Sono passati oltre sedici anni da quello che è considerato il più grave disastro ambientale del Mediterraneo: l’affondamento della Haven e lo sversamento di decine di migliaia di tonnellate di idrocarburi nel mare ligure. Ci sono voluti altri incidenti, dalla Erika alla Prestige perché si cominciasse a prendere in considerazione la possibilità di dotarsi di una normativa più avanzata in questo settore e sono tuttora in esame una serie di misure per rendere più sicuro il trasporto di prodotti petroliferi lungo le coste europee e mediterranee.
L'Italia per motivi geografici, trattandosi di un Paese posto al centro di un mare semi-chiuso di grande interesse strategico e particolarmente vulnerabile sotto il profilo ambientale è parte contraente di quasi tutti i trattati in materia di protezione dell'ambiente marino aventi un'applicazione generale. Per ciò che concerne la tutela del mare alcuni riferimenti normativi sono d’obbligo. L’Italia è uno degli Stati che ha ratificato la Convenzione di Barcellona sulla tutela del mare mediterraneo, e si attiene a quelle che sono le linee guida della convenzione Marpol sull’inquinamento dei mari attraverso le sostanze tossiche ed inquinanti. Sul piano regionale una speciale considerazione merita la già menzionata convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976), un trattato-quadro, cui hanno fatto seguito quattro protocolli applicabili a specifici settori ambientali. Altri accordi, aventi un ambito di applicazione più ristretto riguardano l'Adriatico (accordo con la Jugoslavia, firmato a Belgrado, il 14 febbraio 1974), lo Jonio (accordo con la Grecia, firmato a Roma il 6 marzo 1979) e il Mar Ligure (accordo con la Francia e Monaco, firmato a Monacpo il 10 maggio 1976.
La necessità di uniformare la normativa nazionale con quella internazionale e al fine di colmare numerosi vuoti legislativi, a partire dalla metà degli anni '70 diversa è stata la normativa prodotta.
La legge n. 979 del 31.12.1982, meglio nota come “legge sulla difesa del mare”, nella parte finale del I comma dell’art.6, riferendosi alle caratteristiche dei mezzi navali da acquisire per il disimpegno del servizio di vigilanza dalla stessa previsto con l’art. 2, lett. c), stabilisce che tali mezzi “dovranno essere progettati ed attrezzati anche (...) per operazioni antinquinamento”.
Con il D.M. 20.5.83, come è noto, sono state successivamente determinate le suddette caratteristiche, sulla base delle quali sono stati poi realizzati i Pattugliatori d’Altura della classe “Cassiopea”. Questi ultimi, dunque, possono essere impiegati (come è già avvenuto in passato) in interventi per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti e, in tale eventualità, sono chiamati ad operare nell’ambito dell’organizzazione di “pronto intervento” che in questi casi viene attivata in forza delle disposizioni contenute negli articoli 10 e 11 della suddetta legge 979/82.
Va ricordato che tali disposizioni devono essere lette, ovviamente, alla luce dell’art.10, comma I, della Legge n. 537 del 24.12.93 e del correlato D.M.19.1.94, con i quali sono state trasferite al Ministero dell’Ambiente tutte le funzioni in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino in precedenza attribuite al soppresso Ministero della Marina Mercantile. A seguito di tali provvedimenti normativi è, quindi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che provvede, nel quadro del Servizio Nazionale di Protezione Civile, d’intesa con le altre amministrazioni civili e militari dello Stato e mediante il concorso degli enti pubblici territoriali, alla organizzazione del pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti.
Più precisamente, nel disimpegno di tale delicata competenza, il Ministero dell’Ambiente si avvale, a livello centrale, del Servizio Difesa Mare (DIFMAR) (ora Direzione Generale per la Protezione della Natura) e dell’Istituto Centrale di Ricerca Applicata al Mare (ICRAM), entrambi istituiti presso lo stesso Ministero.
A livello periferico, organi funzionalmente dipendenti, in questo specifico campo, dal Dicastero dell’Ambiente sono, invece, le Capitanerie di Porto, alle quali la normativa vigente assegna il compito di attuare il c.d. “pronto intervento”, in stretto contatto con i Centri Operativi Periferici esistenti presso i Servizi Supporto Navale (S.S.N) delle Direzioni Marittime.
