo del ritardo, esso è presunto nei casi di flagranza o quasi flagranza e di evasione.
La sussitenza dei presupposti del pericolo del ritardo e dei fondati motivi deve essere valutata con particolare attenzione dalla Polizia Giudiziaria.
La perquisizioni è infatti un “atto irripetibile” e come tale può incidere irreversibilmente sulle scelte processuali del Pubblico Ministero, in particolar modo quando questi è divenuto il dominus (ha già assunto la direzione) delle indagini preliminari.
Perquisizione effettuate in assenza dei suindicatii presupposti di legge, comportano a carico del personale operante, provvedimenti disciplinari e penali:
La perquisizione effettuata in assenza di presupposti di legge è nulla e l’eventuale sequestro eseguito all’esito della stessa è inutilizzabile salvo si tratti di sequestro di cosa costituente corpo di reato o pertinenze al reato (Cass. Sez. Un. 5021/96)
Ne consegue che i risultati di una perquisizione effettuata in assenza dei presupposti di legge (fondati motivi e pericolo di ritardo) possono comunque essere utilizzati indipendentemente dalle censure disciplinarri o penali nei confronti del personale operante (Cass. 29550/06 e Cass. 3626/06).
► Nel «procedimento davanti al Giudice di Pace», la Polizia Giudiziaria, se autorizzata dal Pubblico Ministero, può procedere alla perquisizione anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs., 28.8.200, n. 274).
[1] Stato di chi viene colto nell’atto di commettere il reato (=flagranza)o subito dopo il reato inseguito ed è sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che il soggetto ha commesso il fatto immediatamente prima (=quasi flagranza)
► Modalità di esecuzione:
► Garanzie difensive:
► Documentazione e trasmissione:
La perquisizione locale non può essere compiuta per iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. Vi sono "responsabilità disciplinari" e "penali" in caso di perquisizioni arbitrarie o illegittime (perquisizioni arbitrarie - 609 c.p.; violenza privata - 610 c.p.; violazione di domicilio - 614-615 c.p.).
La violazione degli altrui domicilio e l’eventuale danneggiamento dei beni saranno giustificati dall’accertamento della circostanza che chi ha operato lo ha fatto nell’adempimento di un dovere di istituto (art. 51 c.p.). Chi ha operato va dunque esente da pena e non è tenuto neppure al risarcimento dei danni. Può aggiungersi che, ove tali danni non siano dovuti a condotta censurabile sotto il profilo della prudenza, perizia, osservanza di norme, ma risultino obiettivamente giustificati da uno stato di necessità, i terzi danneggiati avranno diritto solo ad un’equa indennità (art. 2045 cod. civ.), dovuta se del caso, non al personale intervenuto ma dalla sua Amministrazione di appartenenza.
Le prime possono essere compiute tanto da "Ufficiali" che da "Agenti" di polizia giudiziaria, e il cui scopo non è tanto l’acquisizione della notizia di reato, quanto l’espletamento di una attività di pubblica sicurezza. Più analiticamente, mentre la «funzione giudiziaria» è volta a finalità repressive, intervenendo dopo la commissione di un fatto costituente reato allo scopo di individuare l’autore e di impedirne l’aggravamento, la funzione di «pubblica sicurezza» ha carattere preventivo e si estrinseca in un’attività di vigilanza diretta ad impedire il verificarsi di fatti dannosi o pericolosi. Particolarmente rilievo in questo senso hanno le perquisizioni relative all’accertamento degli illeciti depenalizzati.
Di contro, le seconde, interessano direttamente il procedimento penale, in quanto portano all’accertamento della notizia di reato. Tali sono quelle previste dall’art. 225 att..
La prima ipotesi (in materia di armi) è contenuta nell’art. 41 Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 [8](T.U.L.P.S.), concernente le perquisizioni, esclusivamente locali, ed il conseguente sequestro, effettuate, anche fuori della flagranza o di evasione, da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia (pure se anonima), «anche per indizio», dell’esistenza in qualsiasi locale o privato o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni e materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque illecitamente detenute.
La seconda ipotesi è individuata dall’art. 4 Legge 22 maggio 1975, n. 152 [9], sull’ordine pubblico, come modificata dalla Legge 19 marzo 1990, n. 53, recante nuove norme sulla prevenzione della delinquenza mafiosa (non espressamente richiamata dall’art. 225 att.) concernente le perquisizioni realizzate «sul posto», nel corso di operazioni di polizia, da Ufficiali e Agenti di P.G.
In particolare, a norma del suddetto articolo, in casi eccezionali di necessità e urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’Autorità giudiziaria[1], la Polizia giudiziaria (U.P.G. e A.P.G.) può procedere, oltre che alla identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, nei confronti di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili. In tale circostanza la perquisizione può estendersi al mezzo di trasporto (unità mercantile) utilizzato dalle persone predette per giungere sul posto.
Alle perquisizioni fino a qua esaminate, può essere assimilata quella compiuta per il “Contrasto della immigrazione clandestina” (art. 12 comma 7, Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [10]).
La disciplina appena esposta si applica, per espresso richiamo dell’art. 4 L. 152/75, anche alle perquisizioni eseguite dai militari delle FF.AA. (a disposizione dei Prefetti), nell’ambito di operazioni di sicurezza e controllo del territorio, per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e, in particolare, all’accertamento dell’eventuale possesso di armi, esplosivi al fine specifico di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità delle popolazioni, la sicurezza dei luoghi o delle infrastrutture.
I presupposti delle operazioni di polizia in corso e della particolare necessità o urgenza accomunano la tipica perquisizione sul posto alle perquisizioni per la “prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti”.
E’ la perquisizione, sia personale che locale, che gli U.P.G. (e Non anche l’Agente) possono compiere per ricercare "sostanze stupefacenti o psicotrope" ai sensi delle disposizioni contenute all’art. 103 T.U. approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 [11].
[1] Si riferisce ad ipotesi in cui il tempo occorrente per richiedere e ottenere il decreto di perquisizione dell’A.G. renderebbe vana la perquisizione alla quale è invece urgente (= il ritardo ne comprometterebbe l’esito) e necessario (=indispensabile) procedere, in vista del raggiungimento dello scopo dell’atto.
Tale ipotesi (in materia di armi) è contenuta nell’art. 41 R.D. 18.6.1931, n. 773 (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza), concernente le perquisizioni, "esclusivamente locali" ed il conseguente sequestro, effettuate di iniziativa estemporanea, anche fuori della flagranza o di evasione, da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia (pure se anonima), «anche per indizio», dell’esistenza in qualsiasi locale (pubblico o privato o in qualsiasi abitazione), di armi, munizioni e materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque illecitamente detenute.
A differenza delle perquisizioni previste dal Codice di rito (artt. 352-356), la perquisizione in esame è solo locale (anche domiciliare ed estendibile al mezzo di trasporto) e non anche personale.
► Garanzie difensive:
Si applicano le garanzie previste per le perquisizioni locali disciplinate dal codice (artt. 352 e 356 c.p.p.).
► Documentazione e trasmissione:
In particolare, a norma del suddetto articolo, in casi eccezionali di necessità e urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’Autorità giudiziaria , la Polizia giudiziaria (U.P.G. e A.P.G.) può procedere, oltre che alla identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, nei confronti di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili.
► Presupposti per poter procedere alla perquisizione sul posto:
► Modalità esecutie:
► Garanzie difensive:
► Documentazione e trasmissione:
La disciplina appena esposta si applica, per espresso richiamo dell’art. 4 L. 152/75, anche alle perquisizioni eseguite dai "militari delle FF.AA." (a disposizione dei Prefetti), nell’ambito di operazioni di sicurezza e controllo del territorio, per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e, in particolare, all’accertamento dell’eventuale possesso di armi, esplosivi al fine specifico di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità delle popolazioni, la sicurezza dei luoghi o delle infrastrutture.
E’ la perquisizione, sia "personale che locale", che gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e NON anche l’Agente) possono compiere per ricercare sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi delle disposizioni contenute all’art. 103 T.U. approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 [11].
► Presupposti:
Presupposti per procedere alla perquisizione è che:
► Modalità di esecuzione:
► Garanzie difensive:
► Documentazione e trasmissione:
► Presupposti:
► Modalità esecutive:
► Garanzie difensive:
► Documentazione e trasmissione:
Nel procedimento davanti al "Giudice di Pace", la Polizia Giudiziaria, se autorizzata da Pubblico Ministero, può procedere agli accertamenti urgenti anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs. n. 274/2000).
Per la esecuzione materiale degli accertamenti, gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi dell’ausilio degli Agenti, ma debbono essere presenti durante le oprerazioni relative.
La Polizia Giudiziaria può avvalersi di «ausiliari» quando deve eseguire accertamenti, rilievi (fotografici, segnaletici, descrittivi) e operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche (art. 348 comma 4 c.p.p.)
► Modalità di esecuzione:
Una volta compiuta l’attività di conservazione, l’Ufficiale e l’Agente di polizia giudiziaria (nei soli casi previsti dall’art. 113 att. c.p.p.), possono procedere, di propria iniziativa, agli accertamenti urgenti (rilievi, ispezioni di luoghi e di cose, sequestri) se l’intervento del P.M. non può essere tempestivo o prima che lo stesso non abbia assunto la direzione delle indagini, e se il ritardo rende probabile la alterazione, la modificazione o la distruzione dell’oggetto di indagine.
Se del caso sequestrano (art. 354, comma 2 c.p.p.) il corpo del reato e le cose a questo pertinenti. [2]
Se gli accertamenti comportano il prelievo di "materiale biologico" (capelli, unghie, sangue, saliva, urina, ecc.), e manca il consenso dell’interessato, la Polizia Giudiziaria procede al «prelievo coattivo» nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero (art. 349, 2 bis)[3]
► Garanzie difensive:
Il difensore ha facoltà di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato, trattandosi normalmente di c.d. “atto a sorpresa”, della facoltà di farsi assistere, la stessa Polizia Giudiziaria deve dare notizia all’indagato se presente (art. 114 att.).
La presenza del difensore non è necessaria e, in difetto di nomina, alla Polizia Giuidiziaria non è imposto di designare un difensore di ufficio. Se l’indagato vuole farsi assistere da un difensore, è opportuno, che la Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto se non vi è pericolo (=timore) nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento dell’atto. L’inizio dell’accertamento può essere, in tali casi, temporaneamente sospeso per consentire l’intervento del difensore.
► Documentazione e trasmissione:
L’attività svolta è documentata mediante "Verbale integrale" (art. 357 comma 2, lett. e) il quale viene redatto contestualmente o immediatamente dopo.
Nel caso in cui abbia proceduto a sequestro, la Polizia Giudiziaria enuncia nel relativo Verbale il motivo del provvedimento e ne consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (art. 355 c.p.p).
La documentazione è posta a disposizione del Pubblico Ministero (art. 357 comma 4 c.p.p.), previa conservazione di una copia, e se non è intervenuto sequestro (art. 355 comma 1 c.p.p.), va trasmessa senza ritardo.
La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’ufficio del Pubblico Ministero. Copia di essa è conservata presso gli Uffici di poliiza (art. 115 att. c.p.p.)
I dati dell’accertamento urgente vanno inseriti nel CED-SDI.
Nella maggior parte dei casi l’accertamento urgente è un atto “non ripetibile” (cioè per sua natura non rinnovabile), e, come tale, ha una utilizzabilità piena fuori del dibattimento e anche nel dibattimento.
Nella vasta categoria degli "accertamenti urgenti" rientrano:
Nelle indagini dirette riveste altresì grande importanza il «sopralluogo» cioè quel complesso di operazioni, dirette ad individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’evento e alla identificazione del colpevole.
[1] Gli accertamenti urgenti hanno caratteristiche varie, e possono avere sia finalità investigative (ad esempio, le ispezione dei luoghi) sia finalità assicurative (ad esempio, il sequestro del corpo di reato); possono consistere in atti tipici (come le ispezioni dei luoghi o delle cose, ovvero il sequestro del corpo del reato o delle cose a questo pertinenti) ovvero atipici (come i rilievi e le operazioni tecniche sullo stato dei luoghi delle cose o delle persone: il rilevamento di impronte, la estrazione di una scheggia dal corpo di un ferito, il prelevamento di sabbia dal demanio marittimo, ecc.).
[2] Il sequestro è previsto obbligatoriamente per gli immobili in cui sono stati rinvenuti armi da sparo, esplosivi o ordigni esplosivi o incendiari, a norma dell’art. 3 della legge 8 agosto 1977, n. 533 sull’ordine pubblico.
[3] Art. 349, 2 bis: inserito dall’art. 10, comma 1, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155.
[4]Si tratta di atti tipici disciplinati dagli articoli artt. 354, 355, 365, 253 e segg. c.p.p.
► Modalità operative (modus operandi)
Oltre che in sequestri ed ispezioni (di luoghi e cose), gli accertamenti urgenti previsti dall’art. 354 commi 2 e 3 c.p.p., possono consistere
In tema di accertamenti è utile fare qualche precisazione terminologica, relativamente ai rapporti con i c.d. rilievi. Essi non hanno natura di perizia e mirano a riprodurre su documenti ed a fissare stabilmente aspetti di realtà – esaminati in modo diretto – rilevanti ai fini delle indagini: riguardano la constatazione e raccolta di dati materiali pertinenti al reato e consistono dunque in una attività di semplice «rilevamento» e «conservazione».
Possono essere effettuati con tutti i mezzi a disposizione della scienza e della tecnica, oltre che con la osservazione diretta.
Si distinguono «rilievi descrittivi», «rilievi dattiloscopici» (rilevamento delle impronte digitali), «rilievi antropometrici» (rilevamento delle misure corporee), «rilievi fotografici». I rilievi sono spesso finalizzati all’accertamento dell’identità di un soggetto (rilievi segnaletici).
Per il compimento dei rilievi ci si può avvalere dell’operato degli «ausiliari» di polizia giudiziaria, ex art. 348 c.p.p.
Le ispezioni sono effettuate soprattutto durante le indagini preliminari, ad opera della Polizia giudiziaria (art. 354 co. 3 con la esclusione per essa della sola ispezione personale) e dal P.M., ma talvolta avvengono anche nel corso del dibattimento ad opera del Giudice.
I controlli e le ispezioni che possono riguardare sia i mezzi di trasporto che i bagagli e gli effetti personali, si sostanziano in un’attività di osservazione e percezione diretta, che può essere eseguita tanto da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria e che posono progredire (=sconfinare) in vere e proprie perquisizioni (eseguite solo dagli Ufficiali di polizia giudiziaria), quando sia necessario in conseguenza dei risultati cui ha indotto l’originario intervento investigativo.
► A seconda dell’oggetto, si distinguono:
Sulle persone, la Polizia Giudiziaria può peraltro compiere consensualmente o anche coattivamente - ricorrendo i consueti presupposti della necessità e dell’urgenza - accertamenti e rilievi esteriori diversi dalla ispezione personale (poiché il cadavere non è considerato persona, su di esso possono essere eseguiti anche atti di ispezione purché sussistano i presupposti che legittimano l’accertamento urgente).
Non rientrano fra i rilievi esteriori (e pertanto non possono essere compiuti dalla Polizia Giudiziaria) i rilievi che devono essere compiuti su parti del corpo, che non essendo esposte normalmente alla vista altrui, determinano un mancato riguardo all’intimità o al pudore della persona. In questi casi si è in presenza di rilievi invasivi o di rilievi che incidono sulla libertà morale.
Tali rilievi invasivi possono essere effettuati solo dall’Autorità Giudiziaria e la loro effettuazione può avvenire coattivamente, ossia anche in mancanza del consenso dell’interessato esclusivamente nei casi e nei modi previsti dlla legge (Corte Cost. 238/96).
Al prelievo coattivo la Polizia Giudiziaria può procedere solo previa autorizzazione del Pubblico Ministero, che deve essere data per iscritto oppure anche oralmente con successiva conferma scritta.
In tutti i tipi di ispezione, il "difensore" ha sempre e comunque il diritto di assistere all’atto. Ha diritto al "preavviso" per le ispezioni disposte dal Giudice e, tranne i casi di assoluta urgenza, per quelle compiute dal P.M. o, per sua delega, da un Ufficiale di polizia giudiziaria. Non ha, quindi, diritto al preavviso per tutte le ispezioni compiute «di iniziativa» dalla Polizia Giudiziaria, tutte legittimate solo da quella urgenza.
L’ispezione è documentata mediante Verbale. Il Verbale è consegnato all’interessato e inviato al PM entro 48 ore.
La Polizia Giudiziaria può procedere a ispezioni anche in taluni casi espressamente previsti da leggi speciali che, a seconda della finalità, si possono distinguere in:
Hanno per oggetto mezzi di trasporto, bagagli ed effetti personali, che può essere effettuata in ogni luogo da Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria quando si ha il fondato motivo di ritenere che, mediante la ispezione, possano rinvenirsi sostanze stupefacenti o psicotrope. E’ necessario che sia in corso un’operazione di polizia e non si tratti perciò di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. Valgono le stesse modalità esecutive previste dal codice di rito per le ispezioni di polizia giudiziaria.
Rientarno tra le ispezioni locali, ivi compresa quella domiciliare, che Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria possono compiere per prevenire o reprimere condotte dirette a violare le norme sull’ingresso e la permanenza di stranieri nel territorio di confine e nelle acque territoriali.
E’ necessario che sia in corso un’operazione di polizia (non deve trattarsi perciò di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria) strumentale al contrasto dell’immigrazione clandestina e disposta nell’ambito delle direttive date dal Ministro dell’Interno per il controllo delle frontire e vigilanza marittima e terrestre (art. 11 comma 3 D.lgs. 286/1998) e sussista il fondato motivo, deducibile anche da specifiche circostanze di tempo o di luogo, di ritenere che mezzi di trasporto o cose trasportate possano essere utilizzati per la commissione di reati collegati al favoreggiamento della immigrazione. Valgono le stesse modalità esecutive previste dal codice di rito per le ispezioni di polizia giudiziaria.
Nelle "indagini dirette" riveste grande importanza il «sopralluogo» cioè quel complesso di operazioni, dirette ad individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’evento e alla identificazione del colpevole.
Il sopralluogo è di competenza del Pubblico Ministero, ma l’Ufficiale di polizia giudiziaria collaborato dall’Agente qualora ritenga che possano alterarsi, disperdersi o modificarsi, le cose, le tracce ed i luoghi o qualora il Pubblico Ministero non possa intervenire tempestivamente, provvede ad effettuarlo personalmente, preavvisando il magistrato e facendo specifico cenno nel Verbale dei motivi per cui ha provveduto ad eseguire il sopralluogo ed effettuare l’eventuale sequestro del corpo del reato o di cose ad esso pertinenti.
