Le attività umane da sempre modificano l’ambiente. L’incremento demografico ed un uso non corretto delle risorse hanno determinato una serie di squilibri all’interno dei vari «ecosistemi». Tra gli squilibri più gravi ricordiamo quelli prodotti dall’inquinamento dell’atmosfera, del suolo e delle acque. Una immissione, sia essa accidentale o meno, in grado di apportare una qualsiasi modifica alle caratteristiche specifiche dell’ambiente naturale interessato (aria, acque, suolo) viene indicata col termine di «inquinamento». Questo temine è comprensivo di tutte le ipotesi di alterazione dell’ambiente e si può riferire tanto all’atto dell’immissione quanto agli effetti che tale immissione provoca.
Riferendoci al componente ambientale degradato - indipendentemente dal tipo di immissione che ne ha modificato, temporaneamente o meno, le caratteristiche - si usa distinguere tra:
Sono sostanzialmente tre i modi attraverso i quali l'ambiente naturale può essere inquinato:
Tutte queste sostanze liberate nell'ambiente modificano la composizione chimica e le caratteristiche fisiche d'aria, acqua e suolo agendo negativamente sull'equilibrio dei vari ecosistemi.
Peraltro, le vie d'acqua, sono uno dei veicoli maggiori dell'inquinamento ecologico. Il trasporto delle merci da un capo all'atro del mondo, è sempre stato un motivo di ricerca ed evoluzione nella costruzione dei mezzi e di sistemi atti a garantire velocità, sicurezza ed economicità. Le merci oggi si trasportano per terra, per mare e per aria, ma nonostante lo sviluppo delle reti stradali e il sempre maggior utilizzo degli aerei, le vie d'acqua (mare, fiumi e laghi) garantiscono ancora oggi, i mezzi più economici e spesso insostituibili per il trasporto delle merci, ad esempio il trasporto del petrolio greggio dai luoghi di produzione ai luoghi di trasformazione e di consumo oppure del gas naturale (metano) che sebbene in alcuni paesi può essere distribuito attraverso una serie di condotte sottomarine , in altre zone della terra può essere trasportato solo con le navi gassiere (navi particolari costruite appositamente per il trasporto di gas ).
L'uomo, da sempre, ha utilizzato il mare come mezzo di comunicazione, ma anche come un grande «scarico» naturale. Per molti tempo questo non ha creato gravi danni all'ambiente, perché anche se i fiumi immettevano in mare le acque residuali urbane contenenti sostanze organiche e batteri, non vi erano grandi problemi, in quanto le sostanze organiche erano in quantità tale che giunte al mare venivano rapidamente riutilizzate come nutrimento dagli organismi del plancton, i batteri erano diluiti e non sopravvivevano a causa della salinità e della temperatura. I rifiuti industriali non erano molto dannosi poiché erano costituiti quasi esclusivamente da sostanze biodegradabili e da pochi elementi metallici. La capacità depurativa del mare era nettamente superiore alla capacità inquinante delle sostanze immesse. Questa situazione oggi è notevolmente cambiata , la popolazione mondiale negli ultimi 100 anni è cresciuta in modo esponenziale concentrandosi sempre di più nelle aree urbane, proporzionalmente sono aumentati gli scarichi organici prodotti dall'uomo. Anche le industrie si sono moltiplicate e i loro scarichi hanno subito delle trasformazioni radicali, tra i loro rifiuti vi sono sostanze chimiche artificiali non trasformabili, che derivano dalla lavorazione delle materie plastiche, da fibre sintetiche, dai detergenti utilizzati e dall'uso di insetticidi e pesticidi. Tra i metalli spesso si trovano quelli molto tossici come il mercurio, il cadmio, il nichel, lo zinco, il cromo, l'arsenico.
In questa sede ci occuperemo solo marginalmente degli inquinamenti latu sensu per trattare con maggiore attenzione, quelli che hanno origine nel mare in conseguenza del trasporto marittimo di prodotti petroliferi e chimici; questi ultimi sono in crescente espansione in seguito alla continua richiesta di nuovi preparati per le più svariate applicazioni industriali e civili e all’impiego, sempre più diffuso, dei fertilizzanti, degli insetticidi e degli erbicidi in agricoltura.
Per una visione più generale del fenomeno, si ritiene utile distinguere l’inquinamento in tre gruppi principali:
Scendendo più nel dettaglio, è possibile distinguere gli inquinamenti sulla base della loro tipologia e provenienza e, pertanto, possiamo individuare le seguenti cause di inquinamento:
Per quanto riguarda la provenienza degli inquinamenti, possiamo individuare diverse fonti:
L’inquinamento dell’ambiente marino è provocato da una vastissima gamma di sostanze diverse dai costituenti naturali dell’acqua del mare, che direttamente o indirettamente vi vengono immesse. Si intende per inquinamento marino la “introduzione diretta o indiretta, ad opera dell’uomo di sostanze chimiche o microrganismi (c.d. agenti inquinanti) nell’ambiente marino, quando essa ha o può avere effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, alla fauna e flora marine, rischi per la salute dell’uomo, intralcio alle attività marittime, comprese la pesca e le altre utilizzazioni lecite del mare, alterazioni della qualità dell’acqua di mare dal punto di vista della sua utilizzazione e degrado delle attrattive ambientali”.
Sono causa di inquinamento «diretto»del mare gli scarichi da terra degli effluenti industriali e dei rifiuti civili generati da insediamenti dislocati lungo le coste; i versamenti effettuati dal naviglio di ogni genere e quelli provocati da incidenti occorsi a navi durante la navigazione.
L’inquinamento «indiretto»del mare è invece da attribuire a tutte le altre forme di immissione: atmosferiche, terrestri, lacustri e fluviali che da terra, alla fine, confluiscono in mare.
In questa sede ci occuperemo solo marginalmente degli inquinamenti provenienti da terra per trattare con maggiore attenzione, quelli che hanno origine nel mare medesimo in conseguenza del trasporto marittimo di prodotti petroliferi e chimici; questi ultimi son o in crescente espansione in seguito alla continua richiesta di nuovi preparati per le più svariate applicazioni industriali e civili e all’impiego, sempre più diffuso, dei fertilizzanti, degli insetticidi e degli erbicidi in agricoltura.
Le fonti di inquinamento sono molteplici, ed ogn'una contribuisce in quantità maggiore o minore al suo aumento. In ordine di priorità, le principali fonti di inquinamento sono:
I combustibili, e di conseguenza la combustione, sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico; basti pensare alle immissioni degli autoveicoli e degli impianti di riscaldamento domestico. D’altra parte, non esiste processo industriale in cui non si debba impiegare calore, vapore o energia meccanica prodotti con macchine termiche (forni, caldaie) che non diano luogo a scarichi potenzialmente inquinanti. Gli stessi impianti di lavorazione dei combustibili (raffinerie, cokerie) e i mezzi impiegati per il loro trasporto (navi cisterna, oleodotti) danno sempre luogo ad emissioni, gassose o liquide, fortemente inquinanti.
Questo è uno dei problemi maggiormente sentiti dalle popolazioni dei grandi agglomerati urbani, di cui ci si è iniziati a preoccupare solamente negli ultimi 30 anni. Dagli anni '70, infatti, sono state adottate delle politiche per la riduzione degli agenti chimici e di numerose altre sostanze particolari presenti nell'aria. L’aria che respiriamo può essere contaminata da sostanze inquinanti provenienti da industrie, veicoli, centrali elettriche e molte altre fonti. Questi inquinanti rappresentano un grosso problema per gli effetti dannosi che possono avere nei confronti della salute o dell’ambiente in cui viviamo. Il loro impatto dipende da vari fattori, come ad esempio la quantità di inquinante dell’aria al quale si è esposti, la durata dell’esposizione e la pericolosità dell'inquinante stesso. Gli effetti sulla salute possono essere di piccola entità e reversibili (come un’irritazione agli occhi) oppure debilitanti (come un aggravamento dell’asma) o anche fatali (come il cancro).
L'inquinamento atmosferico può irritare gli occhi, la gola e i polmoni. Bruciore agli occhi, tosse e un senso di oppressione al torace sono disturbi frequenti quando si è esposti a livelli elevati di inquinamento atmosferico. Tuttavia le diverse persone possono reagire in modo molto diverso all'inquinamento e alcune possono non manifestare disturbi. Poiché l'esercizio fisico richiede un aumento del ritmo e della profondità della respirazione, può provocare un aggravamento dei sintomi. Le persone affette da malattie di cuore o dei polmoni possono essere molto sensibili all'esposizione all'aria inquinata e possono manifestare sintomi prima degli altri.
Nelle città occidentali la fonte principale degli inquinanti è il traffico. Per migliorare la qualità dell'aria è necessario che ognuno si impegni a non usare l'auto quando il tragitto può essere coperto con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Tra l'altro per stare bene ognuno di noi dovrebbe fare movimento (anche solo camminando) per almeno mezz'ora al giorno. Se si è costretti a usare un mezzo privato per gli spostamenti è opportuno sceglierne uno poco inquinante, controllarne l'efficienza e cercare di trasportare altre persone che fanno lo stesso tragitto.
Quando si programmano attività ricreative, lavorative o scolastiche valutare prima le varie opzioni anche sotto il profilo della mobilità e prevederne le ricadute. Bisogna inoltre ridurre tutti gli sprechi energetici compreso un eccessivo riscaldamento domestico o impianti poco efficienti.
L' inquinamento del suolo è un fenomeno di alterazione del suolo.
Fra le sue cause si contano:
Questo tipo di inquinamento porta all'alterazione dell'equilibrio chimico-fisico e biologico del suolo, lo predispone all'erosione e può comportare l'ingresso di sostanze dannose nella catena alimentare fino all'uomo.
Il suo strato superficiale, detto «humus», determina la fertilità o meno del terreno. Un ettaro di suolo di buona qualità, in una zona temperata, contiene una notevole quantità di batteri, insetti, lombrichi e varie creature microscopiche. Queste hanno provocato gravi problemi ambientali e molti danni all'uomo e alla sua salute a causa dell'arrivo sulle coste delle sostanze inquinanti che provocano varie malattie infettive, come ad esempio il tifo, il colera, la salmonellosi.
Tutti questi organismi contribuiscono a mantenere il giusto equilibrio del terreno e a renderlo produttivo. Purtroppo, noi speso ignoriamo l'importanza del suolo e così lo danneggiamo in continuazione. Si possono distinguere almeno tre tipi di danni di cui l'uomo moderno è responsabile:
Sono molte le cause che contribuiscono a sviluppare l’inquinamento dell’acqua. Gli scarichi industriali contengono una gran quantità di inquinanti e la loro composizione varia a secondo del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull'ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo risulta maggiore della somma dei singoli effetti. I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti più o meno grossi, che si depositano sul fondo dei bacini.
Il fenomeno delle piogge acide, che consiste nella contaminazione dell'acqua piovana da parte delle sostanze tossiche presenti nell'atmosfera (anidride carbonica, anidride solforosa, biossido di azoto, ecc..), ha effetti devastanti sulle foreste, che possono manifestare una riduzione dell'attività di fotosintesi, e su strutture edili, che si deteriorano più rapidamente.
L'inquinamento marino è principalmente di origine terrestre, in particolare è una conseguenza dell'immissione di acqua di scarico e di affluenti industriali nei fiumi, che poi portano le sostanze inquinanti al mare.
Si intende per inquinamento marino la “introduzione diretta o indiretta, ad opera dell’uomo di sostanze chimiche o microrganismi (c.d. agenti inquinanti) nell’ambiente marino, quando essa ha o può avere effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, alla fauna e flora marine, rischi per la salute dell’uomo, intralcio alle attività marittime, comprese la pesca e le altre utilizzazioni lecite del mare, alterazioni della qualità dell’acqua di mare dal punto di vista della sua utilizzazione e degrado delle attrattive ambientali”.
Sono causa di inquinamento «diretto» del mare gli scarichi da terra degli effluenti industriali e dei rifiuti civili generati da insediamenti dislocati lungo le coste; i versamenti effettuati dal naviglio di ogni genere e quelli provocati da incidenti occorsi a navi durante la navigazione. L’inquinamento «indiretto» del mare è invece da attribuire a tutte le altre forme di immissione: atmosferiche, terrestri, lacustri e fluviali che da terra, alla fine, confluiscono in mare.
La principale fonte di inquinamento di origine marina è quello da idrocarburi, in particolare delle petroliere, che alcune volte riversano grandi quantità di petrolio nelle acque. Un esempio è il recente disastro ecologico provocato dall'affondamento della nave Prestige, carica di petrolio, vicino alle coste della Spagna e della Francia e quello della petroliera Jessica, lungo le coste delle isole Galapagos.
Quando siamo al mare e ci capita di vedere qualcosa galleggiare sul pelo dell’acqua; non ci chiediamo mai cosa possa essere. Ebbene, quella scia di colore verde-giallo è “mucillagine”: vale a dire resti di alghe morte per via artificiale. Il mare da solo non riesce più a decomporre naturalmente queste alghe, e così si staccano dal fondale marino e galleggiano trasportate dalla corrente.
L'acqua usata in campo domestico, industriale, agricolo o zootecnico spesso contiene sostanze che alterano l'ecosistema, per cui non possono essere scaricate direttamente nei corsi d'acqua, in quanto contribuirebbero ad inquinare le acque superficiali (se non telluriche) ed il suolo.
Gli agenti inquinanti delle acque più comuni sono:
L'acqua, in condizioni normali, è in grado di autodepurarsi grazie ad una certa quantità di ossigeno disciolto (la solubilità di O2 in acqua è di 9 ppm a 20 °C con pressione pari ad 1 atm) che trasforma le sostanze, grazie alla decomposizione aerobica (ossidazione), in composti non inquinanti (come l'anidride carbonica, i nitrati, i fosfati, i solfati). Se l'ossigeno disciolto in acqua non è sufficiente per ossidare tutte le sostanze inquinanti presenti, si formano prodotti come il metano, l'ammoniaca, la fosfina-PH3-, acido solfidrico che fanno scomparire ogni forma di vita nell'acqua.
Le vie d'acqua, sono uno dei veicoli maggiori dell'inquinamento ecologico. Il trasporto delle merci da un capo all'atro del mondo, è sempre stato un motivo di ricerca ed evoluzione nella costruzione dei mezzi e di sistemi atti a garantire velocità, sicurezza ed economicità. Le merci oggi si trasportano per terra, per mare, fiumi e per aria, ma nonostante lo sviluppo delle reti stradali e il sempre maggior utilizzo degli aerei, il «mare» garantisce ancora oggi, il mezzo più economico e spesso insostituibili per il trasporto delle merci.
L'uomo, da sempre, ha utilizzato il mare come mezzo di comunicazione, ma anche come un grande scarico naturale. Per molti tempo questo non ha creato gravi danni all'ambiente, perché anche se i fiumi immettevano in mare le acque residuali urbane contenenti sostanze organiche e batteri, non vi erano grandi problemi, in quanto le sostanze organiche erano in quantità tale che giunte al mare venivano rapidamente riutilizzate come nutrimento dagli organismi del plancton, i batteri erano diluiti e non sopravvivevano a causa della salinità e della temperatura. I rifiuti industriali non erano molto dannosi poiché erano costituiti quasi esclusivamente da sostanze biodegradabili e da pochi elementi metallici. La capacità depurativa del mare era nettamente superiore alla capacità inquinante delle sostanze immesse. Questa situazione oggi è notevolmente cambiata , la popolazione mondiale negli ultimi 100 anni è cresciuta in modo esponenziale concentrandosi sempre di più nelle aree urbane, proporzionalmente sono aumentati gli scarichi organici prodotti dall'uomo .Anche le industrie si sono moltiplicate e i loro scarichi hanno subito delle trasformazioni radicali, tra i loro rifiuti vi sono sostanze chimiche artificiali non trasformabili, che derivano dalla lavorazione delle materie plastiche, da fibre sintetiche, dai detergenti utilizzati e dall'uso di insetticidi e pesticidi. Tra i metalli spesso si trovano quelli molto tossici come il mercurio, il cadmio, il nichel, lo zinco, il cromo, l'arsenico.
L'agricoltura, anch'essa in evoluzione, ha iniziato a contribuire all'inquinamento immettendo nei fiumi e nelle falde acquifere acque cariche di fosfati e nitrati o contaminate da insetticidi, pesticidi e diserbanti.
Le fonti di inquinamento marino sono molteplici, ed ogn'una contribuisce in quantità maggiore o minore al suo aumento. In ordine di priorità, le principali fonti di inquinamento sono:
Da queste fonti di inquinamento, il mare si "difende" con meccanismi diversi. Di scarso rilievo l’azione «fotodegradante» della componente ultravioletta della luce solare, vista la scarsa trasparenza in profondità, mentre più efficace risulta la «diluizione» delle sostanze inquinanti, che così perdono, almeno in parte, la loro iniziale pericolosità e la «digestione»[1] delle sostanze organiche biodegradabili, da parte di microrganismi che le trasformano in materiale inorganico. Il progressivo aumento della immissione di queste sostanze biodegradabili, tuttavia, specie nei mari “chiusi” come il Mediterraneo, rischia di rendere insufficiente questa attività di «autodepurazione». Non sono suscettibili di tale processo “digestivo” le sostanze inorganiche.
Questa complessa situazione può richiedere anche la necessità di interventi umani di ausilio, spesso però insufficienti o addirittura inefficaci, sempre costosi.
[1] E' il processo biologico mediante il quale le sostanze organiche vengono trasformate in metano, anidride carbonica e fanghi biologici, attraverso una serie di reazioni che hanno luogo in vasche chiuse (digestori) in assenza di ossigeno o in vasche aperte in presenza di ossigeno. I materiali solidi vengono solubilizzati da speciali enzimi e quindi fermentati da particolari ceppi batterici che li riducono in acidi organici semplici, ad esempio in acido acetico, a loro volta trasformati in prodotti gassosi (metano e anidride carbonica) da altri batteri. I fanghi ispessiti vengono riscaldati e introdotti a più riprese nel digestore, dove nel giro dii 0-30 giorni vengono definitivamente decomposti Con il processo di digestione èpossibile ridurre la concentrazione di materia organica nei liquami del 45-60%. Per accelerare i processi biologici di depurazione delle acque di scarico vengono utilizzate svariate soluzioni tecniche. Tra le più diffuse si annoverano quella a filtri percolatori, quella a fanghi attivi e quella a lagune.
Per quanto concerne gli effetti dell’inquinamento sull’ambiente marino, essi possono essere diversissime. Talvolta le sostanze immerse sono così tossiche da distruggere più o meno completamente gli organismi che si trovano esposti, come accade con certi pesticidi usati in agricoltura; altre volte, pur non essendo tossiche, esse agiscono negativamente, impedendo o riducendo una funzione vitale agendo negativamente, ad esempio, sulla riproduzione di una cetra specie. Molto spesso, le sostanze immesse hanno proprietà tali da agire profondamente sull’ambiente marino alterandone le caratteristiche oppure, come avviene, per gli idrocarburi, impedendone la naturale ed indispensabile ossigenazione. Certe sostanze, accumulandosi negli organismi che vivono in mare possono farli diventare, a loro volta, tossici per coloro che se ne nutrono; infine, possono provocare degli effetti selettivi a lungo termine con conseguente alterazione del fattore più importante dell’ambiente marino: il suo equilibrio biologico.
In particolare, l’affondamento doloso delle navi, le cosiddette «navi dei veleni», usate per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi, tossici, radioattivi, determina un inquinamento assai rischioso per la salute umana. Tale pratica, inoltre, spesso si interseca con quella del traffico d’armi ed entrambe sono per le organizzazioni criminali internazionali fonti di ingenti guadagni. Ma mentre, e giustamente, si investiga su tali aspetti e si cerca di sanzionarli e reprimerli, l’ambiente marino e la salute dei cittadini sono messe a rischio. Una nave dei veleni può essere considerata una sorta di grande container di sostanze, composti, prodotti di origine e natura varia, ma tali da rappresentare comunque una fonte di tossicità. La natura dell’inquinamento è, anzitutto, funzione del tipo di sostanza inquinante e della sua concentrazione.
Tra le sostanze tossiche più comunemente in gioco, sono i metalli pesanti, in genere prodotti di scarto delle lavorazioni industriali diversi con potenzialità cancerogena, e come tali classificati dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC)[1] di Lione in una scala che prevede 5 diverse classi: dal cancerogeno certo, al non cancerogeno per l’uomo. Ugualmente cancerogene per l’uomo sono poi le sostanze radioattive, pure esse surrettiziamente smaltite attraverso l’affondamento doloso delle navi. A titolo unicamente esemplificativo, vengono di seguito riportate alcuni metalli pesanti con il grado di evidenza IARC e l’organo/gli organi bersaglio.
Non è però soltanto la tossicità a caratterizzare le condizioni di pericolo che derivano dal contatto con sostanze pericolose. La stabilità termodinamica e la bioaccumulabilità sono dei cofattori di importante rilievo, perchè influenzano direttamente il tempo di interazione con l’ecosistema e soprattutto le concentrazioni di queste sostanze. Da questo punto di vista le analisi sui sedimenti possono fornire utili informazioni, a patto di saperle correttamente interpretare. Infatti, ad esempio, l’assenza di particolari analiti, se da un lato è confortante, in quanto indice di un mancato accumulo e quindi di basse concentrazioni o di ridotta accumulabilità di un agente tossico, d’altra parte può anche denunciare che per certe molecole rilasciate si è già compiuto il ciclo reattivo con l’ecosistema. Da ciò deriva come sia indispensabile acquisire ogni possibile informazioni per definire la natura qualitativa dei carichi delle navi. Rifiuti radioattivi, pesticidi, metalli pesanti, armi chimiche non sono la stessa cosa sotto vari profili, così come aspetti diversi sono quelli concernenti la stabilità, la ossidabilità, la solubilità delle sostanze in causa. L’acqua marina, inoltre, ha una forza ionica che può modificare le caratteristiche di solubilità delle varie sostanze, oltre a poter interagire, in genere positivamente, sui processi di dissoluzione.
Circa l’ossidazione, le condizioni di pressione che si hanno generalmente al livello di questi relitti e la ridotta concentrazione di ossigeno, rispetto a quella atmosferica, obbligano a riconsiderare le costanti termodinamiche delle reazioni di ossidazione rispetto alle condizioni ambiente.
La contaminazione delle acque da parte di tutte queste sostanze, non è di norma contestuale all’affondamento della nave, ma alle modalità di stoccaggio del materiale stivato ed alla stabilità del contenitore. Vi è generalmente un lasso più o meno lungo di tempo tra l’affondamento e la liberazione delle sostanze inquinanti dai loro contenitori progressivamente corrosi dall’acqua di mare. La fuoriuscita del contenuto può avvenire con grande rapidità, tenuto anche conto del carattere fluido del sistema e della elevata capacità solvente dell’acqua di mare. E’ vero che le capacità di diluizione del mare, che sono la base della sua grande capacità rigenerativa, rendono le concentrazioni non sempre facilmente determinabili, ma è anche vero che ormai esistono test analitici molto sensibili ed applicabili in situ. In ogni caso, la fuoriuscita delle sostanze tossiche determina un inquinamento delle acque, della flora, della fauna ittica e dei fondali marini, per estensioni più o meno ampie e con il successivo rilascio, da parte di questi ultimi, per tempi anche assai prolungati del materiale inquinante.
Un aspetto nodale dell’inquinamento degli ecosistemi marini è rappresentato dall’accumulo di sostanze nocive nelle catene alimentari, aspetto particolarmente importante e dalle ricadute gravi, anche per la bioaccumulabilità e persistenza di tali sostanze, oltre che per la loro patogenicità che può interessare, in pratica, ogni organo e apparato.
Il coinvolgimento delle catene alimentari, inoltre, amplia in maniera imprevedibile l’ambito delle popolazioni e dei territori coinvolti, che rimane in ogni caso non confinato alle zone geografiche direttamente interessate.
[1] L'agenzia intergovernativa IARC (acronimo di International Agency for Research on Cancer), è l'organismo internazionale, che tra i vari compiti svolti, detta le linee guida sulla classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici. Con sede a Lione , la IARC è parte dell' Organizzazione mondiale della sanità (OMS), o World Health Organization (WHO) delle Nazioni Unite. La IARC conserva una serie di monografie sui rischi cancerogeni di svariati agenti.