L’art.11, comma I, della L. 979/82 stabilisce, infatti, che “nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque del mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte e suscettibili di arrecare danni all’ambiente marino, al litorale e agli interessi connessi, l’Autorità Marittima nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, è tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico o del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli”.
In particolare, come specificato dal II comma dello stesso articolo 11, qualora l’inquinamento in atto o la minaccia di inquinamento sia tale da determinare una situazione di emergenza, il Capo del Compartimento Marittimo (vale a dire il Comandante della Capitaneria di Porto) competente per territorio dichiarerà lo “stato di emergenza locale”, dando di ciò tempestiva comunicazione al Centro Operativo Antinquinamento (C.O.A.) del summenzionato Difmar ed assumendo contestualmente la direzione delle relative operazioni, sempre in stretto contatto con lo stesso C.O.A. e con il competente Centro Operativo Periferico (C.O.P.). Quest’ultimo, in particolare, assumerà direttamente la direzione delle operazioni qualora l’inquinamento riguardi le acque rientranti nella giurisdizione di due o più Compartimenti marittimi limitrofi.
Tramite il proprio C.O.A., a sua volta, Difmar provvederà a dare immediata comunicazione dell’avvenuta dichiarazione dell’emergenza locale al Servizio Nazionale della Protezione Civile (PROCIVILMARE).
Nel corso di tale stato di emergenza il Comandante della Capitaneria di Porto competente coordinerà le operazioni sulla base dei “Piani operativi di pronto intervento locale” adottati dagli stessi Capi di Compartimento di concerto con i Prefetti e con gli organi del Servizio Nazionale della Protezione Civile, con il coinvolgimento, altresì, delle altre amministrazioni periferiche interessate. Va rilevato che qualora lo stato di emergenza locale riguardi un inquinamento che interessi anche la costa, con l’Autorità Marittima interagirà la Prefettura alla quale spetta la direzione delle operazioni di bonifica svolte sulla terraferma.
Diversa da quella sinora esaminata è l’ipotesi in cui l’emergenza derivante da un inquinamento marino sia tale da non poter essere fronteggiata con i mezzi a disposizione del Ministero dell’Ambiente.
In questo caso, infatti, in base al D.Lgs.n.29 del 03.02.93, il titolare di tale Dicastero dovrà chiedere al Ministro per il coordinamento della Protezione Civile di promuovere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una volta dichiarato tale massimo stato di emergenza, la direzione e la responsabilità di tutte le operazioni spetterà al Sottosegretario di Stato delegato alla Protezione Civile il quale opererà sulla base del “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini”, adottato dagli Organi del Servizio Nazionale per la Protezione Civile ed approvato con il D.M. 11.01.93. Tale Piano, in particolare, costituisce il “terzo livello temporale” di quello che può essere considerato come un unico piano operativo nazionale che vede ai primi due livelli, rispettivamente, i “Piani di pronto intervento locale” delle singole Capitanerie ed il “Piano di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti” approvato, quest’ultimo, con D.M.03.3.87, dall’allora Ministro della Marina Mercantile.
La dichiarazione dello stato di emergenza nazionale antinquinamento costituisce, in generale, la naturale conseguenza di una situazione di “grande inquinamento”, intendendosi, come tale, quello difficilmente contenibile e/o che coinvolga, a causa dell’estensione della zona interessata, più Centri Operativi Periferici ovvero che minacci tratti di costa e/o di litorale di particolare pregio e valore. A prescindere da valutazioni di carattere economico/ambientale, rientra, altresì, nella nozione di “grande inquinamento” anche l’immissione in mare di sostanze che costituiscano seria minaccia per l’incolumità e la salute delle popolazioni rivierasche.
Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, lo sversamento di idrocarburi, esiste un limite quantitativo, pari a 1.000 metri cubi, al di sopra del quale le immissioni sono convenzionalmente considerate “grandi inquinamenti”.
Sotto il profilo organizzativo, nel caso di emergenza nazionale, viene attivato, presso il Dicastero della Protezione Civile, il Centro Operativo Emergenza in Mare (C.O.E.M.) che ha il compito di seguire continuamente l’evolversi della situazione acquisendo tutti i dati e le notizie utili per consentire al titolare del Dicastero stesso di disimpegnare al meglio la propria attività direttiva e di coordinamento di tutte le forze impegnate.