Il "Verbale di sopralluogo" è diviso in 5 parti, lo scopo è di dare una chiara rappresentazione dell’ambiente dove si svolse il fatto e di permetterne l’esatta ricostruzione anche a distanza di tempo.
A differenza degli "accertamenti urgenti" che consistono in un’attività di tipo ispettivo, gli «accertamenti tecnici» (art. 348, commi 1 e 4 c.p.p.) sono invece atti assimilabili alle “perizie”, e sono disposti o compiuti per acquisire dati e valutazioni sui fatti, situazioni o materie che richiedono particolari conoscenze scientifiche e tecniche.
La Polizia Giudiziaria non vi può ricorrere quando il compimento di tali atti atipici incide in modo irreversibile sulle scelte del Pubblico Ministero. L’accertamento tecnico è perciò "vietato" alla Polizia Giudiziaria nei casi in cui sia un “accertamento tecnico non ripetibile”.
Quanto alla sua documentazione, ne può essere fatta una semplice “annotazione”. L’atto, previa conservazione di una sua copia, è posto a disposizione del Pubblico Ministero e da questi inserito nel fascicolo delle indagini.
Ha piena utilizzabilità fuori del dibattimento, ma non ha alcuna utilizzabilità diretta nel dibattimento anche se può fornire al Pubblico Ministero lo spunto affinché venga disposta una perizia, per porre domane al perito o ai consulenti tecnici delle parti private, per porre domande o contestare a chi a compiuto l’accertamento tecnico gli esiti dello stesso.
► Agli "accertamenti tecnici" può procedersi anche nel corso di "attività di polizia amministrativa", quando cioè, non esiste ancora una notizia di reato (=notizia i reato in senso tecnico) e non esiste ancora un indagato.
Si applicano le garanzie della difesa previste dal Codice (art. 360) quando gli accertamenti modificano in modo irreversibile la situazione preesistente.
► Peraltro, con riguardo ai «prelievi dei campioni» (art. 223 att.) può dirsi:
[1] Per quanto concerne le modalità da rispettare nell’operazione di campionamento per accertamenti di polizia giudiziaria è opportuno che i Comandi concordino preliminarmente con il Ministero gli adempimenti da osservare.
Le informazioni dell'indagato, così come quelle del potenziale testimone, hanno sempre carattere «sommario», in coerenza con la sommarietà di tutti gli atti delle indagini preliminari, se posta a raffronto con la teorica completezza degli atti di istruzione in sede giurisdizionale.
La Polizia Giudiziaria chiede all'indagato solo "sommarie informazioni", ma non procede ad interrogarlo, perché questo consiste nella contestazione di un reato e dei relativi elementi di accusa. L'interrogatorio è attività del Pubblico Ministero, peraltro da esso delegabile anche alla Polizia Giudiziaria (art. 370 comma 1, modif. dalla Legge 356/1992), e serve a valutare se iniziare l'azione penale di cui egli è titolare (art. 50 e 405).
In particolare, le «sommarie informazioni» (art. 350 c.p.p.) rientrano tra gli atti tipici di investigazione "indiretta" mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e non anche gli Agenti) assumono, dalla persona sottoposta alle indagini, delle informazioni utili per le investigazioni (ricostruzione del fatto, individuazione del suo autore e ricerca delle fonti di prova). L’indagato non deve trovarsi però in stato di arresto o di fermo (indagato detenuto).
Prima di procedere, l’indagato deve essere invitato a nominare un difensore di fiducia (art. 350 commi 2 e 3) e a dichiarare o eleggere domicilio; in difetto, verrà designato un difensore di ufficio scelto fra gli elenchi a tal uopo predisposti dal “Consiglio dell’ordine forense” (art. 97 comma 3 c.p.p.).
Prima di assumere le informazioni (c.d. interrogatorio di polizia), l’Ufficiale di polizia giudiziaria deve verificare l’identità personale dell’indagato.
A differenza "dell’interrogatorio delegato", l’assunzione delle sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini, non prevede la contestazione all’indagato del fatto che gli è attribuito e le indicazioni degli elementi di prova esistenti a suo carico né lo invitano ad esporre quanto ritiene utile alla propria difesa (art. 65 c.p.p.).
Prima che siano assunte le informazioni, l’indagato è avvisato, dandone atto nel Verbale, che ha la facoltà di non rispondere alle domande diverse da quelle miranti alla sua identificazione (art. 350, commi 1-4) e che, anche se non risponde, il procedimento seguirà comunque il suo corso.
L’atto è documentato mediante Verbale “riassuntivo complesso”. Generalmente viene compiuto durante il compimento delle operazioni, ma può essere compilato immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze che ne impediscono la documentazione contestuale.
La documentazione dell’atto è posta a disposizione del Pubblico Ministero ed a questi trasmessa, previa conservazione di una copia (art. 115 att.), non oltre il terzo giorno dal compimento dell’atto; verrà poi inserito nel fascicolo delle indagini.
Il verbale di sommarie informazioni ha piena utilizzabilità fuori del dibattimento, e un’utilizzabilità limitata nel dibattimento (solo per le contestazioni). Esso non verrà mai inserito nel fascicolo del dibattimento, a meno che l’atto non sia divenuto irripetibile per morte o infermità mentale dell’indagato: in questo caso è consentita la lettura dell’atto ex art. 512 c.p.p.
L’atto è legittimamente compiuto anche senza la presenza del difensore: se compiuto senza l’assistenza del difensore, non può essere né documentato né utilizzato, poiché l’utilizzazione dell’atto stesso è solo investigativa.
Trattasi di dichiarazioni "sollecitate" dalla Polizia Giudiziaria (assunte) nella immediatezza cronologica del fatto, anche in luogo diverso dalla sua commissione (ad esempio in Ufficio), ovvero sul luogo del reato, anche se non nella immediatezza della sua consumazione.
Tali particolari circostanze di luogo o tempo legittimano l'assunzione dell'atto anche in mancanza del difensore ed anche nei confronti di indagati in vinculis.
Se il difensore è presente, si procede a redigere verbale, che è, utilizzabile anche in dibattimento, per le contestazioni al dichiarante. Se il difensore è assente (e quindi l'atto difetta delle garanzie difensive), non può essere redatto verbale, sicché a fortiori, mancando l'atto, le dichiarazioni non sono utilizzabili in dibattimento; tuttavia le notizie e le indicazioni utili acquisite sono utilizzabili ai fini dell'immediata prosecuzione delle indagini, ma non ad altri fini (ad esempio, per le ordinanze cautelari o il rinvio a giudizio).
Bisogna precisare che siano «spontanee» (e cioè non sollecitate da domane) quelle dichiarazioni che non sono precedute da alcuna "contestazione" e, per il loro carattere unilaterale, non costituiscono riposte a domande degli inquirenti.
Le dichiarazioni spontanee, a differenza delle dichiarazioni "assunte", possono essere rese in assenza del difensore ed anche, come le informazioni sollecitate sul luogo o sull'immediatezza del fatto-reato (art. 350 commi 5 e 6), dagli indagati in vinculis.
Il loro carattere di spontaneità induce il legislatore a configurarle come mezzo, liberamente scelto, di «autodifesa», sempre esperibile ex art. 24 comma 2 Cost..
Le dichiarazioni vengono documentate mediante Verbale, e, previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.
L’atto ha un’utilizzabilità piena fuori del dibattimento, ma un’utilizzabilità limitata ai soli fini della contestazione nel dibattimento (art. 503 comma 3 e 4), essendo frutto di libera iniziativa difensiva. Esso non passa nel fascicolo del dibattimento, salvi i casi di una sua sopravvenuta irripetibilità per morte o infermità mentale dell’indagato: in tal caso ne è consentita la lettura, ex art. 512 c.p.p.
Le persone c.d. informate sono i testimoni potenziali (cioè diventeranno testimoni al momento dell'escussione in dibattimento), che sono e persone non inquisite, ma in grado di riferire circostanze utili ai fini della ricostruzione del fatto e dell'individuazione del colpevole.
Tali persone rendono sommarie informazioni in fase investigativa e testimonianza in sede di incidente probatorio (art. 392) o di dibattimento (art. 468). Le relative dichiarazioni avvengono sempre in assenza di difensore, poiché provengono da soggetti non inquisiti.
Qui non rileva la differenza tra dichiarazioni spontanee (ricevute) e dichiarazioni assunte (provocate). Il regime è, pertanto, sempre identico in riferimento alla forma di documentazione e alla valenza probatoria dell'atto.
In ordine alla forma, deve essere sempre redatto verbale (e non già sommariamente annotazione), giacchè l'atto ha sempre potenzialità probatoria.
L’art. 351 c.p.p. disciplina le altre sommarie informazioni utili ai fini delle indagini che la Polizia Giudiziaria (Ufficiali ed Agenti) può ricevere (anche rivolgendo domande) dalla persona offesa, dalla persona danneggiata dal reato e da qualunque persona informata sui fatti per cui si procede (c.d. potenziale testimone) indicazioni e notizie utili ai fini delle indagini.
La persona è ha l’obbligo di rispondere secondo verità circa le proprie generalità. Tale obbligo è sancito nell’art. 651 che punisce come contravvenzione il rifiuto di dare al indicazioni sulla propria identità e su altre qualità personali e nell’art. 495 c.p. che punisce come delitto le false dichiarazioni sulla identità e su qualità personali proprie o altrui.
Le persone sentite a norma dell’art. 351 c.p.p. hanno l’obbligo di rispondere (riferire ciò che sanno interno ai fatti sui quali vengono sentite) La loro reticenza e la loro falsità non sono punite in se stesse salvo il fatto che, nelle concrete circostanze, possa configurarsi come reato di favoreggiamento art. 378 c.p.) o di rifiuto di ufficio (art. 652 c.p.) o di calunnia (art. 368 c.p.).
Sono tuttavia previste delle disposizioni che introducono per taluni soggetti delle eccezioni all’obbligo di rendere informazioni (il segreto).
L’atto è documentato mediante Annotazione salvo che la Polizia Giudiziaria non ritenga di procedere a verbalizzazione.
L’atto è documentato mediante Verbale quando le informazioni sono assunte da persone informate sui fatti nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (artt. 357 comma 2 e 373 comma 5).
Previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.
Ha un’utilizzabilità piena prima del giudizio se contiene atti irripetibili: dichiarazioni ad irripetibilità originaria (esempio, teste moribondo) e quelle ad irripetibilità sopravvenuta (es. teste successivamente ucciso); e ha utilizzabilità del giudizio dopo le contestazioni nell’ipotesi di dichiarazioni che il testimone ha reso alla Polizia Giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (art. 500 comma 4); ha utilizzabilità limitata (per effetto delle contestazioni) in giudizio negli altri casi (art. 500 comma 3).
[1] Sono prossimi congiunti: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, fratelli, sorelle, gli affini nello stesso grado (genero, nuora, suoceri, cognati salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole), gli zii e i nipoti, chi è legato all’indagato da vincoli di adozione, chi conviva come coniuge con l’indagato, il coniuge separato dell’indagato.
L’art. 351 c.p.p. disciplina le altre sommarie informazioni utili ai fini delle indagini che la Polizia Giudiziaria (U.P.G. e Agenti) può ricevere (anche rivolgendo domande) dalla persona offesa, dalla persona danneggiata dal reato e da qualunque persona informata sui fatti per cui si procede (c.d. potenziale testimone) indicazioni e notizie utili ai fini delle indagini.
Non ne deve essere dato avviso al difensore dell’indagato e l’intervento del difensore non è consentito.
La persona ha l’obbligo di rispondere secondo verità circa le proprie generalità. Tale obbligo è sancito nell’art. 651 che punisce come contravvenzione il rifiuto di dare al indicazioni sulla propria identità e su altre qualità personali e nell’art. 496 c.p. che punisce come delitto le false dichiarazioni sulla identità e su qualità personali proprie o altrui.
Le persone sentite a norma dell’art. 351 c.p.p. hanno l’obbligo di rispondere (riferire ciò che sanno interno ai fatti sui quali vengono sentite) La loro reticenza e la loro falsità non sono punite in se stesse salvo il fatto che, nelle concrete circostanze, possa configurarsi come reato di favoreggiamento art. 378 c.p.) o di rifiuto di ufficio (art. 652 c.p.) o di calunnia (art. 368 c.p.).
Sono tuttavia previste delle disposizioni che introducono per taluni soggetti delle eccezioni all’obbligo di rendere informazioni (il segreto). Ad esempio non possono essere obbligati a deporre:
L’atto è documentato mediante Annotazione salvo che la Polizia Giudiziaria non ritenga di proceder a verbalizzazione.
L’atto è documentato mediante Verbale quando le informazioni sono assunte da persone informate sui fatti nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (artt. 357 comma 2 e 373 comma 5).
Previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.
Ha un’utilizzabilità piena prima del giudizio; e ha utilizzabilità del giudizio dopo le contestazioni nell’ipotesi di dichiarazioni che il testimone ha reso alla Polizia Giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (art. 500 comma 4); ha utilizzabilità limitata (per effetto delle contestazioni) in giudizio negli altri casi (art. 500 comma 3)..
[1] Sono prossimi congiunti: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado (genero, nuora, suoceri, cognati salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole), gli zii e i nipoti, chi è legato all’indagato da vincoli di adozione, chi conviva come coniuge con l’indagato, il coniuge separato dell’indagato.
La persona è invitata dalla Polizia Giudiziaria ed ha l’obbligo di presentarsi, ma non può essere disposto il suo accompagnamento coattivo.
Prima che abbia inizio l’atto, la persona è avvisata della facoltà di non rispondere. La persona è assistita da un difensore di fiducia o di ufficio, il quale deve essere tempestivamente avvisato e che ha facoltà, ma non l’obbligo, di assistere all’atto.
L’atto è documentato mediante "verbale riassuntivo complesso" durante il suo compimento, o immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze che ne impediscono la documentazione contestuale.
La documentazione dell’atto è posta a disposizione del Pubblico Ministero ed a questi trasmessa, previa conservazione di una copia, non oltre il terzo giorno dal suo compimento. Il Pubblico Ministero provvede poi ad inserirla nel fascicolo delle indagini.
Il verbale è dotato di una utilizzabilità piena fuori del dibattimento, e di una utilizzabilità limitata nel dibattimento, in quanto non passa nel fascicolo del dibattimento, a meno che sia sopravvenuta una irripetibilità dell’atto per morte o infermità mentale della persona che ha reso le dichiarazioni: in questo caso ne sarà consentita la lettura ex art. 512 c.p.p.
Sulle dichiarazioni rese dalla persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato è però sempre consentita la testimonianza indiretta dell’Ufficiale di polizia giudiziaria che ha redatto il verbale.
Questo specifico atto di investigazione indiretta assume una particolare importanza in quei procedimenti, soprattutto in materia di criminalità organizzata, nei quali assumono un’importanza fondamentale le informazioni portate dai c.d. “pentiti” (o collaboratori di giustizia), che sono coloro che rendono affermazioni e spiegazioni sui fatti che sono attribuibili ai componenti dell’associazione criminosa cui essi stessi appartengono.
Va subito precisato che per «attività informale» si intende quell'attività che pur non essendo espressamente disciplinata dal Codice di rito, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine. Più in particolare, si precisa che la Polizia Giudiziaria non può comunque porre in essere attività che, di fatto, precludano in modo irreversibile le future valutazioni processuali del Pubblico Ministero.
Tra le attività informali di indagine, sicuramente, il "pedinamento" e "appostamento" rappresentano le espressioni più frequenti e maggiormente efficaci.
Essi consistono nell’osservazione, l’una dinamica, l’altra statica, volta all’acquisizione di elementi investigativi, in linea di massima, utili a raccordare e completare altre fonti di prova ovvero a predisporre la effettuazione di ulteriori atti di indagine.
Per seguire una persona a piedi va di norma utilizzato personale appiedato che, in zone particolarmente affollate, terrà una distanza più ristretta, avendo più facilità a mimetizzarsi e per no rischiare di perdere il contatto visivo; in luoghi, invece, privi di ostacoli e poco frequentati, potrà e dovrà mantenere il contatto molto più distanziato per evitare di essere notato.
Un soggetto, invece, che si sposta a bordo di un veicolo o di un mezzo nautico dovrà essere seguito da personale automontato o monomontato, considerato che anche questo tipo di pedinamento, per garantire una probabile riuscita, presuppone un alternarsi di mezzi che, con maggiori difficoltà, dovranno consentire il mantenimento del contatto da una posizione il più possibile defilata.
E’ evidente, infine, sottolineare che il pedinamento, proprio per le difficoltà sopra indicate, presuppone una sufficiente esperienza, nonché doti di prontezza di riflessi, spirito di osservazione e determinazione operativa.
Una volta individuata una collocazione che consenta una buona visuale, congiunta ad un adeguato occultamento, l’osservatore non avrà grossi problemi nel condurre il servizio annotando o documentando (con mezzi fotografici o audiovisivi) quanto occorra all’indagine.
La maggior cura va, pertanto, riservata alla scelta del posto di osservazione, che può essere la strada, se particolarmente affollata, un locale , una abitazione privata, un veicolo o mezzo nautico, opportunamente individuati per la loro posizione.
Qualora, nel corso del servizio sia necessario un certo intervento (o per procedere all’arresto, o ad una perquisizione, o identificare una persona), deve essere possibile con gli operatori un perfetto collegamento radio, che deve essere adeguatamente preordinato e provato nella stessa zona, affinché ne sia assicurata l’efficienza e per evitare spiacevoli sorprese.
Sarebbe inutile individuare gli autori dei reati se non fossero consentiti, nei reati più gravi, «atti di assicurazione personale» (ad esempio: arresto in flagranza e fermo di indiziato); sarebbe inutile ricercare le cose e tracce pertinenti il reato se non fossero consentiti «atti di assicurazione reale» (ad esempio: sequestro), volti, cioè alla conservazione di quelle cose o tracce utili per il procedimento.
L’attività di assicurazione consiste nell’acquisire in disponibilità i risultati delle investigazioni precedentemente o contestualmente compiute., affinché possano servire ai futuri sviluppi dell’accertamento penale.
In particolare, l’attività di assicurazione può essere attuata:
L’assicurazione personale è attuata nei casi più semplici, attraverso l’acquisizione degli elementi necessari per poterne avere la disponibilità (ad esempio, attraverso una precisa individuazione e conoscenza delle generalità e della residenza del soggetto), e, nei casi più gravi anche attraverso la limitazione della libertà personale mediante l’adozione di “misure pre-cautelari“ o “provvisorie di coercizione personale” quali l’arresto in flagranza o il fermo di indiziato di delitto.
