L'idea di protezione internazionale dell'ambiente marino è relativamente recente: essa si è andata formando alquanto lentamente nell'opinione pubblica anche mediante l'adozione di una serie di «Convenzioni Internazionali» che sono state stipulate a partire dagli anni '50, talora nella forma di convenzione a carattere settoriale, tal'altra in quella di convenzione a carattere regionale. Talune di queste riguardano determinate cause di inquinamento marino e prevedono particolari poteri e doveri degli Stati relativamente a specifici tipi di inquinamento[1].
Nella Convenzione di codificazione del diritto del mare conclusa a Ginevra nel 1958, le uniche norme relative alla prevenzione ed alla protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento erano contenute negli artt. 24 e 25 della Convenzione sull' «Alto Mare» e riguardavano rispettivamente due sostanze inquinanti speciali: gli idrocarburi e le sostanze radioattive, nonché l'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini. La Convenzione di Ginevra sull' «Alto Mare» si limitava infatti a disporre all'art. 24 che «ogni stato contraente è tenuto a promuovere norme intese ad evitare la polluzione dei mari derivata da sostanze idrocarburiche defluite da navi o da oleodotti o dall'esplorazione o dallo sfruttamento del fondo o del sottofondo marini, tenendo conto delle disposizioni pattizie esistenti in materia»
Le Convenzioni che vennero stipulate negli anni '50 e '60 si presentano tutte definite per settori di inquinamento o per regioni di inquinamento. Ebbene, proprio questa parcellizzazione di carattere funzionale o spaziale della normativa ha costituito l'ostacolo principale della ricostruzione del quadro generale della normativa stessa. Inoltre, le norme delle convenzioni settoriali e regionali di cui si è detto rivestivano carattere sinallagmatico, e creavano diritti ed obblighi reciproci ed esclusivi tra i vari Stati contraenti. In molti casi, i due contrapposti poli di interessi relativi alle diverse situazioni, erano rispettivamente rappresentati dallo Stato di bandiera della nave, che poteva causare l'inquinamento, e dallo Stato costiero che dall'inquinamento stesso poteva subire il danno. Non emergeva così, in dette convenzioni, il concetto di un obbligo generale relativo alla protezione dell'ambiente marino.
Sino a tutto il decennio 1960 anche i contenuti delle norme internazionali generali sull'inquinamento marino attribuivano agli Stati alcuni poteri e imponevano alcuni obblighi relativi alla prevenzione ed alla repressione dell'inquinamento. Ma, mentre i poteri erano strettamente collegati agli interessi dei singoli Stati, di cui in ipotesi frequenti erano portatori lo Stato della bandiera e lo Stato costiero, gli obblighi, rispetto ai poteri, rivestivano carattere strettamente reciproco ed individuale, ed avevano riguardo in genere allo Stato suscettibile di causare il danno. Tale situazione era evidente rispetto al mare territoriale, già meno evidente rispetto alle zone intermedie, del tutto evanescente rispetto all'alto mare. La diversità di regime era dovuta ovviamente alla presenza del potere sovrano dello Stato costiero nell'ambito del mare territoriale, cui corrispondevano rispettivamente un notevole affievolimento di tale potere nella zona contigua marittima e nelle zone di pesca riservate, ed un assoluto equilibrio nell'esercizio delle rispettive libertà di tutti gli Stati marittimi, nell'ambito dell'alto mare.
Un apporto sostanziale alla determinazione dei contenuti della disciplina internazionale nella materia, si verificò all'inizio degli anni '70. Nel corso di tali anni si è, infatti, evidenziata una compromissione senza precedenti dell'equilibrio ecologico, tanto da temere il raggiungimento di un livello irreversibile nella qualità della vita del mare, a causa della universalità delle lesioni procurate all'ambiente marino. Tale fenomeno ha progressivamente evidenziato l'esistenza di un interesse collettivo della Comunità internazionale alla tutela dell'ambiente marino in quanto tale, ed ha indotto conseguentemente ad affermare, nei modi più vari, la necessità dell'impegno di tutti gli Stati, e di ciascuno di essi, al fine di realizzare la tutela dell'interesse in questione. La necessità della protezione internazionale dell'ambiente marino contro l'inquinamento si è andata evidenziando a seguito della spinta dell'opinione pubblica internazionale ed i rispettivi Governi, determinatasi a causa di alcuni «catastrofici incidenti marittimi», riguardanti l'Europa, che per le loro proporzioni hanno assunto portata storica. Invero, fino alla seconda metà circa degli anni sessanta, e cioè finché non si produssero i primi di questi grandi disastri (in particolare quello della nave liberiana Torrey Canyon) e finché l'industria non diede inizio all'epoca delle «superpetroliere» con conseguente incremento vertiginoso dei rischi, la già pur grave situazione ecologico-ambientale non suscitava che un interesse limitato ad alcune aree particolari. Fu quindi paradossalmente necessario attendere fino alla catastrofe ecologica dell'incaglio della petroliera liberiana «Torrey Canyon» nel 1967, sulle estreme scogliere della Cornovaglia (con la fuoriuscita di ben 120.000 tonnellate di grezzo che andarono a riversarsi sulle incantevoli coste bretoni e inglesi), perché si manifestasse una reazione generalizzata, che diede spazio all'idea di una serie di provvedimenti a carattere internazionale, diretti da un lato ad accrescere la sicurezza della navigazione (per evitare la causa prima dell'inquinamento massivo a carattere eccezionale, cioè i sinistri della navigazione) e, dall'altro, ad evitare il versamento in mare di olii o di sostanze nocive o di scoli o di rifiuti, durante il normale esercizio di una nave. Fra questi ultimi provvedimenti possiamo anche ricomprendere la costruzione di terminali di discarica, depurazione e stoccaggio degli idrocarburi.
Ricordiamo ancora, per la loro gravità, i disastri dell'«Amoco Cadiz» nel 1976 e della «Tanio» nel 1978, entrambi verificatesi sulle coste della Bretagna, che, puntualmente, hanno riproposto all'attenzione della Comunità internazionale il fatto che l'attuazione su scala mondiale di misure tecniche e di strumenti giuridici volti, sia alla salvaguardia dell'ambiente marino che al risarcimento delle vittime dell'inquinamento, non poteva essere ancora procrastinata.