Nello svolgimento di tale delicata attività, il Ministro per il coordinamento della Protezione Civile si avvale, altresì, a livello periferico, dei Centri Operativi Periferici e dei Capi di Compartimento Marittimo mentre, a livello centrale, di notevole ausilio risulta l’opera svolta dal Comitato Tecnico - Scientifico (previsto dal D.M.11.8.90) e dal C.O.A. di Difmar, a sua volta collegato al Centro Nazionale di Coordinamento e Raccolta Dati (esistente presso lo stesso Difmar) ed alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap).
Un’ulteriore ipotesi di emergenza che può verificarsi è, infine, quella in cui si renda necessaria l’attuazione di un intervento antinquinamento in acque internazionali al fine di scongiurare la possibilità di danni alle coste ed all’ecosistema delle nostre acque territoriali e interne. Tale intervento è previsto e disciplinato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Bruxelles del 1969, meglio nota come “Intervention 69”, alla quale è stata data regolare attuazione nell’ambito del nostro ordinamento giuridico.
In particolare, l’art.1 del D.M.25.9.95, in considerazione della particolarità e delicatezza dell’intervento in alto mare e della complessità degli interessi che, in questo caso, possono essere coinvolti, ha precisato che la relativa decisione deve essere adottata dal Ministero dell’Ambiente solo previa intesa con i Ministeri degli Affari Esteri e della Difesa e sentiti il Ministero dei Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato.
Una volta adottata tale decisione, la direzione delle operazioni sarà assunta dal Direttore Generale per la Protezione della Natura (o da un suo delegato) il quale, qualora l’intervento risulti alquanto complesso, si avvarrà dell’opera del Comitato Permanente Interministeriale di Pronto Intervento (previsto dal D.P.R.504/78) che, in questo caso (come in altri di una certa gravità), viene convocato d’urgenza tramite il C.O.A. dello stesso Dicastero.
L’attivazione, nei diversi stati di emergenza sopra esaminati, della struttura organizzativa del “pronto intervento” antinquinamento, per poter produrre risultati soddisfacenti, deve essere necessariamente connotata, come è ovvio, dal requisito della tempestività. A tal fine, il Protocollo I alla Convenzione Marpol 73/78 e l’art.12 della L. 979/82 prevedono che nel caso di avarie o incidenti suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino attraverso lo sversamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, il comandante, l’armatore o il proprietario della nave debbano informare, senza indugio, l’Autorità Marittima più vicina al luogo del sinistro, adottando, nel contempo, “ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti”.
In questo caso i summenzionati soggetti vengono diffidati ad adottare le suddette misure dalla stessa Autorità Marittima la quale, nel caso in cui tale diffida resti senza effetto ovvero non produca gli effetti sperati entro un termine a tal fine assegnato, provvederà ad eseguire gli interventi necessari per conto dell’armatore o del proprietario, recuperando poi dagli stessi le spese sostenute.
Nei casi di comprovata urgenza, tuttavia, l’Autorità Marittima adotterà tali interventi, sempre per conto dell’armatore o del proprietario, anche in assenza della preventiva diffida.
Va aggiunto che, al fine di rendere gli interventi antinquinamento “mirati” e, quindi, efficaci,, le segnalazioni circa la presenza in mare di sostanze inquinanti dovranno essere quanto più possibile dettagliate con riferimento, in particolare, alle condimeteo in atto, alla esatta posizione ed estensione della “macchia”, alla natura, alla quantità ed alla denominazione tecnica delle sostanze sversate. Nel caso di trasporto in colli, inoltre, occorrerà fare riferimento anche al tipo ed alle condizioni dell’imballaggio, indicando, altresì, il nome del fabbricante, del caricatore e del destinatario del carico.
Tali dati, nel caso in cui a ciò non provveda la nave che ha provocato l’inquinamento, dovranno essere forniti, ove possibile, da chiunque rilevi l’immissione in mare di sostanze inquinanti. Infatti, va ricordato che l’obbligo di segnalare uno stato di inquinamento marino sussiste non solo a carico dei soggetti individuati dalle summenzionate disposizioni normative, ma anche dei Comandanti di qualsiasi unità aeronavale, civile o militare.