L’assicurazione delle cose e tracce pertinenti al reato è attuata, se possibile, attraverso il loro "impossessamento" e la loro "custodia".
Si tratta sostanzialmente di “misure coercitive reali”, che, come quelle personali, hanno carattere provvisorio o precario e consistono in una generica attività di conservazione dello stato delle cose ovvero nel loro sequestro.
Laddove possibile, l’assicurazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato avviene mediante l’impossessamento e custodia intesi in senso materiale.
In molte circostanze tale attività è difficilmente praticabile. Si pensi ai casi in cui i fatti o gli avvenimenti ovvero le qualità ed i modi di essere delle cose sono destinati a svanire.
In questi casi l’assicurazione avviene mediante «documentazione» (descrittiva: verbali, annotazioni; riproduttiva: rilievi, calchi, disegni, documentazione cinematografica).
L’assicurazione reale è attuata mediante l’impossessamento e la custodia delle cose o delle tracce pertinenti il reato (sequestro).
Le misure personali e quelle reali hanno in comune la finalità cautelare, consistente nella tutela di valori processuali o extraprocessuali, cioè di difesa sociale.
► Il criterio differenziale tra i due tipi di misura risiede nel loro oggetto:
A seconda della finalità dell'atto si distinguono:
Le tre tipologie rappresentano misure dirette a garantire al procedimento la disponibilità di un bene e ad evitarne la possibile manomissione.
► Il sequestro penale o probatorio (artt. 253, 354 e 355 c.p.p.)
Atto tipico di assicurazione mediante il quale la Polizia Giudiziaria, ricorrendo situazioni di necessità e urgenza, sottrae alla disponibilità dell’avente diritto e assoggetta a custodia una cosa mobile o immobile che rappresenta corpo del reato o cosa pertinente al reato necessario per l’accertamento dei fatti (finalità probatoria).
Il sequestro penale è quindi preordinato alla ricerca di mezzi di prova e ha finalità prevalentemente probatoria, in coerenza con la fondamentale funzione di assicurazione delle fonti di prova assegnate alle attività di polizia giudiziaria (art. 348 c.p.p.).
► Il sequestro preventivo (artt. 321-323 c.p.p.)
Ha finalità cautelare intesa come prevenzione e tutela della collettività da altri reati. Esso impedisce infatti che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato, possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati (finalità cautelare).
Il sequestro preventivo è disposto dal Giudice (nel corso delle indagini preliminari, dal GIP), su richiesta del Pubblico Ministero e in caso di urgenza motivata, dal P.M. (con decreto motivato) o un Ufficiale di P.G. (e NON anche un Agente) se il P.M. non ha ancora assunto la direzione delle indagini.
Trattasi di misura cautelare reale di indole penale solo eccezionalmente spettante alla polizia Giudiziaria (art. 321 c.p.p.).
Valgono le disposizioni del sequestro penale. Nel caso il sequestro venisse effettuato da un Ufficiale di P.G. di propria iniziativa, deve trasmettere il verbale entro le successive 48 ore al P.M. competente: se questi non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve richiedere entro le successive 48 ore la convalida del sequestro al Giudice.
Il sequestro disposto dal P.M. o effettuato d’iniziativa dalla P.G., perde di efficacia se non sono osservati i termini suindicati oppure se il Giudice non emette l’ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta.
► Il sequestro conservativo (artt. 316-320 c.p.p.)
Esso ha finalità di acquisizione-conservazione del patrimonio dell'imputato o anche del responsabile civile. Assicura cioè al procedimento alcuni beni perché con essi sia garantito il pagamento delle spese di giustizia ed il mentenimento del condannato in carcere nonché delle somme dovute al danneggiato (finalità cautelare), la rifusione delle spese ed onorari dovuti al difensore.
Trattasi di misura cautelare reale di natura civilistica e non già penale, volta al futuro soddisfacimento di pretese civili dell'Erario o della parte civile mai spettante alla Polizia Giudiziaria (art. 316 c.p.p.).
Il sequestro conservativo è disposto dal Giudice, su richiesta del Pubblico Ministero, quando vi è fondato motivo di ritenere che:
Per «corpo di reato» si intendono, secondo il Codice di rito (art. 253 comma 2: che recepisce la formulazione dell'art. 240 c.p. in materia di confisca):
Nella nozione di corpo di reato sono state fatte rientrare la banconota - di cui era stato annotato il numero di serie - utilizzata per l'acquisto simulato di droga e l'autovettura di cui l'imputato si era servito per il trasporto della droga.
Il Codice di rito non definisce invece, le «cose pertinenti al reato» tra le quali possono rientrare i mezzi che servirono per preparare il reato (le impronte delle chiavi per commettere il furto), le tracce lasciate dal reato (segni di scasso), ogni altra cosa che abbia subito le conseguenze immediate del reato (mobili, mezzi, immobili con segni di sparo, di urto, di incendio).
In via di approssimazione, può dirsi che sono cose pertinenti al reato quelle che servono, anche indirettamente, ad accertare la consumazione dell'illecito, le sue circostanze e il suo autore.
Per le modalità esecutive, bisogna distinguere fra “cosa mobile” e “immobile”.
► Il Verbale di sequestro deve, comunque, contenere i seguenti elementi:
[1] Il sigillo è lo strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato diretta ad assicurare beni mobili o immobili contro ogni atto di disposizione o di manomissione.
[2] La Cassazione penale Sez. VI, 8/7/1999, n. 2668. ha stabilito che la mancata consegna all’interessato del decreto di sequestro disposto dall’A.G., ovvero quando al sequestro provveda la polizia giudiziaria, della copia del verbale di sequestro o del decreto motivato di convalida, non costituisce causa di nullità del provvedimento, mancando l’espressa previsione di tale causa di invalidità ed essendo garantito il diritto di difesa, dalla facoltà dell’interessato di produrre richieste di riesame entro 10 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell’atto.
[3] Secondo alcune sentenze, il sequestro perde efficacia se non è trasmesso al P.M. entro il termine di 48 ore (Cassa. 20/10/1995, Lo Noce); secondo altre, la perdita di efficacia consegue solo alla mancata convalida entro il complessivo termine di 96 ore dal sequestro (Cassa. 11/10/1995, Papa).
► Nel corso delle indagini:
Per le modalità esecutive, bisogna distinguere fra “cosa mobile” e “immobile”.
► Il Verbale di sequestro deve, comunque, contenere i seguenti elementi:
Se il sequestro è disposto dal P.M. o dalla Polizia Giudiziaria, esso va convalidato. In particolare:
[1] Il sigillo è lo strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato diretta ad assicurare beni mobili o immobili contro ogni atto di disposizione o di manomissione.
[2] La Cassazione penale Sez. VI, 8/7/1999, n. 2668. ha stabilito che la mancata consegna all’interessato del decreto di sequestro disposto dall’A.G., ovvero quando al sequestro provveda la polizia giudiziaria, della copia del verbale di sequestro o del decreto motivato di convalida, non costituisce causa di nullità del provvedimento, mancando l’espressa previsione di tale causa di invalidità ed essendo garantito il diritto di difesa, dalla facoltà dell’interessato di produrre richieste di riesame entro 10 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell’atto.
[3] Secondo alcune sentenze, il sequestro perde efficacia se non è trasmesso al P.M. entro il termine di 48 ore (Cassa. 20/10/1995, Lo Noce); secondo altre, la perdita di efficacia consegue solo alla mancata convalida entro il complessivo termine di 96 ore dal sequestro (Cassa. 11/10/1995, Papa).
L’Autorità che effettua il sequestro di stupefacenti o sostanze psicotrope deve darne immediata notizia alla «Direzione Centrale Antidroga» specificando l’entità e il tipo di sostanze sequestrate.
Quando il decreto di sequestro o di convalida non è più assoggettabile "a riesame", l’Autorità giudiziaria ordina la distruzione delle sostanze (salvo che non siano indispensabili per le indagini).
Gli artt. 100 e 101 T.U. 309/1990 dettano particolari disposizioni relative alla destinazione dei beni sequestrati o confiscati a seguito di operazioni antidroga e alla destinazione dei valori confiscati a seguito di tali operazioni, prevedendo che quei beni e quelle cose possano essere utilizzati per l’attività di contrasto dei delitti previsti dalla legge sugli stupefacenti.
L’attività esecutiva consiste nell’assicurare l’effettiva attuazione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria (Giudice o Pubblico Ministero).
- provvedere alla citazione orale della persona offesa e dei testimoni;
- dare avviso al difensore di fiducia o, in mancanza, a quello d’ufficio designato;
- condurre l’arrestato davanti al pretore del dibattimento per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo.
La notificazione è l’atto formale mediante il quale, un atto del Giudice, del Pubblico Ministero o di una parte privata, viene portato a conoscenza legale di una persona.
Il Codice ha attribuito anche alla Polizia Giudiziaria oltre che all’Ufficiale giudiziario, la "funzione di notificazione" degli atti del procedimento. Alla notificazione possono procedere sia gli Ufficiali che gli Agenti di polizia giudiziaria.
► Le forme di "notificazione" sono:
Quando si procede alla notificazione secondo la forma normale, la polizia giudiziaria scrive, in calce all’originale dell’atto e alla copia notificata, la «relazione di notifica». Essa indica:
La relazione di notifica è sottoscritta da chi procede all’atto. Non è prevista la sottoscrizione della persona alla quale l’atto è stato notificato salvo che la notificazione sia avvenuta mediante consegna dell’atto stesso al portiere o chi ne fa le veci.
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
1. consegnandone copia integrale nelle mani del destinatario;
ovvero
b) presso la sua abitazione sita in ______________ provvedendo, per la momentanea assenza dell’interessato, alla consegna di copia a ______________________________ (generalità della persona che riceve l’atto indicando i suoi rapporti con il destinatario) che con il destinatario convive (temporaneamente/stabilmente) e che è persona idonea in quanto non
Firma della persona a cui viene consegnato [2] ________________________
Firma dell’Ufficiale/Agente di PG operante ________________________
[1] Se si tratta di atto di notificazione diretto all’imputato o l’indagato, dare atto che la consegna avviene in un plico chiuso e che la relazione di notificazione è iscritta all’esterno del plico stesso.
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Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Oggetto: Relazione di notificazione in plico chiuso [1].
Il sottoscritto _____________ Ufficiale/Agente di PG _______________(Cognome, nome e qualifica) in servizio presso ______________ (Ufficio, reparto o ente) il giorno ___________ del mese ___________ alle ore ______ su richiesta del ___________________________ (A.G. mandante) ha notificato copia integrale dell’atto di _________________________ diretto a _________________________ (generalità del destinatario e indirizzo), mediante consegna in plico chiuso, all’esterno del quale ha redatto la relazione di notificazione, a mani del Sig. _____________________________ qualificatosi per il portiere del destinatario e di persone capaci e conviventi.
Firma del portiere o chi ne fa le veci ___________________
Firma dell’Ufficiale/Agente di PG operante ___________________
[1] Dell’avvenuta notifica va poi data notizia al destinatario dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
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Il modello accusatorio astratto contempla la presunzione di non colpevolezza dell’inquisito (art. 27. comma 2 Cost.), sicché prima della sentenza irrevocabile di condanna dovrebbero essere inammissibili meccanismi limitativi o privativi della libertà personale dell’inquisito, innocente in forza di legge.
II modelli accusatori positivi, tuttavia, in varia misura, consentono la limitazione anticipata dello stato di libertà, con misure cautelari, per:
Tali esigenze sono recepite dal nostro Codice, anche in virtù delle sue tracce di inquisitorietà. L'esercizio del potere cautelare non è però senza limiti.
Le misure cautelari possono essere raggruppate in «misure coercitive», che sono, in vario modo, privative o limitative della libertà di locomozione, ed in «misure interdittive», che si limitano ad intaccare talune facoltà giuridiche o diritti, ma non incidono sulla libertà dell’individuo.
Come quelle personali, anche le misure cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo) hanno natura solo giurisdizionale.
Nelle indagini preliminari la Polizia Giudiziaria e il Pubblico Ministero possono limitare la libertà personale dell'indagato: la Polizia Giudiziaria con «l'arresto e il fermo di indiziato di delitto», il Pubblico Ministero con «il fermo di indiziato di delitto» (essendo quanto meno dubbio il suo potere di arresto in flagranza).
L’arresto in flagranza e il fermo di indiziato di delitto, in quanto "provvedimenti provvisori" (=misure pre-cautelari) limitativi della libertà personale adottati da Organi non giurisdizionali (P.M. e P.G.), sottostanno al dettato dell'art. 13, comma 3 Cost., per cui:
Entrambe le misure di polizia giudiziaria, quindi, mirano a realizzare una funzione anticipatrice delle corrispondenti misure cautelari custodiali riservate poi al Giudice, ed hanno, quindi, rispetto ad esse, un ruolo "pre-cautelare", anche cronologicamente.
Per il "fermo di indiziato di delitto" l’esigenza cautelare è espressamente proclamata, essendo previsto il «pericolo di fuga».
Per "l’arresto", non viene, in verità, richiamato alcuno dei tre parametri cautelari. Le ipotesi di «arresto obbligatorio» sono ricollegate solo alla gravità del titolo del reato; quelle di «arresto facoltativo» ad altri parametri (gravità del fatto e pericolosità del soggetto). Tuttavia è da ritenere che tali parametri siano tutti presuntivi della sussistenza di esigenze cautelari. Conferma se ne trae dalla previsione dell’obbligo del Pubblico Ministero di rimettere in libertà l’arrestato e il fermato quando non ravvisi esigenze cautelari (art. 121 disp. att.). D’altra parte, il fermo e l’arresto, aventi durata massima di 96 ore, possono essere tramutati in misure cautelari personali, solo se sussistono esigenze, appunto, cautelari (art.391 c.5).
L’arresto in flagranza viene distinto in «obbligatorio» e «facoltativo»; all’arresto però possono procedere soltanto gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria (il P.M. solo nel caso di reato commesso in udienza).
Gli Ufficiali o gli Agenti di polizia giudiziaria hanno il dovere di arrestare chi è colto nella flagranza dei reati elencati nell'art. 380 c.p.p. ed hanno la facoltà (rectius: il potere discrezionale) di arrestare chi è colto nella flagranza dei reati elencati nell'art. 381 commi 1 e 2 c.p.p.
L'arresto discrezionale deve essere giustificato «dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto» (art. 381 comma 4 c.p.p.)
- gravità del fatto (luogo, causali, danno provocato, mezzi utilizzati, modalità dell’azione);
- pericolosità del soggetto (precedenti penali, condotta successiva al reato, condotta di vita individuale).
L'arresto è la restrizione della libertà personale che Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria dispongono a carico di chi è colto nella flagranza di un reato, cioè di chi «viene colto nell'atto di commettere il reato» (c.d. flagranza propria) oppure «subito dopo il reato, è inseguito dalla Polizia Giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, o in alternativa, è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima» (c.d. flagranza impropria o indiziaria o quasi-flagranza).
Nel rearto permanete lo stato di flagranza dura fino a quando la permanenza non è cessata (art. 382 c.p.p.).
Al fine di agevolare il compito del personale del Corpo della Capitaneria di Porto-Guardia Costiera, in questa sede è però opportuno esemplificare quanto prevede sul punto la normativa vigente con riferimento a taluni reati che ricorrono con maggiore frequenza.
► Attenzione !
L’arresto è facoltativo per il reato di resistenza, nonché per qualunque ipotesi di violenza o minaccia.
La fattispecie della “resistenza” non va però confusa con la cosiddetta “resistenza passiva” (art. 350 c.p.).
Singolare nel nostro sistema processuale è l’obbligatorietà per la Polizia Giudiziaria di procedere, in determinate ipotesi, all’arresto, mentre il Giudice ha sempre discrezionalità nella emissione iniziale, nelle stesse ipotesi, della corrispondente misura cautelare custodiale, sicché l’indagato che riesca a sfuggire all’esecuzione dell’arresto obbligatorio di polizia giudiziaria può anche non essere assoggettato dal Giudice alla analoga misura giurisdizionale. L’apparente contraddizione è spiegata dalla normale immediatezza di intervento della P.G. rispetto al fatto-reato, che giustificherebbe in ogni caso la immediata e drastica reazione pre-cautelare e, quindi l’automatico arresto in flagranza.
► Presupposti dell’arresto obbligatorio, tutti relativi al reato commesso, sono:
La gravità del delitto, a sua volta, è desumibile, in alternativa, da:
► Differimento dell’arresto
In caso di traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, il Pubblico Ministero può, se necessario per le indagini, autorizzare la Polizia Giudiziaria a ritardare l’esecuzione dell’arresto (art. 98 T.U. 9.10.1990, n.309). Altrettanto il Pubblico Ministero può disporre in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione (art.7 comma 3 D.L.15.1.1991, n. 8 conv. in L.82/91), così evitando che l’immediata obbligatoria esecuzione dell’arresto comprometta altri interessi, quali esigenze investigative (ad esempio: un proficuo pedinamento di un corriere di droga).
[1] Art. 380 comma 2 c.p.p.: delitti contro la personalità dello Stato; devastazione o saccheggio; contro l’incolumità pubblica; riduzione in schiavitù; furto aggravato; rapina; fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita… di armi da guerra e esplosivi; delitti concernenti qualsiasi tipo di sostanze stupefacenti o psicotrope (salvo fatto qualificabile come di lieve entità); con finalità di terrorismo o di eversione, ecc.
► Tale gravità, a sua volta, è desumibile, anche qui da:
Per le sostanze stupefacenti, l’arresto in flagranza è vietato solo quando si tratta di detenzione per uso personale. Negli altri casi, l’arresto è obbligatorio, salvo il fatto sia di lieve entità, in questo caso l’arresto è facoltativo. Nel caso di detenzione per uso personale sono previste semplici sanzioni amministrative.
Facoltatività dell’arresto non significa né arbitrarietà di decisione, né discrezionalità illimitata. Infatti, l’Ufficiale o Agente di P.G., deve attenersi a due parametri, incentrati sull’autore del reato e sul fatto-reato:
L’arresto è eseguibile anche se sussiste uno solo dei due parametri e, in ordine al parametro soggettivo, basta la valutazione negativa anche di uno solo dei due profili che lo accompagnano (criterio della alternatività).
Ai sensi dell’art. 381, comma 4 bis (introdotto dalla Legge 332/1995), non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni alla Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle.
Il divieto opera non solo per il delitto di cui all’art. 371 bis c.p. (false informazioni al P.M.), ma anche per i reati diversi, come ad esempio, la calunnia (art. 368 c.p.) ed il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).