Il termine «eutrofizzazione» deriva dal greco eutrophia (eu = buono, trophòs = nutrimento), indica quindi una condizione di ricchezza di sostanze nutritive in un dato ambiente, nello specifico una sovrabbondanza di nitrati e fosfati in un ambiente acquatico. Oggi viene correntemente usato anche per indicare, seppure in maniera impropria, le fasi successive del processo biologico conseguente a tale arricchimento, vale a dire l'eccessivo accrescimento degli organismi vegetali acquatici che si ha per effetto della presenza nell'ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo, provenienti da fonti naturali o antropiche (come i fertilizzanti, alcuni tipi di detersivo, gli scarichi civili o industriali), e il conseguente degrado dell'ambiente divenuto asfittico. L'accumulo di elementi come l'azoto e il fosforo causa la proliferazione di alghe microscopiche che, a loro volta, non essendo smaltite dai consumatori primari, determinano una maggiore attività batterica; aumenta così il consumo globale di ossigeno, e la mancanza di quest'ultimo provoca alla lunga la morte dei pesci. Questo fenomeno è stato riconosciuto come un problema di inquinamento in Europa e in America del Nord verso la metà del XX° e da allora si è andato sviluppando.
Negli ambienti acquatici si nota un notevole sviluppo della vegetazione e del fitoplancton. Il loro aumento numerico presso la superficie dello specchio d'acqua comporta una limitazione degli scambi gassosi (e quindi anche del passaggio in soluzione dell'ossigeno atmosferico O2). Inoltre, quando le alghe muoiono vi è una conseguente forte diminuzione di ossigeno a causa della loro decomposizione ed i processi di putrefazione e fermentazione associati liberano grandi quantità di ammoniaca, metano e acido solfidrico
rendendo l'ambiente inospitale anche per altre forme di vita. Al posto dei microrganismi aerobici (che hanno bisogno di ossigeno) subentrano quelli anaerobici (che non hanno bisogno di ossigeno) che sviluppano sostanze tossiche e maleodoranti.
â–º Alcuni effetti negativi dell'eutrofizzazione sono:
Per contrastare l'eutrofizzazione sono necessari interventi che riducano gli afflussi di nutrienti ai corpi idrici (riduzione dei fertilizzanti in agricoltura, depurazione degli scarichi civili ed industriali, trattamento delle acque di scolo delle colture tramite agenti sequestranti ed impianti di fitodepurazione). Si ritiene che il riscaldamento globale contribuirà a peggiorare il fenomeno dell'eutrofizzazione. Il riscaldamento delle acque superficiali, infatti, fa diminuire la solubilità dei gas (e quindi anche dell'ossigeno).
Litorale interessato da eutrofizzazione
L’ambiente marino è un ecosistema complesso e dinamico, notevolmente soggetto a degrado ambientale, sia per la fragilità tipica di ogni ambiente di transizione, sia per gli interessi conflittuali che vi si accentrano. La fascia costiera costituisce una risorsa primaria per l’uomo e racchiude una consistente parte delle risorse economiche del nostro Paese. Una tale concentrazione antropica ha inesorabilmente prodotto elevate pressioni sull’ambiente marino-costiero e le situazioni di degrado sono purtoppo numerose, tanto da far dubitare della sua conservazione per le generazioni future.
Il controllo ambientale, quale strumento fondamentale di difesa dell'ambiente, risponde all'esigenza di prevenire o limitare gli impatti delle attività antropiche sull’ambiente con l'obiettivo di tutelare e migliorare lo stato di qualità degli ecosistemi e delle risorse. Una delle modalità attraverso cui il controllo ambientale si esplica è il «monitoraggio», inteso come verifica sistematica delle variazioni nel tempo di una specifica caratteristica chimica, fisica o parametro equivalente attraverso misurazioni e osservazioni ripetute con appropriata frequenza. Essenziale per assicurare lo sviluppo di idonei strumenti cognitivi e legislativi per la tutela dell'ambiente, richiede generalmente un'intensa e complessa attività di laboratorio con un alto numero di analisi chimico-fisiche e con un uso sempre più ampio di nuove tecniche strumentali. Va sottolineato che l'attività di monitoraggio include tutte le "fasi dell'analisi" iniziando con il campionamento, il trasporto e la conservazione del campione, la sua preparazione, il trattamento preanalitico e l'analisi strumentale. Il raggiungimento ed il mantenimento di standard di qualità delle acque e dei sedimenti ai fini della conservazione e dello sfruttamento ecocompatibile della fascia marina costiera, passano quindi attraverso l’attuazione di un puntuale programma di «monitoraggio» con la finalità di vigilare e controllare le coste e i fattori di pressione sia antropogenici che naturali che incidono, in modo significativo, sulla qualità dell’ambiente marino.
In passato lo strumento del monitoraggio era unicamente inteso come una raccolta delle informazioni di base in un determinato ambiente. Una delle poche utilità di questo obsoleto modo di agire è stato quello di costituire delle banche dati di riferimento a cui attingere per verificare cambiamenti degli ecosistemi in atto. La moderna finalità dei monitoraggi marini è invece quello di fornire (attraverso raccolte dati mirate e specifiche elaborazioni) informazioni precise sulle condizioni ambientali locali evidenziando i fattori di stress e rendendo quindi possibile la pianificazione di interventi di contenimento/ripristino.
La legislazione ambientale italiana presenta un'articolata e talvolta complessa distribuzione delle competenze nelle attività di monitoraggio e controllo con il coinvolgimento di una moltitudine di soggetti istituzionali: la competenza nelle procedure autorizzative sono attribuite ad Autorità quali Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Regioni, Province e Comuni; l'attività di controllo è affidata al «Sistema agenziale», istituito con Legge n. 61/94, ossia alle Autorità Ispettive, quali l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), le Agenzie Regionali (ARPA) e quelle delle Province autonome di Trento e di Bolzano (APPA), i Servizi di Igiene delle ASL, il Corpo Forestale, il Comando Carabinieri Tutela Ambiente (CCTA), le Capitanerie di Porto, la Polizia Municipale, ecc.; mentre l'attività di monitoraggio è attribuita sia a Enti territoriali che al Sistema agenziale.
Sebbene i soggetti pubblici chiamati a svolgere attività direttamente o indirettamente collegate alle funzioni di monitoraggio e controllo siano numerosi e operino a tutti i livelli territoriali, la responsabilità primaria di quest’attività è stata di fatto affidata al Sistema agenziale APAT-ARPA/APPA con una duplice missione istituzionale:
All’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), in particolare, sono state altresì affidate le funzioni di coordinamento e raccordo non solo con i soggetti appartenenti al Sistema agenziale, ma anche con gli Istituti Centrali e Corpi dello Stato con l'obiettivo di:
Per il miglioramento della pianificazione delle attività di controllo, nonché della loro relativa esecuzione, il Sistema delle Agenzie, in attuazione di quanto previsto nella Raccomandazione 2001/331/CE, ha compiuto un importante passo in avanti approvando di recente un bozza di Regolamento, con i relativi allegati, che fissa, tra le altre cose, i criteri generali per la preparazione e lo svolgimento dei controlli ambientali.
Tale Regolamento, una volta approvato dalle Amministrazioni competenti (Ministero e Regioni) e interiorizzato dalle Autorità ispettive, consentirebbe:
Le attività di analisi e di gestione della strumentazione per il monitoraggio in continuo sono un importante patrimonio di tutto il Sistema. L'efficacia delle azioni di monitoraggio e la qualità dei dati analitici non possono, quindi, assolutamente prescindere da un forte collegamento tra le organizzazioni di tutto il Sistema delle Agenzie durante tutte le fasi dell'indagine ambientale. È stato, perciò, costituito il Gruppo Tecnico Permanente (GTP), coordinato dall'APAT, che raccoglie le priorità e le esigenze dei laboratori territoriali, con funzioni di supervisione nelle fasi di attuazione dei circuiti di interconfronto, di coinvolgimento del maggior numero di laboratori ambientali e, infine, di partecipazione attiva all'elaborazione e alla discussione dei risultati dei circuiti stessi. Il raggiungimento della comparabilità dei dati ambientali a livello nazionale rappresenta una delle priorità del mandato dell'APAT. In questo quadro, l'Agenzia ha realizzato un laboratorio per la produzione e caratterizzazione di materiali di riferimento che sono resi disponibili gratuitamente al Sistema delle Agenzie ambientali per l'effettuazione di circuiti-interlaboratorio, questi ultimi consentono un sistematico controllo della qualità dei risultati analitici prodotti sul territorio e, più in generale, permettono di qualificare la rete dei laboratori coinvolti nel sistema dei controlli ambientali.
Inoltre l'APAT ha avviato la costituzione, il consolidamento e l'ampliamento di una Rete Nazionale di Laboratori di Riferimento che rappresenta un ulteriore strumento per il raggiungimento della comparabilità dei dati analitici e dell'omogeneità delle misure ambientali a livello nazionale, in quanto favorisce l'adozione da parte di tutti i laboratori territoriali di procedure analitiche convalidate, l'effettuazione di misure riferibili ai campioni nazionali, l'utilizzo di materiali di riferimento certificati e la partecipazione ai circuiti interlaboratorio. I laboratori della Rete costituiscono un punto di riferimento per l'APAT per la convalida di metodi analitici, per la caratterizzazione di materiali di riferimento e per la taratura degli analizzatori delle reti di monitoraggio. Allo stesso tempo, la Rete dei laboratori costituisce un punto di riferimento per il Sistema agenziale per la formazione di personale e per un supporto analitico in caso di necessità e/o per analisi complesse. Tale Rete prevede nodi regionali e/o zonali a seconda del tipo di misurazione e delle esigenze delle Agenzie.
Le zone costiere costituiscono degli ambienti complessi, influenzati da una miriade di forze che interagiscono fra loro e che dipendono dalle condizioni idrologiche, geomorfologiche, socioeconomiche, istituzionali e culturali del sistema considerato. Lo studio degli ecosistemi marini permette di valutare lo stato di «qualità» delle acque marino-costiere da un punto di vista ambientale e in funzione della salute pubblica. Solo tenendo costantemente sotto controllo il mare, punto di arrivo finale di tutti i fattori di inquinamento, sarà possibile definire ed attuare le politiche di risanamento e di valorizzazione delle zone costiere.
La crescente consapevolezza, oramai diffusa in ogni campo, dell'importanza della conservazione delle risorse naturali disponibili e del loro razionale sfruttamento, ha fatto sorgere, sul piano giuridico e politico-legislativo, un'attenzione sempre maggiore verso una considerazione unitaria delle problematiche ambientali, e conseguentemente verso una predisposizione di livelli decisionali parimenti unitari, o almeno di coordinamento delle varie competenze preesistenti nelle materie ambientali.
La legislazione ambientale italiana, non diversamente da quella di altri Paesi dell’Unione europea, ha preso impulso dalla normativa comunitaria ed oggi deriva in massima parte da essa. L’emanazione delle più recenti normative comunitarie e nazionali hanno oggi portato alla definizione di una strategia di monitoraggio più complessa per ciò che attiene la selezione dei comparti di indagine e dei parametri indagati.
I controlli da attuarsi nelle acque marine costiere per assegnare un giudizio di qualità sono regolamentati dai seguenti atti legislativi:
Normativa nazionale:
Normativa comunitaria:
Nel nostro Paese la qualità delle acque destinate alla «balneazione» è disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470 (emanato in recepimento della Direttiva n. 76/160/CEE dell’8 dicembre 1975) e successive modifiche ed integrazioni. Detto Decreto, colma una lacuna legislativa in materia "igienico-sanitaria" delle acque di balneazione interne e marine; non esistevano infatti precedenti normative specifiche, fatte salve le generiche disposizioni del Regio Decreto n° 726/1985 sugli stabilimenti balneari, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 e della Circolare del Ministero della sanità del 1979 contenente le prime disposizioni attinenti la balneazione.
Il D.P.R. 470/82 prevede che, a cura delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, ove istituite, vengano eseguiti nel periodo di campionamento (dal 1°aprile al 30 settembre) degli accertamenti ispettivi ed analitici sulle acque costiere individuate dalle Regioni interessate, al fine di verificarne l’idoneità (e conseguentemente la non idoneità) alla balneazione.
Per le caratteristiche dei parametri da indagare è indubbio che la “qualità delle acque destinate alla balneazione” oggetto del D.P.R. 470, è un obiettivo di carattere principalmente igienico-sanitario.
La tutela igienico-sanitaria è garantita attraverso l’analisi delle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche su campioni prelevati ogni 15 giorni nel periodo compreso fra il 1 Aprile ed il 30 Settembre (Tabella 1 - allegato 1 DPR 470/1982 che si tralascia); su ogni campione prelevato vengono ricercati di routine 11 parametri di cui 4 batteriologici e 7 chimico fisici, anche se, in condizioni particolari, si possono ricercano parametri ulteriori. Per il giudizio di idoneità, ogni superamento del limite anche di un solo parametro di qualsiasi prelievo determina campionamenti suppletivi di verifica, dettagliatamente esplicitati dalla norma, in base ai quali si ribadisce l’idoneità o il divieto alla balneazione. Una zona è dichiarata temporaneamente non idonea alla balneazione, a cura del Comune interessato, qualora due delle cinque analisi “suppletive” previste presentino difformità ai requisiti normativi di qualità, mentre la riapertura di tale zona resta subordinata all’esito favorevole di due analisi “routinarie” consecutive eseguite con la frequenza minima prevista.
Per la determinazione dell’idoneità all’inizio della stagione balneare, ci si riferisce alle analisi effettuate durante l’anno precedente: le acque sono considerate idonee quando hanno avuto il 90% dei campioni in cui tutti i parametri sono rientrati nei limiti di legge (80% per i parametri microbiologici) e i casi di non conformità (per colorazione, pH, temperatura, fenoli, oli minerali e sostanze tensioattive) non hanno avuto valori superiori del 50% dei limiti (tab. 1)
Il D.P.R. 470/82 non ha subito nessuna modifica fino alla emanazione della Legge 29 dicembre 2000, n° 422, che, con l’articolo 18 ha dettato nuove e più severe norme in materia di acque di balneazione:
Si nota che con questo aggiornamento si impongono limiti più severi e restrittivi a vantaggio della protezione e del miglioramento delle acque di balneazione.
E’ importante rilevare che da tempo si avvertita la necessità di modificare l’attuale Direttiva Europea 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione; nel 1994 il Consiglio dell’Unione Europea ha presentato una proposta di nuova Direttiva che modificava parzialmente quella attuale ma che è stata successivamente respinta nel 1999 da 14 Stati Membri su 15 totali. Successivamente, il 24 Ottobre 2002, la Commissione Acque di Balneazione delle Comunità Europee ha presentato una nuova proposta che prevede un approccio innovativo e conforme alle più recenti politiche di gestione e programmazione ambientale. In sintesi la Direttiva mira ad individuare e riconoscere tutti i meccanismi responsabili dell’eventuale superamento dei limiti stabiliti, oltre ai processi che determinano la qualità dell’acqua e la sua variabilità al fine di minimizzare l’impatto delle attività antropiche tramite interventi di gestione specifici e mirati.
Nello stesso documento viene proposta l’ introduzione di 2 nuovi parametri microbiologici, Enterococchi intestinali ed Escherichia Coli, considerati più sensibili e significativi per valutare il rischio per la salute pubblica durante l’attività di balneazione e gli atri usi ricreativi della risorsa idrica. Di fatto i nuovi sostituiscono tutti i parametri utilizzati fino ad ora, lasciando un ruolo accessorio ad altri già presenti (oli minerali; pH, solo nelle acque interne; fioriture algali, solo nelle zone a rischio) o di nuova introduzione (residui bituminosi, catrame, materiale galleggiante come legname, plastica, vetro, gomma ecc.). Tale riduzione dei parametri determinerebbe ingenti riduzione dei costi senza comunque ridurre il grado di protezione dei cittadini.
Le attività di monitoraggio sono state condotte inizialmente in riferimento ai dettami della Legge 31 dicembre 1982, n. 979/82 come modificata dal D.lgs. n. 202/2077 (“Disposizioni per la difesa del mare”), finalizzata alla conoscenza dello stato degli ecosistemi e al controllo dell’eutrofizzazione. I monitoraggi erano finalizzati al controllo delle acque e dei bivalvi, attraverso l’analisi di alcuni parametri chimici, fisici e microbiologici.
La legge in parola si pone come obiettivo l’attuazione di una politica di protezione dell’ambiente marino e di prevenzione delle risorse marine da effetti dannosi. Tale obiettivo viene perseguito attuando piani generali sia di difesa del mare e delle coste dall’inquinamento, che piani di tutela dell’ambiente marino su tutto il territorio nazionale. In ottemperanza a tale normativa, la Direzione Generale per la Protezione della Natura (ex Servizio Difesa del Mare - SDM) del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e della natura ha organizzato, di concerto con le quattordici Regioni costiere italiane, una «rete di osservazione» della qualità dell'ambiente marino costiero, effettuando periodici controlli con rilevamento di dati oceanografici, chimici, biologici e microbiologici al fine di tenere sotto controllo lo stato di qualità delle acque marino-costiere. I monitoraggi triennali in convenzione con tutte le regioni, sono iniziati nel 1996 e riguardano il controllo delle condizioni degli ecosistemi marini, dell’eutrofizzazione e dei bivalvi e vengono effettuati su un numero rilevante di "transetti" con la determinazione di un gran numero di parametri. I dati rilevati confluiscono nel SIDIMAR (Banca dati del Sistema Difesa Mare) e quindi sono disponibili in ambito SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale).
I dati raccolti nelle attività di monitoraggio svolti dal Ministero dell’Ambiente ben si prestano quale ricca banca dati a disposizione di tutti gli enti che, sull’ambiente e per l’ambiente marino, sono tenuti ad intervenire con il coordinamento e la programmazione delle attività di difesa, prevenzione e protezione. Il Programma di Monitoraggio dell’Ambiente Marino Costiero, fin dal suo avvio, è stato pensato e organizzato da un punto di vista squisitamente ambientale, prestando attenzione alla verifica dello stato di qualità delle acque di mare: l’obiettivo, infatti, è di valutare in che maniera e in che quantità l’attività dell’uomo influenza la qualità dell’ambiente marino. E’ per questo motivo che il programma di monitoraggio è rivolto a tutte le matrici marine: acque, sedimenti, biota e benthos. Come è noto, i sedimenti e il biota sono matrici che conservano la memoria di tutte le sostanze con cui sono venuti a contatto, compresi i microinquinanti: i dati raccolti sulla contaminazione dei sedimenti e del biota, unitamente ai dati raccolti sulle acque, possono essere utilizzati per valutare lo stato ambientale dell’ecosistema marino.
Questo programma risulta propedeutico alla futura applicazione del D. Lgs 152/99 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento” e il suo avvio ha permesso di standardizzare, su tutto il territorio nazionale, ed uniformare le procedure per ridurre il margine d’errore. Con l'emanazione della normativa sulle acque (D.lgs. 152/99 come modificato dal D.Lgs. 258/00), vengono richieste attività di monitoraggio nei corpi idrici significativi al fine di stabilire lo stato di «qualità ambientale» di ciascuno di essi. La conoscenza dello stato dei corpi idrici permette la loro classificazione e conseguentemente, se necessario, di pianificare il loro risanamento al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale. Oltre ai corpi idrici significativi sono da monitorare tutti i corpi idrici che, per valori naturalistici o per particolari utilizzazioni in atto, hanno rilevante interesse ambientale e quelli che per essere molto inquinati possono avere influenza negativa sui corpi idrici significativi.
Il D.Lgs. 152/99 (come modificato dal D.Lgs. 258/00), per la valutazione dello stato di qualità ambientale, ha come obiettivi principali:
Tabella 1 – Tabella 17 Allegato 1 D.Lgs. 152/99, come modificata dal D.Lgs. 258/00
“Classificazione delle acque marine costiere in base alla scala trofica”
In tale maniera le acque marino costiere vengono classificate esclusivamente in base ad un indice di trofia che fornisce delle indicazioni solo su alcune delle condizioni del sistema considerato.
La necessità di poter disporre di un criterio oggettivo per la classificazione delle acque marine costiere riveste importanza essenziale nell’attività pianificatoria, quando è necessario definire gli obiettivi di qualità da raggiungere e le strategie di risanamento. L’introduzione dell’ «Indice Trofico» e della relativa «Scala Trofica», rendono possibile la misura dei livelli trofici in termini rigorosamente quantitativi, nonché il confronto tra differenti sistemi costieri, per mezzo di una scala numerica che copre un’ampia gamma di situazioni trofiche, così come queste si presentano lungo tutto lo sviluppo costiero italiano, e più in generale, nella Regione Mediterranea.
L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA – European Environment Agency), nata nel 1990 su volontà del Consiglio dei Ministri dell'allora Comunità Economica Europea[1] [1], ha il compito di sviluppare e coordinare la «rete» europea di informazione e di osservazione in materia ambientale (EIONET- Environment Information and Observation network) con l'obiettivo di raccogliere, elaborare e divulgare i dati ambientali di interesse europeo, supportando le istituzioni comunitarie e aiutando la comunità nello sforzo di integrazione delle politiche ambientali nelle politiche economiche. Ha sede a Copenaghen e conta attualmente 32 membri: i 27 paesi dell'UE più Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e Turchia.
Scopo dell’EEA non è quello di sostituire le strutture esistenti, bensì di tentare di mettere assieme, nei formati compatibili, i migliori dati sull’ambiente disponibili, provenienti dai singoli Paesi. Questi dati formano le basi degli assetti ambientali integrati. I risultati vengono diffusi e resi accessibili ai membri dell’UE, ai Governi, alle Organizzazioni non governative non profit (ONG) e al pubblico. Per realizzare tali obiettivi, l'Agenzia deve fornire alla Comunità e agli Stati membri informazioni oggettive, attendibili e comparabili a livello europeo che le permettano di adottare le misure necessarie per proteggere l'ambiente, valutare l'applicazione delle misure ed assicurare una corretta informazione dei cittadini sullo stato dell'ambiente.
[1] [1]Regolamento (CE) n. 401/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 , sull’Agenzia europea dell’ambiente e la rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale
Nata come Agenzia nazionale per la Protezione Ambientale (ANPA), a seguito della riorganizzazione dei controlli ambientali del 1993 è stata soggetta negli ultimi anni ad una profonda riorganizzazione cambiando denominazione APAT – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici e fondendosi con il Dipartimento per i Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il quale già collaborava.
L'APAT svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell'ambiente, per la tutela delle risorse idriche e della difesa del suolo. L'Agenzia ha autonomia tecnico-scientifica e finanziaria ed è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ed al controllo della Corte dei Conti. L'APAT opera sulla base di un programma triennale, aggiornato annualmente, che determina obiettivi, priorità e risorse, in attuazione delle direttive del Ministero dell'Ambiente. Nei settori di propria competenza, l'APAT svolge attività di collaborazione, consulenza, servizio e supporto alle altre pubbliche Amministrazioni, definite con apposite convenzioni. Entrata a far parte della Rete nel 2004, partecipa ai lavori del Gruppo di Lavoro Obiettivo “Monitoraggio Ambientale”.
Sono Organi dell'APAT il Presidente, il Consiglio di Amministrazione, il Collegio dei revisori. La gestione tecnico scientifica è attribuita al Direttore generale, il quale dirige la struttura dell’Agenzia ed è responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione. La struttura organizzativa dell’APAT si articola in Dipartimenti, Servizi interdipartimentali e Servizi alle dirette dipendenze della Presidenza e della Direzione. Al fine di promuovere lo sviluppo coordinato del sistema nazionale dei controlli in materia ambientale è inoltre istituito, presso l’Agenzia, il Consiglio federale, attualmente presieduto dal Presidente dell’APAT e composto dai legali rappresentanti delle ARPA/APPA, con la partecipazione di un delegato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
La Banca dati del Sistema Difesa Mare (Si.Di.Mar.) è un sistema informativo in grado di fornire un panorama completo e coordinato sulla condizione del nostro territorio marino e costiero, sia sulla base delle relative condizioni ecologiche e sia in relazione alle attività antropiche, economiche ed industriali che intervengono sulla fascia costiera emersa e sommersa. Grazie alla sua attività di raccolta dei dati provenienti dalle reti di osservazioni regionali sull’ambiente marino, messi a disposizione degli utenti via Internet, il Si.Di.Mar è a tutt'oggi l'unica banca dati che raccoglie a livello nazionale i dati relativi all'ambiente marino.
Attualmente nel Si.Di.Mar. è possibile acquisire e visualizzare attraverso il GIS (Geographical Information System) le informazioni relative a:
L’integrazione dei suddetti dati in un unico ambiente consente di avere a disposizione tutte le informazioni utili per una pianificazione accurata che consente:
SIT è l'acronimo italiano di Sistema Informativo Territoriale; la sua traduzione inglese, vale a dire Geographic(al) Information System, GIS, viene spesso usata erroneamente come sinonimo di SIT.