L'immissione diretta nelle acque marittime di rifiuti di lavorazione industriale o proveniente da servizi pubblici, o da insediamenti di qualsiasi specie, è subordinata all'«autorizzazione» del Ministro dei Trasporti e della Navigazione, sentito il parere delle Regioni interessate
L'autorizzazione è condizionata alla garanzia della salvaguardia dell'ambiente marino. A questo fine sono vincolanti il parere espresso dal Ministero dell’Ambiente e quello fornito dalla Regione interessata. (es.:redazione dei piani paesaggistici, scarichi, depuratori, ecc.).
Le Capitanerie di Porto controllano che gli scarichi avvengano nel rispetto dell'autorizzazione e che in ogni caso vengano adottate le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento delle acque marittime.
[...]
A seguito di un sinistro marittimo devono essere adottate in «alto mare» le misure necessarie a prevenire, attenuare o eliminare gravi ed imminenti rischi, che ne possono derivare al litorale, dall’inquinamento delle acque del mare da idrocarburi o da altre sostanze nocive.
Secondo quanto stabilito dal DPR 504/78, che rende esecutiva la Convenzione di Bruxelles del novembre del 1969 (INTERVENZION 1969), la direzione di tutte le attività durante l’emergenza viene assunta dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (ex Mimerc), previa intesa con il Ministro degli Affari Esteri ed il Ministro della Difesa, fermo restando le attribuzioni delle altre Amministrazioni nella esecuzione dei compiti a loro attribuiti dalla legge.
La DIFMAR rappresenta il principale “strumento” che l’Italia possiede per la difesa del mare, grazie alla quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha attuato una politica tesa alla protezione dell’ambiente marino ed alla prevenzione di effetti dannosi e destabilizzanti alle risorse del mare, provvedendo con le Regioni alla formulazione di un “piano generale di difesa del mare dall’inquinamento” su tutto il territorio nazionale.
Per la realizzazione dei compiti che si è prefissato, il Dicastero ha provveduto:
A tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto ad organizzare una “rete di osservazione” circa la qualità dell’ambiente marino ed un idoneo sistema di sorveglianza sulle attività che si svolgono lungo le coste.
Tale rete é dotata di:
Nel quadro del servizio nazionale di protezione civile[1], il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, in intesa con gli altri Ministri ha provveduto alla organizzazione del “piano per il pronto intervento” per la difesa del mare e delle coste da inquinamenti causati da incidenti, devolvendo all’A.M. nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, tutte le misure necessarie, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli.
Art. 11- Nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque di mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte o suscettibili di arrecare danni all'ambiente marino, al litorale agli interessi connessi, l'Autorità marittima, nella cui area di competenza si verifichi l'inquinamento o la minaccia di inquinamento, e' tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli. Qualora il pericolo di inquinamento o l'inquinamento in atto sia tale da determinare una situazione di emergenza, il capo del compartimento marittimo competente per territorio dichiara l'emergenza locale, dandone immediata comunicazione al Ministro della marina mercantile, ed assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano operativo di pronto intervento locale, ferme restando le attribuzioni di ogni amministrazione nell'esecuzione dei compiti di istituto, da lui adottato d'intesa con gli organi del servizio nazionale della protezione civile.
Il Ministro della marina mercantile dà immediata comunicazione della dichiarazione di emergenza locale al servizio nazionale della protezione civile tramite l'Ispettorato centrale per la difesa del mare di cui al successivo art. 34.
Quando l'emergenza non è fronteggiabile con i mezzi di cui il Ministero della marina mercantile dispone, il Ministro della marina mercantile chiede al Ministro della protezione civile di promuovere la dichiarazione di emergenza nazionale. In tal caso il Ministro della protezione civile assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano di pronto intervento nazionale adottato dagli organi del servizio nazionale per la protezione civile.
Restano ferme le norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 maggio 1978, n. 504, per l'intervento in alto mare in caso di sinistri ed avarie a navi battenti bandiera straniera che possano causare inquinamento o pericolo di inquinamento all'ambiente marino, o al litorale.
Art. 12 - Il comandante, l'armatore o il proprietario di una nave o il responsabile di un mezzo o di un impianto situato sulla piattaforma continentale o sulla terraferma, nel caso di avarie o di incidenti agli stessi, suscettibili di arrecare, attraverso il versamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, danni all'ambiente marino, al litorale o agli interessi connessi, sono tenuti ad informare senza indugio l'autorità marittima più vicina al luogo del sinistro, e ad adottare ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti.