L’istituto del fermo di Polizia Giudiziaria è, come l’arresto, una "misura precautelare", privativa della libertà personale. Entrambi hanno una efficacia temporale massima limitata alle 96 ore e possono essere convertiti dal Giudice in una "misura cautelare giurisdizionale", se persistono esigenze cautelari.
Il fermo di indiziato di delitto, qualora ne ricorrono i presupposti, è sempre obbligatorio. Però, qui, l’obbligatorietà ha una ratio diversa da quella sottesa all’arresto obbligatorio. Invero, essa non consegue automaticamente al fatto reato, ma alla condotta dell’indiziato integrante il «pericolo di fuga». Tale pericolo corrisponde alla analoga esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. b, che giustifica l’adozione da parte del Giudice di una misura cautelare personale, che, peraltro, in quest’ultimo caso, può avere anche carattere diverso dalla restrizione in carcere.
Nella sua forma tipica (art. 384) i suoi presupposti sono:
Il fermo differisce dall’arresto perché:
Legittimati al fermo sono:
Il fermo è quindi un provvedimento limitativo della libertà personale che il Pubblico Ministero dispone nei confronti di chi, non sorpreso in flagranza di un reato, risulta gravemente indiziato di un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a 6 anni e non inferiore nel minimo a 2 anni, ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o commesso per finalità di terrorismo anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico. tale provvedimento può essere disposto allorché «specifici elementi...anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato», fanno ritenere fondato il pericolo di una sua fuga (art. 384 comma 1, c.p.p.).
Gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria possono operare il fermo prima che il Pubblico Ministero abbia assunto la direzione delle indagini se ricorrono i presupposti sopra indicati oppure, dopo che il Pubblico Ministero ha assunto la direzione delle indagini, se «sia successivamente individuato l'indiziato ovvero, sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del Pubblico Ministero» (art. 384 commi 2 e 3 c.p.p.).
Il fermo è vietato allorché il soggetto abbia agito in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità (art. 385 c.p.p.).
Allorché il provvedimento di fermo venga adottato con decreto del P.M., se esso rimane ineseguito per la tempestiva fuga dell’indiziato, perde automaticamente efficacia; sicché il P.M. per la cattura dell’indagato dovrà avanzare ordinaria richiesta di misura cautelare (art. 272 e ss.) al Giudice.
Sotto la rubrica «Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo» l’art. 386 del c.p.p. prevede una serie di attività che la Polizia Giudiziaria deve compiere, così sintetizzate:
Agli adempimenti materiali conseguenti all’arresto o al fermo (si pensi a quelli relativi agli avvisi, alla traduzione in istituto di custodia, alla trasmissione dei verbali), possono provvedere anche Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli che hanno eseguito la misura (art. 120 att.).
L’inadempimento dell’obbligo di comunicazione da parte della Polizia Giudiziaria può concretare – a carico di questa – il reato di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.) (Cassazione 18/10/1996).
[1] L’arresto o il fermo diviene inefficace se non è osservato il termine («al più presto e comunque non oltre 24 ore») entro il quale l’arrestato o il fermato deve essere posto a disposizione del Pubblico Ministero (art. 386, comma 3 c.p.p.).
L’inosservanza del termine produce il diritto dell’arrestato o del fermato alla immediata liberazione a opera della stessa Polizia Giudiziaria (art. 389 comma 2), del Pubblico Ministero (art. 389, comma 1 c.p.p.) o del G.I.P. (art. 391, comma 4 c.p.p.).
L’arresto o il fermo diviene inefficace (e l’arrestato o il fermato ha diritto alla immediata liberazione) anche nel caso in cui la Polizia Giudiziaria non osserva il termine entro il quale deve trasmettere al Pubblico Ministero il relativo Verbale (art. 386, commi 3 e 7 c.p.p.). Il P.M. può peraltro dilazionare la trasmissione del Verbale (può essere disposta anche oralmente).
L’obbligo per la Polizia Giudiziaria di dare immediata notizia dell’esecuzione dell’arresto o del fermo (art. 386, comma 1 c.p.p.) al Pubblico Ministero e quello di mettere a sua disposizione (art. 386 comma 3 c.p.p.) l’arrestato o il fermato «al più presto e comunque non oltre 24» fà si che il Pubblico Ministero possa intervenire personalmente e sollecitamente.
La messa a disposizione avviene mediante la «conduzione in carcere» dell’arrestato o del fermato (art. 386 comma 4 c.p.p.), fatte eccezione per talune ipotesi di Giudizio direttissimo.
L’obbligo di condurre in carcere l’arrestato o il fermato può essere derogato solo quando lo dispone il Pubblico Ministero per “esigenze cautelari” o “di indagine”.
La legge processuale penale minorile tutela la personalità del minore anche restringendo i casi in cui la libertà personale può essere assoggettata a limitazioni.
Premesso che nella determinazione della pena ai fini dell'applicazione di tali restrizioni si deve tener conto, oltreché dei criteri indicati dall'art. 278 c.p.p., della diminuente dell'età (art. 1, comma 5, cui fa rinvio l'art. 18-bis comma 5 c.p.p.), gli Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria possono sottoporre il minore ad arresto in flagranza e ad accompagnamento presso i propri uffici; inoltre gli stessi e il Pubblico Ministero possono sottoporre il minore a fermo.
L'arresto in flagranza non è mai obbligatorio, ma rimesso alla «discrezionalità» degli Organi di polizia, avuto riguardo alla gravità del fatto, all'età e alla personalità del minore (art. 16 comma 3 c.p.p.), allorché questi sia colto in flagranza di un delitto non colposo punito con l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni ovvero di uno dei delitti, consumato o tentati, previsti dall'art. 380 comma 2 lett. e, f, g e h c.p.p., nonché del delitto di violenza carnale (art. 16 comma 1, tramite rinvio all'art. 23 comma 1 c.p.p.).
I suddetti Ufficiali e Agenti, sempre avuto riguardo alla gravità del fatto, all'età e alla personalità del minore, possono, quando lo colgano in flagranza di un delitto non colposo punito con l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, accompagnarlo nei propri uffici e trattenerlo sino ad un massimo di 12 ore al fine di consegnarlo all'esercente la potestà dei genitori o all'eventuale affidatario o ad altra persona incaricata da costoro (art. 18-bis comma 1 c.p.p.).
Infine tanto gli Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria quanto il Pubblico Ministero possono operare il fermo del minore indiziato di un delitto per cui è consentito l'arresto in flagranza, sempreché, trattandosi di reato punito con la reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a 2 anni (art. 17 c.p.p.).
Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza appena indicati, il Pubblico Ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé.
Qualunque sia il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero, a questo segue la richiesta di convalida e l’udienza relativa davanti al Giudice per le indagini preliminari (artt. 390 e 391).
La richiesta e l’udienza devono intervenire, rispettivamente, entro 48 ore dall’arresto o dal fermo ed entro le 48 ore dal momento in cui il minorenne è posto a disposizione del G.I.P.
Quando non si procede all’arresto o fermo di un minorenne, ma all’accompagnamento a seguito di flagranza (e cioè all’adozione della misura attenuata pre-cautelare di cui all’art. 18-bis D.P.R. 488/1988) gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria:
Il Pubblico Ministero appena ricevuta la notizia dell’accompagnamento a seguito di flagranza può disporre che il minorenne sia:
Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza appena indicati, il Pubblico Ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé.
Qualunque sia il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero, a questo segue la richiesta di convalida e l’udienza relativa davanti al Giudice per le indagini preliminari (artt. 390 e 391).
La richiesta e l’udienza devono intervenire, rispettivamente, entro 48 ore dall’accompagnamento ed entro le 48 ore dal momento in cui il minorenne è posto a disposizione del G.I.P.
Con la messa a disposizione del P.M. e la traduzione in carcere dell’arrestato o del fermato, cessano le attività della Polizia Giudiziaria relative all’arresto e al fermo.
Appare tuttavia opportuno accennare, sia pur sommariamente, al "procedimento di convalida" di tali provvedimenti, che sono in sostanza sottoposti ad un "doppio vaglio giurisdizionale", da parte del P.M. e del Giudice delle indagini preliminari (G.I.P.).
L’udienza di convalida (art. 391 c.p.p.) innanzi al G.I.P., si svolge in camera di consiglio nel contraddittorio fra accusa e difesa; è personalmente sentito anche l’arrestato o il fermato se questi non rifiuta di comparire.
All’udienza, essendo in gioco la libertà dell’inquisito, è obbligatoria la presenza effettiva del suo difensore che deve essere preavvisato, ma è facoltativa quella del P.M., che avrà fatto pervenire per iscritto le sue conclusioni sulla convalida ed eventualmente la richiesta di misura cautelare (art. 24 D.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 che ha modificato in tal senso l’art. 391, comma 3).
All’esito dell’udienza il G.I.P. decide con ordinanza, ricorribile solo per cassazione (art. 391 comma 4), con la quale, in alternativa:
Il G.I.P. (o il Giudice dibattimentale in caso di giudizio direttissimo) deve verificare tutti i presupposti dell’arresto (flagranza, titolo di reato, osservanza dei termini, gravità del fatto e pericolosità del soggetto) o de fermo (gravità degli indizi, titolo del reato, osservanza dei termini e fondato pericolo di fuga).
L’udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato o del fermato
La liberazione può essere disposta:
Gli Ufficiali o gli Agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l’arrestato, lo conducono direttamente davanti al "Giudice del Giudizio direttissimo" (del dibattimento)[1] per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio, sulla base dell’imputazione formulata dal Pubblico Ministero.
In tal caso citano anche oralmente, la persona offesa e i testimoni e avvisano il difensore di fiducia o, in mancanza quello designato d’ufficio (art. 97 comma 3 c.p.p.).
Quando il Giudice non tiene udienza, gli Ufficiali o gli Agenti di P.G. che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato, gliene danno immediata notizia e presentano l’arrestato all’udienza che il Giudice fissa entro 48 ore dall’arresto.
Il Giudice al quale viene presentato l’arrestato autorizza l’Ufficiale o l’Agente di PG ad una «relazione orale» e quindi sente l’arrestato per la convalida dell’arresto.
Se il Pubblico Ministero ordina che l’arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione, lo può presentare direttamente all’udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, entro 48 ore dall’arresto. Se il Giudice non tiene udienza, la fissa, a richiesta del Pubblico Ministero, al più presto e comunque entro le successive 48 ore.
Se l’arresto non è convalidato, il Giudice restituisce gli atti al Pubblico Ministero. Il Giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l’imputato e il Pubblico Ministero vi consentono. Se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio.
L’imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa, non superiore a 5 giorni. Quando l’imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine
Subito dopo l’udienza di convalida, l’imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti. In tal caso se vi è il consenso del P.M., il giudizio si svolge davanti allo stesso Giudice del dibattimento.
[1] Tribunale ordinario o Corte d'Assise o Tribunale per i minorenni
Le "misure cautelari personali" costituiscono in limitazioni di libertà personale (fisica) o della sfera giuridica dell’individuo, disposte da un Giudice per finalità di cautela processuale anche nella fase investigativa.
In coerenza al modello accusatorio, la capacità di incidenza del P.M. e della Polizia Giudiziaria sulla sfera giuridica dell’indagato è ristretta se rapportata all’ampia gamma di misure cautelari, che fanno capo al Giudice.
Alla funzione inquirenrte (P.M. e P.G.) sono consentite solo le misure privative della libertà personale (anticipatorie dell’intervento del Giudice) e, quindi, di tipo pre-cautelare: fermo ed arresto. Spetta al Giudice provvedere, in via ordinaria, ad assicurare l’esigenze cautelari appunto come misure cautelari giurisdizionali.
Le "misure coercitive", incidendo sulla libertà fisica o di locomozione spaziale dell’indagato, sopprimendola, limitandola o semplicemente condizionandola, evitano che lo stato di piena libertà dell’imputato possa renderne probabile la fuga ovvero possa mettere in pericolo la prova (inquinarla) o la tranquillità sociale (commettere altri delitti).
► Le misure coercitive sono:
Le "misure interdittive" impediscono all’imputato l’esercizio di potestà o di attività (ufficio o professione) direttamente collegate alla commissione del reato stesso.
Esse mirano ad evitare il verificarsi degli ulteriori effetti dannosi che potrebbero conseguire se l’imputato continuasse nell’esercizio della potestà e delle attività che hanno fornito l’occasione per il compimento del primo reato.
► Le misure interdittive sono:
La forma di documentazione dell’attività di polizia giudiziaria dipende dal potenziale valore probatorio degli atti e, quindi, dal loro grado di utilizzazione nelle fasi anche processuali (es. dibattimento).
La forma può essere «scritta» o «non scritta». Quest’ultima può essere "orale" o di "altro tipo" (ad esempio: registrazione magnetica, audiovisiva). Quella scritta, di gran lunga la più importante, e consiste in: Annotazioni e Verbali
Il tema della documentazione degli atti di polizia giudiziaria è disciplinato dall’art. 357 c.p.p., ove si distinguono gli adempimenti per i quali viene redatto verbale da quelli per i quali si procede soltanto ad annotazione informale
E’ il modo ordinario di documentazione dell’attività a iniziativa della Polizia Giudiziaria diversa da quella consistente in atti utilizzabili in giudizio (dibattimento) o comunque garantiti (presenza difensore).
In ordine al contenuto, trattasi di attività direttamente compiute dal Pubblico Ufficiale, di risultanze acclarate e di informazioni apprese presso terzi. Sono appunti sommari, non utilizzabili in dibattimento per contestazioni ai terzi, non avendo costoro partecipato alla compilazione della annotazione, che è atto esclusivo e segreto del Pubblico Ufficiale.
Il contenuto minimo dell’annotazione è fissato dall’art. 115 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. in base al quale tutti i tipi di annotazione devono necessariamente contenere:
E’ bene precisare che, non definendo il Codice di rito cosa debba formalmente intendersi per annotazione di p.g. (art. 357 c.p.p.), nella prassi operativa anche la semplice predisposizione di un rapporto di servizio scaturente da un’attività di indagine può assurgere ad annotazione di polizia giudiziaria.
Sotto l’aspetto del contenuto, l’annotazione ricalca la «relazione di servizio». Sotto altri aspetti, la differenza è, però, sostanziale. Con la relazione di servizio l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria fa conoscere (riferisce) al superiore gerarchico (appartenente al suo ufficio) il suo operato.
Con l’annotazione invece, documenta l’atto compiuto e cioè formalizza la sua attività indipendentemente da qualsiasi «riferirne» ad altri.
E' infine da tener presente che nulla vieta alla Polizia Giudiziaria di documentare mediante Verbale l'attività che potrebbe esser documentata mediante annotazione.
Copia delle annotazioni redatti a norma dell'art. 357, comma 1 c.p.p. è conservata presso l'Ufficio di polizia giudiziaria.
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
N._____/
Oggetto: Annotazione ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.
Il sottoscritto Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria (cognome e nome) ___________________________ in servizio presso ________________________ intervenuto in ________________________ per svolgere accertamenti in ordine al reato di _______________________ dà atto che il giorno ___________, alle ore _______, in __________________________ ha svolto la seguente attività di indagine (ad esempio: assumeva sommarie informazioni da ____________________ (generalità complete) in quanto persona ritenuta in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini perché ____________________
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L’attività d’indagine è documentata mediante il «Verbale» che è l’esposizione delle attività compiute dall’Ufficiale o dall’Agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni. Il Verbale è un modo più "formale" di documentazione dell'attività di polizia giudiziaria.
L’esigenza della verbalizzazione deriva dalla eventuale utilizzabilità degli atti anche in dibattimento, sia pure con attenuata forza probatoria.
I processi verbali redatti dalla P.G. sono «atti pubblici» perché provengono dal Pubblico Ufficiale, ma essi non godono, nel Codice Vassalli, di fede privilegiata, fino a querela di falso, potendo il Giudice disattenderli a prescindere da questa .
Quando trattasi di attività investigativa cui il difensore dell’indagato ha diritto di assistere (atti cd. garantiti), il relativo verbale deve essere subito depositato presso l’Ufficio del P.M., per consentire al difensore di prenderne visione ed estrarne (o richiederne) copia (art. 366).
► L’art. 134 c.p.p. contempla due diverse forme di verbale:
Quando l’atto viene redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la “riproduzione fonografica”. In questo caso può parlarsi di verbale in forma «riassuntiva complessa».
Quando la redazione del verbale è effettuata in forma riassuntiva, ma “non viene contestualmente effettuata la riproduzione fonografica”, si è invece in presenza di un verbale in forma «riassuntiva semplice». La modalità ordinaria di documentazione è, comunque, il verbale riassuntivo semplice.
Non possono però essere redatti in forma riassuntiva semplice gli atti che incidono sulla libertà personale dell’indagato (sommarie informazioni dall’indagato) o che possono essere utilizzati in giudizio ai fini della decisione del Giudice (perquisizioni, sequestri). Per tali atti, la forma di redazione è il verbale integrale ovvero in forma riassuntiva complessa.
► Il verbale deve contenere:
Va tenuto presente che se alcuna delle persone intervenute non vuole o non è in grado di sottoscrivere deve esserne fatta menzione nel verbale con l’indicazione del motivo (art. 137 c.p.p.).La sottoscrizione non può essere apposta con mezzi meccanici o segni diversi dalla scrittura.
Copia del verbale non va rilasciata alla persona che ha rilasciato le dichiarazioni potendo, la stessa, prenderne visione richiedendo l’accesso al fascicolo del P.M. (art. 366 c.p.p.).
► Deve inoltre sottolinearsi che in caso di verbalizzazione di «dichiarazioni» occorre indicare:
Attenzione !
Una redazione negligente del verbale o la sua nullità può importare, a carico di chi lo redige«responsabilità disciplinari».
La documentazione dell’attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del P.M. (insieme alle denuncie, alle istanze e alle querele presentate per iscritto, ai referti, al corpo del reato e alle altre cose pertinenti al reato) e da questi conservata in «apposito fascicolo», mentre copia è trattenuta presso l’Ufficio di polizia giudiziaria (artt. 357, comma 4 e 373, comma.3 c.p.p.) e di essa l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria che l’ha redatta potrà servirsi, previa autorizzazione, in «aiuto alla memoria» quando verrà chiamato in dibattimento come testimone.
Con l’acquisizione degli atti da parte dell’Autorità Giudiziaria, compete a quest’ultima e non alla Polizia Giudiziaria che li ha compiuti, l’eventuale rilascio di copia dei verbali delle attività di indagine (in questi casi non trova, quindi, applicazione il diritto di accesso di cui alla Legge n. 241/1990).
.... incorre in responsabilità penale per «falsità ideologica» (art. 479 c.p.).