Un sistema informativo territoriale o SIT è infatti "Il complesso di uomini, strumenti e procedure (spesso informali) che permettono l'acquisizione e la distribuzione dei dati nell'ambito dell'organizzazione e che li rendono disponibili, validandoli, nel momento in cui sono richiesti a chi ne ha la necessità per svolgere una qualsivoglia attività" Mogorovich 1988. Un GIS è invece un sistema informativo computerizzato che permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazione derivanti da dati geografici (geo-riferiti). Secondo la definizione di Burrough 1986 "il GIS è composto da una serie di strumenti software per acquisire, memorizzare, estrarre, trasformare e visualizzare dati spaziali dal mondo reale". Trattasi quindi di unsistema informatico in grado di produrre, gestire e analizzare dati spaziali associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche.
Esempio di un sistema informativo geografico nel quale sono caricati livelli lineari e puntuali
Il GIS è differente dal DBMS (o Database Management System), in quanto si occupa essenzialmente dell'elaborazione e manipolazione dei dati georeferenziati, che a loro volta possono essere memorizzati in un DBMS o in singoli file. Il sistema di gestione dei dati garantisce un livello di sicurezza ai dati, permettendo una condivisione sicura ed affidabile.
I risultati delle analisi effettuate durante i Programmi di Monitoraggio sono stati integrati in un ambiente GIS (Sistema di Informazione Geografico). Cliccando sulle aree di indagine riportate sulla carta, si accede alle informazioni sulla localizzazione delle singole stazioni di campionamento e ai risultati delle analisi eseguite. I dati inviati dalle Regioni al Ministero vengono controllati e verificati prima di essere messi in rete. Tale operazione comporta un intervallo di circa 60 - 90 gg. tra la data di campionamento e la data di pubblicazione dei dati stessi.
Il SINA con l’azione di monitoraggio e controllo ambientale (secondo lo schema MDIAR) raccoglie dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di:
Sistemi Monitoraggio
Reporting e Determinanti - Pressioni - Stato - Impatti - Risposte
La rete SINAnet si compone di diversi elementi:
Il trasferimento del programma SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale) dal Ministero dell’ambiente all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), avviato nel 1998 e completato nel 2001, ha rappresentato un momento di svolta e di innovazione nella realizzazione del sistema di conoscenze necessarie per l’azione di governo dell’ambiente, in un contesto europeo e nazionale orientato verso una sempre maggiore integrazione della dimensione ambientale nelle politiche. È nel 1998, infatti, che la Commissione europea avvia il processo politico di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore (il cosiddetto “processo di Cardiff”), al fine di promuovere politiche di sviluppo settoriali che tengano conto – e internalizzino i costi – dei fattori ambientali. E successivamente nel 2001, in occasione del Consiglio Europeo di Gothenburg, la Commissione propone la strategia europea per lo sviluppo sostenibile (A Sustainable Europe for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development), nella quale viene riconosciuta l’esigenza che politiche di crescita economica non siano disgiunte dalle politiche di coesione sociale e di protezione dell’ambiente. Nel 2001, il programma di sviluppo del SINA, elaborato dall’ Agenzia nazionale per l’ambiente, viene proposto dal Ministero dell’ambiente alla Conferenza Stato-Regioni che sigla l’intesa e costituisce il “Tavolo SINA” di coordinamento istituzionale.
A livello europeo e nazionale, nasce l’esigenza di individuare meccanismi di reporting periodico basati di indicatori e indici per monitorare il livello di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore e per misurare il raggiungimento degli obiettivi individuati nelle strategie di sviluppo sostenibile.
In questo contesto, l’APAT, insieme al sistema delle ARPA/APPA, ha negli ultimi anni compiuto sforzi significativi verso la realizzazione di un sistema informativo ambientale in grado di raccogliere dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di fornire supporto dell’azione di governo, e per produrre con continuità prodotti e servizi informativi basati su indicatori e indici.
L’esigenza di integrazione con il contesto europeo ha ispirato le scelte organizzative e di contenuti del SINA. La rete europea Environment Information and Observation Network (EIONET) dell’Agenzia Europea per l’Ambiente ha rappresentato infatti il modello di riferimento per la realizzazione del sistema nazionale di cooperazione a rete, secondo uno schema di connessione di nodi specializzati per tematiche ambientali (Centri Tematici Europei) e per unità territoriali (Punti Focali Nazionali).
Per quanto concerne la base conoscitiva, l’obbligo di comunicazione di dati derivante dall’applicazione del quadro legislativo comunitario e dei protocolli e convenzioni internazionali ha costituito un requisito fondamentale per lo sviluppo del SINA.
L’attività di reporting rappresenta il momento conclusivo di un complesso ed articolato processo che attraverso l’utilizzo di opportuni indicatori mira a produrre il “riassunto operativo di realtà complesse” (Jesinghaus, 1998).
Rifacendosi alla terminologia utilizzata dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, tale processo può essere descritto tramite la cosiddetta catena MDIAR: monitoraggio (generazione diretta dei dati di base tramite reti, campagne, documenti amministrativi, ecc.) » dati (completamento del database grazie a fonti competenti) » informazione (verifica/qualificazione dei dati e loro trasformazione in “informazioni utili” tramite opportuni indicatori) » analisi (calcolo degli indicatori e valutazione dell’informazione) » reporting (diffusione dell’informazione, organizzata secondo un opportuno modello).
La piramide dell’informazione
Le basi della catena MDIAR (rappresentabile tramite la Piramide dell’informazione), si costituiscono in genere grazie alla collaborazione di Enti e Agenzie che tramite azioni di controllo e monitoraggio ambientale producono e validano i dati necessari all’attività di reporting; le successive fasi che portano alla produzione del Rapporto (scelta del set di indicatori, loro calcolo, valutazione e modellizzazione) sono sviluppate considerando che:
Il Modello DPSIR è nato in seno all’EAA (Agenzia Europea per l’Ambiente – European Environment Agency) in seguito al riconoscimento dell’incapacità del modello dei “processi ambientali” meglio noto come modello Pressioni-Stato-Risposte (PSR)[1] [1] proposto dall’OECD nel 1991 (Organisation for Economic Cooperation and Development)[2] [1], di identificare e di tenere conto di quei fattori che hanno un’incidenza rilevante, ma indiretta, nel determinare le condizioni ambientali.
Tali fattori vengono definiti determinanti (Driving forces) e sono legati alle attività umane, ai trend economici e culturali, ai settori produttivi, alla pianificazione territoriale, ecc. Il modello si basa sul concetto di causalità: l’uomo e le sue attività esercitano delle pressioni sull’ambiente (emissioni, scarichi…) modificando quali-quantitativamente lo stato dei comparti ambientali (aria, acqua, suolo...). Tali mutamenti di stato, quando per noi indesiderabili, rappresentano degli impatti, ovvero danni quantificabili alla salute umana, all’economia, agli ecosistemi, ecc.
Elemento cardine del modello sono infine le risposte sociali, a livello collettivo ed individuale, che retroagiscono direttamente o indirettamente sugli altri anelli del modello modificandoli nella direzione di una maggiore sostenibilità: sui determinanti tramite normative ed interventi strutturali che modifichino le fonti di pressione mitigandone l’influenza sull’ambiente, sulle pressioni per mezzo di leggi e prescrizioni (limiti di emissioni, ecc.), sulle condizioni di stato mediante risanamenti, bonifiche, ecc.
Modello DPSIR
Il modello DPSIR, sviluppato in ambito dell´Agenzia Europea per l´Ambiente, si basa su una struttura di relazioni causa/effetto che lega tra loro i seguenti elementi:
Le critiche alla debolezza del modello DPSIR non mancano (Spangenberg & Bonniot, 1998; Bossel, 1999). Nonostante il vantaggio di identificare una possibile circolarità fra i suoi elementi, ad oggi esso ha avuto un’applicazione prevalentemente “statica” in quanto in molti casi non è possibile esplicitare relazioni dirette di causa-effetto a meno di compiere notevoli approssimazioni. In altre parole, l’approccio DPSIR assolve efficacemente alla capacità descrittiva delle singole componenti, ma si scontra con la difficoltà di rappresentare gli innumerevoli feedbacks esistenti tra i vari elementi. Nello specifico, i determinanti forniscono sufficienti indicazioni per identificare le relative pressioni, ma molto spesso non consentono di costruire alcun algoritmo capace di mettere in relazione, ad esempio, il numero di addetti di un particolare processo produttivo (o il numero di unità produttive o il numero di manufatti), con la quantità delle emissioni idriche o gassose di quel processo. Allo stesso modo è ancora difficile relazionare la qualità e la quantità di determinate pressioni con gli indicatori di stato; e ancora, è impossibile stabilire una diretta corrispondenza tra una risposta, pur efficace nei confronti di una pressione esercitata, con l’attenuazione degli impatti ed il conseguente miglioramento dello stato della matrice interessata.
La naturale evoluzione del modello DPSIR ed il suo sostanziale miglioramento potrebbero passare attraverso la possibilità di stabilire precise e dettagliate corrispondenze tra i diversi elementi costruttivi del modello, mediante la predisposizione di formule, algoritmi, relazioni concettuali, modelli matematici in grado di rappresentarli. Sono altresì apparsi nuovi modelli concettuali che potranno verosimilmente offrire valide alternative in futuro.
[1] [1] Le varianti più note del modello PSR sono:
• DSR, Determinanti-Stato-Risposte, utilizzato dalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite
• DPSIR, Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Resposte, concepito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (1995).
[2] [1]La Organization for Economic Cooperation and Development (OECD) è un Organismo internazionale con sede a Parigi, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale con il nome di Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica allo scopo di favorire l'attuazione del Piano Marshall. Nel 1961, l'Organizzazione ha quindi adottato l'attuale denominazione e ha cominciato a sviluppare la propria vocazione transatlantica e mondiale, promuovendo l'espansione economica, l'occupazione e la stabilità finanziaria. L'OECD è costituita da 30 Paesi membri, che sono fondamentalmente quelli più sviluppati e benestanti ed ha rapporti con oltre 70 Stati e/o economie in transizione e/o in via di sviluppo, nei confronti dei quali redige Raccomandazioni, dati comparativi, analisi, previsioni e promuove strumenti funzionali nel quadro degli accordi multilaterali che li coinvolgono. L'OECD opera essenzialmente nel campo delle pubblicazioni e della redazione di statistiche che trattano le tematiche della macroeconomia, dello sviluppo, dell'innovazione scientifica e del commercio, costituendosi come un Forum strategico per i Governi nazionali di oltre 70 Paesi nella definizione e nell'adozione delle politiche economiche, finanziarie e fiscali e dei relativi Programmi di cooperazione regionale ed internazionale. In tema di governance, gli obiettivi prioritari dell'OECD sono la promozione delle pratiche di buon governo a livello amministrativo ed imprenditoriale,la garanzia della trasparenza e dell'equità nei sistemi fiscali e nei contesti concorrenziali e la lotta alla corruzione e al riciclaggio. L'OECD è inoltre in relazione con la società civile, in particolare con il mondo delle imprese e del lavoro, attraverso, rispettivamente, il Comitato Consultivo Economico e Industriale (BIAC) e la Commissione Sindacale Consultiva (TUAC), oltre che con alcune ONG operanti in campo ambientale e sociale, al fine di promuovere il rispetto delle risorse naturali e forme sostenibili di sviluppo.Quanto alle politiche commerciali, l'OECD sostiene i processi di liberalizzazione e l'effettivo funzionamento degli accordi internazionali e multilaterali che ruotano intorno all'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). Inoltre, all'interno della struttura operativa dell'OECD, sono state istituite due Agenzie specializzate che operano nel campo energetico: una è l' Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), istituita dopo la crisi petrolifera del 1974 per la definizione delle politiche mondiali in tema di fonti energetiche, alternative e rinnovabili, mentre l'altra è l' Agenzia per l'Energia Nucleare (NEA) che supporta 28 Stati nelle attività di gestione tecnica e scientifica dei propri impianti nucleari utilizzati a scopi civili.
Il degrado dell'ambiente ha reso necessario ed urgente l'avvio di concrete e coerenti attività mirate al monitoraggio ed alla salvaguardia degli ecosistemi marini e terrestri. Le attività di «monitoraggio» dei corpi idrici in genere rappresentano, oggi, un efficace strumento per la conoscenza dello stato dell'ambiente acquatico e un valido supporto alla pianificazione territoriale ai fini del suo risanamento. La tipologia della costa così come la profondità del fondale, gli andamenti correntometrici, l’impatto antropico e gli sversamenti di materiali alle foci dei fiumi incidono sulla capacità di diluizione degli inquinanti. Inoltre, gli attuali cambiamenti climatici, da una parte stanno influenzando in modo significativo il trofismo del sistema marino e, dall’altro, stanno favorendo la prevalenza di differenti specie animali e vegetali e l’insediamento di specie alloctone. I cambiamenti climatici rivestono, quindi, un ruolo fondamentale nel cambiamento/funzionamento degli ecosistemi marini e, in uno con l’impatto antropico, accelerano fenomeni significativi nei cambiamenti strutturali e funzionali della fascia marina costiera. E’ divenuto quindi necessario e improrogabile progettare e implementare programmi di monitoraggio e sorveglianza al fine di verificare lo stato di salute degli ambienti e di valutarne l’evoluzione nel tempo.
Una delle problematiche scientifiche di maggiore interesse per la corretta gestione e la salvaguardia della fascia marina costiera è rappresentata dallo sviluppo di sistemi di «monitoraggio automatico» che consentono di seguire in tempi reali l'evoluzione di fenomeni capaci di compromettere l'integrità dell'ecosistema e di intervenire in modo tempestivo per opporsi alle cause di perturbazione. L'attività principale del progetto, sviluppata dall'Istituto Sperimentale Talassografico di Messina con la collaborazione del Dipartimento di Biologia dell'Università di Lecce, è consistita principalmente nella messa a punto di un «sistema integrato di monitoraggio automatico» della qualità delle acque di una zona marina costiera a scarso ricambio idrico. L'esperienza è stata condotta nella rada di Augusta (SR), scelta come area campione per le sue caratteristiche di ambiente marino costiero semichiuso, fortemente interessato da apporti inquinanti di origine industriale. Lo studio, avviato con una serie di campagne di rilevamento di tipo tradizionale supportate dall'impiego di immagini acquisite dal satellite e da mezzo aereo, ha consentito un monitoraggio automatico della qualità delle acque con l'installazione di cinque boe (c.d. boa strumentata) in alcune zone della rada, ritenute di particolare interesse, e una stazione mobile montata su mezzo nautico. Il mezzo nautico, attrezzato per la misura automatica a bordo degli stessi parametri misurati dalle boe (temperatura, salinità, ossigeno disciolto, trasparenza e clorofilla) e dei nutrienti nitrati e fosfati, era corredato da un sistema di prelievo di acqua in continuo, guidabile dalla superficie fino a 20 m di profondità. I collegamenti con le varie stazioni di rilevamento e quella a terra sono stati assicurati da ponti radio bidirezionali, mentre il collegamento tra quest'ultima e la banca dati presso l'Istituto Talassografico di Messina avveniva tramite linea commutata e modem. L'impostazione di un così vasto spettro di attività ha richiesto anche il supporto di una strumentazione adeguata che mancava, in particolare per la determinazione analitica dei parametri di base come l'azoto e il fosforo inorganici. A tal fine sono stati messi a punto due prototipi colorimetrici automatici che possono operare sia da piattaforme non presidiate sia da mezzo nautico in
movimento. Nella fase conclusiva del progetto un notevole impegno di ricerca è stato indirizzato alla progettazione e alla realizzazione di una «piattaforma oceanografica» per monitoraggio della qualità delle acque costiere che, nel corso del 1996, è stata messa a mare e ancorata nello Stretto di Messina, in prossimità dello sbocco di uno dei più grossi scarichi dell'abitato di Messina. La piattaforma è stata interamente realizzata a Messina con lo scopo di riunire e condensare il know-how acquisito ed i prototipi realizzati nel corso del progetto in un unico insieme autonomamente funzionante. La piattaforma ha una superficie di circa otto metri quadrati, è dotata di quattro torrette e di quattro comparti stagni (all'interno dei galleggianti) per il posizionamento di strumentazione. La filosofia progettuale seguita ha puntato sulla modularità ed adattabilità dell'insieme alle sempre variabili condizioni operative, nonché alla necessità di minimizzare gli interventi manutentivi e di sostituzione batterie, che sono dotate di un sistema di ricarica a pannelli solari. Come allestita, la piattaforma comprende un sistema di acquisizione e trasmissione dati, una sonda multiparametrica CTD, una centralina meteorologica, due analizzatori colorimetrici per ammoniaca e fosfati e due correntometri, il tutto controllato a distanza dalla stazione base. In aggiunta ai parametri determinabili in automatico, la piattaforma è stata dotata di una pompa di prelievo di acqua di mare e di un prototipo di «campionatore» (c.d. T-fish) che consente il prelevamento di campioni di acqua tra 0 e 25 metri (~ 250 ml) a tempi prestabiliti. Nel corso dell'indagine i campioni prelevati, opportunamente addizionati di un fissativo, sono stati impiegati per la quantificazione del principale indicatore batterico di contaminazione fecale (E. coli), tramite l'impiego di metodiche innovative. È stata messa a punto, a tale proposito, una tecnica microscopica basata sull'impiego di anticorpi prodotti tramite immunizzazione di animali da laboratorio, che ha consentito di quantificare i batteri indicatori in campioni di acqua fissati, superando così le limitazioni insite nelle metodiche ufficiali di tipo colturale come, ad esempio, la necessità di analizzare i campioni entro breve tempo dal prelievo in laboratori attrezzati, ed i lunghi tempi di risposta. L'impiego della piattaforma oceanografica ha consentito di quantificare nel dettaglio l'impatto degli apporti di uno scarico urbano sull'ambiente costiero, anche in relazione al complesso regime idrodinamico che caratterizza lo Stretto di Messina.
Sui luoghi interessati dalla esecuzione di un reato (ad esempio, fuoriuscita volontaria o colposa di idrocarburi o comunque di sostanze inquinanti per l'habitat marino in prossimità della costa) possono essere rinvenute tracce utili al suo accertamento e alla scoperta dei suoi autori. Compito essenziale della Polizia Giudiziaria (art. 348 commi 1 e 2 c.p.p.) è perciò quello di curare che le tracce le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non venga mutato prima dell’intervento del Pubblico Ministero.
A tal fine la Polizia Giudiziaria compie anzitutto un’attività che può denominarsi “attività generica di conservazione". Se il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente e vi è il pericolo (=timore) che le tracce di reato si disperdano o si alterino (ad esempio, c'è il pericolo che la macchia oleosa si possa espandere diluendosi con l'acqua di mare), può procedere di propria iniziativa anche al compimento di “accertamenti urgenti” e cioè di atti che danno il quadro minuzioso e completo dello stato dei luoghi e che agevolano la ricostruzione della dinamica del reato oltre che, molto spesso, la stessa identificazione dei suoi autori.
Allo scopo di stabilire, quindi, la natura e la concentrazione degli "agenti inquinanti" presenti in un sversamento occorre prelevare dei campioni dallo scarico o dallo specchio acqueo inquinato per sottoporli ad analisi.
Il "campionamento" è l’operazione che si esegue per ottenere un’aliquota dello scarico o dello specchio acqueo sotto indagine che rappresenti, con la maggiore corrispondenza possibile, le sue caratteristiche chimiche, fisiche e batteriologiche. E’ evidente che tutta l’attenzione e la cura poste nell’ effettuare le analisi sono vane se il campione inviato al laboratorio non è testimone attendibile.
Mentre non si incontrano difficoltà per il prelievo di campioni da scarichi o da corpi idrici in cui gli agenti inquinanti si trovano in soluzione o allo stato di dispersione omogenea, il campionamento di specchi marini inquinati da prodotti petroliferi diventa un’operazione tecnicamente difficile.
Il sistema acqua olio è per sua natura eterogeneo e di composizione incerta e variabile per il moto ondoso e per le correnti; inoltre, non è facile prelevare un campione rappresentativo a livello della superficie del mare. Proprio per questi motivi per effettuare un campionamento di uno spandimento oleoso si deve fare affidamento sulla capacità e sulla esperienza del personale incaricato ad eseguirlo.
Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n.470[1], a pena di nullità di tutti gli atti compiuti.
Tutte le operazioni compiute saranno descritte in un “Verbale di campionamento” che dovrà essere controfirmato dalle persone che vi hanno partecipato.
Sonda multiparametrica utilizzata per la misurazione dei parametri chimico-fisici. L’acquisizione dei dati viene fatta in continuo lungo la colonna d’acqua per mezzo di appositi sensori per la misura della Conducibilità, Temperatura, Pressione, pH, Ossigeno disciolto e Clorofilla “a”. (Foto: Struttura Oceanografica Daphne - Arpa Emilia Romagna)
[1] Pubblicato sulla G.U. 26.7.1983, n.203 in attuazione della direttiva CEE n.76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione (acque correnti o di lago e le acque marine nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata ovvero vietata. Il decreto non si applica, alle acque destinate ad usi terapeutici ed a quella di piscina.
Nell’attività di polizia giudiziaria, il prelievo assume o potrebbe assumere un non trascurabile valore sotto il profilo della rilevanza probatoria; e tale concetto vale tanto per il campo degli illeciti amministrativi, quanto per quello dei reati.
Nel primo, infatti, l’art. 13 (atti di accertamento) della Legge 689/81, stabilisce che gli Organi addetti al controllo delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza (nel nostro caso Legge 979/82 (come modificata dal D.lgs. 202/07), D.lgs 152/06, ecc), possono assumere informazioni e procedere ad ispezioni di cose e luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.
In merito all’ispezione è bene puntualizzare che trattasi di attività tesa alla diretta visione e constatazione dello stato di un oggetto o di un luogo, senza possibilità di intervenire sullo status quo.
Nel secondo, invece, l’art. 348 del c.p.p. stabilisce che la Polizia Giudiziaria continua a svolgere le funzioni di cui all’art. 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. In particolare, procede alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché ad assicurare la conservazione di esse e dello stato dei luoghi.
Particolarmente significativo ed importante sotto l’aspetto procedurale è l’ultimo comma, in base al quale la Polizia Giudiziaria, di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, compie atti od operazioni che richiedono "specifiche competenze tecniche", per le quali può avvalersi di persone idonee impossibilitate a rifiutarsi di fornire la propria competenza, salvo casi eccezionali e adeguatamente motivati (art. 348, n.4 c.p.p.). Sarebbe opportuno per la Polizia Giudiziaria nominare un “ausiliario di P.G.” redigendo apposito Verbale di nomina.
In ultima analisi non devono trascurarsi gli articoli 220 e 223 delle norme di coordinamento al c.p.p: “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
E’, in sostanza, l’ipotesi dell’emergere di indizi di reato nel corso di attività di vigilanza; ciò che è necessario fare è “assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”, applicando le disposizioni del Codice di procedura penale e che si ponga attenzione, sin dal momento in cui vi sia la “sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata”.
La precisazione da fare allora è che senz’altro i Verbali degli accertamenti-ispezioni-prelevamenti di campione non possono entrare “sic et simpliciter” nel fascicolo del dibattimento appena formato, in quanto essi non sono compresi nell’elenco dei documenti che formano il suddetto fascicolo ai sensi dell’art. 431 del c.p.p.: sono invece da considerarsi piuttosto “documenti” ai sensi dell’art. 234 del c.p.p., e come tali acquisibili eventualmente nel corso dell’istruttoria dibattimentale nel contraddittorio delle parti.
Il discorso viene ripreso e puntualizzato dall’art. 223 delle suddette norme di coordinamento in riferimento alle analisi di campioni:
“Qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’Organo procedente è dato avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate. L’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice”.
“Se leggi o decreti prevedono la revisione delle analisi e questa sia richiesta dall’interessato, a cura dell’organo incaricato della revisione, almeno tre giorni prima, deve essere dato avviso del giorno, dell’ora e del luogo ove la medesima verrà effettuata all’interessato e al difensore eventualmente nominato. Alle operazioni di revisione l’interessato e il difensore hanno diritto di assistere personalmente, con l’assistenza eventuale di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice. I verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento, sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2”.
L’art. 223 si connette e si completa con il precedente art. 220. La regola fondamentale si esprime in due assunti:
Nella procedura, allora, entrano in correlazione fra loro l’Organo pubblico che esegue il campione e ”l’interessato”, da identificarsi con la persona o le persone che potrebbero essere chiamate a rispondere della particolare fattispecie criminosa prevista dalla norma.
Volendo trasferire questi concetti nell’ambito dell’attività degli Organi di controllo in mare è evidente come talvolta o nella maggior parte dei casi ciò non sia praticamente attuabile o per assenza di un eventuale responsabile o perché nella grande maggioranza dei casi si è di fronte ad una situazione di emergenza. Ebbene, qualora il “personale imbarcato” della Guardia Costiera o di altra Forza di polizia fosse presente in una zona di mare in cui sia stata sversata una certa quantità di sostanza inquinante procederà ai sensi dell’art. 348 c.p.p. effettuando un prelievo secondo le "norme tecniche" stabilite dalla legge e ferma restando la specifica documentazione.