L'Autorità marittima rivolge ai soggetti indicati nel comma precedente immediata diffida a prendere tutte le misure ritenute necessarie per prevenire il pericolo d'inquinamento e per eliminare gli effetti già prodotti.
Nel caso in cui tale diffida resti senza effetto, o non produca gli effetti sperati in un periodo di tempo assegnato, l'autorità marittima farà eseguire le misure ritenute necessarie per conto dell'armatore o del proprietario, recuperando, poi, dagli stessi le spese sostenute.
Nei casi di urgenza, l'autorità marittima farà eseguire per conto dell'armatore o del proprietario le misure necessarie, recuperandone, poi, le spese, indipendentemente dalla preventiva diffida a provvedere.
Sentenza della Corte di Cassazione
Lo scarico in mare di sostanze comprese nell’Allegato alla legge n. 979/82, effettuato da nave italiana in acque internazionali secondo le prescrizioni della convenzione MARPOL (intendendosi con tale espressione sia la convenzione principale, sia gli annessi, sia gli allegati. Sia il protocollo) non costituisce reato, in quanto le norme di detta convenzione, entrate in vigore successivamente a quelle della citata L. n. 979/82, hanno introdotto una causa di liceità, in grado di incidere sullo stesso fatto tipico descritto negli art. 16 e 17 di quest’ultima, così da far escludere – essendosi verificata una vera e propria “abolitio criminis” – che lo scarico in mare di sostanze nocive eseguito in osservanza della convenzione MARPOL costituisca reato. Anche a voler ritenere astrattamente possibile l’apposta soluzione interpretativa, essa presenterebbe un tale tasso di irragionevolezza da porsi in contrasto con l’art. 3 Cost., tanto che un’ eventuale adesione ad essa renderebbe ineludibile la denuncia di illegittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 20 della L. n. 979/82. Cassazione penale sez. un., 22 luglio 1998. Dir. Trasporti 1999, 613 nota (ROSAFIO) |
[1] Organi: Presidente del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della protezione Civile, Procivilmare (Centro Operativo emergenza in mare), Ministro dell’Interno e Direzione generale Protezione Civile.
Tale strumento, pubblicato sul S.O. n° 101/L alla G.U. n° 124 del 29.5.1999, costituisce il tanto atteso testo unico sulla tutela delle acque dall’inquinamento. La fattispecie in esame era infatti, prima dell’emanazione del presente decreto, frazionata in una miriade di atti normativi che avevano di fatto sancito la nascita, accanto alla disciplina (introdotta dalla Legge 319/76 e ss.mm. ed integrazioni) basata sui limiti di accettabilità applicata agli scarichi, di acque presenti nei corpi idrici in relazione all’uso cui esse erano destinate..
L’autorità competente effettua il controllo degli scarichi (controlli preventivi e successivi) secondo un programma prestabilito fermo restando, per gli scarichi in pubblica fognatura, l’obbligo per gli enti gestori, sancito dall’art. 26 della legge 5 gennaio 1994 n° 36, di organizzare un adeguato servizio di controllo (art. 49 commi 1 e 2).
Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni può prescrivere, a carico del titolare, l’installazione di strumenti di controllo automatico (art. 52 comma 1).
Il Ministero dell’ambiente può esercitare poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni nel caso non vengano effettuati i previsti controlli ambientali (art. 53 comma 1 e 2).
In merito al comma 11 dell’art. 59[1]e alla sua coesistenza con l’art. 20 (abrogato) della Legge 979/82 si rileva come tale norma sia la riedizione integrale dell’articolo 24 bis della Legge 319/76 (peraltro abrogata dal Dlgs 152/99) il quale era stato a sua volta mutuato dall’art. 3 della legge 2.5.1983 n° 305 “ratifica ed esecuzione della convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico dei rifiuti ed altre materie, con allegati, aperta alla firma a Città del Messico, Londra, Mosca, Washington il 29.12.1972, come modificata il 12.10.1978[2].
Tale dettato normativo deve intendersi pertanto riferito al dumping e non sembra modificare in alcun modo la attuale validità dell’art. 20 della l. 979/82.
[1] Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque di mare da parte di navi o aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare. Resta fermo, in quest’ultimo caso l’obbligo della preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente.
[2] Pubblicata sul S.O. alla G.U. n° 174 del 27.6.1983.