Riguardo i mezzi va rilevato che il Codice di rito li gradua attraverso un ordine preferenziale, prevedendo all’art. 134 c.p.p.:
Se si utilizza la forma riassuntiva, per difficoltà di reperire personale specializzato nella stenotipia, deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (soprattutto nella forma della registrazione) che è un mezzo di documentazione integrale del verbale.
La forma riassuntiva può essere utilizzata senza riproduzione fonografica o utilizzo di strumenti meccanici (macchina da scrivere) nei casi in cui si tratti di atti a contenuto semplice, di limitata rilevanza o quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici (art. 140 c.p.p.).
In tutti i casi di verbalizzazione descritti, se i criteri adottati sono ritenuti insufficienti, può procedersi alla riproduzione audiovisiva qualora questa sia ritenuta assolutamente indispensabile.
Gli atti sono documentati nel corso del loro compimento, ovvero immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze da indicare specificamente nel Verbale, che impediscono la documentazione contestuale.
Circa il contenuto del verbale, si deve fare riferimento agli artt. 136 e 137 c.p.p., in particolare per quanto concerne l’obbligo di sottoscrizione da parte del Pubblico Ufficiale che lo ha redatto, in quanto la mancanza di sottoscrizione ne comporta la nullità[1]
[1] Il verbale è nullo quando:vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione dell’Pubblico Pubblico Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria che lo ha redatto (art. 142 c.p.p.).
Se è vero che le attività della Polizia Giudiziaria, non verbalizzate non possono concorrere direttamente alla decisione finale, esse tuttavia, in quanto documentazione relativa alle indagini espletate, entrano a far parte del fascicolo del P.M., da depositarsi ai soli fini dell’Udienza Preliminare, nonché degli eventuali procedimenti speciali (giudizio abbreviato o a seguito di patteggiamento).
La relazione di servizio della Polizia Giudiziaria, inoltre, potrà essere letta nel corso del dibattimento quando contenga dichiarazioni di contenuto diverso da quelle rese da un teste al dibattimento stesso al fine di valutarne la credibilità.
Sarà pertanto opportuno redigere la relazione di servizio con la massima precisione, provvedendo a distinguere l’attività svolta direttamente dagli Organi di polizia giudiziaria dalle informazioni ricevute da terzi in grado di riferire circostanze utili alle indagini.
Tale distinzione è estremamente importante nell’originaria ottica del Codice in quanto mentre sulle annotazioni concernenti l’attività direttamente svolta dalla Polizia Giudiziria, gli Ufficiali e gli Agenti potevano essere sentiti in qualità di testimoni nel corso del dibattimento, sulle sommarie informazioni raccolte dai terzi essi non potevano mai essere ascoltati, oggi, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 24/92, ha preso gran parte del suo rilievo. Infatti la Corte, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 195 comma 4 c.p.p., ha sancito la legittimità della «testimonianza» in dibattimento da parte degli Organi di polizia giudiziaria anche sulle informazioni assunte da terzi.
La relazione di servizio è l’atto con il quale il responsabile dell’Ufficio viene posto a conoscenza dell’attività compiuta dal personale durante il servizio medesimo oltre che dei risultati conseguiti e delle notizie apprese.
La relazione di servizio è dunque concettualmente assimilabile alla informativa di reato al Pubblico Ministero: è una segnalazione, una comunicazione che non ha in se alcuna finalità di prove ma è atto interno all’amministrazione di appartenenza del personale operante mediante il quale detto personale informa (=riferisce=relaziona) il superiore gerarchico circa le indagini compiute e i loro esiti.
In base al principio della «separazione delle fasi» (indagine - dibattimento), il Giudice del dibattimento non conosce gli atti delle indagini, ma deve formarsi il proprio convincimento sulla base di quanto avviene davanti ai suoi occhi, quindi, gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria, dovranno di volta in volta, «ricostruire» in dibattimento l’attività di indagine da essi compiuta e sottoporsi, come tutti gli altri testimoni, all’«esame incrociato»; vale a dire alle domande e alle controdomande che le parti hanno facoltà di rivolgere per saggiare l’affidabilità delle dichiarazioni rese.
E’ ben vero che l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria potranno essere autorizzati a consultare in aiuto alla memoria, i documenti da loro redatti (ad esempio, relazioni di servizio, annotazioni ...), ma è altrettanto vero che l’Ufficiale e l’Agente non potranno limitarsi a pronunciare “astanche e ripetitive formule di conferma...” degli atti assunti durante le indagini... (del tipo: ...confermo gli atti !!) e che, di conseguenza, l’esito di molti processi potrà dipendere direttamente dalla "credibilità" della testimonianza resa dalla Polizia Giudiziaria.
Tanto più l’Ufficiale o l’Agente sarà professionalmente preparato a reggere le domande tanto più agevole sarà per il Pubblico Ministero dimostrare l’attendibilità della sua accusa.
Nell’ottica del coordinamento delle Forze di Polizia, si colloca il potenziamento delle funzioni del "Sistema informatico interforze". L’art. 21 Legge 26 marzo 2001, n. 128 [13] e le sue disposizioni attuative impongono, a tutte le Forze di Polizia, di alimentare, con completezza e tempestività, il «Centro Elaborazione Dati» (C.E.D.) istituito dall’art. 8 Legge 1 aprile 1981, n. 121 [3] e succ.modif., nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza; di tutte le informazioni confluite nel Centro, consentono poi la immediata consultazione e utilizzazione anche da parte delle Forze di Polizia che non le hanno originate.
E’ fatto obbligo al personale delle Forze di Polizia indicate nell’art. 16 L. 121/81 di far confluire senza ritardo nel Centro elaborazione dei dati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza le informazioni acquisite nel corso delle "attività amministrative" e delle "attività di prevenzione o repressione dei reati" (art. 2 comma 1 L. 128/2001).
Le informazioni acquisite dalle "Polizia Locali" e dalle altre "strutture di vigilanza", sono invece fornite al "Centro" per il tramite delle Questure, dei Commissariati o dai Comandi della Forza armata dei Carabinieri.
Nel C.E.D. "devono confluire" dettagliate informazioni su ogni fenomeno censito dalle Forze di Polizia: vale a dire, sia le notizie relative alle attività di vigilanza e controllo (sulle strade, sul mare, sugli esercizi pubblici, ecc.) sia quelle risultanti da sentenze o procedimenti giudiziari sia quelle desunte da atti di polizia giudiziaria svolte a iniziativa o in esecuzioni di ordini dell’Autorità Giudiziaria.
Nel C.E.D. non va inserita la documentazione dell’attività compiuta (ad esempio, verbale di identificazione, perquisizione, arresto, ecc.), ma esclusivamente la “sintesi essenziale” di essa. Chi accede al Centro e prende visione della sintesi può successivamente richiedere l’atto in sé all’Autorità che lo ha originato (art. 7 comma 1 Legge 121/81). L’inserimento può riguardare anche notizie su atti segreti o segretati. Se necessario per la prosecuzione delle indagini, non è però impedito, all’Autorità Giudiziaria, di disporre, con decreto motivato, il ritardato inserimento delle notizie su singoli atti.
I Capi degli uffici e i Comandanti dei reparti delle Forze di polizia vigilano sull’attività di raccolta e comunicazione delle informazioni e sono responsabili della loro rispondenza agli atti originali (art. 5 D.P.R. 378/1982 e art. 54 D.lgs. 30/6/2003, n. 196).
Il patrimonio del Sistema informatico interforze è arricchito dalle notizie contenute in altre basi informatiche esterne cui è possibile connettersi direttamente (si pensi a quelle delle Anagrafi tributarie, camerali, comunali, ecc.).
Il Sistema interagisce infine anche con il «S.I.S.» (Sistema di Informazione Schengen), rete informatizzata nella quale confluiscono i dati dei paesi aderenti all’Accordo di Schengen per la gestione in comune delle informazioni e segnalazioni sulle persone, veicoli e oggetti ricercati da ciascun Paese.
La "catalogazione delle informazioni" che pervengono al C.E.D. avviene mediante un «Sistema Di Indagine» (S.D.I.) che non prevede schedari ma si fonda sulla memorizzazione dell’evento che ha dato origine all’inserimento e dal quale derivano, automaticamente e logicamente, i collegamenti con i soggetti in esso coinvolti, con gli oggetti che lo riguardano (armi, auto, documenti o altri beni), con le denuncie e i provvedimenti (misure pre-cautelari, cautelari o di sicurezza) che ne sono discesi nonché, infine, con qualsiasi altra segnalazione utile per individuare le caratteristiche dei soggetti interessati (pericolosità, soprannomi, alloggi e passaporti utilizzati, controlli cui sono stati sottoposti (art. 7 D.P.R. 378/1982).
Trattandosi di un database che archivia informazioni di molti cittadini, il C.E.D. è soggetto al controllo del Garante per la protezione dei dati personali.
L’accesso, in via generale, è consentito agli Ufficiali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, ai funzionari dei servizi per le informazioni e la sicurezza ed Agenti di polizia giudiziaria autorizzati.
Quando si tratta di informazioni relative ad un procedimento penale, segrete o segretate (art. 144 e 329), la loro consultazione è riservata a Ufficiali di polizia giudiziaria asseganti ai "Servizi" di polizia giudiziaria previsti dall’art. 56 c.p.p., alla D.I.A, alla Direzione centrale per i servizi antidroga e a Uffici centrali della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri deputati al contrasto del terrorismo.
Gli Ufficiali di polizia giudiziaria sono individuati dal Ministro dell’Interno su proposta del Capo della Polizia – Direzione generale della Pubblica Sicurezza – e i loro nominativi sono comunicati al Procuratore della Repubblica competente per territorio (=del luogo ove essi svolgono le loro funzioni)
La consultazione o utilizzazione indebita delle notizie inserite nel C.E.D. configura uno specifico delitto punito sia a titolo di dolo che di colpa (art. 12 Legge 121/81). Se non si tratta di condotte indebitamente tenute, ma di condotte più gravi perché realizzate con violazione dei propri doveri o abusando delle proprie qualità, il delitto configurabile è invece quello di cui all’art. 326 c.p. (Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio).
L’alimentazione del sistema avviene mediante «modelli informatici standardizzati».
L'art. 92 e segg. della "Convenzione di Schengen [14]" ha previsto la creazione di una banca dati informatizzata accessibile a tutti gli Stati contraenti (c.d. Sistema d’informazione Schengen - SIS) contenente un complesso di informazioni idoneo ad agevolare i controlli di frontiera, di polizia e di dogana (e relativo fra l’altro alle persone ricercate per l’arresto a fine di estradizione, agli stranieri segnalati per motivi di ordine pubblico, alle persone implicate nella criminalità organizzata, ai beni ricercati a fini di sequestro personale).
Gli Organi nazionali di collegamento con il S.I.S. sono denominati «S.I.RE.N.E.», acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry, che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Il S.I.S. è costituito da una "sezione nazionale" presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata come N-SIS) e da "un’unità di supporto tecnico" situata a Strasburgo (ed indicata come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa.
La base informativa del C-SIS costituisce il "riferimento" di tutto il sistema. È proprio il C-SIS che coordina e controlla l’aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.
L’unità N-SIS italiana dipende dal Ministero dell’Interno e coinvolge nel suo funzionamento i Ministeri di Grazia e Giustizia e degli Affari Esteri. Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale.
Si tratta, in sostanza, di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.
Si riportano gli «schemi» dei più frequenti atti di polizia giudiziaria in cui può imbattersi il personale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera. I contenuti degli schemi - elaborati tenendo conto delle indicazioni provenienti dalla prassi giudiziaria - sono corredati di note e integrazioni che hanno il fine di stimolare l'attenzione del militare operante sulle principali caratteristiche dei singoli atti e di fornire suggerimenti operativi sulle situazioni concretamente prospettabili:
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
AL Comandante
Il giorno ____________, alle ore _______, in ______________________________, negli Uffici del _________________________, i sottoscritti (grado, cognome e nome e reparto dei militari operanti). ____________________________, entrambi in relazione all’oggetto riferiscono alla S.V. quanto segue appresso: -------------------------------------------------------------------------- « Alle ore _______ del giorno _______________, noi Ufficiali operanti, in servizio __________ (esposizione dei fatti ...) ______________________________________________________».
_________________, lì ______________
Firma del Relatore o dei Relatori:
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Annotazione relativa all’attività di indagine svolta ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.
_________________, lì ______________
Firma dei militari operanti _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Oggetto: Annotazione ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.
_________________, lì ______________
Firma dei militari operanti _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________ Al Sig. Procuratore della Repubblica
Segue ⇒
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Si comunica che, alle ore _______ del giorno _________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nel corso di un servizio ______________ (indicare il tipo di servizio cui gli operatori erano addetti, quale fosse il tipo di indagine e da chi fossero state disposte) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata. Al riguardo si riferisce:« _______________________________________________________ ___________________________________________________________________________ » (inserire le indicazioni idonee a ricostruire – in forma chiara e precisa – la notizia di reato acquisita o ricevuta precisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti)
In relazione al fatto, come ricostruito, vengono svolte indagini nei confronti della persona indicata in oggetto che ha eletto (oppure: dichiarato) il proprio domicilio a norma dell'art. 161 c.p.p. in ____________________________________ [oppure: non sono stati raccolti elementi idonei alla individuazione dell'autore].
[la comunicazione può contenere anche altre indicazioni come, ad esempio, la nomina del difensore di fiducia o la designazione di quello di ufficio].
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In allegato alla presente comunicazione, si trasmette la documentazione relativa alle indagini finora compiute:
[La presente comunicazione fa seguito a quella data in forma orale (ad esempio: a mezzo telefono, fax, telex....) alle ore ________ del giorno _______________________ al P.M. Dott. ____________________ di codesta Procura della Repubblica (l'espressione va introdotta solo se la comunicazione scritta segue una comunicazione orale data a norma dell'art. 347, co.3 c.p.p.)]" Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Luogo e data______________
Sottoscrizione
► In calce va riportato, alternativamente:
La presente informativa è stata depositata alle ore ______ del giorno ____________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________ ) da _______________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).
(Sottoscrizione di chi deposita e di chi riceve)
Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati della informativa), la presente informativa è stata trasmessa da (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore ________ del giorno _______________ al numero di fax _____________________
(Sottoscrizione di chi invia il Fax)
Segue⇒
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(1) Quando è possibile (2) Ove possibile (3) Ad esempio: Avv. TADDEI Carlo del Foro di SASSARI. In assenza dell’Avv. TADDEI Carlo, attualmente in vacanza fuori sede, già indicato Avvocato di Fiducia da __________è stato nominato difensore d’ufficio l’Avv. RANIERI Giulio del Foro di Tempio.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Al Sig. Procuratore della Repubblica
Oggetto: Comunicazione (o Informativa) di notizia di reato n°._____/____ a norma dell’art. 347 c.p.p. Si comunica che, alle ore _______ del giorno _________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) in servizio presso questo Ufficio (Comando) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata e in relazione alla quale si forniscono i dati che seguono con riserva di integrazione.
Segue ⇒
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[] Denuncia [] Querela [] Altro
[] Denuncia Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Luogo e data______________
Sottoscrizione
Segue ⇒
|
In calce va riportato, alternativamente:
La presente informativa è stata depositata alle ore ______ del giorno ____________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio ___________________________________) da _______________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor ____________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).
Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati della informativa), la presente informativa è stata trasmessa da ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore _________ del giorno __________________ al numero di fax ______________________________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Al Sig. Procuratore della Repubblica
Oggetto: Comunicazione (o Informativa) di notizia di reato in forma orale a norna dell’art. 347 comma 3 c.p.p. – Annotazione di invio.
Si da atto che, alle ore _________ del giorno _____________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) appartenenti a questo Ufficio (Comando) nel corso di un servizio (indicare il tipo di servizio cui gli operatori erano addetti, quale fosse il tipo di indagine e da chi fossero state disposte) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata.
Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze CED-SDI.
Luogo e data______________
(*) L’obbligo di redigere l’annotazione relativa alla comunicazione in forma orale incombe sul Dirigente dell’Ufficio (o Comando) oppure sull’Ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del servizio di p.g. La sottoscrizione è apposta da lui e, se la comunicazione è stata data su delega, dall’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria delegato.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________ Prot. Nr. ___________ Al Sig. Procuratore della Repubblica
Oggetto: Verbale di ricezione di denuncia orale relativa a ____________________________ (indicare il fatto; non è necessario indicare di quale reato si tratta salvo, ovviamente, il caso in cui la sua qualificazione è ritenuta evidente: ad esempio, furto commesso a bordo da componenti dell’equipaggio – art. 1148 cod. nav.), avvenuto il __________________________ in _____________________________ (località) ad opera di ____________________________ [indicare og ni notizia, fornita dal denunciante, utile alla identificazione del denunciato (oppure: a carico di ignoti)] presentata personalmente da _____________________________ (Cognome e Nome) ________________, (Soprannome o pseudonimo) nato a ___________ il __________________ cittadino ___________ residente a (o domiciliato) _________________ in ________________via ____________ n°._______ tel._____________________ Professione __________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile_________________ titolo di studio ______________ identificato mediante _______________, rilasciato a ___________ il ___________________ da _______________________ (oppure: personalmente riconosciuto).
Il giorno _____________ alle ore ___________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano) dà atto che è qui presente ___________________ persona meglio indicata in oggetto la quale espone quanto segue:« _______________________________________ (indicare gli elementi essenziali del fatto precisando, quando sono a conoscenza dell’esponente: a) le generalità della persona cui esso è attribuito e gli elementi per la sua identificazione; b) altri eventuali elementi di prova e, in particolare, quelli relativi a coloro che sono in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto)».
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Poiché il Signor __________________ ritiene che nei fatti esposti siano ravvisabili estremi di reato perseguibili di ufficio (se del caso, indicare di quali reati si tratta) __________________, egli “denuncia” a tutti gli effetti quanto sopra esposto per i provvedimenti che l’Autorità Giudiziaria riterrà di adottare e, spontaneamente (oppure: a domanda del verbalizzante), dichiara che, per i fatti costituenti reato in ordine ai quali non può procedersi di ufficio, si riserva di proporre querela [oppure: la sua denuncia deve/non deve intendersi quale richiesta di punizione di chi sarà ritenuto responsabile dei fatti medesimi (querela)].
Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Si dà atto che la denuncia è stata stesa e ricevuta nell’Ufficio (Comando) di _____________________ [oppure: si dà atto che le dichiarazioni sono state rese e ricevute nel domicilio della persona denunciante (solo se vittima del reato) trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _________________________ che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128]
_________________, lì ______________
Firma:
- del denunciante _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________ R.G. Nr. ___________
Oggetto: Verbale di ricezione di denuncia scritta relativa a ___________________ (indicare il fatto; non è necessario indicare di quale reato si tratta salvo, ovviamente, il caso in cui la sua qualificazione è ritenuta evidente: ad esempio, furto commesso a bordo da componenti dell’equipaggio – art. 1148 cod. nav.), avvenuto il ___________ in _____________ (località) ad opera di _________ [indicare og ni notizia, fornita dal denunciante, utile alla identificazione del denunciato (oppure: a carico di ignoti)] presentata personalmente da ___________________ (Cognome e Nome) _______________. (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________________ cittadino _______________ residente a (o domiciliato) _____________________________ in ____________________via ________________ n°._______ tel.______________ Professione ____________________ luogo di attività lavorativa ___________________________________ stato civile_____________________ titolo di studio _________________ identificato mediante _______________, rilasciato a ___________________ il ___________ da ________________ (oppure: personalmente riconosciuto)
Il giorno _____________ alle ore ________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano) dà atto che, alle ore _______ odierne, si è avuta la presenza della persona meglio indicata in oggetto che ___________________,
Segue ⇒
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...ha presentato, depositandola e confermandola la denuncia che qui si allega (anziché in allegato, la dichiarazione di ricezione della denuncia scritta può essere fatta sull’ultimo foglio della denuncia stessa). La denuncia contestualemente sottoscritta dal denunciante, consta di n. ______ pagine dattiloscritte (oppure: manoscritte) di cui l’ultima conta n. _________ righe. Essa risulta presentata a carico di ___________________ (indicare le generalità della persona cui il fatto è attribuito) [oppure dire: “risulta presentata a carico di persona tuttora non identificata”] per fatti avvenuti in __________________________ il _____________________.
Sintesi del presente atto e della denuncia ricevuta è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Si dà atto che la ricezione della denuncia è avvenuta nell’Ufficio (Comando) di _____________ [oppure: si dà atto che le dichiarazioni sono state rese e ricevute nel domicilio della persona denunciante (solo se vittima del reato) trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _________________________ che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128].
_________________, lì ______________
Firma:
- del denunciante _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Al Sig. Procuratore della Repubblica
Oggetto: Trasmissione di denunce a carico di ignoti.
Nel rispetto di quanto disposto dall’art. 107-bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale (D.lgs. 271/89), si trasmette (Allegato 1) l’elenco delle denunce a carico di ignoti complessivamente acquisite o ricevute (in numero di ______________) da questo uffici (Comando) nel corso del mese di ________________________ dell’anno _______________. Sintesi della presente comunicazione e del relativo allegato è stata fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI). Luogo e data______________
Sottoscrizione
Segue ⇒
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Allegato 1 – Elenco delle denunce a carico di ignoti e documentazione delle attività di indagine eventualmente svolte.
In calce va riportato, alternativamente: ► IPOTESI A: Il presente atto (con relativo Allegato) è stato depositato alle ore _______________ del giorno __________________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________) da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor _____________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).
_____________________________
► IPOTESI B:
Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati dell’atto), il presente atto è stato trasmesso da ____________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore ______ del giorno __________ al numero di fax ________________________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Oggetto: Verbale di dichiarazione di querela proposta oralmente personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale/legale rappresentante/curatore speciale di ________ ____________________________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]
da ________________________________ nato a ________________ il___________ cittadino ___________residente a (o domiciliato) _________________ in ______________________via _____________ n°._______ tel.____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile___________ titolo di studio ______________ identificato mediante _______________, rilasciato a ________________ il __________ da ____________ (oppure: personalmente conosciuto)
contro ___________________ di seguito meglio indicato o chiunque altro risulti responsabile in relazione al delitto di _________________________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile. Il giorno _____________ alle ore ______ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. ____________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano Cass. 49497/2003) è presente _____________________________ persona meglio indicata in oggetto la quale _____________ [se colui che propone la querela non è la persona offesa, ma il suo rappresentante, a questo si inserirà, a seconda dei casi, una delle seguenti formule: a) “Nella sua veste di procuratore speciale di _____________ (indicare le generalità complete del rappresentato, data e luogo di nascita, luogo di residenza, professione e stato civile) come da procura speciale rilasciata _________________ (indicare tutti gli estremi della procura speciale) che viene allegata al presente verbale come parte integrante di esso”; b) “Nella sua veste di legale rappresentante di _____________ (indicare la persona giuridica, l’ente o l’associazione) legittimato al presente atto come da ____________________ (indicare specificamente la fonte dei poteri di rappresentanza: atto costitutivo, delibera, ecc.)”; c) “Nella sua veste di ________________ (genitore o tutore o curatore) legale rappresentante di ___________________ [indicare generalità complete del rappresentato (minore o interdetto o infermo di mente o inabilitato, a seconda dei casi)] manifestando inequivoca volontà perché si proceda per i fatto e se ne punisca il colpevole, dichiara di proporre querela contro ________ (indicare ogni notizia fornita dal querelante, utile alla identificazione del querelato) o di chiunque altro ne risulti autore o concorrente, per il delitto di ______________________ o per qualunque altro delitto che sarà ritenuto configurabile nei fatti che di seguito espone: “___________________________________________________________________________”
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Indica, come persone in grado di riferire circostanze rilevanti i Signori ___________________ [riportare ogni notizia, fornita dal querelante, utile alla identiificazione di tali persone (oppure dire: “Il Signor _________________ dichiara di non essere in grado di indicare alcuna persona che possa riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto”)] Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI). Riletto, confermato e sottoscritto.- _________________, lì ______________
Firma:
- del querelante ____________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
da ____________________________________________ nato a ________________________ il___________________ cittadino ___________________________ residente a (o domiciliato) _________________ in ________________________via ____________________ n°._______ tel._______________ Professione ___________________________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile____________ titolo di studio _______________ identificato mediante _______________________, rilasciato a ___________________ il ______________ da ______________________ (oppure: personalmente conosciuto). contro ___________________ di seguito meglio indicato o chiunque altro risulti responsabile in relazione al delitto di _______________________________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.
Il giorno _____________ alle ore ________ il sottoscritto Ufficiale di P.G. _________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano – Cass. 49497/2003) è presente ________________________________________ persona meglio indicata in oggetto la quale, nella veste di persona offesa ________________ [se colui che propone la querela non è la persona offesa, ma il suo rappresentante, a questo si inserirà, a seconda dei casi, una delle seguenti formule: a) “Nella sua veste di procuratore speciale di _____________ (indicare le generalità complete del rappresentato, data e luogo di nascita, luogo di residenza, professione e stato civile) come da procura speciale rilasciata ____________________ (indicare tutti gli estremi della procura speciale) che viene allegata al presente verbale come parte integrante di esso”; b) “Nella sua veste di legale rappresentante di ___________________ (indicare la persona giuridica, l’ente o l’associazione) legittimato al presente atto come da ___________________ (indicare specificamente la fonte dei poteri di rappresentanza: atto costitutivo, delibera, ecc.)”; c) “Nella sua veste di __________________ (genitore o tutore o curatore) legale rappresentante di ____________________ [indicare generalità complete del rappresentato (minore o interdetto o infermo di mente o inabilitato, a seconda dei casi)], ha presentato, depositandola e confermandola la querela che qui si allega [se del caso: “assieme ai documenti con essa prodotti e in essa specificamente indicati” (anziché in allegato, la dichiarazione di ricezione della denuncia scritta può essere fatta sull’ultimo foglio della denuncia stessa)].
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La querela contestualemente sottoscritta da ____________________________ nella veste già specificata, consta di n. ______ pagine dattiloscritte (oppure: manoscritte) di cui l’ultima conta n. ______ righe. Essa risulta proposta a carico di ____________________________ (indicare le generalità della persona cui il fatto è attribuito) o di chiunque altro ne ruisulti autore o concorrente per il delitto di ___________________________ o per qualunque altro delitto che sarà ritenuto configurabile nei fatti esposti nella querela scritta [oppure dire, se il querelato è persona ignota: “risulta presentata a carico di persona tuttora non identificata”].
Sintesi di questo atto e della querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Si dà atto che la ricezione della querela è avvenuta nell’Ufficio (Comando) di ______________ [oppure: è avvenuta nel domicilio della persona che ha proposto la querela trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _____________________” che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128]
[Eventualmente aggiungere: Il querelante ha dichiarato di voler essere informato della eventuale archiviazione del procedimento sorto a seguito della presentazione dell’atto (la dichiarazione può essere fatta solo dal querelante che sia anche persona offesa – art. 408 comma 2 c.p.p.)]
_________________, lì ______________
- del querelante _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Verbale di remissione, con contestuale accettazione, della querela proposta oralmernte o personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale /legale rappresentante/curatore speciale di __________________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]
da _________________________________ (cognome e nome) nato a __________________ il________________ cittadino ___________ residente a (o domiciliato) __________________ in ______________________ via ________________ n°.____ tel._____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile____________ titolo di studio ___________________ identificato mediante ________________________, rilasciato a _______________________ il _______________ da __________________________ (oppure: personalmente conosciuto)
contro __________________ di seguito meglio indicato in relazione al delitto di ___________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.
Segue⇒
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E’ presente altresì ____________________________________ [indicare le generalità del querelato (o dei querelati presenti) o dei loro procuratori e rapresentanti – art. 122 c.p.). Si ricordi che la remissione produce effetti per tutti i soggetti querelati – che l’accettano – anche se è fatta a favore di uno solo di essi] il quale dichiara di accettare la remissione di querela di cui sopra. L’accettante e il remittente convengono che le spese ______________________ [la espressione va inserita solo se l’accettante e il remittente convengono con le spese del procedimento siano in tutto o in parte a carico del querelante. La regola generale prevede infatti che le spese del procedimento siano – salva deroga espressa – a carico del querelato (=di chi accetta la remissione)] [Se il remittente si è avvalso del diritto di rinuncia, aggiungere: “e il remittente fa espressa rinuncia al diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a norma dell’art. 152 comma 4 del c.p.].
Il presente Verbale, riletto e confermato è chiuso alle ore _______ e, dopo essere contestualmente sottoscritto, sarà immediatamente inoltrato all’Autorità Giudiziaria procedente a norma dell’art. 340 comma 1 c.p.p. mentre copia di esso è conservata agli atti di questo Ufficio [o Comando]
Sintesi della presente querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Firma:
- il Rimettente _______________________
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Verbale di separata accettazione [oppure: non accettazione] della remissione della querela già proposta oralmernte o personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale/legale rappresentante/curatore speciale di ____________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]
da ___________________________________ (cognome e nome) nato a ________________ il ____________ cittadino _________________ residente a (o domiciliato) ________________ in __________________ via __________________ n°._______ tel.____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile____________ titolo di studio _______________ identificato mediante _____________________, rilasciato a ______________________ il ______________ da ____________________________ (oppure: personalmente conosciuto)
contro ______________________________ di seguito meglio indicato in relazione al delitto di ____________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.
Segue ⇒
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Il __________________________ (data) davanti a ___________________________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria o di P.G. davanti alla quale la remissione di querela fu proposta) espressamente dichiara di voler [oppure: non volere (il remittente della querela va notiziato dell’accetazione o della mancata accettazione)] accettare tale remissione prendendo atto che le spese del procedimento sono a suo carico [oppure: “sottolineando che, in base a quanto convenuto e risultante dall’atto di remissione, le spese sono a carico __________________”] [se del caso, far seguire anche: “e che il remittente ha espressamente rinunciato alle restituzioni e al risarcimento del danno”.
Sintesi della presente querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
- l’Interessato _______________________
(1) Il Verbale di remissione (con contestuale accettazione) è, nella Ipotesi B, quello di accettazione della remissione vanno fatti pervenire, dalla P.G. all’Autorità Giudiziaria che procede, senza ritardo. Vanno accompagnati da una nota che, ove possibile, conterrà il riferimento alla informativa con la quale è stata precedentemente data comunicazione dell’avvenuta ricezione della querela proposta. |
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Capitaneria di Porto di ____________________
Prot. Nr. ___________
Oggetto: Ricezione di referto (1) presentato da ____________________ (cognome e nome) nato a ______________________ il______________ cittadino ______________ residente a (o domiciliato) ___________________ in ______________________ via ____________________ n°._______ tel.____________ esercente la professione sanitaria di _____________________ (indicare specificamente la professione) e identificato mediante _______________, rilasciato a ____________ il __________ da __________ (oppure: personalmente conosciuto) in ordine all’opera/assistenza prestata il giorno ___________ alle ore _____ a ________________ nato a ___________ il ____________ residente in _____________________ via _______________ n. __________ (2)
L’Ufficiale di P.G
Segue ⇒
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(1) Lo schema è stato redatto immaginando che il referto sia consegnato personalmente dal suo autore (=esercente la professine sanitaria: medico, chirurgo, ginecologo, veterinario, farmacista, infermiere diplomato...). L’art. 334 comma 4 c.p.p. consente peraltro che, il referto sia fatto pervenire utilizzando incaricati o mezzi tecnici idonei (posta, fax). In ogni caso, il referto deve pervenire (e non solo essere inoltrato) entro 48 ore o immediatamente, se vi è pericolo nel ritardo. L’omissione o il ritardo nella professione sono sanzionati dall’art. 365 c.p. (omissione di referto).
(2) I dati possono essere estrapolati direttamente dal referto. Questo infatti, oltre ad indicare la persona cui è stata prestata assistenza, deve indicare, se possibile, le generalità, il luogo dove essa si trova e quanto altro valga a identificarla. Il referto deve altresì indicare il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento e dare notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare.
(3) Le circostanze di cui all’art. 334 comma 2 c.p.p. sono quelle riportate alla nota 2. Se si assumono informazioni dal refertante, l’atto acquista le caratteristiche del verbale di sommarie informazioni previsto dall’art. 357 comma 2 lett. c) c.p.p. in rel. Art. 351 c.p.p. (=da potenziali testimoni).
(4) Occorre la sottoscrizione anche del sanitario se questi ha riferito, spontaneamente o a domanda, elementi ulteriori rispetto a quelli già risultanti dal referto.
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di identificazione ex art. 349 c.p.p., relativo, quale persona sottoposta alle indagini, a ______ _____________________ (Cognome e Nome) ______________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il____________________ residente a _________________ via _________________ n°._______ tel.____________ Professione ________________ luogo di attività lavorativa ____________________________ stato civile_________________ titolo di studio ____________________________.
Il giorno ______________ alle ore_______ negli Uffici ______________________ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G _________________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) riferiscono che alle ore __________ del giorno ______________ in località ____________________________________, nell’espletamento di ___________________ (indicare il tipo di servizio), hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona sottoposta alle indagini per il reato di ________ ____________________________ commesso in ___________________________, in danno di _________________________________________, il ____________________. (ove possibile).
Segue ⇒
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E’invitato altresì nominare un difensore di fiducia, facendogli presente che in caso risulti privo di difensore di fiducia gli avvisi di legge per gli atti di indagine e del procedimento saranno dati al difensore di ufficio individuato a norma dell’art. 97 c.p.p.
All’esito, la persona sottoposta alle indagini, esibendo a conferma _______________ (indicare tipo e numero del documento identificativo) ha dichiarato di essere ______________________ (Cognome e nome) e ha fornito le generalità e i dati identificativi riportati in oggetto.
All’esito, la persona sottoposta alle indagini:
oppure:
Alle ore ________ del __________________ si è pertanto proceduto all’accompagnamento ex art. 349 comma 4 c.p.p., in Ufficio della persona predetta al fine di pervenire alla sua sicura identificazione. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è stata data immediata notizia al Sig. Procuratore della Repubblica presso __________________________ in persona del Dott. ________________________________, a mezzo __________________ . Segue ⇒
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Si dà atto che, nell’occasione, la persona sottoposta alle indagini, in ordine all’invito rivoltole di dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni, ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________________________ e ha nominato quale difensore di fiducia l’Avv.______________________________ del Foro di _________________________ (oppure: si riserva di nominare il difensore di fiducia). Sintesi del presente Verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)(1) Il Verbale è chiuso alle ore _____ e, dopo essere stato riletto e confermato, è contestualmente sottoscritto dalla persona identificata e dall’Ufficiale/Agente di polizia giudiziaria operante. Esso è posto a disposizione del Pubblico Ministero a norma dell’art. 357 comma 4 c.p.p. e copia è conservata agli atti di questo Ufficio [o Comando]
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Capitaneria di Porto di LA MADDALENA
All. Nr. 01
Oggetto: Verbale di identificazione ex art. 349 c.p.p., relativo, quale persona sottoposta alle indagini, a GLORIOSO Raffaele alias Lelle nato a Pistoia il 30 dicembre 1954 e residente a La Maddalena in via R. Sanzio n°. 17, tel. 0789435662, Professione Pescatore, Matricola. 1277 3^ Categoria G.M. luogo di attività lavorativa La Maddalena, stato civile Coniugato, titolo di studio Diploma ITN, precedenti condanne riportate nessuna segni particolari evidenti nessuno.
Il 14 maggio 2009 alle ore 10.00 negli Uffici della Capitaneria di Porto di La Maddalena i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G 1° M.llo Lgt. Np. GRIGNANI Fausto e Capo 3^ cl. Np. CAPUTO Salvatore in servizio presso il Comando in intestazione riferiscono che alle ore 10.00 del giorno 14 maggio 2009 negli Uffici della Capitaneria di La Maddalena, hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona sottoposta alle indagini per il reato di “esercizio dell’attività di pesca mediante materie esplodenti” (artt. 15 lett. d e 24 Legge n. 963/65) commesso a 3 miglia N-W Isola di Caprera - Arcipelago di La Maddalena - Comune di La Maddalena, il 14 maggio u.s. Sintesi del presente Verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)(1) Del che è verbale letto, confermato e sottoscritto.
(Firma dell’indagato) (Firma dei verbalizzanti)
(2) All’invio si procede solo se la identificazione è il primo atto cui interviene l’indagato
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Verbale di identificazione relativo, quale persona informata sui fatti, a ______ ________________ (Cognome e Nome) ______________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________________ residente a _________________ via ____________ n°._______ tel.____________ Professione ________________ luogo di attività lavorativa ___________________________ stato civile _________________________ titolo di studio ____________________________.
Il _______________ alle ore _____ negli Uffici ____________________________ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G ________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) riferiscono che alle ore _____ del giorno _____________ in _____________________, hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto criminoso.
All’esito, la persona da identificare, esibendo a conferma _________________ (indicare tipo e numero del documento identificativo) ha dichiarato di essere ________________ (Cognome e nome) e ha fornito le generalità e i dati identificativi riportati in oggetto.