Nel caso de quo, quindi, non si procederà ad avvisare il Comandante della nave, né tantomeno ad attendere l’arrivo del personale tecnico dell’A.R.P.A.T. qualora l’emergenza abbia assunto notevoli dimensioni e sia supportato da improcrastinabili esigenze di immediato contenimento.
Quindi, “una volta che l’interessato abbia ricevuto l’avviso e non sia stato presente all’inizio delle operazioni di analisi non potrà ex post, in sede processuale, eccepire eventuali irregolarità delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi, lasciate alla discrezionalità degli operatori, in quanto il diritto di difesa è gestito nella fase degli accertamenti amministrativi solo con il preavviso, in forma attenuata….”.
Un campionamento senza avviso ha come conseguenza la completa inutilizzabilità dei risultati, tanto che il consulente tecnico incaricato di eseguire le analisi non potrà nemmeno testimoniare in aula sui risultati delle medesime.
Bisogna ribadire, al riguardo, che, comunque per tutte quelle norme che prevedono sanzioni amministrative vige anche l’art. 15 della Legge 689/81, che senz’altro detta una regola di portata generale, fissando in giorni dieci il termine di preavviso per le analisi: in questo contesto, le disposizioni dell’art. 223 secondo comma norme di coordinamento al c.p.p. hanno funzione suppletiva, rendendo in pratica valido dal punto di vista penale anche un preavviso di durata minore (che invece potrebbe inficiare l’accertamento in sede amministrativa).
Sia nell’ipotesi di analisi senza revisione che con revisione, all’interessato è data facoltà (non obbligo) di presenziare alle suddette operazioni.
L’importanza di seguire pedissequamente le disposizioni dell’art. 223 risiede nel fatto che i Verbali delle operazioni compiute entrano a tutti gli effetti nel fascicolo del dibattimento; forte di questo assunto, del resto, la giurisprudenza si mostra generalmente paga nel considerare essenziale soltanto il rispetto del nucleo essenziale della procedura, affermando ad esempio che l’eventuale mancata menzione delle metodiche di campionamento ed analisi nel verbale di prelievo e di analisi stessa non comporta nullità processuale.
Resta fermo comunque che la giurisprudenza della Corte di Cassazione da tempo ha stabilito che tutti gli organi di polizia giudiziaria, e non il personale delle strutture sanitarie, possono eseguire i prelievi sicché è legittimo il campionamento eseguito da soggetti diversi, salva poi la facoltà del Giudice di valutarne l’attendibilità, tenendo conto delle modalità utilizzate nel prelievo nel caso concreto.
Non bisogna trascurare infine l’art. 22 della Legge 24/12/1979, n. 650 che espressamente definisce che nel caso in cui venga effettuato un prelievo istantaneo, ed è il caso di acqua di mare miscelata ad idrocarburi o sostanze tossico/nocive, e l’Autorità, che nella fattispecie potrebbe essere il personale della motovedetta, non indichi i motivi della scelta operata, non si determina alcuna nullità anche per effetto dell’art. 348 del c.p.p. qualora il prelievo possa costituire una fonte di prova del reato che si presume sia stato commesso dal comandante della petroliera e dell’art. 13 della legge 689/81.
In verità, si ritiene utile distinguere il prelievo da effettuarsi in caso di presenza di sostanze inquinanti in mare, da quello da effettuarsi per gli scarichi industriali e civili, laddove debbano rispettarsi le prescrizioni circa l’avviso del responsabile, sia nel momento dell’attività di controllo, sia nel momento in cui verranno effettuate le analisi a cura dell’ente preposto. Infine, sotto il profilo della rilevanza probatoria, risulterebbe quanto mai fondamentale supportare l’atto del prelievo con apposita e dettagliata documentazione fotografica.
Lo "scopo" primario di un prelievo è quello di effettuare un controllo al fine di stabilire se, ad esempio, l’acqua di mare è inquinata da sostanze pericolose, idrocarburi, ecc; pertanto lo si esegue per consentire all’Organo tecnico di analizzarlo e dimostrare o meno la veridicità delle tesi che hanno portato a ritenere indispensabile effettuarlo.
La precisione dell’analisi può essere vanificata se il campione sul quale è stata eseguita non è rappresentativo del materiale da cui è stato prelevato, di modo che l’incertezza prodotta dal campionamento costituisce da sola un terzo dell’incertezza totale del risultato di analisi, con tutto ciò che può conseguirne sotto l’aspetto della valenza probatoria. Questa considerazione porta alla luce un aspetto del processo analitico che troppo spesso ingiustamente viene trascurato talché le procedure di prelevamento del campione possono causare gravi distorsioni sulla valutazione dei risultati e pregiudicare l’attendibilità di un’analisi.
Il campionamento/prelievo è stato definito come "l’operazione di prelevamento della parte di un materiale di dimensione sufficiente alla determinazione da una massa maggiore, tale che la proporzione della proprietà misurata nel campione rappresenti, entro un limite accettabile d’errore, la proporzione della stessa proprietà nella massa di origine."
I materiali e le sostanze da sottoporre a procedimenti analitici sono così numerosi e differenti che è molto difficile stabilire una tecnica comune.
Le disformità principali sono lo "stato fisico" (solido compatto, granulare, pastoso, liquido limpido, torbido, viscoso, gas omogeneo, nebbia, fumo aerosol), la "zona di prelevamento", come l’ambiente naturale (sopra o sottosuolo, vegetazione, acque, atmosfera) o i locali di produzione e di deposito, i "mezzi di trasporto", le "caratteristiche dei materiali" stessi (sostanze naturali, terreni, minerali e combustibili grezzi e raffinati, prodotti industriali, farmaceutici, cosmetici, agricoli, alimentari, biologici), gli "imballaggi" e i "confezionamenti", la "quantità" del materiale da campionare e gli "scopi" e "tipi di analisi" da effettuare.
â–º A grandi linee si possono distinguere tre tipi principali di campionamento in base allo scopo:
In particolare, il campionamento per il controllo ambientale (di particolare interesse ai fini dell’attività di Polizia Giudiziaria), riguarda i problemi ecologici dell’inquinamento, lo studio e la difesa del suolo, delle acque e dell’atmosfera. Tutto ciò richiede la messa a punto di "metodi di campionamento" specifici per ciascun materiale, che in buona parte sono stati normalizzati.
Le norme UNI, CEN ISO, ASTM, DIN, BS, EPA, NIOSH, ecc., definiscono le modalità delle operazioni di campionamento e le caratteristiche dell’attrezzatura da impiegare per molti materiali.
Per raccogliere campioni d’acqua anche in profondità, e non solo alla superficie dei corpi idrici, caso specifico "idrocarburi" sversati da una petroliera, i campionatori devono essere dotati di un «sistema» di chiusura ed apertura alla profondità voluta.
Il modello base di questo tipo di campionatori è la classica “Bottiglia Niskin a strappo”. Questa bottiglia cilindrica viene calata aperta fino alla profondità voluta. A questo punto, un semplice strappo, dato dall’operatore al cavo, sgancia un "messaggero metallico" che fa chiudere ermeticamente la bottiglia. Il principale requisito di un campionatore è infatti la capacità di raccogliere campioni realmente rappresentativi della profondità e della zona prescelta. Una prima notevole limitazione è il fatto che nella maggior parte dei casi il malfunzionamento dei meccanismi di chiusura non può essere rilevato dall’operatore. È stato perciò proposto di dotare il meccanismo di chiusura di un «fusibile», che rilevi anomalie nei sistemi di chiusura, oppure di valvole attivate elettricamente o per mezzo di segnali acustici.
Campionatore: bottiglia Niskin
Per raccogliere campioni d’acqua a profondità differenti è necessario che il campionatore sia dotato di un sistema di apertura e chiusura attivabile alla profondità richiesta.
Un campionatore che soddisfa queste richieste è la «Bottiglia Niskin». Si tratta di uno strumento cilindrico non metallico; è dotato di aperture alle due estremità per il flusso dell’acqua e di un meccanismo che gli permette di rimanere aperto durante la calata in acqua; la chiusura della bottiglia può essere effettuata mediante un sistema manuale o automatico.
Nel primo caso la bottiglia, legata ad un cavo variabile (5-8 mm) viene calata aperta; una volta raggiunta la profondità richiesta, la sua chiusura viene effettuata tramite l’invio lungo il cavo di un messaggero (cilindro metallico) che, urtando l’estremo superiore di un meccanismo, lo fa sganciare provocando la chiusura della bottiglia.
Nel secondo caso le Bottiglie Niskin vengono allestite su una struttura, tipo "CAROUSEL", la cui chiusura viene gestita da un operatore direttamente dalla nave attraverso la «Deck Unit».
Questo sistema, conosciuto come campionatore «Rosetta» (figura), consiste di un "CTD" attaccato al campionatore, di un cavo conduttore, di un set di bottiglie e di un computer.
Generalmente il CTD acquisisce i parametri chimico-fisici della colonna d’acqua durante la fase di discesa mentre il campionamento dell’acqua avviene con le bottiglie, che possono essere chiuse tramite un comando remoto, secondo un determinato ordine e a differenti profondità.
Di questo tipo di campionatori d’acqua per usi generici è stato progettato un numero svariato di modelli, che in genere vengono costruiti in casa dagli operatori stessi sulla base di schemi classici rintracciabili in letteratura. Ad esempio la classica «Bottiglia Van Dorn» è costituita da un cilindro che viene chiuso da due semisfere in gomma quando il messaggero rilascia l’elastico che le collega.
Nelle cosiddette «bottiglie a rovesciamento» (Nansen, Knudsen, Ekman, Richard) la bottiglia si chiude per un movimento di rotazione del corpo metallico, innescato dall’arrivo di un messaggero su di un apposito sistema di sgancio.
In particolare, la «Bottiglia Nansen» si presta a campionamenti ad elevate profondità (fino a 6100 m) in quanto è costituita da un cilindro in ottone, con capacità di 1,3 l, con valvole di chiusura in bronzo. L’interno può essere rivestito in teflon e l’esterno in stagno. Con opportune modifiche tali bottiglie possono essere usate anche per raccogliere campioni in prossimità del fondo.
I modelli base di questi campionatori sono commercialmente disponibili insieme ad altri campionatori per applicazioni particolari: ad esempio è in vendita una «Bottiglia Kitahara» realizzata in materiale plastico per campionamenti di superficie; il suo lento meccanismo di chiusura minimizza il disturbo arrecato all’acqua durante l’immersione ed il prelievo. Essa è dotata di un termometro all’interno ed il sistema di chiusura è attivato da un messaggero meccanico; il drenaggio del campione viene effettuato mediante un rubinetto posto sul fondo della bottiglia.
Il «Campionatore Mercos» è particolarmente indicato per eliminare i problemi di adsorbimento superficiale: esso è costituito da una coppia di bottiglie in Teflon sorrette da un supporto, con un tappo modificato per ospitare un tubo di gomma al silicone, tenuto piegato (nella posizione di chiuso) durante la discesa e rilasciato da un messaggero al momento del prelievo. La colonna d’acqua che rimane nel tubo fa da barriera di protezione da contaminazioni durante la risalita. Il vantaggio di questo tipo di campionatore è quello che, dopo il recupero, le bottiglie possono esser chiuse con normali tappi a vite ed essere utilizzate direttamente come contenitori di raccolta e di conservazione del campione.
Nel caso si debba acidificare il campione per la conservazione, l’acido può essere già presente al momento del prelievo.
Il «Campionatore Close-Open-Close» (COC) è stato invece studiato appositamente per permettere la raccolta di campioni d’acqua evitandone la contaminazione causata dagli strati superficiali. Il campionatore viene infatti calato in acqua completamente chiuso, e l’apertura delle due estremità viene attivata automaticamente dalla stessa pressione dell’acqua, ad una profondità di circa 10 m. La chiusura è governata dall’invio di un messaggero. In questo modo si evita che l’interno del contenitore venga a contatto con gli strati più superficiali arricchiti in contaminanti. L’interno è rivestito in PVC; inoltre il COC può essere utilizzato come strumento singolo oppure in serie, inserito in un campionatore multiplo. I campionatori multipli sono in genere costituiti da una struttura cilindrica di raccolta capace di contenere da 6 a 12 bottiglie da campionamento del tipo a rovesciamento di capacità variabile. Ciascuna bottiglia è programmata, mediante l’ausilio di sensori di profondità, per aprirsi alle diverse profondità impostate; il segnale di chiusura può essere acustico. Questi apparecchi possono operare fino a 6000 m di profondità.
I campioni di acqua possono essere prelevati con l'ausilio di bottiglie ad hoc costruite in metallo, in materiale plastico o in vetro. Queste bottiglie vengono chiuse alla profondità desiderata. I campioni prelevati con bottiglie sono utilizzati per analisi del particellato, microzooplancton e fitoplancton (Foto: Struttura Oceanografica Daphne - Arpa Emilia Romagna)
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Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470.
Di norma la "distanza" tra due punti di prelievo adiacenti non dovrà superare i 2 Km. salvo a ridurla opportunamente nelle zone ad alta densità di balneazione. Per ogni singolo punto di campionamento i prelievi dovranno essere, durante il mese, opportunamente distanziati nel tempo.
I "prelievi" dovranno essere effettuati ad una profondità di circa 30 cm. sotto il pelo libero dell’acqua ad una distanza dalla battigia tale che il fondale abbia una "profondità" di 80 o 120 cm.; in corrispondenza di scogliere a picco o di fondali rapidamente degradanti i prelievi dovranno essere effettuati in punti distanti non più di 5 metri dalla scogliera o dalla battigia; per gli oli minerali i prelievi vanno effettuati in superficie.
I prelievi dovranno essere effettuati dalle ore 09.00 alle ore 15.00. Non dovranno essere effettuati durante e nei due giorni successivi all’ultima precipitazione atmosferica di rilievo ed all’ultima burrasca.
I campioni per le analisi microbiologiche dovranno essere prelevati con le comuni "bottiglie sterili" in uso per i campioni di acque, incartate e successivamente sterilizzate. La bottiglia dovrà essere immersa aperta e trattenuta tramite una pinza o altro idoneo sistema.
I campioni dovranno essere trasportati in idoneo contenitore frigorifero e sottoposti ad esame al più presto e comunque entro le 24 ore.
Nella pratica è comunque possibile effettuare un singolo prelevamento (ad esempio: in caso di sversamento a mare da parte di nave cisterna), dinanzi alle parti (ad esempio: comandante il quale può farsi assistere da un proprio perito) e utilizzarlo quale atto irripetibile (cd. atto probatorio). Del fatto verrà, naturalmente, redatto apposito Verbale.
Per ogni prelievo dovranno essere rilevati:
Atteso i che non esiste al momento una metodologia codificata ed uniforme, gli Organismi preposti redigono dei protocolli di intervento che tentino almeno di rispettare i seguenti principi fondamentali:
La prima cosa importante da chiarire è che, in generale, le Forze o gli Organi di polizia ben difficilmente potranno effettuare autonomamente il prelievo di campioni, posto che è necessario disporre di un’attrezzatura particolare e che bisogna spesso seguire regole di comportamento alquanto complesse, che presuppongono nozioni altamente tecniche e specialistiche.
Tuttavia campionamenti irregolari o d’emergenza, ed è il caso più volte citato di una petroliera che ha sversato una certa quantità di idrocarburi in mare, da attuarsi in situazioni di assoluta necessità che non consentono nemmeno l’attesa dell’arrivo di eventuali tecnici ed eseguiti dal personale imbarcato a bordo delle unità navali (Motovedette della Guardia Costiera, CC, G.d.F., ecc.) avranno un valore di assoluta inutilizzabilità in sede processuale, potendo non di più costituire una possibile fonte di informazioni in sede di indagine e supportare altri atti aventi maggiore rilevanza probatoria.
â–º E’ opportuno definire i seguenti caratteri, essenziali durante il prelievo:
Altro aspetto importante è costituito dall’identificazione del campione. In effetti ogni campione deve essere idoneamente identificato tramite un “cartellino” indicativo dei seguenti elementi:
E’ fondamentale che ogni operazione di campionamento sia accompagnata dalla redazione di un apposito verbale detto per l’appunto “verbale di prelievo”.
Esso, in sostanza, non presenta particolari peculiarità nella sua composizione, dovendo però necessariamente riportare una descrizione accurata della metodologia di intervento seguita (numero dei campioni prelevati, criteri di mappatura, profondità dei prelievi, ecc).
â–º Il documento dovrà in ogni caso contenere:
Infine non è infrequente che l’attività di campionamento possa costituire una situazione di pericolo per il personale che vi concorre: questa è la ragione per la quale vanno seguite alcune norme di precauzione che la medicina del lavoro ha individuato come le più idonee a prevenire infortuni.
In sostanza, a seconda dei casi è necessario far uso di dispositivi di protezione tendenti ad impedire:
Dovranno, allora e se necessario, indossarsi elmetti, indumenti e calzature protettivi, maschere, occhiali particolari, ecc.
Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 28.5.2015 n. 122, della Legge n. 68 del 2015 [2], “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, è stato introdotto nel Codice penale, immediatamente dopo il Tiolo VI del libro secondo, dedicato ai delitti contro l'incolumità pubblica, il nuovo Titolo VI-bis intitolato "Dei delitti contro l'ambiente".
La legge ha introdotto nuovi delitti a salvaguardia dell'ambiente nel Codice penale, modificando così il quadro normativo previgente che affidava in modo pressoché esclusivo la tutela dell'ambiente a contravvenzioni e sanzioni amministrative, previste dal Codice dell'ambiente (d.lgs. 152 del 2006 [3]).
Il sistema delle sanzioni in materia ambientale in Italia si è evoluto nel tempo, purtroppo in senso settoriale (acqua, aria, rifiuti, rumore, ecc.) e con prevalenza delle contravvenzioni legate alla carenza di autorizzazioni, alla violazione delle prescrizioni delle autorizzazioni, al superamento di determinati limiti di accettabilità posti dalla legge, ecc., in un’ottica di collegamento con il ruolo della pubblica amministrazione e di sostanziale rafforzamento del ruolo medesimo attraverso l’intervento del giudice.
La riforma mira invece a potenziare il sistema sul piano sostanziale impegnando direttamente i soggetti a rispettare l’ambiente nei casi più gravi, rispondendo direttamente per i delitti in tema di ambiente.
La riforma non elimina le contravvenzioni esistenti e non elimina la responsabilità civile, penale e amministrativa come risulta dalle varie leggi.
Un tentativo di coordinamento è stato portato dal Codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006 Testo Unico Ambientale e modifiche successive), almeno per alcuni grandi settori (rifiuti e bonifica siti inquinati, acque, suolo e desertificazione, aria e clima, danno ambientale).
Nel codice penale esistono alcuni delitti che interessano anche l’ambiente:
Il sistema sanzionatorio risulta più consolidato in materia edilizia ed urbanistica e nel settore dei beni culturali e del paesaggio, assistiti da contravvenzioni e pene accessorie abbastanza deterrenti (demolizioni, confisca ecc.).
Come è noto, nella materia dei rifiuti abbiamo una situazione caratterizzata dalle seguenti contravvenzioni: abbandono di rifiuti; attività di gestione di rifiuti non autorizzata; violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari; traffico illecito di rifiuti.
È prevista altresì una figura di delitto ambientale consistente nell’attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti.
Più recentemente è stato introdotto il delitto di combustione illecita dei rifiuti (art. 256 bis, decreto legge n. 289/2013 e legge 06/02/2014).
La legge, in estrema sintesi,
L'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] introduce nel libro secondo del Codice penale il nuovo Titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente), con il quale si prevedono sei nuovi delitti: :
Il nuovo articolo 452-bis del codice penale punisce l'inquinamento ambientale sanzionando con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento "significativi e misurabili" dello stato preesistente "delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo" (n. 1) o "di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna" (n. 2).
Il testo dell'art. 452- bis fa riferimento al carattere abusivo della condotta, formula già utilizzata dal legislatore (oltre che nel codice penale) all'articolo 260 del codice dell'ambiente, che sanziona le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. E' poi attribuito rilievo penale alle sole alterazioni "significative e misurabili" dell'acqua o dell'aria o di porzioni "estese o significative" del suolo o del sottosuolo, nonché di un ecosistema. Il concetto di compromissione o deterioramento "significativi e misurabili" riprende la definizione di danno ambientale di cui all'art. 300 del Codice dell'ambiente (qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima). La nozione comunitaria di "danno ambientale" posta dalla direttiva 2004/35/CE usa l'espressione "mutamento negativo misurabile. di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente".
Il secondo comma prevede un'ipotesi aggravata (aumento di pena fino a un terzo), quando il delitto sia commesso in un'area naturale protetta o sottoposta a specifici vincoli, ovvero un danno di specie animali o vegetali protette.
Con la sentenza n. 46170 del 3/11/2016 [5], la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che la "compromissione" o il "deterioramento", di cui al delitto di inquinamento ambientale previsto dall'art. 452-bis cod. pen. si risolvono in una alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio "funzionale", incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi. La stessa sezione, con la sentenza n. 15865 del 2017 ha affermato che «Il delitto di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen. , è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento che, nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare». Nella stessa sentenza la Suprema Corte ha precisato che «La condotta "abusiva" di inquinamento ambientale, idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 452-bis cod.pen. , comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative; ne consegue che, ai fini della integrazione del reato, non è necessario che sia autonomamente e penalmente sanzionata la condotta causante la compromissione o il deterioramento richiesti dalla norma. (Fattispecie di inquinamento di corso d'acqua cagionato da un accumulo di reflui - penalmente irrilevanti singolarmente considerati, essendo inferiori ai valori limite stabiliti nel D.Lgs. n. 152 del 2006 - provenienti da impianto di depurazione privo di autorizzazione allo scarico)». L'articolo 452-ter riguarda l'ipotesi di morte o lesioni come conseguenza non voluta del delitto di inquinamento ambientale. Tale disposizione prevede quindi per l'inquinamento ambientale aggravato dall'evento un catalogo di pene graduato in ragione della gravità delle conseguenze del delitto ovvero:
Ove gli eventi lesivi derivati dal reato siamo plurimi e a carico di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione.
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L'articolo 452-quater è relativo alla fattispecie di disastro ambientale, punito con la pena della reclusione da 5 a 15 anni.
Il delitto è definito, alternativamente, come:
La definizione del delitto si avvicina a quella elaborata dalla Cassazione, che per la configurazione del disastro ambientale ha affermato che "è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente un numero indeterminato di persone" (Cass., Sez. V, sent. n. 40330 del 2006). Successivamente, conformemente a tale orientamento, la Cassazione è pervenuta ad isolare alcuni requisiti che caratterizzano la nozione di disastro specificamente nella potenza espansiva del nocumento e nell'attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità (Cass, Sez. III, sent. n. 9418 del 2008).
È stata, altresì, introdotta nell'art. 452-quater una clausola di salvaguardia "fuori dai casi previsti dall'articolo 434", in materia di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (cd. disastro innominato) che finora, in assenza del delitto di disastro ambientale, ha assolto ad una funzione di supplenza e chiusura del sistema.
Sono previste aggravanti di pena nel caso in cui il disastro sia prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette (v. art. 452-quater, ult. comma)
Diminuzioni di pena sono previste, invece, nel caso in cui i fatti siano commessi per colpa (v. art. 452-quinquies, co. 1);- e, ulteriormente, nel caso in cui da tali condotte colpose derivi il pericolo di disastro (v. art. 452-quinquies, co. 2).
L'art. 452-sexies punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro il reato di pericolo di traffico e abbandono di materiali ad alta radioattività.
E' il delitto commesso da chiunque abusivamente «cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona materiale di alta radioattività ovvero, detenendo tale materiale, lo abbandona o se ne disfa illegittimamente» (primo comma).
La pena è aumentata (fino a 1/3) se dal fatto derivi:
Un aumento di pena della metà è, invece stabilito dal terzo comma dell'art. 452-sexies se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l'incolumità delle persone.
L'articolo 452-septies punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni l'impedimento del controllo, ovvero il delitto di chiunque impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientale e di sicurezza e igiene del lavoro ovvero ne compromette gli esiti.
L'impedimento deve realizzarsi negando o ostacolando l'accesso ai luoghi, ovvero mutando artificiosamente il loro stato. Peraltro, laddove l'ostacolo sia posto, ad esempio, con mezzi meccanici, in base al successivo articolo 452-undecies deve esserne disposta la confisca.
La fattispecie penale di omessa bonifica è introdotta dal nuovo art. 452-terdecies, che punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da 20.000 a 80.000 euro chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi.