Non appare peraltro sufficiente, il prevenire o il reprimere il solo scarico di idrocarburi. Altrettanto nocivo può risultare, un eventuale incidente che coinvolga carichi di prodotti chimici trasportati via mare o altre sostanze suscettibili di porre a repentaglio la salute umana o di danneggiare le risorse e la vita del mare o di compromettere gli usi legittimi del mare, quali i rifiuti e le altre cose o sostanze pericolose. Artefice della considerevole messe di normative pattizie internazionali che, unitamente ad importanti iniziative unilaterali di alcuni Stati ed agli interventi da parte di organi privati (come grandi compagnie petrolifere), ha contribuito alla formazione di strumenti oggi idonei, se non proprio a scongiurare il pericolo d'inquinamento, almeno ad arginare le proporzioni, è senza alcun dubbio l'International Maritime Organization (IMO) che è l'Agenzia delle Nazioni Unite, specializzata nel campo marittimo. E' nata da una Convenzione adottata dalla Conferenza delle N.U. tenutasi a Ginevra nel maggio 1948.
Benché all'atto della sua costituzione, l'ambito di operatività dell'I.M.O. fosse strettamente limitato (nella Convenzione costitutiva ad esempio, non si accennava minimamente all'inquinamento marino, anche perché, a quel tempo, il problema non aveva ancora assunto quella drammaticità che ora gli riconosciamo), si giunse in seguito ad interpretarne in senso lato lo statuto esistente.
Nel 1975 diversi emendamenti alla Convenzione costitutiva modificarono i fini dell'organizzazione, includendovi l'incoraggiamento all'«adozione generale dei più alti standard nelle materie relative...alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento marino da navi, ed alla trattazione dei suddetti problemi di carattere legale».
L'organo dell'I.M.O. specializzato in materia di inquinamento marino è il Marine Evironment Protection Committee (M.E.P.C.), nato nel 1973. Tra gli scopi ad esso riservati risultano l'adempimento di tutte le funzioni attribuite all'I.M.O. delle numerose Convenzioni relative alla «Marine Pollution»; la promozione, l'acquisizione e la divulgazione presso gli Stati di informazioni e conoscenze tecnico-scientifiche in materia; lo sviluppo della cooperazione con le organizzazioni a carattere regionale; ed infine la sottoposizione al Consiglio di progetti di regolamentazioni volte alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento del mare da parte delle navi. Nella pratica tuttavia, l'I.M.O. non dispone di alcun potere normativo, per cui il suo ruolo principale consiste nella predisposizione di progetti di Convenzioni Internazionali e nella organizzazione delle conseguenti Conferenze diplomatiche.
Per quel che concerne l'imponente lavoro svolto in questi anni, ricordiamo, ora brevemente, il suo contributo nella realizzazione di quelle Convenzioni, riguardanti direttamente l'inquinamento marino, quali ad esempio: la OILPOL 1954, la MARPOL 1973, la L.D.C. 1972 (DUMPING), la INTERVENTION 1969, assieme all'INTERVENTION PROTOCOL del 1973 e soprattutto la C.L.C. del 1969 e la FUND del 1971.
Meritano altresì di essere menzionate alcune altre Convenzioni, alla cui stesura e adozione l'I.M.O. ha attivamente preso parte, che hanno avuto il merito di contribuire, pur se indirettamente, a prevenire l'inquinamento marino da navi: e cioè la Convenzione di Londra del 1960 e 1974 (SOLAS) “per la salvaguardia della vita in mare”; la Convenzione di Londra del 1972 sulle “regole Internazionali per prevenire gli abbordi in mare” (COLREG); la Convenzione Internazionale di Londra del 1966 sulle “linee di massimo carico e bordo libero" (LOAD LINE) e la Convenzione di Londra del 1969 sulla “stazzatura delle navi” (TONNAGE).
Torrey Canyon - Scogliere della Cornovaglia 1967
[1] Indubbiamente va affermandosi una concezione integrale e complessiva dell'intero compendio naturalistico si cerca di superare la «compartimentazione» con cui venivano trattati i problemi. In questa ottica si è superata la concezione settoriale della questione e si è smesso di considerare la tutela dell'ambiente sotto gli aspetti separati di tutela del paesaggio, di tutela dei centri storici o di tutela dei parchi naturali o florifaunistici. Si è fatta strada l'opinione che non fosse neppure sufficiente considerarla in funzione della sola difesa dall'inquinamento e delle problematiche della difesa del suolo e dell'urbanistica, ma in un'ottica molto più totalizzante ed omogenea.
La cooperazione internazionale in materia di protezione dell'ambiente marino ha visto, nel volgere di pochi anni, la nascita di numerose regole alcune delle quali di portata storica. Una tra queste è stata certamente OILPOL 1954
Il primo passo, a livello internazionale, nella lotta all'inquinamento da idrocarburi, venne compiuto con la Convenzione di Londra del 12 maggio 1954 (entrata in vigore il 26 luglio 1956), e conosciuta con il nome di «OILPOL 1954», modificata, poi nel 1962 ed emendata nel 1969 e 1971.
Scopo primario di questa Convenzione era di vietare in maniera categorica la discarica volontaria di idrocarburi o miscele di idrocarburi, derivante dalle operazioni di lavaggio cisterne o da imperfette operazioni di carico e scarico, al di fuori delle condizioni previste.
Per la OILPOL 1954 erano considerati idrocarburi: il petrolio greggio, l'olio combustibile, l'olio diesel pesante e l'olio lubrificante; mentre una «miscela oleosa» era considerata tale quando il contenuto di idrocarburi superava le 100 parti per milione (p.p.m.).
La Convenzione disponeva inoltre che la discarica di quanto sopra doveva avvenire il più lontano possibile dalla terraferma per le navi diverse dalle petroliere e ad oltre 50 miglia dalla terraferma più vicina per le navi cisterna.
Merito della OILPOL 1954 fu la previsione e la predisposizione di uno speciale «Registro degli Idrocarburi» (Oil Record Book), per tutte le navi adibite al trasporto di idrocarburi o che utilizzassero gli stessi come combustibile e in cui dovevano essere annotate tutte le operazioni effettuate nonché le eventuali discariche in mare, anche se avvenute accidentalmente. Tale documento doveva essere esibito, quando richiesto, alle Autorità di un qualsiasi Stato contraente.