All’esito, la persona informata sui fatti:
oppure:
Segue ⇒
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Alle ore _________ del _________________ si è pertanto proceduto all’accompagnamento in Ufficio della persona predetta al fine di pervenire alla sua sicura identificazione. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è stata data immediata notizia al Sig. Procuratore della Repubblica presso ____________________ in persona del Dott. _________, a mezzo ____________________________.
Per accertare la identità della persona accompagnata (o la eventuale falsità del documento esibito) si è provveduto a _________________________________ (indicare specificamente le operazioni e gli accertamenti svolti) pervenendosi alle seguenti conclusioni _______________. Riletto, confermato e sottoscritto.-
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ________________
All. Nr.__________
Oggetto: Verbale di sommarie informazioni relativo, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, a __________________________ (Cognome e Nome) ________________.(Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il ________________ residente a _________________ via ___________ n°._______ tel.____________ Professione _________________ luogo di attività lavorativa ______________________ stato civile _________ titolo di studio _______________________________.
Il giorno _______________ alle ore ______ in _______________, davanti a noi sottoscritti Ufficiali di P.G __________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) è comparso ______________________________ qui invitato per rendere informazioni quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini per il reato di _________________________ (indicare il titolo di reato).
Segue ⇒
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(Se occorre, l’Ufficiale di polizia giudiziaria fa menzione dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona).
Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia l’indagato dichiara, di nominarlo nella persona di_____________________________, presente all’atto. (Se il difensore di fiducia non è presente o non è nominato, si specificherà a seconda dei casi:
Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini _________________ (Cognome e nome dell’indagato) è stata invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p. ed avvertito, in specie, sia dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato eletto sia del fatto che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Segue ⇒ |
Dopo essere stato avvertito del fatto che viene esaminato quale persona sottoposta alle indagini in ordine al reato di ____________________ e che, come tale ha facoltà di non rispondere alle domande che gli verranno rivolte, ma che anche se non risponderà, il procedimento seguirà il suo corso (art. 64 co. 3 c.p.p.), a tal proposito il Sig. _____________________________ dichiara: Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
La persona sottoposta L’Ufficiale di P.G.
Il Difensore(*)
(*) Trattasi di atto garantito |
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr.__________
Oggetto: Verbale di spontanee dichiarazioni ex art. 350 comma 7 c.p.p., rese, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, da __________________________ (Cognome e Nome) _________________________________________ (Soprannome o pseudonimo) nato a _______________________ il __________________ residente a ____________________ via ________________ n°._____ tel._______________ Professione ___________________ luogo di attività lavorativa _______________________________ stato civile _____________ titolo di studio _______________________________.-
Il ______________ alle ore ______ in ____________________, i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G _______________________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) danno atto che, alle ore _____ del ________________ in _________________________ (indicare in quale contesto le dichiarazioni sono state rese), la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini in ordine al reato di __________________ (indicare il titolo di reato) e che si trova in stato di __________________________ (dire se “di libertà”, “di arresto o fermo”, o “sottoposto a misura cautelare”) ha reso spontaneamente ai sottoscritti (e alla presenza del difensore di fiducia Avv.to ______________________ (oppure: senza la presenza del difensore) le seguenti dichiarazioni: ____________________________
Segue⇒
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E’ stata altresì invitata a dichiarare le proprie generalità a norma degli artt. 66 c.p.p. e 21 disp. Att. c.p.p. previo ammonimento circa le conseguenze cui si espone chi rifiuta di darle o le dà false. (per l’ipotesi in cui la nomina non sia stata già intervenuta, aggiungere: e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato _______________________________________ del Foro di ___________________________; oppure: e si è riservata di nominare il difensore di fiducia). Quanto alle proprie generalità, ha invece risposto: I verbalizzanti danno atto che il Verbale è stato redatto in forma riassuntiva e che è stata altresì effettuata la riproduzione fonografica (oppure: se la riproduzione fonografica non vi è stata ed è stato redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, indicare i motivi) le cui operazioni sono cessate alle ore _______ all’atto della chiusura del Verbale. Il relativo nastro è stato racchiuso nell’apposita custodia dai sottoscritti verbalizzanti sigillata, contrassegnata con il n. _______ e allegata al presente atto quale parte integrante di esso.
Segue ⇒
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Il verbale contestualmente redatto in numero di ______ fogli, è riletto, confermato e sottoscritto.
(il Verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono inviate ad altro momento (art. 137 co.1)). Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366). Resta fermo che può essere allegato anche alla informativa (o comunicazione) della notizia di reato. Ove ritenuto opportuno, può precisarsi che l’indagato è intervenuto libero al compimento dell’atto e che non sono stati utilizzati metodi e tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterare la sua capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 co.2). Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
(*) Anche se trattasi di atto “non garantito”, qualora le Dichiarazioni venissero rese innanzi al Difensore di fiducia, il Verbale dovrà essere sottoscritto anche dal legale. |
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Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di sommarie informazioni ex art. 351 c.p.p., relativo, quale persona informata sui fatti, a _________________ (Cognome e Nome) _____________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________ residente a _________________ via_______________ n°._____ tel.___________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile_________________ titolo di studio ___________________________.
Il giorno__________________ alle ore ______ in _________________________, negli Uffici di ______________________, noi sottoscritti Ufficiali di P.G _______________________(indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) diamo atto di procedere all’esame di _________________________ trattandosi di persona informata sui fatti per cui si procede. __________________________________________________________________»
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(verbalizzare le dichiarazioni rese dalla persona esaminata, eventualmente anche le domande rivolte; se il Verbale sarà redatto in forma riassuntiva sarà sufficiente che sia riprodotta nella originaria genuina espressione la sola parte essenziale delle dichiarazioni rese; inoltre, sempre in caso di verbalizzazione in forma riassuntiva e con riproduzione fonografica, dal Verbale dovrà risultare il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione).
Il verbale contestualment redatto in ______________ fogli è riletto, confermato e sottoscritto. Previa conservazione di copia, sarà posto a disposizione del Procuratore della repubblica presso il _______________________. Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).
(Se nel corso dell’esame emergono indizi di reità a carico dell’interrogato:
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Capitaneria di Porto di ________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di interrogatorio delegato ex artt. 370 co.1, 364, 373 co.1 lett. b) c.p.p., reso, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, da _________________________________ (Cognome e Nome) _____________________.(Soprannome o pseudonimo) nato a __________________ il _______________ residente a _________________ via _______________ n°._______ tel._________ Professione _________________ luogo di attività lavorativa ____________________ stato civile _________ titolo di studio _________________.
Il giorno _______________ alle ore ______ in _____________________________, negli Uffici di ______________________, davanti a noi sottoscritti Ufficiali di P.G.________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) delegati all’atto dal Procuratore della Repubblica presso _________________ di __________________ nella persona del Dott. ______________________ (dare atto dell’assistenza di persone idonee o di altri ufficiali o agenti di p.g. per la riproduzione fonografica o per le riprese audiovisive oltreché, se necessario, per svolgere funzione di interprete) è comparso _________________________ qui invitato per rendere interrogatorio quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini per il reato di _________________________________________ (indicare il titolo di reato).
Segue ⇒ |
« Sono (generalità) ___________________________________________ (pseudonimo/soprannome) _____________________ (nazionalità) _______________________________ (residenza anagrafica) __________________________ (dimora) _________________________________ (luogo di attività lavorativa) _____________________ (stato civile) ______________________________ (professione od occupazione) _____________________ (beni patrimoniali) _______________________ (processi penali pendenti) _____________ (condanne nello Stato o all’estero) ____________________ (uffici servizi pubblici o di pubblica necessità esercitati) __________________________ (cariche pubbliche ricoperte) ______________________________________________________________________ »
Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia l’indagato dichiara, di nominarlo nella persona di ____________________________________________________, presente all’atto.
Segue ⇒
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La persona sottoposta alle indagini viene quindi invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p. ed avvertita, in specie, sia dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato eletto sia del fatto che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Segue⇒
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I verbalizzanti danno atto che il Verbale è stato redatto in forma riassuntiva e che è stato altresì effettuata la riproduzione fonografica (oppure: se la riproduzione fonografica non vi è stata ed è stato redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, indicare i motivi) le cui operazioni sono cessate alle ore _______ all’atto della chiusura del Verbale. [il Verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono inviate ad altro momento (art. 137 co.1). Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, deve farsi menzione con l’indicazione del motivo (art. 137 co.2). Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366). Resta fermo che può essere allegato anche alla informativa (o comunicazione) della notizia di reato. Ove ritenuto opportuno, può precisarsi che l’indagato è intervenuto libero al compimento dell’atto e che non sono stati utilizzati metodi e tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterare la sua capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 co.2).] Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema interforze (CED-SDI).
(*) Trattasi di atto garantito |
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All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di perquisizione personale eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti ______________________________ nato a _____________ il _______________ residente in _______________ via _______________ n.° ______ Tel _________________ professione o mestiere ________________ identificato mediante _________________________________ n°. _____________
Il _____________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali di P.G.__________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) danno atto che alle ore ___________ del ____________ in _____________________ (se la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G., specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere - art. 113 att.) danno atto che, alle ore ______ del ________________________ hanno proceduto a perquisizione sulla persona menzionata in oggetto.
Segue⇒ |
Danno atto che il Sig. _____________________ è stato previamente reso edotto della facoltà di farsi assistere da un difensore di sua fiducia e/o da altra persona sempre di sua fiducia, senza che ciò potesse comportare ritardi nella esecuzione dell’atto (sarà specificato, a seconda dei casi: a) avendone risposta negativa; b) a seguito di che ha dichiarato di volersi fare assistere da ________________________ avvisato, è (non è) intervenuto nel corso della perquisizione; oppure ha assistito che alla perquisizione). Eseguite ricerche sulla persona _________________ (le perquisizioni personali sono eseguite nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. A esse procede persona dello stesso sesso di quella che vi è sottoposta, salvi i casi di impossibilità o di urgenza assoluta: pertanto saranno riportate, a questo punto, nel Verbale, le indicazioni in tal senso eventualmente necessarie – art. 79 att.) è stato rinvenuto (indicare quanto e dove rinvenuto) _______________________________________ che è stato sottoposto a sequestro. La perquisizione è stata conclusa alle ore _______ del ___________________. Trattandosi di perquisizione eseguita nei confronti della persona sottoposta alle indagini ed essendo questa presente si è provveduto a invitarla a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio. Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso _________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato ______________ del foro di _____________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia). Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita). Sintesi del presente verbale è fatto confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).
Firma:
- della persona perquisita _______________________
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Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di persone eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti di _____________ nato a ___________ il ______________ residente in _________________ via ________________ n.° ______ Tel ____________ professione o mestiere _____________________
Il ______________ alle ore _____ i sottoscritti Ufficiali di P.G.___________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nell’Ufficio _________________ in ____________ danno atto che, alle ore ______ del ____________________________ collaborati dagli Agenti di P.G ____________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) [Riportare l’indicazione che, tra quelle sotto elencate, si adatta alla situazione concreta:
Segue⇒
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I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a ___________________________ [l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale saranno indicati:
I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a ___________________________ (l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente.
Segue⇒
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A seguito di ciò, il Sig. ___________________________________________ ha dichiarato che:
Eseguite accurate ricerche nel luogo sopra indicato (indicare tutti i locali e le eventuali pertinenze sottoposte a perquisizione) la persona ricercata è/non è stata rintracciata in _____________________ (se la perquisizione ha esito positivo va indicato con la massima precisione il luogo nel quale la persona è stata rintracciata). Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della Repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita). Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).
Firma: - della persona perquisita _______________________
Segue ⇒ |
► Ricordare che:
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Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di cose eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti di ____________________ nato a _____________________ il __________ residente in ______________________ via _______________ n.° ______ Tel _____________ professione o mestiere _______________________________.
Il _______________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali di P.G. _______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nell’Ufficio ______________________ in ___________________ danno atto che, alle ore ______ del ______________ collaborati dagli Agenti di P.G ________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome).
(Ricordare di specificare la cosa o le cose pertinenti al reato che si sono ricercate e le ragioni che hanno motivato la perquisizione in quel luogo).
Segue ⇒
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I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a _____________________ [l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale saranno indicati: a) le generalità complete della persona intervenuta (congiunto, coabitante, collaboratore, ecc.); b) i suoi eventuali rapporti con la persona nei cui confronti l’atto è diretto; c) la qualifica che la persona intervenuta riveste rispetto al luogo in cui la perquisizione è avvenuta. (Ad esempio: GLORIOSO Raffaele, nato a _____________________ fratello di ________________ e proprietario del Motopesca 1OL123, oppure: GLORIOSO Gino, nato a ______________ figlio di _________________ proprietario del Motopesca 1OL123 e al momento assente).
Segue ⇒
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La perquisizione è stata conclusa alle ore __________ del _____________________________ Trattandosi di perquisizione locale eseguita nei confronti della persona sottoposta alle indagini ed essendo questa presente si è provveduto a invitarla a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio. Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso _________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’avvocato ____________________ del foro di _______________________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia). (Naturalmente, se la perquisizione è stata effettuata presso un terzo (diverso cioè dalla persona indagata), questi non deve eleggere o dichiarare domicilio: Deve farlo solo la persona «indagata» se è intervenuta. La dichiarazione o l’elezione di domicilio non va effettuata se la perquisizione non è il primo atto compiuto con l’intervento dell’indagato). Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita). Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)
Firma:
- della persona perquisita _______________________ Segue ⇒
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► Ricordare che:
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di _________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di armi, munizioni o materie esplodenti eseguita, a norma dell’art. 41 T.U.L.P.S. (R.D. 18/6/1931, n. 773), nei confronti di ________________________ nato a ___________________ il ________________ residente in __________________ via ____________________ n.° ____ Tel ___________ professione o mestiere ___________________________ identificato mediante ______________________ n° ____________ rilasciato da ____________________ il ____________________.
Il _______________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G. _________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) danno atto che alle ore ___________ del ________________ (se la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G., specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere - art. 113 att.) hanno dato luogo alla perquisizione del seguente luogo (indicare compiutamente il luogo pubblico o privato, abitazione, dove è avvenuta la perquisizione), dovendo ritenere, per motivi appresso indicati, che potessero qui trovarsi armi e/o munizioni e/o materie esplodenti non denunciate (oppure: non consegnate, o comunque abusivamente detenute). [Se si tratta di perquisizione domiciliare e cioè di una perquisizione locale compiuta in una abitazione o in luoghi chiusi adiacenti a essa o luoghi destinati a uso domestico o destinati al suo servizio o completamento, è opportuno precisare i motivi che hanno indotto - se del caso – al mancato rispetto dei limiti temporali – ore 07.00/20.00 – previsti per tale tipo di perquisizione dall’art. 251 c.p.p. A differenza di quel che accade per le perquisizioni disciplinate dal codice, la precisazione è opportuna, ma non indispensabile. La intrinseca pericolosità delle «cose» che si ricercano giustifica la deroga alla disposizione generale essendo evidente che un pur limitato ritardo nella esecuzione dell’atto può pregiudicarne l’esito]. Segue ⇒
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Si sono portati nei locali sopra specificati e qui hanno fatto presente a____________________ (indicare le generalità complete della persona intervenuta e la qualifica che riveste rispetto al luogo ove avviene la perquisizione) le ragioni del loro intervento rendendo la persona predetta edotta della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia e/o da altra persona sempre di sua fiducia, senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto ______________________ (sarà specificato a seconda dei casi: a) avendone risposta negativa; b) a seguito di che ha dichiarato di volersi far assistere o rappresentare da __________________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ________________ e che è (oppure: non è) intervenuto nel corso della perquisizione. L’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale, sarà indicato l’eventuale congiunto o coabitante o collaboratore ovvero, in mancanza, il portiere o chi ne fa le veci. Quando, per mancanza di persone idonee o per altra circostanze non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto della situazione e degli atti compiuti per introdursi nel luogo. Ove gli operanti abbiano ritenuto di invitare la persona a consegnare la cosa, si darà atto di ciò e dell’esito dell’invito: se la cosa è consegnata non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi egualmente per la completezza delle indagini – art. 248, co.1 c.p.p.)).
- della persona perquisita _______________________
Segue ⇒
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► Ricordare che:
(*) La polizia giudiziaria può ordinare che taluno, presente o sopraggiunto nel corso della perquisizione, non si allontani dal luogo prima che le operazioni siano concluse. Dell’ordine e dei motivi dello stesso va dato atto nel verbale. Chi trasgredisce all’ordine è trattenuto e ricondotto coattivamente sul posto e può rispondere del reato di cui all’art. 650 c.p. (art. 250 c.p.p.). Le garanzie previste dal codice per le perquisizioni locali devono ritenersi applicabili anche a quella in esame. Sicché il verbale delle operazioni compiute (previa conservazione di copia) va trasmesso senza ritardo e comunque non oltre 48 ore dal loro compimento al P.M. del luogo dove la perquisizione è stata eseguita. Il P.M. convalida la perquisizione nelle 48 successive quando accerta che ne ricorrevano i presupposti. ► Ricordare che:
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ___________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di perquisizione sul posto eseguita, a norma dell’art. 4 L. 22 Maggio 1975 n. 152, nei confronti di ________________________ nato a ___________________________ il ________________ residente in __________________ via ____________________ n.° ____ Tel _________________ professione o mestiere ___________________________ identificato mediante _______________________ n° ________________________________ rilasciato da ____________________ il ____________________.
Il ____________ alle ore ______ in _________________ località _____________ i sottoscritti Ufficiali e Agenti di P.G._________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) riferiscono che durante lo svolgimento di una operazione di polizia disposta _______________________, hanno notato, alle ore_________ del ____________________ la persona indicata in oggetto il cui atteggiamento (ovvero: la cui presenza) destava sospetto in relazione al fatto che _______________________ [descrivere l’atteggiamento della persona e spiegare perché esso o la sola presenza non apparivano giustificabili in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo (ad esempio: la prossimità a un “obiettivo tutelato”) e di tempo (ad esempio: di notte)].
Segue⇒ |
(Naturalmente questa parte dello schema del Verbale va omessa se l’estensione della perquisizione al mezzo non vi è stata). La perquisizione ha dato esito __________________________________________ [Indicare, a seconda dell’esito:
Il presente Verbale, riletto, confermato e sottoscritto, viene redatto in triplice esemplare, di cui uno consegnato all’interessato (il Verbale va redatto contestualmente salvo che non sussistano insuperabili circostanze da indicare specificamente; il Verbale va consegnato all’interessato e trasmesso senza ritardo e comunque entro le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della Repubblica per la convalida. Se la perquisizione è estesa al mezzo di trasporto e per essa è stato redatto un autonomo verbale, di questo non è prevista la consegna all’interessato), reso edotto che l’originale sarà trasmesso al Procuratore della Repubblica entro 48 ore dal compimento delle operazioni. La sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).