L'obbligo dell'intervento può derivare direttamente dalla legge, da un ordine del giudice o da una pubblica autorità.
La nuova fattispecie non pare sovrapporsi a quella di cui art. 257 del Codice dell'ambiente (d.lgs. 152/2006), che prevede una contravvenzione (arresto da sei mesi a un anno o ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro) per chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se non provvede alla bonifica. Inoltre, l'articolo 257 del Codice - come modificato dalla proposta di legge – prevede la salvaguardia delle più gravi fattispecie di reato.
Il delitto di cui all'art. 452-quaterdecies punisce con la reclusione da 1 a 3 anni l'illecita ispezione di fondali marini.
L'illecito è commesso da chiunque utilizza la tecnica dell'air gun o altre tecniche esplosive per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi.
L'air gun è una tecnica di ispezione finalizzata all'analisi della composizione del sottosuolo marino consistente, in sostanza, in spari di aria compressa ad alta intensità sonora, esplosi a determinata distanza l'uno dall'altro. Tale tecnica genera onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione dei fondali marini.
Rispetto alle nuove fattispecie penali introdotte dall'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4], solo due possono essere commesse per colpa: il delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-bis) e quello di disastro ambientale (articolo 452-quater).
In tali casi, le pene per i reati-base sono diminuite – art. 452-quinquies - fino ad un massimo di due terzi (primo comma). Una ulteriore diminuzione di un terzo della pena è prevista per il delitto colposo di pericolo ovverosia quando dai comportamenti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater derivi il pericolo di inquinamento ambientale e disastro ambientale.
Mentre l'art. 452-octies prevede specifiche aggravanti nel caso di commissione in forma associativa dei nuovi delitti contro l'ambiente, l'art. 452-novies introduce una nuova circostanza definita "aggravante ambientale". Tale disposizione prevede un aumento di pena (da un terzo alla metà) quando un qualsiasi reato venga commesso allo scopo di eseguire uno dei delitti contro l'ambiente previsti dal nuovo titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, dal Codice dell'ambiente (D.Lgs 152/2006) o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente. L'aumento è invece di un terzo se dalla commissione del fatto derivi la violazione di disposizioni del citato Codice dell'ambiente o di altra legge a tutela dell'ambiente. E' prevista, in ogni caso, la procedibilità d'ufficio. Dalla formulazione consegue che la seconda violazione può riguardare anche illeciti amministrativi.
L'art. 452-decies introduce nel codice penale la disciplina del ravvedimento operoso. In particolare, è previsto che chi si adopera per evitare che l'attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori o provvede alla messa in sicurezza, bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi beneficia di una diminuzione di pena dalla metà a due terzi; tali attività riparatorie dei luoghi devono avvenire "concretamente" e, in relazione alla tempistica, "prima che sia dichiarata l'apertura del dibattimento di primo grado".
Al concreto aiuto all'autorità di polizia o giudiziaria per la ricostruzione dell'illecito e nell'individuazione degli autori consegue l'applicazione di una diminuzione della pena da un terzo alla metà
Le ultime due disposizioni del titolo VI-bis intervengono su confisca obbligatoria e ripristino dello stato dei luoghi.
L'art. 452-undecies c.p. prevede che, in caso di condanna o patteggiamento per i reati di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo nonché per i reati associativi finalizzati alla commissione dei nuovi reati ambientali previsti dal titolo VI-bis, il giudice debba sempre ordinare la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo; una clausola di salvaguardia, a tutela dei terzi estranei al reato, esclude l'obbligatorietà della confisca quando i beni appartengano a questi ultimi. Se la confisca dei beni non è possibile, il giudice ordina la confisca per equivalente, individuando i beni sui quali procedere dei quali il condannato abbia la disponibilità anche per interposta persona.
E' inoltre previsto dall'art. 452-undecies: un obbligo di destinazione dei beni e dei proventi confiscati, che devono essere messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all'uso per la bonifica dei luoghi; l'inapplicabilità della confisca quando l'imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza dei luoghi e, se necessario, alla loro bonifica e ripristino.
L'art. 452-duodecies stabilisce che, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei nuovi delitti ambientali, il giudice debba ordinare il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo l'esecuzione di tali attività a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del primo (ex art. 197 c.p.). La disposizione prevede una più puntuale disciplina della procedura di ripristino dei luoghi attraverso il rinvio alle disposizioni del Codice dell'ambiente che già prevedono tale misura.
L'articolo 1, comma 5, della legge n. 68 del 2015 modifica, invece, l'articolo 32-quater del codice penale, relativo ai casi nei quali alla condanna per alcuni delitti consegue l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il catalogo dei delitti ivi previsti è aggiornato con l'inserimento dell'inquinamento ambientale, del disastro ambientale, del traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, dell'impedimento del controllo e delle organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
L'articolo 1, comma 6, modifica, infine, l'art. 157 del codice penale, prevedendo il raddoppio dei termini di prescrizione per tutti i nuovi delitti contro l'ambiente introdotti dal nuovo Capo VI del libro II del codice penale.
L'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] interviene anche sul Codice dell'ambiente (D. Lgs. 152/2006 [3]).
Il comma 8 dell'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] novella l'art. 25-undecies del decreto legislativo n. 231 del 2001 [8], estendendo il catalogo dei reati che costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato. Il comma 8 prevede infatti a carico dell'ente specifiche sanzioni pecuniarie per la commissione dei seguenti delitti contro l'ambiente (art. 25-undecies, comma 1):
Inoltre, con l'inserimento del comma 1-bis nel menzionato articolo 25-undecies, si specifica, in caso di condanna per il delitto di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, l'applicazione delle sanzioni interdittive per l'ente previste dall'art. 9 del D.Lgs. n. 231 del 2001 [9] (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la PA; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi). La disposizione specifica che per il delitto di inquinamento ambientale, la durata di tali misure non può essere superiore a un anno.
L'articolo 2 della legge n. 68 del 2015 [2], modifica la legge 150/1992 [10], che reca la disciplina sanzionatoria della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari v, ivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
Le nuove disposizioni rendono più severa la disciplina sanzionatoria della legge 150/1992, di natura contravvenzionale e amministrativa.
Il mare è quotidianamente minacciato dall’eccessiva antropizzazione, dalla pesca, dall’inciviltà e, soprattutto, dall’inquinamento. E’ senza dubbio il trasporto marittimo di petrolio greggio e dei prodotti della raffinazione a rappresentare uno dei principali e più preoccupanti rischi per il Mediterraneo, sia per il forte rischio di incidente, con conseguente sversamento di prodotti oleosi e inquinanti in mare, che per inquinamenti derivati dall’attività operativa delle navi, come lo scarico in mare di acque di sentina e il lavaggio delle cisterne delle petroliere.
L’inquinamento da idrocarburi collegato alle attività in mare ha principalmente due distinte origini:
Dal 1985 si sono verificati nel Mediterraneo ben 27 incidenti e parliamo soltanto dei principali, trascurandone tanti altri di più modesta entità, con un versamento complessivo di oltre 270.000 tonnellate di idrocarburi. E’ l’Italia ad avere il primato del greggio versato nei principali incidenti, con 162.600 tonnellate, subito seguita dalla Turchia, con quasi 50.000 tonnellate e dal Libano, con 29.000. L’incidente più grave che il Mediterraneo abbia mai vissuto è stata la vera e propria catastrofe della Haven nel 1991, quando nelle acque antistanti Genova in Italia, furono versate 134.000 tonnellate di idrocarburi.
M/C HAVEN – Aprile 1991 Arenzano-Genova (Italia)
In media nel Mediterraneo si contano circa 60 incidenti marittimi all’anno, in circa 15 dei quali sono coinvolte navi che provocano versamenti di petrolio e di sostanze chimiche. Le zone più soggette agli incidenti, a motivo dell’intenso traffico marittimo, sono gli stretti di Gibilterra e di Messina, il canale di Sicilia e gli avvicinamenti allo stretto di Çanakkale, nonché vari porti, tra cui Genova, Livorno, Civitavecchia, Venezia, Trieste, Pireo, Limassol/Larnaka, Beirut ed Alessandria.
Gli sversamenti in mare di idrocarburi possono avere differenti origini: possono infatti essere dovuti a incidenti più o meno gravi che vanno dalla rottura di una manichetta alla perdita della nave (inquinamenti accidentali) ad attività illegali (inquinamenti volontari) o possono essere dovuti alla normale attività di esercizio della nave (inquinamenti operazionali).
Nel Mediterraneo, secondo le statistiche IMO, la percentuale degli inquinamenti da idrocarburi dovuti a sversamenti accidentali da navi è del 10%. Analizzando le cause di questi incidenti, è possibile riscontrare che per il 64% dei casi esse sono imputabili ad errore umano, il 16% a guasti meccanici ed il 10% a problemi strutturali della nave, mentre il restante 10% non è attribuibile a cause certe. Per avere un quadro maggiormente aderente alla realtà bisogna tenere presente come la gran parte delle percentuali attribuibili agli errori umani e alle cause non determinate possono senz’altro essere ascritte ai problemi connessi alla presenza di vecchie o malridotte unità con equipaggi improvvisati e impreparati che percorrono ancora in gran numero il Mediterraneo.
Secondo statistiche elaborate dall’Itopf, l’associazione di categoria dei trasportatori di idrocarburi, le cause degli sversamenti si manifestano secondo le seguenti proporzioni:
Per quanto rilevanti, gli sversamenti accidentali di idrocarburi rappresentano solo una piccola quota del totale degli scarichi dovuti al traffico marittimo. La maggior parte di essi infatti, circa l’80%, è determinata da operazioni di routine, in particolare dallo zavorramento e dal lavaggio delle cisterne, o da inquinamenti volontari. Negli anni ’80 lo spill attribuito a queste cause veniva stimato in circa lo 0,2% del carico trasportato, con uno sversamento medio a livello mondiale, valutabile da 8 a 20 milioni di barili, di cui 1 milione di barili nel solo Mediterraneo. Questa quantità si è certamente ridotta nell’ultimo decennio, anche grazie all’entrata in vigore delle nuove misure previste dalle convenzioni internazionali ed alla progressiva scomparsa delle navi cisterna prive di zavorra segregata, ma l’inquinamento non accidentale costituisce ancora un fenomeno assai rilevante. Secondo il REMPEC (Regional Marine Pollution Emergency Response Centre for the Mediterranean Sea) ogni anno continuano a finire per questo motivo nel Mediterraneo tra le 100 e le 150.000 tonnellate di idrocarburi, ovvero più della somma dei carichi trasportati dell’Erika e del Prestige, protagoniste delle due più gravi maree nere degli ultimi anni nelle coste europee.
PRESTIGE – Novembre 2002 al largo di Capo Finesterre (Spagna-Portogallo)
Prevenzione
L’inquinamento da idrocarburi o sostanze nocive diverse dagli idrocarburi provocato da navi può essere esemplificatamente suddiviso in due grandi gruppi:
Gli inquinamenti di natura operativa possono essere efficacemente combattuti attraverso un’attenta opera preventiva tramite l’utilizzazione di apparecchiature e di sistemi che la tecnologia moderna mette a disposizione e la cui utilizzazione è stata resa obbligatoria da un’accurata e completa produzione normativa, sia in campo nazionale che internazionale, affinatasi col passare del tempo. Questa fornisce agli operatori del settore tutti quegli strumenti come ad esempio, i “separatori di acque oleose” (per la separazione acqua-olio), il “crude oil washing” (lavaggio delle cisterne, senza impiego di acqua, con il greggio trasportato), o l’ “inerting gas sistem” (I.G.S.= impianto generatore di gas inerte) e tutte le soluzioni tecniche da adottarsi in fase di progettazione e costruzione, armamento e la gestione delle navi, come ad esempio, le “segregate ballast tanks” (S.B.T.= cisterne destinate a zavorra segregata)[1] [11] [11], la cui corretta utilizzazione permette di diminuire notevolmente il pericolo di questo tipo di inquinamento. Inoltre, nel campo dei controlli è possibile evitare gli inquinamenti di questo tipo, con l’installazione di idonei impianti a terra capaci di ricevere e trattare le acque sporche di zavorra e di lavaggio delle cisterne da residui del carico (c.d Shore Reception Facilities).
L’inquinamento di natura accidentale è senza dubbio la forma più preoccupante perché, oltre a determinare condizioni tecniche più impegnative, in determinate circostanze può assumere le dimensioni di “catastrofe”. La maggior frequenza degli incidenti, si riscontra nelle zone costiere dove più intenso è il traffico marittimo e quindi i danni provocati. Le cause degli inquinamenti accidentali sono dovuti a incagli, collisioni, incendi, esplosioni ed avarie strutturali di navi cisterna cariche o scariche ovvero da altra nave, con versamento o imminente pericolo di versamento nelle acque del mare, di idrocarburi o di altre sostanze nocive e inquinanti ovvero a seguito di incendio o avaria ad installazioni fisse o mobili situate in mare o sul litorale (incendio, blow out).
E’ praticamente impossibile evitarne il pericolo poiché essi sono legati ad incidenti. Possono essere, invece, ridotte le cause che lo provocano con una serie di misure idonee a prevenire ed eliminare gli scarichi, intenzionali o meno, e regolamentare la progettazione, la costruzione, l’armamento e la gestione delle navi, nonché misure per prevenire gli incidenti, far fronte ai casi di urgenza e assicurare la sicurezza delle operazioni in mare.
[1] Nelle navi SBT le cisterne, le linee e le pompe per la manovra della zavorra sono dedicate esclusivamente alla zavorra. Il quantitativo di zavorra segregata deve essere sufficiente per soddisfare le condizioni di assetto minimo previste dalle norme vigenti.
L'idea di protezione internazionale dell'ambiente marino è relativamente recente: essa si è andata formando alquanto lentamente nell'opinione pubblica anche mediante l'adozione di una serie di «Convenzioni Internazionali» che sono state stipulate a partire dagli anni '50, talora nella forma di convenzione a carattere settoriale, tal'altra in quella di convenzione a carattere regionale. Talune di queste riguardano determinate cause di inquinamento marino e prevedono particolari poteri e doveri degli Stati relativamente a specifici tipi di inquinamento[1].
Nella Convenzione di codificazione del diritto del mare conclusa a Ginevra nel 1958, le uniche norme relative alla prevenzione ed alla protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento erano contenute negli artt. 24 e 25 della Convenzione sull' «Alto Mare» e riguardavano rispettivamente due sostanze inquinanti speciali: gli idrocarburi e le sostanze radioattive, nonché l'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini. La Convenzione di Ginevra sull' «Alto Mare» si limitava infatti a disporre all'art. 24 che «ogni stato contraente è tenuto a promuovere norme intese ad evitare la polluzione dei mari derivata da sostanze idrocarburiche defluite da navi o da oleodotti o dall'esplorazione o dallo sfruttamento del fondo o del sottofondo marini, tenendo conto delle disposizioni pattizie esistenti in materia»
Le Convenzioni che vennero stipulate negli anni '50 e '60 si presentano tutte definite per settori di inquinamento o per regioni di inquinamento. Ebbene, proprio questa parcellizzazione di carattere funzionale o spaziale della normativa ha costituito l'ostacolo principale della ricostruzione del quadro generale della normativa stessa. Inoltre, le norme delle convenzioni settoriali e regionali di cui si è detto rivestivano carattere sinallagmatico, e creavano diritti ed obblighi reciproci ed esclusivi tra i vari Stati contraenti. In molti casi, i due contrapposti poli di interessi relativi alle diverse situazioni, erano rispettivamente rappresentati dallo Stato di bandiera della nave, che poteva causare l'inquinamento, e dallo Stato costiero che dall'inquinamento stesso poteva subire il danno. Non emergeva così, in dette convenzioni, il concetto di un obbligo generale relativo alla protezione dell'ambiente marino.
Sino a tutto il decennio 1960 anche i contenuti delle norme internazionali generali sull'inquinamento marino attribuivano agli Stati alcuni poteri e imponevano alcuni obblighi relativi alla prevenzione ed alla repressione dell'inquinamento. Ma, mentre i poteri erano strettamente collegati agli interessi dei singoli Stati, di cui in ipotesi frequenti erano portatori lo Stato della bandiera e lo Stato costiero, gli obblighi, rispetto ai poteri, rivestivano carattere strettamente reciproco ed individuale, ed avevano riguardo in genere allo Stato suscettibile di causare il danno. Tale situazione era evidente rispetto al mare territoriale, già meno evidente rispetto alle zone intermedie, del tutto evanescente rispetto all'alto mare. La diversità di regime era dovuta ovviamente alla presenza del potere sovrano dello Stato costiero nell'ambito del mare territoriale, cui corrispondevano rispettivamente un notevole affievolimento di tale potere nella zona contigua marittima e nelle zone di pesca riservate, ed un assoluto equilibrio nell'esercizio delle rispettive libertà di tutti gli Stati marittimi, nell'ambito dell'alto mare.
Un apporto sostanziale alla determinazione dei contenuti della disciplina internazionale nella materia, si verificò all'inizio degli anni '70. Nel corso di tali anni si è, infatti, evidenziata una compromissione senza precedenti dell'equilibrio ecologico, tanto da temere il raggiungimento di un livello irreversibile nella qualità della vita del mare, a causa della universalità delle lesioni procurate all'ambiente marino. Tale fenomeno ha progressivamente evidenziato l'esistenza di un interesse collettivo della Comunità internazionale alla tutela dell'ambiente marino in quanto tale, ed ha indotto conseguentemente ad affermare, nei modi più vari, la necessità dell'impegno di tutti gli Stati, e di ciascuno di essi, al fine di realizzare la tutela dell'interesse in questione. La necessità della protezione internazionale dell'ambiente marino contro l'inquinamento si è andata evidenziando a seguito della spinta dell'opinione pubblica internazionale ed i rispettivi Governi, determinatasi a causa di alcuni «catastrofici incidenti marittimi», riguardanti l'Europa, che per le loro proporzioni hanno assunto portata storica. Invero, fino alla seconda metà circa degli anni sessanta, e cioè finché non si produssero i primi di questi grandi disastri (in particolare quello della nave liberiana Torrey Canyon) e finché l'industria non diede inizio all'epoca delle «superpetroliere» con conseguente incremento vertiginoso dei rischi, la già pur grave situazione ecologico-ambientale non suscitava che un interesse limitato ad alcune aree particolari. Fu quindi paradossalmente necessario attendere fino alla catastrofe ecologica dell'incaglio della petroliera liberiana «Torrey Canyon» nel 1967, sulle estreme scogliere della Cornovaglia (con la fuoriuscita di ben 120.000 tonnellate di grezzo che andarono a riversarsi sulle incantevoli coste bretoni e inglesi), perché si manifestasse una reazione generalizzata, che diede spazio all'idea di una serie di provvedimenti a carattere internazionale, diretti da un lato ad accrescere la sicurezza della navigazione (per evitare la causa prima dell'inquinamento massivo a carattere eccezionale, cioè i sinistri della navigazione) e, dall'altro, ad evitare il versamento in mare di olii o di sostanze nocive o di scoli o di rifiuti, durante il normale esercizio di una nave. Fra questi ultimi provvedimenti possiamo anche ricomprendere la costruzione di terminali di discarica, depurazione e stoccaggio degli idrocarburi.
Ricordiamo ancora, per la loro gravità, i disastri dell'«Amoco Cadiz» nel 1976 e della «Tanio» nel 1978, entrambi verificatesi sulle coste della Bretagna, che, puntualmente, hanno riproposto all'attenzione della Comunità internazionale il fatto che l'attuazione su scala mondiale di misure tecniche e di strumenti giuridici volti, sia alla salvaguardia dell'ambiente marino che al risarcimento delle vittime dell'inquinamento, non poteva essere ancora procrastinata.
Non appare peraltro sufficiente, il prevenire o il reprimere il solo scarico di idrocarburi. Altrettanto nocivo può risultare, un eventuale incidente che coinvolga carichi di prodotti chimici trasportati via mare o altre sostanze suscettibili di porre a repentaglio la salute umana o di danneggiare le risorse e la vita del mare o di compromettere gli usi legittimi del mare, quali i rifiuti e le altre cose o sostanze pericolose. Artefice della considerevole messe di normative pattizie internazionali che, unitamente ad importanti iniziative unilaterali di alcuni Stati ed agli interventi da parte di organi privati (come grandi compagnie petrolifere), ha contribuito alla formazione di strumenti oggi idonei, se non proprio a scongiurare il pericolo d'inquinamento, almeno ad arginare le proporzioni, è senza alcun dubbio l'International Maritime Organization (IMO) che è l'Agenzia delle Nazioni Unite, specializzata nel campo marittimo. E' nata da una Convenzione adottata dalla Conferenza delle N.U. tenutasi a Ginevra nel maggio 1948.
Benché all'atto della sua costituzione, l'ambito di operatività dell'I.M.O. fosse strettamente limitato (nella Convenzione costitutiva ad esempio, non si accennava minimamente all'inquinamento marino, anche perché, a quel tempo, il problema non aveva ancora assunto quella drammaticità che ora gli riconosciamo), si giunse in seguito ad interpretarne in senso lato lo statuto esistente.
Nel 1975 diversi emendamenti alla Convenzione costitutiva modificarono i fini dell'organizzazione, includendovi l'incoraggiamento all'«adozione generale dei più alti standard nelle materie relative...alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento marino da navi, ed alla trattazione dei suddetti problemi di carattere legale».
L'organo dell'I.M.O. specializzato in materia di inquinamento marino è il Marine Evironment Protection Committee (M.E.P.C.), nato nel 1973. Tra gli scopi ad esso riservati risultano l'adempimento di tutte le funzioni attribuite all'I.M.O. delle numerose Convenzioni relative alla «Marine Pollution»; la promozione, l'acquisizione e la divulgazione presso gli Stati di informazioni e conoscenze tecnico-scientifiche in materia; lo sviluppo della cooperazione con le organizzazioni a carattere regionale; ed infine la sottoposizione al Consiglio di progetti di regolamentazioni volte alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento del mare da parte delle navi. Nella pratica tuttavia, l'I.M.O. non dispone di alcun potere normativo, per cui il suo ruolo principale consiste nella predisposizione di progetti di Convenzioni Internazionali e nella organizzazione delle conseguenti Conferenze diplomatiche.
Per quel che concerne l'imponente lavoro svolto in questi anni, ricordiamo, ora brevemente, il suo contributo nella realizzazione di quelle Convenzioni, riguardanti direttamente l'inquinamento marino, quali ad esempio: la OILPOL 1954, la MARPOL 1973, la L.D.C. 1972 (DUMPING), la INTERVENTION 1969, assieme all'INTERVENTION PROTOCOL del 1973 e soprattutto la C.L.C. del 1969 e la FUND del 1971.
Meritano altresì di essere menzionate alcune altre Convenzioni, alla cui stesura e adozione l'I.M.O. ha attivamente preso parte, che hanno avuto il merito di contribuire, pur se indirettamente, a prevenire l'inquinamento marino da navi: e cioè la Convenzione di Londra del 1960 e 1974 (SOLAS) “per la salvaguardia della vita in mare”; la Convenzione di Londra del 1972 sulle “regole Internazionali per prevenire gli abbordi in mare” (COLREG); la Convenzione Internazionale di Londra del 1966 sulle “linee di massimo carico e bordo libero" (LOAD LINE) e la Convenzione di Londra del 1969 sulla “stazzatura delle navi” (TONNAGE).
Torrey Canyon - Scogliere della Cornovaglia 1967
[1] Indubbiamente va affermandosi una concezione integrale e complessiva dell'intero compendio naturalistico si cerca di superare la «compartimentazione» con cui venivano trattati i problemi. In questa ottica si è superata la concezione settoriale della questione e si è smesso di considerare la tutela dell'ambiente sotto gli aspetti separati di tutela del paesaggio, di tutela dei centri storici o di tutela dei parchi naturali o florifaunistici. Si è fatta strada l'opinione che non fosse neppure sufficiente considerarla in funzione della sola difesa dall'inquinamento e delle problematiche della difesa del suolo e dell'urbanistica, ma in un'ottica molto più totalizzante ed omogenea.
La cooperazione internazionale in materia di protezione dell'ambiente marino ha visto, nel volgere di pochi anni, la nascita di numerose regole alcune delle quali di portata storica. Una tra queste è stata certamente OILPOL 1954
Il primo passo, a livello internazionale, nella lotta all'inquinamento da idrocarburi, venne compiuto con la Convenzione di Londra del 12 maggio 1954 (entrata in vigore il 26 luglio 1956), e conosciuta con il nome di «OILPOL 1954», modificata, poi nel 1962 ed emendata nel 1969 e 1971.
Scopo primario di questa Convenzione era di vietare in maniera categorica la discarica volontaria di idrocarburi o miscele di idrocarburi, derivante dalle operazioni di lavaggio cisterne o da imperfette operazioni di carico e scarico, al di fuori delle condizioni previste.