Il Decreto Legislativo 152/06 recepisce otto Direttive comunitarie, accorpa le disposizioni per settori omogenei, abroga cinque leggi, dieci disposizioni di legge, quattro D.P.R., tre D.P.C.M. e otto D.M.
Ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.
Il decreto disciplina, in attuazione della Legge 15 dicembre 2004, n. 308, mira a semplificare, razionalizzare e riordinare la normativa ambientale esistente nei seguenti settori chiave:
Il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, quando dalle stesse possono derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.
[...]
Fatto salvo quanto previsto da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di “tutela delle acque dall’inquinamento” provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardi di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto (Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche), quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.
Fatto salvo quanto previsto da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di “rifiuti nonché della repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti” (di cui alla parte quarta del presente decreto), provvedono il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) e il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato.
Il legislatore al fine di aumentare la sicurezza marittima e di migliorare la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento provocato dalle navi [1], senza discriminazione di nazionalità, ha previsto all’art. 4 del Decreto n. 202/2007 il divieto di scarico delle “sostanze inquinanti” inserite nell’Allegato I (idrocarburi) e nell’Allegato II (sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla Convenzione MARPOL 73/78 (ratificata con Legge 29 settembre 1980, n. 662), come richiamate nell’elenco di cui all’Allegato A alla legge 31 dicembre 1982, n. 979, nelle acque marittime interne, compresi i porti, nelle acque territoriali, in alto mare, negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare (articolo 3).
La immissione di sostanze inquinanti (=scarico) nelle predette aree di mare è consentita – sotto la responsabilità del Comandante della nave - se effettuata nel rispetto delle condizioni di cui all’Allegato I (Norme relative alla prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi) o Allegato II (Norme relative al controllo dell’inquinamento da sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) della Convenzione MARPOL 73/78 (articolo 5).
• Misure di controllo per le navi che si trovano in porto (art. 6)
Per quanto attiene alle misure di controllo il citato decreto prescrive all’art. 6 che l’Autorità Marittima competente per territorio, a seguito dell’accertamento di irregolarità o sulla base di informazioni comunque acquisite, deve procedere ad apposita ispezione (PSC) ai sensi del D.M. 13 ottobre 2002, n. 305, come modificato dal decreto 2 febbraio 2006, n. 113, nei confronti delle navi - che si trovano all’interno del porto o in un terminale off-shore – allorquando sia in corso ovvero vi sia un imminente pericolo di scarico di sostanze inquinanti in una delle aree predette.
Se in base all’esito dell’ispezione (PSC), l’Autorità predetta ritenga che possa essere stato violato il divieto di cui all’articolo 4, comma 1 D.lgs. 202/07, informa le Autorità competenti per i provvedimenti conseguenti (Autorità dello Stato di bandiera, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) al fine della eventuale costituzione in giudizio come parte civile.
• Misure di controllo per le navi che si trovano in transito (art. 7, comma 1)
Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12 della legge 979/82 (vedi a pag. 17), se il presunto scarico i “sostanze inquinanti” è effettuato nelle aree di cui all’articolo 3 (acque marittime interne, compresi i porti; acque territoriali; alto mare; stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito; zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare e se la nave è sospetta di aver effettuato lo scarico non approda in un porto dello Stato italiano che detiene le formazioni riguardo al presunto scarico:
• Fermo della nave (art. 7, comma 2)
Se esistono elementi di prova certi ed obiettivi che una nave che naviga delle aree suindicate abbia effettuato uno scarico che provoca o minaccia di provocare un grave danno al litorale o agli interessi collegati allo Stato italiano o alle altre risorse delle acque territoriali o della zona economica esclusiva o di una zona equivalente (articolo 7), l’Autorità Marittima, qualora gli elementi di prova lo giustificano e fatto salvo quanto previsto nella parte XII, sezione 7, della Montego Bay 1982, procede, sulla base di apposite direttive indicate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a sottoporre a “fermo” la nave, ad informare le Autorità dello Stato di bandiera della nave e ad adottare le misure necessarie (articolo 6) allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli.
• Inquinamento doloso (sanzioni)
L’articolo 8, comma 1 D.lgs. 202/07 dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000.
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
Pene Accessorie
L’articolo 10, comma 1 D.lgs. 202/07 prevede a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8 la pena accessoria della «sospensione del titolo professionale» per il Comandante della nave e per le persone dell’equipaggio fornite dei titoli di cui all’art. 123 cod. nav., nonché la «sospensione dalla professione marittima» per i restanti membri dell’equipaggio, rispettivamente di durata non inferiore ad 1 (uno) anno, ai sensi dell’art. 1083 cod. nav.