La OILPOL 1954 stabilì inoltre che le violazioni al dispositivo fossero punite dallo Stato di bandiera, precisando successivamente che le sanzioni pecuniarie per le violazioni al di fuori delle acque territoriali, fossero comminate in misura tale, da scoraggiare i contravventori, e non fossero inferiori a quelle previste per violazioni commesse avvenuta all'interno delle acque territoriali.
Alla OILPOL 1954, va il merito di essere stata la prima Convenzione ad occuparsi del sempre crescente problema dell'inquinamento marino e della conseguente irreversibile alterazione dell'ambiente.
Il 1969 vide la nascita di due importanti Convenzioni riguardanti principalmente gli aspetti assicurativo e giuridico per danni conseguenti ad inquinamento, infatti il 29 novembre di quell'anno furono sottoscritte a Bruxelles la «Convenzione Internazionale sulla responsabilità civile per danni conseguenti ad inquinamento da idrocarburi» (C.L.C.), e la «Convenzione sull'intervento in alto mare in caso di incidente che comporti o possa comportare un inquinamento da idrocarburi» (INTERVENTION CONVENTION).
La C.L.C., è entrata in vigore internazionalmente il 29 giugno 1975, mentre è stata ratificata dall'Italia con Legge 6 aprile 1977, n.185 ed è entrata in vigore il 28 maggio 1979, a seguito del deposito dello strumento di ratifica.
Questa Convenzione riguarda tutte le «seagoing vessel» di qualunque tipo, purché trasportino effettivamente oil alla rinfusa come carico, e si applica esclusivamente ai danni da inquinamento avvenuti sul territorio (ivi compreso il mare territoriale) di uno Stato contraente nonché alle misure preventive messe in atto dagli Stati e destinate ad evitare o ridurre tali danni, anche se la nave inquinante batte bandiera di uno Stato non contraente.
Ai fini di questa convenzione, fatte salve le specifiche esclusioni, solo il proprietario della nave può essere considerato responsabile dei danni da inquinamento conseguenti ad una fuga o discarica di idrocarburi dalla propria nave a seguito di incidente.
La C.L.C. prevede inoltre che il proprietario di una nave immatricolata in un Paese contraente e che trasporti più di 2000 tonnellate di idrocarburi è tenuto a provvedere una assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria responsabilità per danni da inquinamento. Detta copertura assicurativa (o garanzia finanziaria equivalente) deve essere comprovata da un certificato che ne attesti la validità[1].Il certificato deve essere tenuto a bordo della nave per poter essere esibito a richiesta delle competenti Autorità, mentre copia dello stesso deve essere depositato presso l'Ufficio di iscrizione della nave
[1] In genere la garanzia finanziaria viene fornita dai «P & I Clubs» (Protection and Indemnity) in aggiunta ed a complemento delle altre responsabilità e rischi ricadenti sugli armatori e/proprietari delle navi durante l'effettuazione delle loro attività. In altre parole i «P & I Clubs» coprono i rischi attinenti alla ampia sfera di responsabilità armatoriali, garantendo all'armatore stesso protezione contro i reclami dei terzi ed indennizzandolo per gli eventuali oneri che egli avesse sostenuto.
Dopo solo due anni dalla sottoscrizione delle due Convenzioni C.L.C. e INTERVENTION CONVENTION, il 18 dicembre 1971 fu firmata, ancora una volta a Bruxelles, la «Convenzione Internazionale sulla creazione di un Fondo Internazionale per il risarcimento dei danni conseguenti ad inquinamento da idrocarburi».
La Fund Convention è entrata internazionalmente in vigore il 16 ottobre 1978, mentre in Italia è entrata in vigore il 28 maggio 1979, a completamento dell'iter avviatosi con la ratifica avvenuta con Legge 6 aprile 1977, n.185. La «Fund» è complementare alle C.L.C.1969, e lo scopo della convenzione è di consentire un completo indennizzo a coloro che subiscano danni da inquinamento causati da navi, senza tuttavia gravare ulteriormente sugli armatori. La Fund opera in maniera aggiuntiva alla C.L.C.1969 ed interviene solo quando l'entità del danno supera il limite di responsabilità previsto da quest'ultima Convenzione. Il finanziamento del «Fondo» è garantito mediante il pagamento di una quota annua da parte dei soggetti o persone giuridiche che, in uno Stato parte della Convenzione stessa, abbiano ricevuto più di 150.000 tonnellate di greggio o di fuel oil in un anno di calendario.
Nei casi in cui non si applica la C.L.C. e, conseguentemente la FUND, si possono applicare accordi privati, denominati «Tovalop» (Tanker Owners Voluntary Agreement concerning Liability for Oil Pollution) e «Cristal» (Contract Regarding an Interim Supplement to Tanker Liability for Oil Pollution) creati dalle più importanti compagnie petrolifere del mondo nella loro qualità di armatori di navi cisterna o di proprietari del greggio da queste trasportato.
La Convenzione di Barcellona del 16 febbraio 1976 si prefigge di prevenire e combattere le diverse forme di inquinamento da sostanze od energie nocive, derivanti dalle operazioni di scarico effettuate da navi o aerei, dalle esplorazioni e dallo sfruttamento della piattaforma continentale e del sottosuolo, nonché dagli scarichi provenienti dalla terraferma (fiumi, stabilimenti costieri, ecc.), limitatamente al Mar Mediterraneo.
La «Convenzione sulla salvaguardia del mar Mediterraneo dall'inquinamento», adottata a Barcellona il 16 febbraio 1976 da Italia, Francia, Monaco, Spagna, Israele, C.E.E., Egitto, Libano, Malta, Siria, Tunisia e Jugoslavia (altri Stati firmatari Cipro, Grecia, Marocco e Turchia).
Ai fini della Convenzione con «Mar Mediterraneo» si intende le acque marittime del Mediterraneo propriamente detto e dei golfi e mari che esso racchiude tra il meridiano che passa per il faro di Capo Espartel all'entrata dello Stretto di Gibilterra (limite occidentale) ed il limite meridionale dello Stretto dei Dardanelli.