Per la OILPOL 1954 erano considerati idrocarburi: il petrolio greggio, l'olio combustibile, l'olio diesel pesante e l'olio lubrificante; mentre una «miscela oleosa» era considerata tale quando il contenuto di idrocarburi superava le 100 parti per milione (p.p.m.).
La Convenzione disponeva inoltre che la discarica di quanto sopra doveva avvenire il più lontano possibile dalla terraferma per le navi diverse dalle petroliere e ad oltre 50 miglia dalla terraferma più vicina per le navi cisterna.
Merito della OILPOL 1954 fu la previsione e la predisposizione di uno speciale «Registro degli Idrocarburi» (Oil Record Book), per tutte le navi adibite al trasporto di idrocarburi o che utilizzassero gli stessi come combustibile e in cui dovevano essere annotate tutte le operazioni effettuate nonché le eventuali discariche in mare, anche se avvenute accidentalmente. Tale documento doveva essere esibito, quando richiesto, alle Autorità di un qualsiasi Stato contraente.
La OILPOL 1954 stabilì inoltre che le violazioni al dispositivo fossero punite dallo Stato di bandiera, precisando successivamente che le sanzioni pecuniarie per le violazioni al di fuori delle acque territoriali, fossero comminate in misura tale, da scoraggiare i contravventori, e non fossero inferiori a quelle previste per violazioni commesse avvenuta all'interno delle acque territoriali.
Alla OILPOL 1954, va il merito di essere stata la prima Convenzione ad occuparsi del sempre crescente problema dell'inquinamento marino e della conseguente irreversibile alterazione dell'ambiente.
Il 1969 vide la nascita di due importanti Convenzioni riguardanti principalmente gli aspetti assicurativo e giuridico per danni conseguenti ad inquinamento, infatti il 29 novembre di quell'anno furono sottoscritte a Bruxelles la «Convenzione Internazionale sulla responsabilità civile per danni conseguenti ad inquinamento da idrocarburi» (C.L.C.), e la «Convenzione sull'intervento in alto mare in caso di incidente che comporti o possa comportare un inquinamento da idrocarburi» (INTERVENTION CONVENTION).
La C.L.C., è entrata in vigore internazionalmente il 29 giugno 1975, mentre è stata ratificata dall'Italia con Legge 6 aprile 1977, n.185 ed è entrata in vigore il 28 maggio 1979, a seguito del deposito dello strumento di ratifica.
Questa Convenzione riguarda tutte le «seagoing vessel» di qualunque tipo, purché trasportino effettivamente oil alla rinfusa come carico, e si applica esclusivamente ai danni da inquinamento avvenuti sul territorio (ivi compreso il mare territoriale) di uno Stato contraente nonché alle misure preventive messe in atto dagli Stati e destinate ad evitare o ridurre tali danni, anche se la nave inquinante batte bandiera di uno Stato non contraente.
Ai fini di questa convenzione, fatte salve le specifiche esclusioni, solo il proprietario della nave può essere considerato responsabile dei danni da inquinamento conseguenti ad una fuga o discarica di idrocarburi dalla propria nave a seguito di incidente.
La C.L.C. prevede inoltre che il proprietario di una nave immatricolata in un Paese contraente e che trasporti più di 2000 tonnellate di idrocarburi è tenuto a provvedere una assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria responsabilità per danni da inquinamento. Detta copertura assicurativa (o garanzia finanziaria equivalente) deve essere comprovata da un certificato che ne attesti la validità[1].Il certificato deve essere tenuto a bordo della nave per poter essere esibito a richiesta delle competenti Autorità, mentre copia dello stesso deve essere depositato presso l'Ufficio di iscrizione della nave
[1] In genere la garanzia finanziaria viene fornita dai «P & I Clubs» (Protection and Indemnity) in aggiunta ed a complemento delle altre responsabilità e rischi ricadenti sugli armatori e/proprietari delle navi durante l'effettuazione delle loro attività. In altre parole i «P & I Clubs» coprono i rischi attinenti alla ampia sfera di responsabilità armatoriali, garantendo all'armatore stesso protezione contro i reclami dei terzi ed indennizzandolo per gli eventuali oneri che egli avesse sostenuto.
Dopo solo due anni dalla sottoscrizione delle due Convenzioni C.L.C. e INTERVENTION CONVENTION, il 18 dicembre 1971 fu firmata, ancora una volta a Bruxelles, la «Convenzione Internazionale sulla creazione di un Fondo Internazionale per il risarcimento dei danni conseguenti ad inquinamento da idrocarburi».
La Fund Convention è entrata internazionalmente in vigore il 16 ottobre 1978, mentre in Italia è entrata in vigore il 28 maggio 1979, a completamento dell'iter avviatosi con la ratifica avvenuta con Legge 6 aprile 1977, n.185. La «Fund» è complementare alle C.L.C.1969, e lo scopo della convenzione è di consentire un completo indennizzo a coloro che subiscano danni da inquinamento causati da navi, senza tuttavia gravare ulteriormente sugli armatori. La Fund opera in maniera aggiuntiva alla C.L.C.1969 ed interviene solo quando l'entità del danno supera il limite di responsabilità previsto da quest'ultima Convenzione. Il finanziamento del «Fondo» è garantito mediante il pagamento di una quota annua da parte dei soggetti o persone giuridiche che, in uno Stato parte della Convenzione stessa, abbiano ricevuto più di 150.000 tonnellate di greggio o di fuel oil in un anno di calendario.
Nei casi in cui non si applica la C.L.C. e, conseguentemente la FUND, si possono applicare accordi privati, denominati «Tovalop» (Tanker Owners Voluntary Agreement concerning Liability for Oil Pollution) e «Cristal» (Contract Regarding an Interim Supplement to Tanker Liability for Oil Pollution) creati dalle più importanti compagnie petrolifere del mondo nella loro qualità di armatori di navi cisterna o di proprietari del greggio da queste trasportato.
La Convenzione di Barcellona del 16 febbraio 1976 si prefigge di prevenire e combattere le diverse forme di inquinamento da sostanze od energie nocive, derivanti dalle operazioni di scarico effettuate da navi o aerei, dalle esplorazioni e dallo sfruttamento della piattaforma continentale e del sottosuolo, nonché dagli scarichi provenienti dalla terraferma (fiumi, stabilimenti costieri, ecc.), limitatamente al Mar Mediterraneo.
La «Convenzione sulla salvaguardia del mar Mediterraneo dall'inquinamento», adottata a Barcellona il 16 febbraio 1976 da Italia, Francia, Monaco, Spagna, Israele, C.E.E., Egitto, Libano, Malta, Siria, Tunisia e Jugoslavia (altri Stati firmatari Cipro, Grecia, Marocco e Turchia).
Ai fini della Convenzione con «Mar Mediterraneo» si intende le acque marittime del Mediterraneo propriamente detto e dei golfi e mari che esso racchiude tra il meridiano che passa per il faro di Capo Espartel all'entrata dello Stretto di Gibilterra (limite occidentale) ed il limite meridionale dello Stretto dei Dardanelli.
La Convenzione di Barcellona è integrata da quattro protocolli, due dei quali sono dedicati, rispettivamente, agli scarichi operati da navi o aeromobili ed alle situazioni critiche di emergenza.
Da un esame del primo protocollo, all'articolo 3, si rileva che per «scarico» deve intendersi tutto ciò che deliberatamente è gettato in mare, rifiuti o altre materie, da navi e aeromobili comprendendo inverosimilmente l'affondamento della nave o dell'aeromobile.
Il primo Protocollo esamina e regolamenta dettagliatamente le immissioni dovute alle operazioni di scarico effettuate da navi e aeromobili e, più particolarmente, il getto di rifiuti veri e propri. Gli Stati contraenti, tramite le Autorità preposte (in Italia saranno i Capi dei Compartimenti Marittimi), dovranno attenersi alla dettagliata regolamentazione in materia rispettando il divieto assoluto di autorizzare lo scarico nel Mediterraneo di rifiuti o materie elencati nell'art. 1 (materie plastiche persistenti, petrolio grezzo ed idrocarburi, rifiuti radioattivi così come definiti dall'Agenzia Atomica Internazionale, mercurio, ecc.), mentre la discarica di rifiuti elencati nell'Allegato II (arsenico, piombo, rame, zinco, pesticidi, ecc.) sarà soggetta ad un preventivo permesso specifico.
Le norme si applicano, come anzidetto, sia ai vettori marittimi che a quelli aerei: si parla di «dumping» nell'accezione di :
Le perdite, lo scarico volontario in mare e lo scarico accidentale da vettori marittimi sono le cause principali di alterazioni ambientali. Ne consegue che la navigazione, intesa come insieme di tecniche di trasporto mediante vettori, e il trasporto marittimo costituiscono campi di interesse internazionale.
L’importanza di tale Convenzione risiede soprattutto nella parte dedicata alla struttura organizzativa creata al fine di conseguire le summenzionate finalità di cooperazione. Sotto tale profilo una particolare attenzione è stata rivolta alla raccolta ed allo scambio di dati e informazioni fra gli Stati costieri della Regione, all’assistenza in materia agli Stati stessi e, infine, alla promozione di appositi corsi che mirino a formare personale esperto nella lotta agli inquinamenti.
Le parti contraenti della Convenzione di Barcellona hanno affidato le funzioni di segretariato all’UNEP (United Nation Environment Program), il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, con sede a Ginevra mentre, con un ulteriore Protocollo, è stato istituito il Centro Regionale Mediterraneo per gli interventi di urgenza contro l’inquinamento marino (REMPEC - Regional Marine Pollution Emergency Response Centre for the Mediterranean Sea), con sede a Malta. Tale Centro, fra l’altro, qualora una situazione di inquinamento assuma contorni di un certo rilievo per l’area del Mediterraneo, deve essere messo al corrente della situazione in atto con un dettagliato messaggio, il POLREP, originato, in Italia, dal C.O.A. di Difmar il quale deve provvedere, altresì, a comunicare periodicamente i relativi aggiornamenti.
Va sottolineato che nel corso dei lavori che hanno portato alla stipula della Convenzione di Barcellona è stato sottoscritto, fra i Paesi del Mediterraneo, il «Piano d’Azione del Mediterraneo» (P.A.M.), promosso dall’ONU, al quale ha aderito anche l’Unione Europea. Tale Piano è stato predisposto proprio al fine di accentuare gli sforzi per la completa e piena applicazione di quanto previsto dalla suddetta Convenzione, mirando ad uniformare e coordinare le azioni poste in essere, in materia di antinquinamento, dagli Stati interessati.
La Convenzione à stata ratificata dall'Italia con la Legge n. 30 del 21 gennaio 1979, col titolo di "Convenzione per lo protezione dell'ambiente marino e delle zone costiere del Mediterraneo", allo stato attuale la Convenzione è stata resa esecutiva con Legge 27.05.1999, n. 175 recante "Ratifica ed esecuzione dell'atto finale della Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento, con relativi protocolli, tenutasi a Barcellona il 9-10 giugno 1995”.
Nel suo testo emendato, la Convenzione ha cambiato titolo divenendo "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e le regioni costiere del Mediterraneo". L'ambito di applicazione geografica della stessa è stato esteso fino a comprendere le acque marine interne del Mediterraneo (ossia le acque interne dei singoli stati, poste all'interno delle linee di base del mare territoriale) e le aree costiere come definite da ogni parte contraente entro il proprio territorio.
La Convenzione, così come modificata, ha mantenuto la sua natura di quadro programmatico di riferimento, la cui attenzione deve essere realizzata mediante l'adozione di specifici protocolli che concretizzino i principi in essa enunciati, con riguardo alle diverse forme di inquinamento. Nel suo contenuto di base, la Convenzione ribadisce, applicandole su sede regionale, le principali idee affermatevi in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (UNICED), tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992, introducendo i seguenti principi:
AI fine di realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, le parti contraenti tenevano in debito conto le raccomandazioni della «Commissione Mediterranea per lo sviluppo sostenibile» (nuovo Organo creato nel quadro del Piano di azione per il Mediterraneo).
Oltre ad un obbligo generale di intraprendere le dovute azioni per prevenire, combattere ed eliminare l'inquinamento del Mediterraneo e proteggere l'ambiente marino di quest'area al fine di contribuire al suo sviluppo sostenibile, grava sulle fonti contraenti l'impegno di stabilire, in stretta collaborazione con gli organismi internazionali competenti, programmi complementari o comuni per il monitoraggio dell'inquinamento nelle aree sottoposte alla loro giurisdizione nazionale. Infine, le parti contraenti si impegnano a cooperare, direttamente o per il tramite di organizzazioni scientifiche o tecniche, anche attraverso lo scambio di dati ed informazioni e sono tenute a trasmettere all'Organizzazione, rapporti sulle misure amministrative e legislative adottate.
Contestualmente alla Convenzione di Barcellona venne approvato il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa all'inquinamento del Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni d'emergenza (Protocollo di Emergenza) quale strumento giuridico che vincola le parti a cooperare per adottare le misure necessarie in caso di grave ed imminente pericolo per l'ambiente marino causato da inquinamenti da petrolio o altre sostanze pericolose. L'art. 2 del sopra citato Protocollo, prevede che le parti si impegnino a mantenere e a promuovere i propri piani di intervento e i relativi mezzi, specificatamente equipaggiati con personale qualificato da far intervenire in caso di emergenza.
Il suddetto Protocollo, inoltre, individua un Centro Regionale, istituito a Malta, quale centro di coordinamento e controllo per la prevenzione e la lotta all'inquinamento nel Mediterraneo (REMPEC). Lo stesso Protocollo prevede, inoltre, l'eventuale costituzione di centri sub-regionali cui si applicheranno le disposizioni relative al Centro regionale, tenuto conto degli specifici obiettivi, delle relative funzioni e dei legame col suddetto Centro.
Questa Convenzione regola l’attività di discarica volontaria in mare di rifiuti o sostanze nocive provenienti da altri luoghi (dumping) inserendo, sia gli uni che gli altri, a seconda della loro pericolosità, in tre distinti gruppi (vedi All. A).
In particolare, per le sostanze rientranti nel «I gruppo» (c.d. Blak List) è previsto l’assoluto divieto di discarica mentre, per i rimanenti gruppi, la discarica è assoggettata al rilascio di apposita autorizzazione.
In Italia, in base alla legge 24.12.1979 (che ha recepito la normativa internazionale in materia di dumping) e ad un più recente D.M. del '96, competente al rilascio della suddetta autorizzazione è il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare o, in caso di comprovata urgenza, il Capo del Compartimento Marittimo competente per territorio: va detto che, di fatto, il suddetto Dicastero non rilascia mai autorizzazioni per la discarica di sostanze rientranti nel II dei suddetti gruppi (c.d. Lista Grigia).
E’ importante rilevare che la competenza autorizzativa degli Stati contraenti prevista da tale Convenzione riguarda tutte le navi, anche straniere, purchè caricate nel territorio nazionale nonchè le navi di propria bandiera caricate in Stati che non siano parte della Convenzione stessa.
Al fine di porre rimedio alle carenze normative della precedente Convenzione OILPOL 1954 e di fronteggiare in maniera concreta il problema dell'inquinamento marino, nell'ottobre del 1973 venne convocata a Londra una nuova Convenzione Internazionale per la prevenzione dell'inquinamento da navi MARPOL 1973 (Marine Pollution Convention). Stipulata a Londra il 2 novembre 1973 è entrata in vigore solo il 2 ottobre 1983, dopo che le condizioni (ossia 12 mesi dopo la ratifica da parte di almeno 15 Stati, che rappresentassero il 50% del tonnellaggio mercantile mondiale) si erano realizzate, a seguito delle ratifiche dell'Italia e della Grecia avvenute il 2 ottobre 1982.
La MARPOL può essere considerata un vero e proprio «codice» del mare. Essa nasce dall'esigenza di proteggere l'ambiente marino, prendendo atto che gli scarichi sia di natura accidentale che di natura dolosa oppure colposa di idrocarburi ed altre sostanze nocive da parte di navi costituiscono una grave fonte di inquinamento. Scopo della MARPOL è appunto di regolarne gli sversamenti fissando le modalità di scarico di tutti gli effluenti possibili delle navi e stabilendo delle «zone speciali» di mare ove esiste il divieto di scarico o ove lo stesso è disciplinato con norme più restrittive rispetto alle altre zone di mare.
Le norme contenute nella convenzione si applicano alle navi che sono autorizzate a battere la bandiera di uno Stato parte della Convenzione e alle navi non autorizzate ma che operano sotto l'Autorità di tali parti. Non è applicabile, invece, né alle navi da guerra, né alle altre navi appartenenti ad uno Stato o gestite da tale Stato fintantoché quest'ultimo le utilizzi esclusivamente per servizi governativi e non commerciali. Questa fondamentale fonte pattizia (resa esecutiva in Italia con la Legge 662/80), che ha colmato le vistose lacune mostrate dalla Convenzione “Oil Pol 1954”, è stata ampiamente aggiornata con un «Protocollo» redatto a Londra nel 1978 a seguito della Conferenza T.S.P.P. (Tanker Safety Pollution Prevention), dedicata alla sicurezza delle navi cisterna ed alla prevenzione dell’inquinamento del mare. E’ proprio per l’importanza rivestita dalle modifiche apportate da tale Protocollo, soprattutto in materia di prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi, che spesso si parla, nella pratica, di Marpol 73/78.
La Convenzione in esame ha introdotto una dettagliata normativa diretta ad eliminare, ridurre e prevenire l’inquinamento marino derivante dall’immissione volontaria o accidentale di tutte le sostanze che siano in grado di nuocere o mettere in pericolo la salute umana, le risorse biologiche, le bellezze naturali e, in generale, le attività connesse con i legittimi usi del mare.
Con la Marpol, come si è accennato in precedenza trattando della Convenzione di Montego Bay, è stato altresì superato il principio, affermato in precedenza dalla Convenzione “Oilpol 54”, della sottoposizione della nave all’ordinamento giuridico dello Stato di bandiera : infatti, venne sancito per la prima volta, il diritto dello Stato costiero di sanzionare direttamente le violazioni della normativa antinquinamento perpetrate, all’interno delle proprie acque territoriali, da unità di bandiera estera.
In alternativa a tale attività sanzionatoria “diretta” o quando le disposizioni della presente Convenzione vengano violate al di fuori delle acque di giurisdizione di uno Stato contraente, lo Stato di bandiera dovrà essere informato dell’infrazione e delle prove a supporto della stessa in modo tale da poter agire in applicazione di quanto previsto dalla propria normativa sanzionatoria: in questo caso, come si è detto in precedenza, allo Stato che ha fornito le informazioni e le prove dovranno essere comunicate al più presto le misure sanzionatorie adottate.
La Marpol si compone, oltre che del succitato Protocollo del ‘78, di una prima parte (contenente disposizioni di carattere generale), di due Protocolli (riguardanti, rispettivamente, l’invio dei rapporti sugli eventi e l’arbitrato) e, infine, di 7 (sette) Allegati che, per l’importanza rivestita, meritano un cenno particolare.
Con tale Allegato (entrato in vigore, nel nostro Paese, nel 1983) sono stati fissati i limiti e le modalità di discarica in mare delle miscele oleose e sono state, altresì, individuate ben sette «Aree Speciali» (Mar Mediterraneo, Mar Baltico, Mar Nero, Mar Rosso, Zona dei Golfi, Golfo di Aden e Antartide), all’interno delle quali tale discarica è assoggettata a particolari restrizioni.
In particolare, la regolamentazione dello scarico in mare di olio proveniente dalle cisterne del carico di una nave petroliera è quella riassunta nella tabella in All. B mentre, per quanto riguarda la discarica in mare delle acque di sentina delle petroliere (di qualsiasi stazza) e delle navi diverse dalle petroliere di stazza lorda uguale o superiore a 400 tonnellate, è previsto che l’unità debba navigare in rotta ed essere dotata di un separatore acqua/olio (con automatismo di “Stop”) che mantenga il contenuto di olio nell’effluente non superiore alle 15 parti per milione (p.p.m.).
Di rilievo sono poi le disposizioni riguardanti il «sistema di zavorramento». La “norma 13” prevede, infatti, che le navi petroliere nuove (vale a dire quelle il cui contratto di costruzione sia stato stipulato dopo il 31.12.75 o, in mancanza di contratto, la cui chiglia sia stata impostata dopo il 30.6.76) di portata lorda uguale o superiore a 70.000 tonnellate debbano essere munite di idonee cisterne destinate a contenere esclusivamente zavorra (SBT - Segregate Ballast Tanker): ciò al fine di prevenire quella che, soprattutto in passato, costituiva una delle fonti principali di inquinamento marino, vale a dire la discarica in mare delle acque di zavorra “sporca” (in quanto frammista a residui del carico trasportato in precedenza).
Per questo stesso motivo, la “norma 14” prevede il divieto di trasportare zavorra in una qualsiasi delle cisterne per combustibile liquido a bordo di navi petroliere nuove di stazza lorda uguale o superiore a 150 tonnellate ovvero uguale o superiore a 4.000 tonnellate se si tratta di navi diverse dalle petroliere.
Va aggiunto che con il summenzionato Protocollo del '78 sono stati fissati anche i requisiti che devono possedere le navi petroliere per poter effettuare il lavaggio delle cisterne con greggio (C.O.W. : Crude Oil Washing): è questo un’efficace sistema di lavaggio che consente di ovviare agli inconvenienti che, sotto l’aspetto sia della sicurezza che dell’inquinamento, derivavano dall’utilizzo a tal fine di acqua. Inoltre, il C.O.W., seguito da un risciacquo della cisterna con acqua, consente di imbarcare all’interno della cisterna acqua di zavorra che (come specificato nella nota della tabella in All. B) viene considerata “pulita” e, come tale, non soggetta a restrizioni per lo scarico in mare.
Sempre sotto il profilo della prevenzione va rilevato che in sede I.M.O. sono stati adottati degli emendamenti, entrati in vigore nel 1993, i quali prevedono che le navi petroliere nuove (vale a dire quelle il cui contratto sia stato stipulato dopo il 6.7.'93 o, in mancanza di contratto, la cui chiglia sia stata impostata dopo il 6.1.'94) di portata lorda uguale o superiore a 5.000 tonnellate debbano essere costruite con doppio scafo o con mid deck (ponte intermedio) mentre quelle di portata lorda uguale o superiore a 600 tonnellate ma inferiore a 5.000, debbano essere munite almeno di “doppio fondo”.
Per le navi cisterna esistenti (realizzate, cioè, prima delle suddette date) di portata lorda uguale o superiore a 20.000 tonnellate, se adibite al trasporto di greggio, o a 30.000 tonnellate, se adibite al trasporto di prodotti petroliferi, i summenzionati emendamenti prevedono, per quelle realizzate prima del 1982 (c.d. navi pre-Marpol), la realizzazione del doppio scafo entro il 25 Z anno dalla data di consegna mentre, per quelle realizzate dopo il 1982 (c.d. “navi Marpol”), entro il 30 Z anno, sempre a decorrere dalla data di consegna.
In particolare questo Allegato, nella prima delle cinque Appendici in cui risulta suddiviso, fissa i criteri per la classificazione di tali sostanze in una delle quattro categorie (A - B - C o D) individuate in considerazione del livello di gravità del rischio e della serietà del danno che , nel caso di discarica in mare derivante dalle operazioni di pulizia delle cisterne o dallo scarico della zavorra, può essere arrecato all’ambiente marino, alla salute umana ed alle attrattive dei luoghi.
In base a tali criteri, le sostanze più pericolose sono quelle inserite nella categoria A, mentre quelle rientranti nelle altre tre categorie presentano una pericolosità/dannosità via via decrescente. Proprio in relazione a tali categorie vengono fissati i limiti e le modalità di discarica in mare dei residui, delle acque di lavaggio e delle acque di zavorra, al di fuori ed all’interno delle tre “Aree Speciali” (Mar Baltico, Mar Nero e Antartico).
La successiva Appendice II^ contiene, invece, una lista dei prodotti liquidi nocivi trasportati alla rinfusa, per ciascuno dei quali vengono indicati la categoria di appartenenza (A - B - C o D) e il c.d. «U.N.number» (numero Nazioni Unite), assegnato, quest’ultimo, dallo speciale Comitato di Esperti delle Nazioni Unite che si occupa della catalogazione di tutte le merci pericolose attualmente in commercio.
Va rilevato che la materia del trasporto alla rinfusa di merci pericolose allo stato liquido e di prodotti chimici allo stato gassoso, risulta regolata oltre che dalle disposizioni dell’Allegato II e dalle numerose Risoluzioni adottate in sede I.M.O., anche dal D.P.R. n.50 del 04.02.84 (intitolato “Norme tecniche particolari per la costruzione ed equipaggiamento delle navi adibite al trasporto di prodotti chimici liquidi pericolosi alla rinfusa”) e da una Circolare Ministeriale (la n. 340364 del 31.03.1970) emanata dall’allora Ministero della Marina Mercantile.