• Inquinamento colposo (sanzioni)
L’articolo 9, comma 1 D.lgs. 202/07 dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
• Divieto di attracco (art. 11)
Al Comandante e ai membri dell’equipaggio condannati per i reati di cui agli artt. 8 e 9 l’attracco ai porti italiani per un periodo comunque non inferiore ad 1 (uno) anno, commisurato alla gravità del reato commesso, da determinarsi con Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
• Controlli ed accertamento delle violazioni (art. 12)
I controlli e gli accertamenti delle violazioni alle disposizioni di cui al D.lgs. 202/07 sono svolti dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria di cui all’art. 57, nn. 1 e 2 c.p.p. e, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le rispettive attribuzioni, dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera di cui all’art. 57 n. 3 c.p.p. nonché dagli altri soggetti indicati all’art. 1235 cod. nav.
Peraltro l’art. 12 comma 1 del D.lgs. 202/07 include nell’attività di controllo gli Ufficiali ed i Sottufficiali della Marina Militare.
Ai sensi dell’art. 12 comma 2, l’attività di controllo e di accertamento delle violazioni è effettuata sotto la direzione del Comandante del Porto.
• Abrogazioni (art. 14)
Sono abrogati gli articoli 16, 17 comma 1 e 20 della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 [1] (DIFMAR)
[1] Le disposizioni non si applicano alle navi militari da guerra o ausiliarie e alle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali.
Con legge 25 febbraio 2010 n. 36 è stata modificata la disciplina sanzionatoria relativa agli scarichi di acque reflue; l’articolo 1 della predetta legge, modificando il primo periodo del comma 5 dell’articolo 137 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante le "Norme in materia ambientale “ prevede infatti, che «Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'articolo 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro».
La nuova legge, in vigore dal 27 marzo 2010, ha sostanzialmente riformulato le sanzioni relative agli scarichi di acque reflue industriali che eccedono i valori limite, restringendo la responsabilità penale ai casi più gravi; viene, infatti, limitata l’applicazione delle sanzioni penali al caso in cui il superamento tabellare dei valori limite è riferito solo alle 18 sostanze più pericolose fissate nella tabella 5.
Legge 25 febbraio 2010, n. 36
Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue.
(GU n. 59 del 12-3-2010)
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
1. Il primo periodo del comma 5 dell'articolo 137 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' sostituito dal seguente:
«Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'articolo 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro».
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi' 25 febbraio 2010
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Prestigiacomo, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Avvertenza:
Il testo della nota qui pubblicato e' stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, comma 2, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura della disposizione di legge modificata e della quale restano invariati il valore e l'efficacia.
Note all'art. 1:
- Il testo dell'art. 137, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2006, n. 88 (S.O.), come modificato dalla presente legge e' il seguente:
«Art. 137 (Sanzioni penali). - 1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, e' punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.
2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena e' dell'arresto da tre mesi a tre anni.
3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorita' competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, e' punito con l'arresto fino a due anni.
4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o l'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all'art. 131 e' punito con la pena di cui al comma 3.
5. Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'art. 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresi' al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.
7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui all'art. 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all'art. 110, comma 5, si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
8. Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all'art. 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato, e' punito con la pena dell'arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'art. 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.
9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'art. 113, comma 3, e' punito con le sanzioni di cui all'art. 137, comma 1.
10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall'autorita' competente ai sensi dell'art. 84, comma 4, ovvero dell'art. 85, comma 2, e' punito con l'ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro.
11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 e' punito con l'arresto sino a tre anni.
12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell'art. 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualita' delle acque designate ai sensi dell'art. 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall'autorita' competente ai sensi dell'art. 87, comma 3, e' punito con l'arresto sino a due anni o con l'ammenda da quattromila euro a quarantamila euro.
13. Si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali e' imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantita' tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purche' in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell'autorita' competente.
14. Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonche' di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'art. 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attivita' impartito a norma di detto articolo, e' punito con l'ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l'arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.».
Links:
[1] http://www.pcn.minambiente.it/mattm/wp-content/uploads/2017/03/Legge-31-dicembre-1982-n.-979.pdf