La Convenzione di Barcellona è integrata da quattro protocolli, due dei quali sono dedicati, rispettivamente, agli scarichi operati da navi o aeromobili ed alle situazioni critiche di emergenza.
Da un esame del primo protocollo, all'articolo 3, si rileva che per «scarico» deve intendersi tutto ciò che deliberatamente è gettato in mare, rifiuti o altre materie, da navi e aeromobili comprendendo inverosimilmente l'affondamento della nave o dell'aeromobile.
Il primo Protocollo esamina e regolamenta dettagliatamente le immissioni dovute alle operazioni di scarico effettuate da navi e aeromobili e, più particolarmente, il getto di rifiuti veri e propri. Gli Stati contraenti, tramite le Autorità preposte (in Italia saranno i Capi dei Compartimenti Marittimi), dovranno attenersi alla dettagliata regolamentazione in materia rispettando il divieto assoluto di autorizzare lo scarico nel Mediterraneo di rifiuti o materie elencati nell'art. 1 (materie plastiche persistenti, petrolio grezzo ed idrocarburi, rifiuti radioattivi così come definiti dall'Agenzia Atomica Internazionale, mercurio, ecc.), mentre la discarica di rifiuti elencati nell'Allegato II (arsenico, piombo, rame, zinco, pesticidi, ecc.) sarà soggetta ad un preventivo permesso specifico.
Le norme si applicano, come anzidetto, sia ai vettori marittimi che a quelli aerei: si parla di «dumping» nell'accezione di :
Le perdite, lo scarico volontario in mare e lo scarico accidentale da vettori marittimi sono le cause principali di alterazioni ambientali. Ne consegue che la navigazione, intesa come insieme di tecniche di trasporto mediante vettori, e il trasporto marittimo costituiscono campi di interesse internazionale.
L’importanza di tale Convenzione risiede soprattutto nella parte dedicata alla struttura organizzativa creata al fine di conseguire le summenzionate finalità di cooperazione. Sotto tale profilo una particolare attenzione è stata rivolta alla raccolta ed allo scambio di dati e informazioni fra gli Stati costieri della Regione, all’assistenza in materia agli Stati stessi e, infine, alla promozione di appositi corsi che mirino a formare personale esperto nella lotta agli inquinamenti.
Le parti contraenti della Convenzione di Barcellona hanno affidato le funzioni di segretariato all’UNEP (United Nation Environment Program), il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, con sede a Ginevra mentre, con un ulteriore Protocollo, è stato istituito il Centro Regionale Mediterraneo per gli interventi di urgenza contro l’inquinamento marino (REMPEC - Regional Marine Pollution Emergency Response Centre for the Mediterranean Sea), con sede a Malta. Tale Centro, fra l’altro, qualora una situazione di inquinamento assuma contorni di un certo rilievo per l’area del Mediterraneo, deve essere messo al corrente della situazione in atto con un dettagliato messaggio, il POLREP, originato, in Italia, dal C.O.A. di Difmar il quale deve provvedere, altresì, a comunicare periodicamente i relativi aggiornamenti.
Va sottolineato che nel corso dei lavori che hanno portato alla stipula della Convenzione di Barcellona è stato sottoscritto, fra i Paesi del Mediterraneo, il «Piano d’Azione del Mediterraneo» (P.A.M.), promosso dall’ONU, al quale ha aderito anche l’Unione Europea. Tale Piano è stato predisposto proprio al fine di accentuare gli sforzi per la completa e piena applicazione di quanto previsto dalla suddetta Convenzione, mirando ad uniformare e coordinare le azioni poste in essere, in materia di antinquinamento, dagli Stati interessati.
La Convenzione à stata ratificata dall'Italia con la Legge n. 30 del 21 gennaio 1979, col titolo di "Convenzione per lo protezione dell'ambiente marino e delle zone costiere del Mediterraneo", allo stato attuale la Convenzione è stata resa esecutiva con Legge 27.05.1999, n. 175 recante "Ratifica ed esecuzione dell'atto finale della Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento, con relativi protocolli, tenutasi a Barcellona il 9-10 giugno 1995”.
Nel suo testo emendato, la Convenzione ha cambiato titolo divenendo "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e le regioni costiere del Mediterraneo". L'ambito di applicazione geografica della stessa è stato esteso fino a comprendere le acque marine interne del Mediterraneo (ossia le acque interne dei singoli stati, poste all'interno delle linee di base del mare territoriale) e le aree costiere come definite da ogni parte contraente entro il proprio territorio.
La Convenzione, così come modificata, ha mantenuto la sua natura di quadro programmatico di riferimento, la cui attenzione deve essere realizzata mediante l'adozione di specifici protocolli che concretizzino i principi in essa enunciati, con riguardo alle diverse forme di inquinamento. Nel suo contenuto di base, la Convenzione ribadisce, applicandole su sede regionale, le principali idee affermatevi in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (UNICED), tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992, introducendo i seguenti principi:
AI fine di realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, le parti contraenti tenevano in debito conto le raccomandazioni della «Commissione Mediterranea per lo sviluppo sostenibile» (nuovo Organo creato nel quadro del Piano di azione per il Mediterraneo).
Oltre ad un obbligo generale di intraprendere le dovute azioni per prevenire, combattere ed eliminare l'inquinamento del Mediterraneo e proteggere l'ambiente marino di quest'area al fine di contribuire al suo sviluppo sostenibile, grava sulle fonti contraenti l'impegno di stabilire, in stretta collaborazione con gli organismi internazionali competenti, programmi complementari o comuni per il monitoraggio dell'inquinamento nelle aree sottoposte alla loro giurisdizione nazionale. Infine, le parti contraenti si impegnano a cooperare, direttamente o per il tramite di organizzazioni scientifiche o tecniche, anche attraverso lo scambio di dati ed informazioni e sono tenute a trasmettere all'Organizzazione, rapporti sulle misure amministrative e legislative adottate.
Contestualmente alla Convenzione di Barcellona venne approvato il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa all'inquinamento del Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni d'emergenza (Protocollo di Emergenza) quale strumento giuridico che vincola le parti a cooperare per adottare le misure necessarie in caso di grave ed imminente pericolo per l'ambiente marino causato da inquinamenti da petrolio o altre sostanze pericolose. L'art. 2 del sopra citato Protocollo, prevede che le parti si impegnino a mantenere e a promuovere i propri piani di intervento e i relativi mezzi, specificatamente equipaggiati con personale qualificato da far intervenire in caso di emergenza.