Più precisamente, il suddetto D.P.R. si applica al trasporto di quei prodotti chimici liquidi rientranti negli elenchi allegati a due Decreti Ministeriali, datati entrambi 09.3.84 e pubblicati nel Suppl. Ord. alla G.U. n.94 del 04.4.84.
Va precisato che di tale tipo di trasporto si occupa, nel nostro ordinamento, anche il D.P.R. 1008 del 09.5.1968, con il quale è stato approvato il “Regolamento per l’imbarco, trasporto per mare, sbarco e trasbordo delle merci pericolose in colli”.
Una particolare attenzione è stata dedicata, sia dalle norme di tale Regolamento, sia da quelle dell’Allegato III alla Marpol, al modo in cui deve essere predisposta e redatta la documentazione che deve accompagnare la spedizione ed il trasporto delle sostanze nocive. E’ previsto, infatti, che i documenti d’imbarco preparati dallo spedizioniere marittimo debbano includere o essere accompagnati da un certificato o da una dichiarazione firmata (“I.M.O. dangerous goods declaration”) attestante che il carico da trasportare è correttamente imballato, marcato ed etichettato e che lo stesso si trova nelle condizioni previste al fine di ridurre al minimo i pericoli che il suo trasporto può comportare per l’ambiente marino.
Vengono, inoltre, fissati i massimi quantitativi di sostanze nocive trasportabili, le modalità da seguire per un sicuro imballaggio e i dati da inserire nell’etichetta utilizzata per contrassegnare i contenitori. In particolare, il succitato D.P.R., così come la Reg.4 dell’Allegato III alla Marpol, prevede che tutti i colli debbano essere contrassegnati ed individuati con la denominazione tecnica, e non solo commerciale, della sostanza contenuta e, inoltre, che gli stessi debbano risultare muniti, in modo ben visibile, di una o più etichette (fatte in modo da resistere per tre mesi immerse in mare) conformi ai modelli approvati con apposito D.M. (vedi All. C).
Con l’Allegato III, a differenza dei due precedenti, non sono state dichiarate Aree Speciali, anche perchè il gettito dei colli contenenti le suddette sostanze è consentito solo ed esclusivamente per garantire la sicurezza della nave e/o per la salvaguardia della vita umana in mare.
Sempre con riferimento al trasporto di merci pericolose in colli, non può non essere fatta rilevare l’importanza, per lo sviluppo della normativa esistente in materia, degli studi svolti sinergicamente da un Comitato di Esperti dell’ONU (United Nation Committee) e da un gruppo di lavoro incaricato dall’allora I.M.C.O. (l’attuale I.M.O.), sulla “scia” della Conferenza sulla SOLAS svoltasi a Londra nel 1960.
L’attività del suddetto Comitato di Esperti dell’ONU portò alla redazione di liste nelle quali a ciascuna sostanza pericolosa veniva attribuito un “numero di riferimento” (l’ “U.N. number” visto in precedenza) mentre, i lavori del gruppo incaricato dall’IMCO diedero vita all’IMDG Code (International Maritime Dangerous Goods Code) nel quale sono state codificate tutte quelle merci (comprese quelle individuate dal sopra citato Gruppo di Esperti dell’ONU) che, a causa delle loro caratteristiche, rappresentano un potenziale pericolo per il trasporto via mare. In particolare, tale Codice (approvato da un sottocomitato dell’I.M.O., il Maritime Safety Committee), sulla base di criteri inerenti lo stato fisico e il tipo di pericolosità preminente (nocività, infiammabilità, etc.), individua nove classi di merci pericolose (dall’1 al 9), prevedendo le relative modalità di imballaggio e riportando, nell’indice generale, il nome tecnico delle singole merci ed i corrispondenti “U.N. numbers”.
All’IMDG Code sono altresì allegate delle “schede di emergenza o di sicurezza” (safety data sheet) contenenti tutti i dati necessari sia per una corretta ed immediata identificazione del prodotto, sia per fronteggiare le eventuali situazioni di pericolo che possono verificarsi durante il trasporto di ogni singola merce codificata. A tal fine l’IMDG Code indica, per ogni singola merce, un numero di identificazione “MFAG” (Medical First Aid Guide for use in accidents involving dangerous goods) ed un numero “EMS” (Emergency procedure for ships carrjng dangerous goods).
La summenzionata classificazione delle merci pericolose, è stata ripresa dal sopra citato D.P.R. 1008 del 09.5.68 il quale, in analogia al criterio seguito dall’IMDG Code, ha raggruppato le merci pericolose in nove “Classi” (vedi All.C), alcune delle quali (la 4, la 5 e la 6), suddivise in sottoclassi.
Per ciascuna di tali Classi, l’allora Ministero della Marina Mercantile ha emesso dei Decreti con i quali vengono fissati i requisiti tecnici che l’imballaggio deve possedere per il trasporto via mare, le modalità per lo stivaggio e le procedure che devono essere seguite per conseguire il rilascio delle relative autorizzazioni da parte dell’Autorità Marittima e per il trasbordo e/o lo sbarco in sicurezza del carico. A ciascuno di tali Decreti Ministeriali sono allegati gli elenchi delle merci pericolose ammesse al trasporto marittimo in colli .
Va evidenziato che ogni singola merce pericolosa ricompresa nei suddetti elenchi viene inserita in una tabella ove vengono indicati tutti i dati utili alla precisa identificazione (formula chimica, stato fisico, livello primario e secondario di pericolosità, temperatura di infiammabilità) nonchè i requisiti che deve avere il relativo imballaggio (tipo, limiti di riempimento o pressione, ecc.) e le specifiche precauzioni da adottare.
Va precisato che la classificazione effettuata con il D.P.R.1008/68 è stata oggetto, negli anni successivi, di aggiornamenti (introdotti mediante varie Circolari e Decreti Ministeriali), resi per lo più necessari dall’esigenza di inserire merci “nuove”, ammesse per la prima volta al trasporto marittimo.
Sempre con Decreti Ministeriali sono state altresì introdotte disposizioni particolari relative alla “Classe 9” (identificata dall’ etichetta riprodotta in All.D) nella quale rientrano le merci che non presentano una specifica pericolosità o che, per le loro peculiari caratteristiche, non sono definibili con un solo termine (es. tossico o infiammabile ecc.) o, ancora, che sono oggetto di studi tendenti a definire le loro proprietà fisiche, chimiche e tossicologiche.
Fissa i divieti, i limiti e le modalità di smaltimento dei rifiuti di bordo in relazione al tipo di rifiuto ed alla distanza dalla costa (vedi All.E).
L’Allegato in parola ha individuato, fra l’altro, otto Aree Speciali (Mar Mediterraneo, Area dei Golfi, Mar Rosso, Mar Baltico, Mar Nero, Mare del Nord, Antartide, Mar dei Caraibi) all’interno delle quali è consentita solo la discarica di rifiuti alimentari a non meno di dodici miglia dalla costa.
Va precisato che allorquando i rifiuti di bordo siano mescolati o composti in parte da sostanze inquinanti (prodotti chimici, idrocarburi, etc), si applicherà alla fattispecie la normativa più severa.
La SOLAS, oltre a costituire, a livello internazionale, la fondamentale fonte normativa in materia di sicurezza della navigazione, riveste un’importanza non trascurabile anche nel campo della normativa antinquinamento.
Infatti, il relativo Protocollo ‘78, entrato in vigore in Italia il 1° gennaio 1983, è stato adottato a seguito della stessa Conferenza internazionale dedicata alla sicurezza delle navi cisterna ed alla prevenzione dell’inquinamento del mare (T.S.P.P. del ‘78) che ha dato vita anche al Protocollo 78 della Marpol 73.
Inoltre, con gli Emendamenti '83 alla Solas, il Maritime Safety Committee (M.S.C.) dell’I.M.O ha adottato anche il “Codice Internazionale per la Costruzione e l’Equipaggiamento delle Navi che trasportano sostanze chimiche pericolose alla rinfusa” (IBC Code) ed il “Codice Internazionale per la Costruzione e l’Equipaggiamento delle Navi che trasportano gas liquefatti alla rinfusa” (IGC Code): di tali Codici torneremo a parlare allorquando tratteremo dei certificati previsti per le unità adibite al trasporto delle suddette sostanze.
La cooperazione tra paesi economicamente diversificati, come quelli del Mediterraneo, si è resa necessaria fin dall'inizio del processo di costruzione del sistema di Barcellona. Nella fattispecie, essa si è realizzata attraverso forme di cooperazione sub-regionale.
Per quanto concerne l'Italia vanno esaminati:
Di taglio ben più incisivo di quanto abbia fatto la Convenzione di Ginevra del 1956, è l'intervento della Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, in materia di protezione dell'ambiente marino.
Detta Convenzione dedica al problema dell'inquinamento la Parte XII «Protection and Preservation of the Marine Environment», che si compone di ben 46 articoli. In essa vengono dettati, facendo riferimento alle Convenzioni sull'argomento già esistenti, i doveri e gli obblighi degli Stati al fine di ridurre e prevenire, con l'emanazione di leggi interne e, soprattutto, con la loro applicazione concreta, l'inquinamento proveniente dalla terraferma, dall'esplorazione e dallo sfruttamento dei fondi e sottofondi marini, dagli scarichi di rifiuti in mare, dall'esercizio della navigazione e dall'atmosfera.
Va ricordato che, grazie all'istituzione, proprio in questa sede, della Zona Economica Esclusiva (ZEE) estesa 200 miglia, entro la quale lo Stato rivierasco, disponendo di diritti sovrani per lo sfruttamento delle risorse naturali e, soprattutto, per la preservazione dell'ambiente marino, sarà, nel contempo autorizzato ad intervenire per la repressione di eventuali violazioni.
Per le attribuzioni delle competenze specifiche la Convenzione esprime chiaramente la differenza tra Stato di bandiera, Stato del porto e Stato costiero.
Va tenuto presente che uno Stato diverso da quello di bandiera può irrogare nei confronti delle navi responsabili di violazioni in materia di inquinamento, solo delle «sanzioni pecuniarie», a meno che l'infrazione sia stata commessa nelle sue acque territoriali ed allo stesso tempo costituisca un «volontario e serio atto di inquinamento».
L'Organizzazione marittima internazionale, in acronimo IMO (dall'inglese International Maritime Organization) è un' Agenzia autonoma delle Nazioni Unite incaricata di sviluppare i principi e le tecniche della navigzione marittima internazionale, promuovere la progettazione e lo sviluppo del trasporto marittimo internazionale rendendolo più sicuro ed ordinato. Lo scopo di questa organizzazione, alla quale aderiscono la quasi totalità degli Stati[1 [12]] [12] [12], è di favorire la diffusione delle informazioni, potenziare la cooperazione tra gli Stati e di formulare regolamentazioni in qualsiasi materia riguardante la navigazione, tutto ciò al fine di migliorare la sicurezza della nave, della navigazione e della vita umana in mare. E' l'unica organizzazione intergovernativa, quindi, che si occupa esclusivamente di questioni marittime. Dalla Convenzione di Ginevra del 6 marzo del 1948 fu istituito l' Intergovernmental Maritime Consultative Organization (IMCO), organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a Londra, la quale iniziò la sua attività nel 1959. Il cambio di nome da IMCO ad IMO è avvenuto nel 1982.
La convenzione dell'IMO adottata dai paesi membri prevede degli standars riguardanti le regole per prevenire gli abbpordi in mare (COLREG), gli standard di costruzione e compartimentazione delle navi, nonche le dotazioni antincendio, impiantistiche, di sopravvivenza e salvataggio (SOLAS), la formazione e certificazione del personale marittimo (STCW). Inoltre, l'IMO definisce i protocolli per le indagine sugli incidenti marittimi seguiti dalle Autorità per la sicurezza del trasporto dei paesi firmatari della convenzione sulla navigazione civile internazionale.
â–º Organi dell'IMO sono:
Affiancano l'IMO le seguenti organizzazioni delle Nazioni Unite:
Su iniziativa dell'IMO (Convenzione di Londra del 1976) opera, con sede in Londra, la International Maritime Satellite Organization (INMARSAT) che ha lo scopo di favorire il sistema satellitare per le comunicazioni marittime.
â–º Tra le più importanti Convenzioni Internazionali dell'IMO vanno ricordate:
Organizzazioni non governative per la navigazione marittima
Esistono numerose associazioni a carattere internazionale, ma di natura privata, che operano nel campo della navigazione marittima. Tra queste vanno ricordate:
[1] [12] Dell' I.M.O. fanno oggi parte 110 Stati membri (più uno Stato associato: Hong Kong). I circa 40 Stati non entrati nell'organizzazione sono principalmente piccoli Paesi del c.d. «Terzo Mondo».
Sono passati oltre sedici anni da quello che è considerato il più grave disastro ambientale del Mediterraneo: l’affondamento della Haven e lo sversamento di decine di migliaia di tonnellate di idrocarburi nel mare ligure. Ci sono voluti altri incidenti, dalla Erika alla Prestige perché si cominciasse a prendere in considerazione la possibilità di dotarsi di una normativa più avanzata in questo settore e sono tuttora in esame una serie di misure per rendere più sicuro il trasporto di prodotti petroliferi lungo le coste europee e mediterranee.
L'Italia per motivi geografici, trattandosi di un Paese posto al centro di un mare semi-chiuso di grande interesse strategico e particolarmente vulnerabile sotto il profilo ambientale è parte contraente di quasi tutti i trattati in materia di protezione dell'ambiente marino aventi un'applicazione generale. Per ciò che concerne la tutela del mare alcuni riferimenti normativi sono d’obbligo. L’Italia è uno degli Stati che ha ratificato la Convenzione di Barcellona sulla tutela del mare mediterraneo, e si attiene a quelle che sono le linee guida della convenzione Marpol sull’inquinamento dei mari attraverso le sostanze tossiche ed inquinanti. Sul piano regionale una speciale considerazione merita la già menzionata convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976), un trattato-quadro, cui hanno fatto seguito quattro protocolli applicabili a specifici settori ambientali. Altri accordi, aventi un ambito di applicazione più ristretto riguardano l'Adriatico (accordo con la Jugoslavia, firmato a Belgrado, il 14 febbraio 1974), lo Jonio (accordo con la Grecia, firmato a Roma il 6 marzo 1979) e il Mar Ligure (accordo con la Francia e Monaco, firmato a Monacpo il 10 maggio 1976.
La necessità di uniformare la normativa nazionale con quella internazionale e al fine di colmare numerosi vuoti legislativi, a partire dalla metà degli anni '70 diversa è stata la normativa prodotta.
La legge n. 979 del 31.12.1982, meglio nota come “legge sulla difesa del mare”, nella parte finale del I comma dell’art.6, riferendosi alle caratteristiche dei mezzi navali da acquisire per il disimpegno del servizio di vigilanza dalla stessa previsto con l’art. 2, lett. c), stabilisce che tali mezzi “dovranno essere progettati ed attrezzati anche (...) per operazioni antinquinamento”.
Con il D.M. 20.5.83, come è noto, sono state successivamente determinate le suddette caratteristiche, sulla base delle quali sono stati poi realizzati i Pattugliatori d’Altura della classe “Cassiopea”. Questi ultimi, dunque, possono essere impiegati (come è già avvenuto in passato) in interventi per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti e, in tale eventualità, sono chiamati ad operare nell’ambito dell’organizzazione di “pronto intervento” che in questi casi viene attivata in forza delle disposizioni contenute negli articoli 10 e 11 della suddetta legge 979/82.
Va ricordato che tali disposizioni devono essere lette, ovviamente, alla luce dell’art.10, comma I, della Legge n. 537 del 24.12.93 e del correlato D.M.19.1.94, con i quali sono state trasferite al Ministero dell’Ambiente tutte le funzioni in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino in precedenza attribuite al soppresso Ministero della Marina Mercantile. A seguito di tali provvedimenti normativi è, quindi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che provvede, nel quadro del Servizio Nazionale di Protezione Civile, d’intesa con le altre amministrazioni civili e militari dello Stato e mediante il concorso degli enti pubblici territoriali, alla organizzazione del pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti.
Più precisamente, nel disimpegno di tale delicata competenza, il Ministero dell’Ambiente si avvale, a livello centrale, del Servizio Difesa Mare (DIFMAR) (ora Direzione Generale per la Protezione della Natura) e dell’Istituto Centrale di Ricerca Applicata al Mare (ICRAM), entrambi istituiti presso lo stesso Ministero.
A livello periferico, organi funzionalmente dipendenti, in questo specifico campo, dal Dicastero dell’Ambiente sono, invece, le Capitanerie di Porto, alle quali la normativa vigente assegna il compito di attuare il c.d. “pronto intervento”, in stretto contatto con i Centri Operativi Periferici esistenti presso i Servizi Supporto Navale (S.S.N) delle Direzioni Marittime.
L’art.11, comma I, della L. 979/82 stabilisce, infatti, che “nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque del mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte e suscettibili di arrecare danni all’ambiente marino, al litorale e agli interessi connessi, l’Autorità Marittima nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, è tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico o del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli”.
In particolare, come specificato dal II comma dello stesso articolo 11, qualora l’inquinamento in atto o la minaccia di inquinamento sia tale da determinare una situazione di emergenza, il Capo del Compartimento Marittimo (vale a dire il Comandante della Capitaneria di Porto) competente per territorio dichiarerà lo “stato di emergenza locale”, dando di ciò tempestiva comunicazione al Centro Operativo Antinquinamento (C.O.A.) del summenzionato Difmar ed assumendo contestualmente la direzione delle relative operazioni, sempre in stretto contatto con lo stesso C.O.A. e con il competente Centro Operativo Periferico (C.O.P.). Quest’ultimo, in particolare, assumerà direttamente la direzione delle operazioni qualora l’inquinamento riguardi le acque rientranti nella giurisdizione di due o più Compartimenti marittimi limitrofi.
Tramite il proprio C.O.A., a sua volta, Difmar provvederà a dare immediata comunicazione dell’avvenuta dichiarazione dell’emergenza locale al Servizio Nazionale della Protezione Civile (PROCIVILMARE).
Nel corso di tale stato di emergenza il Comandante della Capitaneria di Porto competente coordinerà le operazioni sulla base dei “Piani operativi di pronto intervento locale” adottati dagli stessi Capi di Compartimento di concerto con i Prefetti e con gli organi del Servizio Nazionale della Protezione Civile, con il coinvolgimento, altresì, delle altre amministrazioni periferiche interessate. Va rilevato che qualora lo stato di emergenza locale riguardi un inquinamento che interessi anche la costa, con l’Autorità Marittima interagirà la Prefettura alla quale spetta la direzione delle operazioni di bonifica svolte sulla terraferma.
Diversa da quella sinora esaminata è l’ipotesi in cui l’emergenza derivante da un inquinamento marino sia tale da non poter essere fronteggiata con i mezzi a disposizione del Ministero dell’Ambiente.
In questo caso, infatti, in base al D.Lgs.n.29 del 03.02.93, il titolare di tale Dicastero dovrà chiedere al Ministro per il coordinamento della Protezione Civile di promuovere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una volta dichiarato tale massimo stato di emergenza, la direzione e la responsabilità di tutte le operazioni spetterà al Sottosegretario di Stato delegato alla Protezione Civile il quale opererà sulla base del “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini”, adottato dagli Organi del Servizio Nazionale per la Protezione Civile ed approvato con il D.M. 11.01.93. Tale Piano, in particolare, costituisce il “terzo livello temporale” di quello che può essere considerato come un unico piano operativo nazionale che vede ai primi due livelli, rispettivamente, i “Piani di pronto intervento locale” delle singole Capitanerie ed il “Piano di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti” approvato, quest’ultimo, con D.M.03.3.87, dall’allora Ministro della Marina Mercantile.
La dichiarazione dello stato di emergenza nazionale antinquinamento costituisce, in generale, la naturale conseguenza di una situazione di “grande inquinamento”, intendendosi, come tale, quello difficilmente contenibile e/o che coinvolga, a causa dell’estensione della zona interessata, più Centri Operativi Periferici ovvero che minacci tratti di costa e/o di litorale di particolare pregio e valore. A prescindere da valutazioni di carattere economico/ambientale, rientra, altresì, nella nozione di “grande inquinamento” anche l’immissione in mare di sostanze che costituiscano seria minaccia per l’incolumità e la salute delle popolazioni rivierasche.
Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, lo sversamento di idrocarburi, esiste un limite quantitativo, pari a 1.000 metri cubi, al di sopra del quale le immissioni sono convenzionalmente considerate “grandi inquinamenti”.
Sotto il profilo organizzativo, nel caso di emergenza nazionale, viene attivato, presso il Dicastero della Protezione Civile, il Centro Operativo Emergenza in Mare (C.O.E.M.) che ha il compito di seguire continuamente l’evolversi della situazione acquisendo tutti i dati e le notizie utili per consentire al titolare del Dicastero stesso di disimpegnare al meglio la propria attività direttiva e di coordinamento di tutte le forze impegnate.
Nello svolgimento di tale delicata attività, il Ministro per il coordinamento della Protezione Civile si avvale, altresì, a livello periferico, dei Centri Operativi Periferici e dei Capi di Compartimento Marittimo mentre, a livello centrale, di notevole ausilio risulta l’opera svolta dal Comitato Tecnico - Scientifico (previsto dal D.M.11.8.90) e dal C.O.A. di Difmar, a sua volta collegato al Centro Nazionale di Coordinamento e Raccolta Dati (esistente presso lo stesso Difmar) ed alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap).
Un’ulteriore ipotesi di emergenza che può verificarsi è, infine, quella in cui si renda necessaria l’attuazione di un intervento antinquinamento in acque internazionali al fine di scongiurare la possibilità di danni alle coste ed all’ecosistema delle nostre acque territoriali e interne. Tale intervento è previsto e disciplinato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Bruxelles del 1969, meglio nota come “Intervention 69”, alla quale è stata data regolare attuazione nell’ambito del nostro ordinamento giuridico.
In particolare, l’art.1 del D.M.25.9.95, in considerazione della particolarità e delicatezza dell’intervento in alto mare e della complessità degli interessi che, in questo caso, possono essere coinvolti, ha precisato che la relativa decisione deve essere adottata dal Ministero dell’Ambiente solo previa intesa con i Ministeri degli Affari Esteri e della Difesa e sentiti il Ministero dei Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato.
Una volta adottata tale decisione, la direzione delle operazioni sarà assunta dal Direttore Generale per la Protezione della Natura (o da un suo delegato) il quale, qualora l’intervento risulti alquanto complesso, si avvarrà dell’opera del Comitato Permanente Interministeriale di Pronto Intervento (previsto dal D.P.R.504/78) che, in questo caso (come in altri di una certa gravità), viene convocato d’urgenza tramite il C.O.A. dello stesso Dicastero.
L’attivazione, nei diversi stati di emergenza sopra esaminati, della struttura organizzativa del “pronto intervento” antinquinamento, per poter produrre risultati soddisfacenti, deve essere necessariamente connotata, come è ovvio, dal requisito della tempestività. A tal fine, il Protocollo I alla Convenzione Marpol 73/78 e l’art.12 della L. 979/82 prevedono che nel caso di avarie o incidenti suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino attraverso lo sversamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, il comandante, l’armatore o il proprietario della nave debbano informare, senza indugio, l’Autorità Marittima più vicina al luogo del sinistro, adottando, nel contempo, “ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti”.
In questo caso i summenzionati soggetti vengono diffidati ad adottare le suddette misure dalla stessa Autorità Marittima la quale, nel caso in cui tale diffida resti senza effetto ovvero non produca gli effetti sperati entro un termine a tal fine assegnato, provvederà ad eseguire gli interventi necessari per conto dell’armatore o del proprietario, recuperando poi dagli stessi le spese sostenute.
Nei casi di comprovata urgenza, tuttavia, l’Autorità Marittima adotterà tali interventi, sempre per conto dell’armatore o del proprietario, anche in assenza della preventiva diffida.
Va aggiunto che, al fine di rendere gli interventi antinquinamento “mirati” e, quindi, efficaci,, le segnalazioni circa la presenza in mare di sostanze inquinanti dovranno essere quanto più possibile dettagliate con riferimento, in particolare, alle condimeteo in atto, alla esatta posizione ed estensione della “macchia”, alla natura, alla quantità ed alla denominazione tecnica delle sostanze sversate. Nel caso di trasporto in colli, inoltre, occorrerà fare riferimento anche al tipo ed alle condizioni dell’imballaggio, indicando, altresì, il nome del fabbricante, del caricatore e del destinatario del carico.