Firma:
- della persona perquisita _______________________
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Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
Oggetto: Verbale di Sequestro effettuato:
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Delle cose sequestrate è stato formato apposito plico sigillato mediante _________________ sigilli in ceralacca con l’impronta dell’Ufficio. Il plico è stato affidato in custodia alla segreteria del pubblico ministero (art. 259 c.p.p.). Si dà atto altresì che, prima di procedere alle attività sopra indicate, il Sig. __________________________, persona sottoposta alle indagini e che era presente sul posto, è stato reso edotto della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto. La persona sottoposta alle indagini ha dichiarato di: (1. non volersi far assistere dal difensore di fiducia; 2. volersi far assistere o rappresentare da ___________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo __________ e che è (oppure, non è) intervenuto all’atto)(*).
Firme ____________________________
(*) Ovviamente, la parte del Verbale concernente l’assistenza del difensore ha ragione di essere se esiste un “indagato” e non anche se l’autore del fatto è ignoto. Se il difensore è intervenuto e ha formulato osservazioni, aggiungere :”formulando le seguenti osservazioni e i seguenti rilievi……”. Se si tratta del primo atto compiuto con il suo intervento, la persona sottoposta alle indagini è dunque invitata anche ad eleggere domicilio a norma dell’art. 161 c.p.p. Sarà usata una formula del genere : ”La persona sottoposta alle indagini che è presente viene invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio. Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________ (oppure: ha rifiutato di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato __________ del Foro di __________________________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia)”.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr._____________
Oggetto: Verbale di accertamenti urgenti...(rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici)
Il giorno _____________ alle ore _________ in ____________________________ nell'ufficio di ______________________ Noi sottoscritti (grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) diamo atto che alle ore ________ del_________________________ ci siamo recati in ___________________________________ perché _______________________ (indicare la ragione dell’intervento ed il fatto criminoso verificatosi). Qui abbiamo curato preliminarmente che le tracce e le cose pertinenti al reato fossero conservate e lo stato dei luoghi e delle cose non venisse mutato. In particolare abbiamo _______________________________ (indicare le tecniche operative usate per procedere al corretto svolgimento dell’attività conservativa). Sussistendo peraltro il pericolo di alterazione (dispersione o modificazione) delle tracce e delle cose pertinenti al reato e non potendo il P.M. presso ___________________________ di ___________________ immediatamente avvertito, intervenire tempestivamente, al fine di evitare che l’attività investigativa ed assicurativa rischiasse di non poter più essere utilmente compiuta se differita, abbiamo effettuato i seguenti accertamenti e/o rilievi (se gli accertamenti e i rilievi sono effettuati da ausiliari di P.G. o da personale specializzato, dovranno indicarsene generalità e qualifiche, precisando se la documentazione avverrà mediante altro verbale) (*)
Segue ⇒
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Prima di procedere all’attività di P.G. sopra indicata, abbiamo reso edotto l’indagato della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto, ricevendone riposta negativa (oppure: appresa tale possibilità ha dichiarato di voler farsi assistere o rappresentare da _______________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ______________ e che è intervenuto all’atto). Egli, altresì, invitato ad eleggere domicilio, ha dichiarato: «__________________________________________________________________________». Al verbale, chiuso alle ore ________ del ________________, si allegano gli esisti dei rilievi e degli accertamenti effettuati. Sintesi del verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI). Riletto, confermato e sottoscritto. Data _______________
Firma dei militari operanti _______________________
(*) Indicare specificatamente l’attività svolta: ispezione dei luoghi e delle cose (descrizione dettagliata dello stato dei luoghi e delle cose in tutti i loro particolari), precisando anche accertamenti, rilievi ed ispezioni tecniche.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Verbale di arresto in flagranza di ___________________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a _____________________________ Via _______________________ n. _____ tel ________ professione ______________________ soprannome/pseudonimo ______________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________________ (se l’identificazione avviene mediante un documento di identità dire:” identificata mediante __________ n. ______ rilasciato il _______________ da ______________________________________ “)
(*) Ricordare: quando si tratta di arresto facoltativo indicare sempre le ragioni che hanno indotto all’adozione della misura. Si raccomanda che siano sempre indicate le ragioni della gravità del fatto o della pericolosità del soggetto desunta dalla personalità dello stesso o dalle circostanze del fatto medesimo. Se si tratta di delitto perseguibile a querela, specificare anche “_________________________ e avendo la persona offesa (indicare le generalità) _________________________________
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I verbalizzanti attestano di aver dato notizia dell’arresto al Procuratore della Repubblica presso ___________________________ di ____________________ e di averne informato il difensore Avv. _____________________________ rispettivamente con comunicazioni effettuate a mezzo _______________________ alle ore_________ e alle ore _______ del giorno _____________.
Riletto, confermato e sottoscritto.
Ricordare: Il Verbale va trasmesso al Pubblico Ministero (art. 386, co.3). Autonomamente o congiuntamente va trasmessa la documentazione relativa alle altre attività di indagine eventualmente svolte. Nel caso di arresto per reati di competenza del Tribunale in composizione monocratica, può essere, se del caso, riportato nello stesso o in separato Verbale: “Si dà atto che il Procuratore della Repubblica presso il Giudice Unico _________________ ha disposto che l’arrestato fosse presentato direttamente al Giudice per la convalida e il contestuale giudizio. Con separato atto (che ha consegnato ai verbalizzanti) ha altresì formulato la imputazione”. Nello stesso Verbale può essere dato atto dell’avvenuta consegna dell’arrestato all’istituto di custodia aggiungendo una formula del tipo: “Attestano altresì che, come emerge anche dall’allegata nota di consegna all’istituto di custodia, l’arrestato è stato condotto nell’istituto di _________________, luogo ove l’arresto è stato eseguito, alle ore ___________ del giorno ________________ “ Anche se ciò non avviene perché il Verbale viene «chiuso» prima della «conduzione in carcere» dell’arrestato, è peraltro di fondamentale importanza che la nota di consegna sia allegata al verbale. La nota (V. Consegna a istituto di custodia) deve comunque riportare la puntuale indicazione dell’ora e del giorno della consegna all’istituto di custodia. Tale indicazione riveste grande rilievo in quanto la P.G. mette l’arrestato o il fermato a disposizione del P.M. proprio attraverso la conduzione in carcere e tale messa a disposizione deve avvenire, a pena di inefficacia della misura, «al più presto e comunque non oltre 24 ore dall’arresto o dal fermo». Nei casi in cui la consegna dell’arrestato all’istituto di custodia avviene dopo la redazione del verbale, questo dovrà riportare una espressione del genere: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso anche mediante trasmissione della nota di consegna all’istituto di custodia), l’arrestato sarà condotto nell’istituto di custodia di ________________, luogo di esecuzione dell’arresto, e, in tal modo posto a disposizione del procuratore della Repubblica ______________________”. Nei casi in cui l’obbligo di conduzione in carcere è derogato a norma dell’art. 386, il verbale potrà riportare una delle formulazioni che seguono: Se il verbale precede la conduzione nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora o nell’istituto di custodia specificamente individuato ovvero precede il ricovero in luogo di casa di cura, si potrà dire: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso) e, come disposto dal P.M. dott. __________________ della Procura della Repubblica _________________, l’arrestato sarà condotto presso la propria abitazione sita in ____________________________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________ ) per essere qui posto a disposizione del Sig. Procuratore della Repubblica di _____________________”. Il verbale è trasmesso al più presto e comunque non oltre le 24 ore dall’arresto. Il P.M. può peraltro autorizzare una dilazione maggiore che, al massimo, potrà coincidere con il momento in cui lo stesso P.M. formula al GIP la richiesta di convalida (art.122 att.) (art. 390 c.p.p.: “Entro 48 ore dall’arresto _______________ richiede la convalida ________________”). |
Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
Oggetto: Verbale di fermo di indiziato di delitto a carico di __________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a ____________________ Via ___________________________ n. __________ tel __________ professione ______________ soprannome/pseudonimo __________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________ ______(se l’identificazione avviene mediante un documento di identità dire:”identificata mediante _______________________ n. ______ rilasciato il______________ da _____________________________________ “)
Il ______________ alle ore_________ negli Uffici ________________________ i sottoscritti Ufficiali – Agenti di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) in servizio presso ______________________ riferiscono che alle ore ________ del__________________ in ______________________, non avendo ancora il Pubblico Ministero assunto la direzione delle indagini (oppure: non essendo stato possibile, per la situazione di urgenza appresso indicata, attendere il provvedimento del P.M.;
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Alle ore ________(in caso contrario verbalizzare: “su specifica richiesta, il fermato ha dichiarato che non intende che dell’avvenuto fermo siano avvisati i suoi familiari”) I verbalizzanti attestano di aver dato notizia del fermo al Procuratore della Repubblica presso ____________________ di ____________________ e di averne informato il difensore Avv. ___________________ rispettivamente con comunicazioni effettuate a mezzo _______________ alle ore______ e alle ore _____ del giorno _____________. Riletto, confermato e sottoscritto.
Ricordare: Quanto al fondato pericolo di fuga richiesto dall’art. 384, che esso sussiste solo quando ricorrono precise circostanze di fatto, concretamente apprezzabili, tali da far ritenere probabile la fuga del soggetto. Non bastano dunque generiche supposizioni soggettive basate su presupposti non concreti Il Verbale va trasmesso al P.M. (art. 386, co.3). Autonomamente o congiuntamente va trasmessa la documentazione relativa alle altre attività di indagine eventualmente svolte. Nello stesso Verbale può essere dato atto dell’avvenuta consegna del fermato all’istituto di custodia aggiungendo una formula del tipo: “Attestano altresì che, come emerge anche dall’allegata nota di consegna all’istituto di custodia, il fermato è stato condotto nell’istituto di _________________, luogo ove il fermo è stato eseguito, alle ore ___________ del giorno ________________ “ Anche se ciò non avviene perché il Verbale viene «chiuso» prima della «conduzione in carcere» del fermato, è peraltro di fondamentale importanza che la nota di consegna sia allegata al verbale. La nota (V. Consegna a istituto di custodia) deve comunque riportare la puntuale indicazione dell’ora e del giorno della consegna all’istituto di custodia. Tale indicazione riveste grande rilievo in quanto la P.G. mette il fermato a disposizione del P.M. proprio attraverso la conduzione in carcere e tale messa a disposizione deve avvenire, a pena di inefficacia della misura, «al più presto e comunque non oltre 24 ore dal fermo». Nei casi in cui la consegna del fermato all’istituto di custodia avviene dopo la redazione del verbale, questo dovrà riportare una espressione del genere: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso anche mediante trasmissione della nota di consegna all’istituto di custodia), il fermato sarà condotto nell’istituto di custodia di ________________, luogo di esecuzione del fermo, e, in tal modo posto a disposizione del procuratore della Repubblica ______________________”. Nei casi in cui l’obbligo di conduzione in carcere è derogato a norma dell’art. 386, il verbale potrà riportare una delle formulazioni che seguono: Se il verbale precede la conduzione nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora o nell’istituto di custodia specificamente individuato ovvero precede il ricovero in luogo di casa di cura, si potrà dire: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso) e, come disposto dal P.M. dott. __________________ della Procura della Repubblica _________________, il fermato sarà condotto presso la propria abitazione sita in ____________________________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________ ) per essere qui posto a disposizione del Sig. Procuratore della Repubblica di _____________________”. Il verbale è trasmesso al più presto e comunque non oltre le 24 ore dal fermo. Il P.M. può peraltro autorizzare una dilazione maggiore che, al massimo, potrà coincidere con il momento in cui lo stesso P.M. formula al GIP la richiesta di convalida (art.122 att.) (art. 390 c.p.p.: “Entro 48 ore dal fermo _______________ richiede la convalida ________________”).
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Ministero delle Infrastrutture d dei trasporti CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
Oggetto: Consegna a istituto di custodia di __________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a ____________________ Via ______________ n. _____ tel _____________ professione _____________________________ soprannome/pseudonimo _____________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________
Il Dirigente dell’Ufficio
INTESTAZIONE DELL’ISTITUTO DI CUSTODIA Si attesta che alle ore ____________ del _______________ è stato ricevuto in consegna il Sig. _____________________ condotto in questo istituto___________ dal personale di P.G. in servizio presso l’Ufficio _______________________.
Il Comandante del Corpo di polizia penitenziaria
(*) V. art. 94 att. E, quanto all’isolamento e alle modalità di disporlo, art. 22 DPR 29/4/1976, n. 431 – Reg. ordinamento penitenziario
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Diamo atto che:
su delega dell’Autorità Giudiziaria:
Letto, chiuso, confermato e sottoscritto.-
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
All. Nr. 11
Al Sig. Procuratore della Repubblica
Il giorno 22.12.2003 alle ore 17.15 circa, presso i locali dell’Ospedale Civile Paolo Merlo di la Maddalena (SS), in ottemperanza a quanto disposto dalla S.V., noi sottoscritti Ufficiali di P.G. 1° M.llo Np. SANZIO Raffaelo (Capo Sezione Uff. Contenzioso) e C° 2^ cl. Np. GRIGNANI Gianluca (Comandante M/V CP. 2017),
DIAMO ATTO CHE:
su delega dell’Autorità Giudiziaria:
Letto, chiuso, confermato e sottoscritto.-
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Oggetto: Relazione di notificazione
Il sottoscritto Ufficiale o Agente di P.G _________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) certifica che, come da richiesta ___________________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria richiedente) ha notificato il presente atto (se la relazione di notificazione non è scritta in calce all’originale e alla copia notificata dell’atto, occorre invece precisare quale tipo di atto è stato notificato) a____________________________ (riportare le indicazioni necessarie per la identificazione della persona cui l’atto è destinato):
ovvero:
[Il sottoscritto dà atto che la consegna dell’atto è avvenuta in plico chiuso e che la relazione di notificazione è stata scritta all’esterno del plico stesso] (Il periodo scritto in parentesi va riportato solo se si tratta di notificazione all’indagato o imputato). _________________ (Luogo e data)
L’Ufficiale/Agente di P.G. ___________________
Se l’atto è consegnato al portiere (o chi ne va le veci), la di lui sottoscrizione sull’originale dell’atto è prescritta a pena di nullità (art. 171 co.1 lett. g). Se l’atto è consegnato all’interessato o ad altra delle persone indicate dalla legge, la sottoscrizione non è prescritta.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
La P.G. deve annotare, sull’originale dell’avviso, il numero chiamato, il giorno e l’ora della telefonata, le funzioni o le mansioni di chi riceve la telefonata e il rapporto che esiste tra il destinatario e chi riceve la comunicazione; la comunicazione telefonica non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario o da chi convive con lui (anche temporaneamente). La P.G. deve chiamare, nell’ordine, il numero, il numero dell’abitazione, quello del luogo di abituale lavoro, quello di temporanea dimora o recapito del destinatario. Nel caso di avviso telefonico al difensore (ad esempio, perché assista a un atto o all’udienza di convalida), l’avviso è valido anche se è stato ricevuto e registrato solo dalla segreteria telefonica.
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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Capitaneria di Porto di ____________________
Il sottoscritto Ufficiale o Agente di P.G ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) certifica di non aver potuto procedere, come da richiesta __________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria richiedente) alla notifica di copia dell’atto (indicare il tipo di atto) a __________________ (riportare le indicazioni necessarie per la identificazione della persona cui l’atto è destinato) mediante consegna a mani del destinatario, di persone conviventi ovvero del portiere stante l’assenza degli stessi (oppure: la inidoneità degli stessi; oppure: il rifiuto di ricevere la copia dell’atto dagli stessi opposto). Certifica inoltre che la predetta impossibilità di procedere alla notifica è stata verificata nei due accessi eseguiti, a norma dell’art. 59 D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, nel giorno __________ alle ore _____ e nel giorno ___________ alle ore ______. A ragione di ciò, il sottoscritto ha proceduto, il giorno _____________ alle ore _____, al deposito di copia integrale dell’atto nella casa Comunale dove il destinatario ha l’abitazione (oppure: esercita abitualmente la sua attività lavorativa) e ha altresì, il giorno __________, affisso avviso del deposito alla porta della casa del destinatario dell’atto (oppure: alla porta del luogo dove il destinatario esercita la sua attività lavorativa).
Se la notificazione non è stata possibile dopo il «secondo accesso» e non hanno dato esito neppure le procedure di deposito e affissione sopra indicate, l’Autorità Giudiziaria dispone nuove e autonome ricerche che affida alla P.G.
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PROCURA DELLA REPUBBLICA
Rif. Fasc. N°. _____ R.G. del ________________ (1)
Delego Comando in indirizzo ad effettuare ampie indagini volte ad individuare fonti inquinanti dei fiumi, canali e specchi d’acqua rientranti nella competenza territoriale dell’Ufficio in indirizzo.
In particolare:
Tempio lì, 19 Gennaio 2010.-
IL Pubblico Ministero
(1) Registro Generale delle Notizie di Reato (NdR)
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[1] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwjg-7X-pOzbAhXCuxQKHWGjD0IQFggoMAA&url=https%3A%2F%2Fwww.studiocataldi.it%2Fcodiceprocedurapenale%2Fcodiceprocedurapenale.asp&usg=AOvVaw2eQ0jcjxikR4QIsJoEqP84
[2] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2000-01-18&atto.codiceRedazionale=000A0410&elenco30giorni=false
[3] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1981/04/10/081U0121/sg
[4] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/09/12/16G00193/sg
[5] https://www.studiocataldi.it/codiceprocedurapenale/codiceprocedurapenale.asp
[6] https://www.studiocataldi.it/normativa/immigrazione/schengen/
[7] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1978/03/22/078U0059/sg
[8] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1931/06/26/031U0773/sg
[9] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=5&ved=0ahUKEwiB_beThu_bAhUJvRQKHQuXCj4QFgheMAQ&url=http%3A%2F%2Fwww.edizionieuropee.it%2FLAW%2FHTML%2F46%2Fzn81_03_001.html&usg=AOvVaw3j2cQXGKzzlW6vPCHdAcGb
[10] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1998/08/18/098G0348/sg
[11] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1990-10-31&atto.codiceRedazionale=090G0363
[12] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=nKiSCjSj1Z8W0oxClx46Ag__.ntc-as2-guri2b?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2005-08-01&atto.codiceRedazionale=005G0179&elenco30giorni=false
[13] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/19/001G0167/sg
[14] https://www.esteri.it/mae/normative/normativa_consolare/visti/acquis_di_schengen.pdf