Il suddetto Protocollo, inoltre, individua un Centro Regionale, istituito a Malta, quale centro di coordinamento e controllo per la prevenzione e la lotta all'inquinamento nel Mediterraneo (REMPEC). Lo stesso Protocollo prevede, inoltre, l'eventuale costituzione di centri sub-regionali cui si applicheranno le disposizioni relative al Centro regionale, tenuto conto degli specifici obiettivi, delle relative funzioni e dei legame col suddetto Centro.
Questa Convenzione regola l’attività di discarica volontaria in mare di rifiuti o sostanze nocive provenienti da altri luoghi (dumping) inserendo, sia gli uni che gli altri, a seconda della loro pericolosità, in tre distinti gruppi (vedi All. A).
In particolare, per le sostanze rientranti nel «I gruppo» (c.d. Blak List) è previsto l’assoluto divieto di discarica mentre, per i rimanenti gruppi, la discarica è assoggettata al rilascio di apposita autorizzazione.
In Italia, in base alla legge 24.12.1979 (che ha recepito la normativa internazionale in materia di dumping) e ad un più recente D.M. del '96, competente al rilascio della suddetta autorizzazione è il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare o, in caso di comprovata urgenza, il Capo del Compartimento Marittimo competente per territorio: va detto che, di fatto, il suddetto Dicastero non rilascia mai autorizzazioni per la discarica di sostanze rientranti nel II dei suddetti gruppi (c.d. Lista Grigia).
E’ importante rilevare che la competenza autorizzativa degli Stati contraenti prevista da tale Convenzione riguarda tutte le navi, anche straniere, purchè caricate nel territorio nazionale nonchè le navi di propria bandiera caricate in Stati che non siano parte della Convenzione stessa.
Al fine di porre rimedio alle carenze normative della precedente Convenzione OILPOL 1954 e di fronteggiare in maniera concreta il problema dell'inquinamento marino, nell'ottobre del 1973 venne convocata a Londra una nuova Convenzione Internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi MARPOL 1973 (Marine Pollution Convention). Stipulata a Londra il 2 novembre 1973 è entrata in vigore solo il 2 ottobre 1983, dopo che le condizioni (ossia 12 mesi dopo la ratifica da parte di almeno 15 Stati, che rappresentassero il 50% del tonnellaggio mercantile mondiale) si erano realizzate, a seguito delle ratifiche dell'Italia e della Grecia avvenute il 2 ottobre 1982.
La MARPOL può essere considerata un vero e proprio «codice» del mare. Essa nasce dall'esigenza di proteggere l'ambiente marino, prendendo atto che gli scarichi sia di natura accidentale che di natura dolosa oppure colposa di idrocarburi ed altre sostanze nocive da parte di navi costituiscono una grave fonte di inquinamento. Scopo della MARPOL è appunto di regolarne gli sversamenti fissando le modalità di scarico di tutti gli effluenti possibili delle navi e stabilendo delle «zone speciali» di mare ove esiste il divieto di scarico o ove lo stesso è disciplinato con norme più restrittive rispetto alle altre zone di mare.
Le norme contenute nella convenzione si applicano alle navi che sono autorizzate a battere la bandiera di uno Stato parte della Convenzione e alle navi non autorizzate ma che operano sotto l'Autorità di tali parti. Non è applicabile, invece, né alle navi da guerra, né alle altre navi appartenenti ad uno Stato o gestite da tale Stato fintantoché quest'ultimo le utilizzi esclusivamente per servizi governativi e non commerciali. Questa fondamentale fonte pattizia (resa esecutiva in Italia con la Legge 662/80), che ha colmato le vistose lacune mostrate dalla Convenzione “Oil Pol 1954”, è stata ampiamente aggiornata con un «Protocollo» redatto a Londra nel 1978 a seguito della Conferenza T.S.P.P. (Tanker Safety Pollution Prevention), dedicata alla sicurezza delle navi cisterna ed alla prevenzione dell’inquinamento del mare. E’ proprio per l’importanza rivestita dalle modifiche apportate da tale Protocollo, soprattutto in materia di prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi, che spesso si parla, nella pratica, di Marpol 73/78.
La Convenzione in esame ha introdotto una dettagliata normativa diretta ad eliminare, ridurre e prevenire l’inquinamento marino derivante dall’immissione volontaria o accidentale di tutte le sostanze che siano in grado di nuocere o mettere in pericolo la salute umana, le risorse biologiche, le bellezze naturali e, in generale, le attività connesse con i legittimi usi del mare.
Con la Marpol, come si è accennato in precedenza trattando della Convenzione di Montego Bay, è stato altresì superato il principio, affermato in precedenza dalla Convenzione “Oilpol 54”, della sottoposizione della nave all’ordinamento giuridico dello Stato di bandiera : infatti, venne sancito per la prima volta, il diritto dello Stato costiero di sanzionare direttamente le violazioni della normativa antinquinamento perpetrate, all’interno delle proprie acque territoriali, da unità di bandiera estera.
In alternativa a tale attività sanzionatoria “diretta” o quando le disposizioni della presente Convenzione vengano violate al di fuori delle acque di giurisdizione di uno Stato contraente, lo Stato di bandiera dovrà essere informato dell’infrazione e delle prove a supporto della stessa in modo tale da poter agire in applicazione di quanto previsto dalla propria normativa sanzionatoria: in questo caso, come si è detto in precedenza, allo Stato che ha fornito le informazioni e le prove dovranno essere comunicate al più presto le misure sanzionatorie adottate.
La Marpol si compone, oltre che del succitato Protocollo del ‘78, di una prima parte (contenente disposizioni di carattere generale), di due Protocolli (riguardanti, rispettivamente, l’invio dei rapporti sugli eventi e l’arbitrato) e, infine, di 7 (sette) Allegati che, per l’importanza rivestita, meritano un cenno particolare.
Con tale Allegato (entrato in vigore, nel nostro Paese, nel 1983) sono stati fissati i limiti e le modalità di discarica in mare delle miscele oleose e sono state, altresì, individuate ben sette «Aree Speciali» (Mar Mediterraneo, Mar Baltico, Mar Nero, Mar Rosso, Zona dei Golfi, Golfo di Aden e Antartide), all’interno delle quali tale discarica è assoggettata a particolari restrizioni.
In particolare, la regolamentazione dello scarico in mare di olio proveniente dalle cisterne del carico di una nave petroliera è quella riassunta nella tabella in All. B mentre, per quanto riguarda la discarica in mare delle acque di sentina delle petroliere (di qualsiasi stazza) e delle navi diverse dalle petroliere di stazza lorda uguale o superiore a 400 tonnellate, è previsto che l’unità debba navigare in rotta ed essere dotata di un separatore acqua/olio (con automatismo di “Stop”) che mantenga il contenuto di olio nell’effluente non superiore alle 15 parti per milione (p.p.m.).
Di rilievo sono poi le disposizioni riguardanti il «sistema di zavorramento». La “norma 13” prevede, infatti, che le navi petroliere nuove (vale a dire quelle il cui contratto di costruzione sia stato stipulato dopo il 31.12.75 o, in mancanza di contratto, la cui chiglia sia stata impostata dopo il 30.6.76) di portata lorda uguale o superiore a 70.000 tonnellate debbano essere munite di idonee cisterne destinate a contenere esclusivamente zavorra (SBT - Segregate Ballast Tanker): ciò al fine di prevenire quella che, soprattutto in passato, costituiva una delle fonti principali di inquinamento marino, vale a dire la discarica in mare delle acque di zavorra “sporca” (in quanto frammista a residui del carico trasportato in precedenza).
Per questo stesso motivo, la “norma 14” prevede il divieto di trasportare zavorra in una qualsiasi delle cisterne per combustibile liquido a bordo di navi petroliere nuove di stazza lorda uguale o superiore a 150 tonnellate ovvero uguale o superiore a 4.000 tonnellate se si tratta di navi diverse dalle petroliere.
Va aggiunto che con il summenzionato Protocollo del '78 sono stati fissati anche i requisiti che devono possedere le navi petroliere per poter effettuare il lavaggio delle cisterne con greggio (C.O.W. : Crude Oil Washing): è questo un’efficace sistema di lavaggio che consente di ovviare agli inconvenienti che, sotto l’aspetto sia della sicurezza che dell’inquinamento, derivavano dall’utilizzo a tal fine di acqua. Inoltre, il C.O.W., seguito da un risciacquo della cisterna con acqua, consente di imbarcare all’interno della cisterna acqua di zavorra che (come specificato nella nota della tabella in All. B) viene considerata “pulita” e, come tale, non soggetta a restrizioni per lo scarico in mare.
Sempre sotto il profilo della prevenzione va rilevato che in sede I.M.O. sono stati adottati degli emendamenti, entrati in vigore nel 1993, i quali prevedono che le navi petroliere nuove (vale a dire quelle il cui contratto sia stato stipulato dopo il 6.7.'93 o, in mancanza di contratto, la cui chiglia sia stata impostata dopo il 6.1.'94) di portata lorda uguale o superiore a 5.000 tonnellate debbano essere costruite con doppio scafo o con mid deck (ponte intermedio) mentre quelle di portata lorda uguale o superiore a 600 tonnellate ma inferiore a 5.000, debbano essere munite almeno di “doppio fondo”.
Per le navi cisterna esistenti (realizzate, cioè, prima delle suddette date) di portata lorda uguale o superiore a 20.000 tonnellate, se adibite al trasporto di greggio, o a 30.000 tonnellate, se adibite al trasporto di prodotti petroliferi, i summenzionati emendamenti prevedono, per quelle realizzate prima del 1982 (c.d. navi pre-Marpol), la realizzazione del doppio scafo entro il 25 Z anno dalla data di consegna mentre, per quelle realizzate dopo il 1982 (c.d. “navi Marpol”), entro il 30 Z anno, sempre a decorrere dalla data di consegna.
In particolare questo Allegato, nella prima delle cinque Appendici in cui risulta suddiviso, fissa i criteri per la classificazione di tali sostanze in una delle quattro categorie (A - B - C o D) individuate in considerazione del livello di gravità del rischio e della serietà del danno che , nel caso di discarica in mare derivante dalle operazioni di pulizia delle cisterne o dallo scarico della zavorra, può essere arrecato all’ambiente marino, alla salute umana ed alle attrattive dei luoghi.
In base a tali criteri, le sostanze più pericolose sono quelle inserite nella categoria A, mentre quelle rientranti nelle altre tre categorie presentano una pericolosità/dannosità via via decrescente. Proprio in relazione a tali categorie vengono fissati i limiti e le modalità di discarica in mare dei residui, delle acque di lavaggio e delle acque di zavorra, al di fuori ed all’interno delle tre “Aree Speciali” (Mar Baltico, Mar Nero e Antartico).
La successiva Appendice II^ contiene, invece, una lista dei prodotti liquidi nocivi trasportati alla rinfusa, per ciascuno dei quali vengono indicati la categoria di appartenenza (A - B - C o D) e il c.d. «U.N.number» (numero Nazioni Unite), assegnato, quest’ultimo, dallo speciale Comitato di Esperti delle Nazioni Unite che si occupa della catalogazione di tutte le merci pericolose attualmente in commercio.
Va rilevato che la materia del trasporto alla rinfusa di merci pericolose allo stato liquido e di prodotti chimici allo stato gassoso, risulta regolata oltre che dalle disposizioni dell’Allegato II e dalle numerose Risoluzioni adottate in sede I.M.O., anche dal D.P.R. n.50 del 04.02.84 (intitolato “Norme tecniche particolari per la costruzione ed equipaggiamento delle navi adibite al trasporto di prodotti chimici liquidi pericolosi alla rinfusa”) e da una Circolare Ministeriale (la n. 340364 del 31.03.1970) emanata dall’allora Ministero della Marina Mercantile.
Più precisamente, il suddetto D.P.R. si applica al trasporto di quei prodotti chimici liquidi rientranti negli elenchi allegati a due Decreti Ministeriali, datati entrambi 09.3.84 e pubblicati nel Suppl. Ord. alla G.U. n.94 del 04.4.84.
Va precisato che di tale tipo di trasporto si occupa, nel nostro ordinamento, anche il D.P.R. 1008 del 09.5.1968, con il quale è stato approvato il “Regolamento per l’imbarco, trasporto per mare, sbarco e trasbordo delle merci pericolose in colli”.
Una particolare attenzione è stata dedicata, sia dalle norme di tale Regolamento, sia da quelle dell’Allegato III alla Marpol, al modo in cui deve essere predisposta e redatta la documentazione che deve accompagnare la spedizione ed il trasporto delle sostanze nocive. E’ previsto, infatti, che i documenti d’imbarco preparati dallo spedizioniere marittimo debbano includere o essere accompagnati da un certificato o da una dichiarazione firmata (“I.M.O. dangerous goods declaration”) attestante che il carico da trasportare è correttamente imballato, marcato ed etichettato e che lo stesso si trova nelle condizioni previste al fine di ridurre al minimo i pericoli che il suo trasporto può comportare per l’ambiente marino.
Vengono, inoltre, fissati i massimi quantitativi di sostanze nocive trasportabili, le modalità da seguire per un sicuro imballaggio e i dati da inserire nell’etichetta utilizzata per contrassegnare i contenitori. In particolare, il succitato D.P.R., così come la Reg.4 dell’Allegato III alla Marpol, prevede che tutti i colli debbano essere contrassegnati ed individuati con la denominazione tecnica, e non solo commerciale, della sostanza contenuta e, inoltre, che gli stessi debbano risultare muniti, in modo ben visibile, di una o più etichette (fatte in modo da resistere per tre mesi immerse in mare) conformi ai modelli approvati con apposito D.M. (vedi All. C).
Con l’Allegato III, a differenza dei due precedenti, non sono state dichiarate Aree Speciali, anche perchè il gettito dei colli contenenti le suddette sostanze è consentito solo ed esclusivamente per garantire la sicurezza della nave e/o per la salvaguardia della vita umana in mare.
Sempre con riferimento al trasporto di merci pericolose in colli, non può non essere fatta rilevare l’importanza, per lo sviluppo della normativa esistente in materia, degli studi svolti sinergicamente da un Comitato di Esperti dell’ONU (United Nation Committee) e da un gruppo di lavoro incaricato dall’allora I.M.C.O. (l’attuale I.M.O.), sulla “scia” della Conferenza sulla SOLAS svoltasi a Londra nel 1960.
L’attività del suddetto Comitato di Esperti dell’ONU portò alla redazione di liste nelle quali a ciascuna sostanza pericolosa veniva attribuito un “numero di riferimento” (l’ “U.N. number” visto in precedenza) mentre, i lavori del gruppo incaricato dall’IMCO diedero vita all’IMDG Code (International Maritime Dangerous Goods Code) nel quale sono state codificate tutte quelle merci (comprese quelle individuate dal sopra citato Gruppo di Esperti dell’ONU) che, a causa delle loro caratteristiche, rappresentano un potenziale pericolo per il trasporto via mare. In particolare, tale Codice (approvato da un sottocomitato dell’I.M.O., il Maritime Safety Committee), sulla base di criteri inerenti lo stato fisico e il tipo di pericolosità preminente (nocività, infiammabilità, etc.), individua nove classi di merci pericolose (dall’1 al 9), prevedendo le relative modalità di imballaggio e riportando, nell’indice generale, il nome tecnico delle singole merci ed i corrispondenti “U.N. numbers”.
All’IMDG Code sono altresì allegate delle “schede di emergenza o di sicurezza” (safety data sheet) contenenti tutti i dati necessari sia per una corretta ed immediata identificazione del prodotto, sia per fronteggiare le eventuali situazioni di pericolo che possono verificarsi durante il trasporto di ogni singola merce codificata. A tal fine l’IMDG Code indica, per ogni singola merce, un numero di identificazione “MFAG” (Medical First Aid Guide for use in accidents involving dangerous goods) ed un numero “EMS” (Emergency procedure for ships carrjng dangerous goods).
La summenzionata classificazione delle merci pericolose, è stata ripresa dal sopra citato D.P.R. 1008 del 09.5.68 il quale, in analogia al criterio seguito dall’IMDG Code, ha raggruppato le merci pericolose in nove “Classi” (vedi All.C), alcune delle quali (la 4, la 5 e la 6), suddivise in sottoclassi.
Per ciascuna di tali Classi, l’allora Ministero della Marina Mercantile ha emesso dei Decreti con i quali vengono fissati i requisiti tecnici che l’imballaggio deve possedere per il trasporto via mare, le modalità per lo stivaggio e le procedure che devono essere seguite per conseguire il rilascio delle relative autorizzazioni da parte dell’Autorità Marittima e per il trasbordo e/o lo sbarco in sicurezza del carico. A ciascuno di tali Decreti Ministeriali sono allegati gli elenchi delle merci pericolose ammesse al trasporto marittimo in colli .
Va evidenziato che ogni singola merce pericolosa ricompresa nei suddetti elenchi viene inserita in una tabella ove vengono indicati tutti i dati utili alla precisa identificazione (formula chimica, stato fisico, livello primario e secondario di pericolosità, temperatura di infiammabilità) nonchè i requisiti che deve avere il relativo imballaggio (tipo, limiti di riempimento o pressione, ecc.) e le specifiche precauzioni da adottare.
Va precisato che la classificazione effettuata con il D.P.R.1008/68 è stata oggetto, negli anni successivi, di aggiornamenti (introdotti mediante varie Circolari e Decreti Ministeriali), resi per lo più necessari dall’esigenza di inserire merci “nuove”, ammesse per la prima volta al trasporto marittimo.
Sempre con Decreti Ministeriali sono state altresì introdotte disposizioni particolari relative alla “Classe 9” (identificata dall’ etichetta riprodotta in All.D) nella quale rientrano le merci che non presentano una specifica pericolosità o che, per le loro peculiari caratteristiche, non sono definibili con un solo termine (es. tossico o infiammabile ecc.) o, ancora, che sono oggetto di studi tendenti a definire le loro proprietà fisiche, chimiche e tossicologiche.
Fissa i divieti, i limiti e le modalità di smaltimento dei rifiuti di bordo in relazione al tipo di rifiuto ed alla distanza dalla costa (vedi All.E).
L’Allegato in parola ha individuato, fra l’altro, otto Aree Speciali (Mar Mediterraneo, Area dei Golfi, Mar Rosso, Mar Baltico, Mar Nero, Mare del Nord, Antartide, Mar dei Caraibi) all’interno delle quali è consentita solo la discarica di rifiuti alimentari a non meno di dodici miglia dalla costa.
Va precisato che allorquando i rifiuti di bordo siano mescolati o composti in parte da sostanze inquinanti (prodotti chimici, idrocarburi, etc), si applicherà alla fattispecie la normativa più severa.
La SOLAS, oltre a costituire, a livello internazionale, la fondamentale fonte normativa in materia di sicurezza della navigazione, riveste un’importanza non trascurabile anche nel campo della normativa antinquinamento.
Infatti, il relativo Protocollo ‘78, entrato in vigore in Italia il 1° gennaio 1983, è stato adottato a seguito della stessa Conferenza internazionale dedicata alla sicurezza delle navi cisterna ed alla prevenzione dell’inquinamento del mare (T.S.P.P. del ‘78) che ha dato vita anche al Protocollo 78 della Marpol 73.
Inoltre, con gli Emendamenti '83 alla Solas, il Maritime Safety Committee (M.S.C.) dell’I.M.O ha adottato anche il “Codice Internazionale per la Costruzione e l’Equipaggiamento delle Navi che trasportano sostanze chimiche pericolose alla rinfusa” (IBC Code) ed il “Codice Internazionale per la Costruzione e l’Equipaggiamento delle Navi che trasportano gas liquefatti alla rinfusa” (IGC Code): di tali Codici torneremo a parlare allorquando tratteremo dei certificati previsti per le unità adibite al trasporto delle suddette sostanze.
La cooperazione tra paesi economicamente diversificati, come quelli del Mediterraneo, si è resa necessaria fin dall'inizio del processo di costruzione del sistema di Barcellona. Nella fattispecie, essa si è realizzata attraverso forme di cooperazione sub-regionale.
Per quanto concerne l'Italia vanno esaminati:
Di taglio ben più incisivo di quanto abbia fatto la Convenzione di Ginevra del 1956, è l'intervento della Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, in materia di protezione dell'ambiente marino.
Detta Convenzione dedica al problema dell'inquinamento la Parte XII «Protection and Preservation of the Marine Environment», che si compone di ben 46 articoli. In essa vengono dettati, facendo riferimento alle Convenzioni sull'argomento già esistenti, i doveri e gli obblighi degli Stati al fine di ridurre e prevenire, con l'emanazione di leggi interne e, soprattutto, con la loro applicazione concreta, l'inquinamento proveniente dalla terraferma, dall'esplorazione e dallo sfruttamento dei fondi e sottofondi marini, dagli scarichi di rifiuti in mare, dall'esercizio della navigazione e dall'atmosfera.
Va ricordato che, grazie all'istituzione, proprio in questa sede, della Zona Economica Esclusiva (ZEE) estesa 200 miglia, entro la quale lo Stato rivierasco, disponendo di diritti sovrani per lo sfruttamento delle risorse naturali e, soprattutto, per la preservazione dell'ambiente marino, sarà, nel contempo autorizzato ad intervenire per la repressione di eventuali violazioni.
Per le attribuzioni delle competenze specifiche la Convenzione esprime chiaramente la differenza tra Stato di bandiera, Stato del porto e Stato costiero.
Va tenuto presente che uno Stato diverso da quello di bandiera può irrogare nei confronti delle navi responsabili di violazioni in materia di inquinamento, solo delle «sanzioni pecuniarie», a meno che l'infrazione sia stata commessa nelle sue acque territoriali ed allo stesso tempo costituisca un «volontario e serio atto di inquinamento».
L'Organizzazione marittima internazionale, in acronimo IMO (dall'inglese International Maritime Organization) è un' Agenzia autonoma delle Nazioni Unite incaricata di sviluppare i principi e le tecniche della navigzione marittima internazionale, promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto marittimo internazionale rendendolo più sicuro ed ordinato. Lo scopo di questa organizzazione, alla quale aderiscono la quasi totalità degli Stati[1 [1]] [1] [1], è di favorire la diffusione delle informazioni, potenziare la cooperazione tra gli Stati e di formulare regolamentazioni in qualsiasi materia riguardante la navigazione, tutto ciò al fine di migliorare la sicurezza della nave, della navigazione e della vita umana in mare. E' l'unica organizzazione intergovernativa, quindi, che si occupa esclusivamente di questioni marittime. Dalla Convenzione di Ginevra del 6 marzo del 1948 fu istituito l' Intergovernmental Maritime Consultative Organization (IMCO), organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a Londra, la quale iniziò la sua attività nel 1959. Il cambio di nome da IMCO ad IMO è avvenuto nel 1982.
La convenzione dell'IMO adottata dai paesi membri prevede degli standars riguardanti le regole per prevenire gli abbpordi in mare (COLREG), gli standard di costruzione e compartimentazione delle navi, nonche le dotazioni antincendio, impiantistiche, di sopravvivenza e salvataggio (SOLAS), la formazione e certificazione del personale marittimo (STCW). Inoltre, l'IMO definisce i protocolli per le indagine sugli incidenti marittimi seguiti dalle Autorità per la sicurezza del trasporto dei paesi firmatari della convenzione sulla navigazione civile internazionale.
► Organi dell'IMO sono:
Affiancano l'IMO le seguenti organizzazioni delle Nazioni Unite:
Su iniziativa dell'IMO (Convenzione di Londra del 1976) opera, con sede in Londra, la International Maritime Satellite Organization (INMARSAT) che ha lo scopo di favorire il sistema satellitare per le comunicazioni marittime.
► Tra le più importanti Convenzioni Internazionali dell'IMO vanno ricordate:
Organizzazioni non governative per la navigazione marittima
Esistono numerose associazioni a carattere internazionale, ma di natura privata, che operano nel campo della navigazione marittima. Tra queste vanno ricordate:
[1] [1] Dell' I.M.O. fanno oggi parte 110 Stati membri (più uno Stato associato: Hong Kong). I circa 40 Stati non entrati nell'organizzazione sono principalmente piccoli Paesi del c.d. «Terzo Mondo».
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/../1014/edit%23_ftnref2