Tali dati, nel caso in cui a ciò non provveda la nave che ha provocato l’inquinamento, dovranno essere forniti, ove possibile, da chiunque rilevi l’immissione in mare di sostanze inquinanti. Infatti, va ricordato che l’obbligo di segnalare uno stato di inquinamento marino sussiste non solo a carico dei soggetti individuati dalle summenzionate disposizioni normative, ma anche dei Comandanti di qualsiasi unità aeronavale, civile o militare.
L'immissione diretta nelle acque marittime di rifiuti di lavorazione industriale o proveniente da servizi pubblici, o da insediamenti di qualsiasi specie, è subordinata all'«autorizzazione» del Ministro dei Trasporti e della Navigazione, sentito il parere delle Regioni interessate
L'autorizzazione è condizionata alla garanzia della salvaguardia dell'ambiente marino. A questo fine sono vincolanti il parere espresso dal Ministero dell’Ambiente e quello fornito dalla Regione interessata. (es.:redazione dei piani paesaggistici, scarichi, depuratori, ecc.).
Le Capitanerie di Porto controllano che gli scarichi avvengano nel rispetto dell'autorizzazione e che in ogni caso vengano adottate le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento delle acque marittime.
[...]
A seguito di un sinistro marittimo devono essere adottate in «alto mare» le misure necessarie a prevenire, attenuare o eliminare gravi ed imminenti rischi, che ne possono derivare al litorale, dall’inquinamento delle acque del mare da idrocarburi o da altre sostanze nocive.
Secondo quanto stabilito dal DPR 504/78, che rende esecutiva la Convenzione di Bruxelles del novembre del 1969 (INTERVENZION 1969), la direzione di tutte le attività durante l’emergenza viene assunta dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (ex Mimerc), previa intesa con il Ministro degli Affari Esteri ed il Ministro della Difesa, fermo restando le attribuzioni delle altre Amministrazioni nella esecuzione dei compiti a loro attribuiti dalla legge.
La DIFMAR rappresenta il principale “strumento” che l’Italia possiede per la difesa del mare, grazie alla quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha attuato una politica tesa alla protezione dell’ambiente marino ed alla prevenzione di effetti dannosi e destabilizzanti alle risorse del mare, provvedendo con le Regioni alla formulazione di un “piano generale di difesa del mare dall’inquinamento” su tutto il territorio nazionale.
Per la realizzazione dei compiti che si è prefissato, il Dicastero ha provveduto:
A tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto ad organizzare una “rete di osservazione” circa la qualità dell’ambiente marino ed un idoneo sistema di sorveglianza sulle attività che si svolgono lungo le coste.
Tale rete é dotata di:
Nel quadro del servizio nazionale di protezione civile[1], il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, in intesa con gli altri Ministri ha provveduto alla organizzazione del “piano per il pronto intervento” per la difesa del mare e delle coste da inquinamenti causati da incidenti, devolvendo all’A.M. nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, tutte le misure necessarie, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli.
Art. 11- Nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque di mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte o suscettibili di arrecare danni all'ambiente marino, al litorale agli interessi connessi, l'Autorità marittima, nella cui area di competenza si verifichi l'inquinamento o la minaccia di inquinamento, e' tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli. Qualora il pericolo di inquinamento o l'inquinamento in atto sia tale da determinare una situazione di emergenza, il capo del compartimento marittimo competente per territorio dichiara l'emergenza locale, dandone immediata comunicazione al Ministro della marina mercantile, ed assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano operativo di pronto intervento locale, ferme restando le attribuzioni di ogni amministrazione nell'esecuzione dei compiti di istituto, da lui adottato d'intesa con gli organi del servizio nazionale della protezione civile.
Il Ministro della marina mercantile dà immediata comunicazione della dichiarazione di emergenza locale al servizio nazionale della protezione civile tramite l'Ispettorato centrale per la difesa del mare di cui al successivo art. 34.
Quando l'emergenza non è fronteggiabile con i mezzi di cui il Ministero della marina mercantile dispone, il Ministro della marina mercantile chiede al Ministro della protezione civile di promuovere la dichiarazione di emergenza nazionale. In tal caso il Ministro della protezione civile assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano di pronto intervento nazionale adottato dagli organi del servizio nazionale per la protezione civile.
Restano ferme le norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 maggio 1978, n. 504, per l'intervento in alto mare in caso di sinistri ed avarie a navi battenti bandiera straniera che possano causare inquinamento o pericolo di inquinamento all'ambiente marino, o al litorale.
Art. 12 - Il comandante, l'armatore o il proprietario di una nave o il responsabile di un mezzo o di un impianto situato sulla piattaforma continentale o sulla terraferma, nel caso di avarie o di incidenti agli stessi, suscettibili di arrecare, attraverso il versamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, danni all'ambiente marino, al litorale o agli interessi connessi, sono tenuti ad informare senza indugio l'autorità marittima più vicina al luogo del sinistro, e ad adottare ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti.
L'Autorità marittima rivolge ai soggetti indicati nel comma precedente immediata diffida a prendere tutte le misure ritenute necessarie per prevenire il pericolo d'inquinamento e per eliminare gli effetti già prodotti.
Nel caso in cui tale diffida resti senza effetto, o non produca gli effetti sperati in un periodo di tempo assegnato, l'autorità marittima farà eseguire le misure ritenute necessarie per conto dell'armatore o del proprietario, recuperando, poi, dagli stessi le spese sostenute.
Nei casi di urgenza, l'autorità marittima farà eseguire per conto dell'armatore o del proprietario le misure necessarie, recuperandone, poi, le spese, indipendentemente dalla preventiva diffida a provvedere.
Sentenza della Corte di Cassazione
Lo scarico in mare di sostanze comprese nell’Allegato alla legge n. 979/82, effettuato da nave italiana in acque internazionali secondo le prescrizioni della convenzione MARPOL (intendendosi con tale espressione sia la convenzione principale, sia gli annessi, sia gli allegati. Sia il protocollo) non costituisce reato, in quanto le norme di detta convenzione, entrate in vigore successivamente a quelle della citata L. n. 979/82, hanno introdotto una causa di liceità, in grado di incidere sullo stesso fatto tipico descritto negli art. 16 e 17 di quest’ultima, così da far escludere – essendosi verificata una vera e propria “abolitio criminis” – che lo scarico in mare di sostanze nocive eseguito in osservanza della convenzione MARPOL costituisca reato. Anche a voler ritenere astrattamente possibile l’apposta soluzione interpretativa, essa presenterebbe un tale tasso di irragionevolezza da porsi in contrasto con l’art. 3 Cost., tanto che un’ eventuale adesione ad essa renderebbe ineludibile la denuncia di illegittimità costituzionale degli artt. 16, 17 e 20 della L. n. 979/82. Cassazione penale sez. un., 22 luglio 1998. Dir. Trasporti 1999, 613 nota (ROSAFIO) |
[1] Organi: Presidente del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della protezione Civile, Procivilmare (Centro Operativo emergenza in mare), Ministro dell’Interno e Direzione generale Protezione Civile.
Tale strumento, pubblicato sul S.O. n° 101/L alla G.U. n° 124 del 29.5.1999, costituisce il tanto atteso testo unico sulla tutela delle acque dall’inquinamento. La fattispecie in esame era infatti, prima dell’emanazione del presente decreto, frazionata in una miriade di atti normativi che avevano di fatto sancito la nascita, accanto alla disciplina (introdotta dalla Legge 319/76 e ss.mm. ed integrazioni) basata sui limiti di accettabilità applicata agli scarichi, di acque presenti nei corpi idrici in relazione all’uso cui esse erano destinate..
L’autorità competente effettua il controllo degli scarichi (controlli preventivi e successivi) secondo un programma prestabilito fermo restando, per gli scarichi in pubblica fognatura, l’obbligo per gli enti gestori, sancito dall’art. 26 della legge 5 gennaio 1994 n° 36, di organizzare un adeguato servizio di controllo (art. 49 commi 1 e 2).
Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alle tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni può prescrivere, a carico del titolare, l’installazione di strumenti di controllo automatico (art. 52 comma 1).
Il Ministero dell’ambiente può esercitare poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni nel caso non vengano effettuati i previsti controlli ambientali (art. 53 comma 1 e 2).
In merito al comma 11 dell’art. 59[1]e alla sua coesistenza con l’art. 20 (abrogato) della Legge 979/82 si rileva come tale norma sia la riedizione integrale dell’articolo 24 bis della Legge 319/76 (peraltro abrogata dal Dlgs 152/99) il quale era stato a sua volta mutuato dall’art. 3 della legge 2.5.1983 n° 305 “ratifica ed esecuzione della convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico dei rifiuti ed altre materie, con allegati, aperta alla firma a Città del Messico, Londra, Mosca, Washington il 29.12.1972, come modificata il 12.10.1978[2].
Tale dettato normativo deve intendersi pertanto riferito al dumping e non sembra modificare in alcun modo la attuale validità dell’art. 20 della l. 979/82.
[1] Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque di mare da parte di navi o aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare. Resta fermo, in quest’ultimo caso l’obbligo della preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente.
[2] Pubblicata sul S.O. alla G.U. n° 174 del 27.6.1983.
Il Decreto Legislativo 152/06 recepisce otto Direttive comunitarie, accorpa le disposizioni per settori omogenei, abroga cinque leggi, dieci disposizioni di legge, quattro D.P.R., tre D.P.C.M. e otto D.M.
Ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.
Il decreto disciplina, in attuazione della Legge 15 dicembre 2004, n. 308, mira a semplificare, razionalizzare e riordinare la normativa ambientale esistente nei seguenti settori chiave:
Il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, quando dalle stesse possono derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.
[...]
Fatto salvo quanto previsto da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di “tutela delle acque dall’inquinamento” provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardi di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto (Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche), quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.
Fatto salvo quanto previsto da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di “rifiuti nonché della repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti” (di cui alla parte quarta del presente decreto), provvedono il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) e il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato.
Il legislatore al fine di aumentare la sicurezza marittima e di migliorare la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento provocato dalle navi [1], senza discriminazione di nazionalità, ha previsto all’art. 4 del Decreto n. 202/2007 il divieto di scarico delle “sostanze inquinanti” inserite nell’Allegato I (idrocarburi) e nell’Allegato II (sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla Convenzione MARPOL 73/78 (ratificata con Legge 29 settembre 1980, n. 662), come richiamate nell’elenco di cui all’Allegato A alla legge 31 dicembre 1982, n. 979, nelle acque marittime interne, compresi i porti, nelle acque territoriali, in alto mare, negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare (articolo 3).
La immissione di sostanze inquinanti (=scarico) nelle predette aree di mare è consentita – sotto la responsabilità del Comandante della nave - se effettuata nel rispetto delle condizioni di cui all’Allegato I (Norme relative alla prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi) o Allegato II (Norme relative al controllo dell’inquinamento da sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) della Convenzione MARPOL 73/78 (articolo 5).
• Misure di controllo per le navi che si trovano in porto (art. 6)
Per quanto attiene alle misure di controllo il citato decreto prescrive all’art. 6 che l’Autorità Marittima competente per territorio, a seguito dell’accertamento di irregolarità o sulla base di informazioni comunque acquisite, deve procedere ad apposita ispezione (PSC) ai sensi del D.M. 13 ottobre 2002, n. 305, come modificato dal decreto 2 febbraio 2006, n. 113, nei confronti delle navi - che si trovano all’interno del porto o in un terminale off-shore – allorquando sia in corso ovvero vi sia un imminente pericolo di scarico di sostanze inquinanti in una delle aree predette.
Se in base all’esito dell’ispezione (PSC), l’Autorità predetta ritenga che possa essere stato violato il divieto di cui all’articolo 4, comma 1 D.lgs. 202/07, informa le Autorità competenti per i provvedimenti conseguenti (Autorità dello Stato di bandiera, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) al fine della eventuale costituzione in giudizio come parte civile.
• Misure di controllo per le navi che si trovano in transito (art. 7, comma 1)
Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 11 e 12 della legge 979/82 (vedi a pag. 17), se il presunto scarico i “sostanze inquinanti” è effettuato nelle aree di cui all’articolo 3 (acque marittime interne, compresi i porti; acque territoriali; alto mare; stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito; zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare e se la nave è sospetta di aver effettuato lo scarico non approda in un porto dello Stato italiano che detiene le formazioni riguardo al presunto scarico:
• Fermo della nave (art. 7, comma 2)
Se esistono elementi di prova certi ed obiettivi che una nave che naviga delle aree suindicate abbia effettuato uno scarico che provoca o minaccia di provocare un grave danno al litorale o agli interessi collegati allo Stato italiano o alle altre risorse delle acque territoriali o della zona economica esclusiva o di una zona equivalente (articolo 7), l’Autorità Marittima, qualora gli elementi di prova lo giustificano e fatto salvo quanto previsto nella parte XII, sezione 7, della Montego Bay 1982, procede, sulla base di apposite direttive indicate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a sottoporre a “fermo” la nave, ad informare le Autorità dello Stato di bandiera della nave e ad adottare le misure necessarie (articolo 6) allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli.
• Inquinamento doloso (sanzioni)
L’articolo 8, comma 1 D.lgs. 202/07 dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000.
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
Pene Accessorie
L’articolo 10, comma 1 D.lgs. 202/07 prevede a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8 la pena accessoria della «sospensione del titolo professionale» per il Comandante della nave e per le persone dell’equipaggio fornite dei titoli di cui all’art. 123 cod. nav., nonché la «sospensione dalla professione marittima» per i restanti membri dell’equipaggio, rispettivamente di durata non inferiore ad 1 (uno) anno, ai sensi dell’art. 1083 cod. nav.
• Inquinamento colposo (sanzioni)
L’articolo 9, comma 1 D.lgs. 202/07 dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
• Divieto di attracco (art. 11)
Al Comandante e ai membri dell’equipaggio condannati per i reati di cui agli artt. 8 e 9 l’attracco ai porti italiani per un periodo comunque non inferiore ad 1 (uno) anno, commisurato alla gravità del reato commesso, da determinarsi con Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
• Controlli ed accertamento delle violazioni (art. 12)
I controlli e gli accertamenti delle violazioni alle disposizioni di cui al D.lgs. 202/07 sono svolti dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria di cui all’art. 57, nn. 1 e 2 c.p.p. e, nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le rispettive attribuzioni, dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera di cui all’art. 57 n. 3 c.p.p. nonché dagli altri soggetti indicati all’art. 1235 cod. nav.
Peraltro l’art. 12 comma 1 del D.lgs. 202/07 include nell’attività di controllo gli Ufficiali ed i Sottufficiali della Marina Militare.
Ai sensi dell’art. 12 comma 2, l’attività di controllo e di accertamento delle violazioni è effettuata sotto la direzione del Comandante del Porto.
• Abrogazioni (art. 14)
Sono abrogati gli articoli 16, 17 comma 1 e 20 della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 [13] (DIFMAR)
[1] Le disposizioni non si applicano alle navi militari da guerra o ausiliarie e alle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali.
Con legge 25 febbraio 2010 n. 36 è stata modificata la disciplina sanzionatoria relativa agli scarichi di acque reflue; l’articolo 1 della predetta legge, modificando il primo periodo del comma 5 dell’articolo 137 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante le "Norme in materia ambientale “ prevede infatti, che «Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'articolo 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro».
La nuova legge, in vigore dal 27 marzo 2010, ha sostanzialmente riformulato le sanzioni relative agli scarichi di acque reflue industriali che eccedono i valori limite, restringendo la responsabilità penale ai casi più gravi; viene, infatti, limitata l’applicazione delle sanzioni penali al caso in cui il superamento tabellare dei valori limite è riferito solo alle 18 sostanze più pericolose fissate nella tabella 5.
Legge 25 febbraio 2010, n. 36
Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue.
(GU n. 59 del 12-3-2010)
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
1. Il primo periodo del comma 5 dell'articolo 137 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' sostituito dal seguente:
«Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'articolo 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro».
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi' 25 febbraio 2010
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Prestigiacomo, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Avvertenza:
Il testo della nota qui pubblicato e' stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, comma 2, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura della disposizione di legge modificata e della quale restano invariati il valore e l'efficacia.
Note all'art. 1:
- Il testo dell'art. 137, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2006, n. 88 (S.O.), come modificato dalla presente legge e' il seguente:
«Art. 137 (Sanzioni penali). - 1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, e' punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.
2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena e' dell'arresto da tre mesi a tre anni.
3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell'autorizzazione, o le altre prescrizioni dell'autorita' competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, e' punito con l'arresto fino a due anni.
4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o l'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all'art. 131 e' punito con la pena di cui al comma 3.
5. Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti piu' restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'Autorita' competente a norma dell'art. 107, comma 1, e' punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da seimila euro a centoventimila euro.
6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresi' al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell'effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.
7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all'obbligo di comunicazione di cui all'art. 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all'art. 110, comma 5, si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
8. Il titolare di uno scarico che non consente l'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all'art. 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato, e' punito con la pena dell'arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell'art. 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.
9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'art. 113, comma 3, e' punito con le sanzioni di cui all'art. 137, comma 1.
10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall'autorita' competente ai sensi dell'art. 84, comma 4, ovvero dell'art. 85, comma 2, e' punito con l'ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro.
11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 e' punito con l'arresto sino a tre anni.
12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell'art. 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualita' delle acque designate ai sensi dell'art. 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall'autorita' competente ai sensi dell'art. 87, comma 3, e' punito con l'arresto sino a due anni o con l'ammenda da quattromila euro a quarantamila euro.
13. Si applica sempre la pena dell'arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali e' imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall'Italia, salvo che siano in quantita' tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purche' in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell'autorita' competente.
14. Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonche' di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'art. 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attivita' impartito a norma di detto articolo, e' punito con l'ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l'arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.».
La corposa normativa di carattere nazionale ed internazionale esistente in materia di tutela delle acque marine dall’inquinamento prevede, fra l’altro, il possesso da parte del naviglio mercantile di documenti e certificati che variano a seconda del tipo di nave (petroliera, gasiera, chimichera ecc.), del carico (idrocarburi, sostanze pericolose liquide, solide o gassose) e delle modalità di trasporto (alla rinfusa, in colli, su cisterne o vagoni ferroviari, ecc.).
Saranno di seguito elencati i più importanti, unitamente alle norme che li prevedono, in modo da rendere più agevole la conoscenza degli stessi, soprattutto in vista di eventuali attività ispettive.
L’art.19 della legge 979/82 stabilisce che le navi italiane devono avere, tra i libri di bordo di cui all’art.169 del Cod. nav., il Registro degli idrocarburi, già previsto, a livello internazionale (con il nome di Oil Rekord Book), dalla Convenzione OILPOL (stipulata a Londra nel 1954) e dall’Allegato I della Marpol 73/78 (Reg. 20). Tale documento si suddivide in due parti:
Più precisamente, nell’Oil Rekord Book (per la tenuta del quale si applicano le disposizioni degli artt. 362 e seguenti del Reg. Cod nav. riguardanti i Libri di bordo) il Comandante deve annotare scrupolosamente tutti i casi di versamento o perdita di idrocarburi, specificandone le relative cause e provvedendo a farne denuncia al Comandante del porto più vicino. Inoltre, ogni pagina del Registro deve essere firmata dal Comandante della nave o dagli Ufficiali del suo equipaggio responsabili delle operazioni. L’inosservanza delle suddette disposizioni può comportare, ai sensi del già citato art.17 ultimo comma della legge 979/82, la pena dell’arresto sino a sei mesi ovvero l’ammenda fino a dieci milioni.
Va aggiunto che per le navi petroliere che operano con cisterne adibite a zavorra “pulita” (vale a dire sprovviste di cisterne di zavorra segregata - S.B.) e/o che impiegano impianti di lavaggio con petrolio greggio (C.O.W. - Crude Oil Washing), è previsto (dal Protocollo 78 alla Marpol 73) il possesso del Supplementoal Registro degli Idrocarburi il quale deve essere permanentemente allegato all’Oil Rekord Book.
La Regola 5 dell’Allegato I alla MARPOL 73/78 (entrato in vigore, come si è visto in precedenza, nel 1983 e dedicato alla prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi) prevede, invece, il rilascio del Certificato Internazionale per la Prevenzione dell’Inquinamento da Petrolio (I.O.P.P. - International Oil Pollution Prevention) a tutte le navi cisterna di stazza lorda superiore alle 150 tonnellate ed alle navi diverse dalle cisterna con stazza lorda superiore alle 400 tonnellate.
L’ I.O.P.P. attesta la conformità dell’unità ai requisiti tecnici previsti dalla Regola 4 del summenzionato Allegato e viene rilasciato a seguito di visite effettuate, in Italia, dal Registro Italiano Navale (R.I.Na) che ne cura anche il rilascio. Ha una validità di cinque anni e durante tale periodo vengono effettuate, sempre dal R.I.Na, delle visite periodiche con cadenza annuale.
Lo stesso Allegato I riconosce, inoltre, all’Autorità Marittima dello Stato costiero contraente, il diritto di richiedere l’esibizione di tale certificato a tutte le navi che si trovino in porti o in terminali al largo ricadenti nella giurisdizione territoriale dello Stato stesso, procedendo, ove ritenuto necessario, a visite ed ispezioni. A tal proposito va tuttavia rilevato che il suddetto Allegato precisa che nel caso in cui una nave venga indebitamente trattenuta, lo Stato autore di tale misura dovrà risarcire i danni in tal modo arrecati.
Sempre dalla normativa internazionale introdotta dalla Marpol 73/78 è previsto, poi, un Supplemento all’I.O.P.P. (approvato, in Italia, con D.M.11.3.93), che può essere di Modello A (per le navi diverse dalle petroliere) o di Modello B (per le petroliere).
Inoltre, in base alla Reg. 26, sempre dell’Allegato I, a bordo di tutte le navi, petroliere e non, rispettivamente di stazza lorda superiore a 150 e a 400 tonnellate, deve essere tenuto un Piano di Emergenza Antinquinamento (Shipboard Oil Pollution Emergency Plan), strutturato secondo linee guida individuate ed approvate dall’ I.M.O. ed approvate, in Italia, con il D.M.31.3.93. In particolare, nel nostro Paese, tale documento deve essere sottoposto dalle suddette navi all’approvazione da parte del R.I.Na.. Tale Piano deve contenere, fra l’altro, una lista delle Autorità cui inoltrare i messaggi (di tipo approvato dall’I.M.O. con risoluzione A. 648) in caso di incidenti.
Per quanto riguarda il trasporto alla rinfusa di sostanze liquide nocive diverse dagli idrocarburi, le Regole 11 e 12 dell’Allegato II della Marpol 73 (entrato in vigore, come si è detto, il 06.4.87) prevedono il rilascio del Certificato Internazionale di Prevenzione dell’Inquinamento relativo al trasporto di sostanze liquide nocive alla rinfusa (I.P.P.C. - International Pollution Prevention Certificate for the Carriage of Noxious Liquid Substances in Bulk), denominato anche “NLS Certificate”. In particolare, il rilascio di tale certificato, anche in forza degli emendamenti adottati dall’I.M.O., è previsto, attualmente, per tutte le navi adibite a viaggi internazionali che effettuano il trasporto alla rinfusa di prodotti chimici liquidi pericolosi o di sostanze liquide nocive o di sostanze gassose, ed attesta la rispondenza delle unità alle prescrizioni previste, per tale tipo di trasporto, dal summenzionato Allegato.
In Italia l’ I.P.P.C. viene rilasciato, a seguito di visite effettuate dal R.I.Na., anche alle navi abilitate a viaggi nazionali o di minore estensione che trasportino sostanze liquide nocive alla rinfusa: ciò in forza del D.M.27.11.87 il quale ha stabilito che tali navi debbano possedere gli stessi certificati previsti dall’Allegato II della Marpol per le unità che effettuano viaggi internazionali.
La Reg. 9, sempre dell’Allegato II, prevede, inoltre, l’obbligatoria presenza a bordo del Registro di Carico (Cargo Rekord Book), rilasciato, in Italia, in base al D.M. 03.4.87, dalle Capitanerie di Porto. In tale Registro, che rientra fra i Libri di bordo di cui all’art.169 del Cod. nav., devono essere annotate tutte le operazioni (caricazione, scaricazione, travaso, pulizia cisterne, zavorramento di cisterne del carico, etc.) riguardanti i prodotti nocivi rientranti in una delle già citate categorie di sostanze inquinanti (A - B - C o D). Il Registro del Carico deve essere conservato a bordo per un periodo di tre anni dall’ultima annotazione.
Infine, sempre per le unità che effettuano il trasporto dei suddetti prodotti, è altresì previsto il possesso del “Manuale delle procedure e delle sistemazioni per la discarica delle sostanze liquide nocive” che, per quanto riguarda le navi di bandiera italiana, in base al D.M.14.10.85, deve essere approvato dal R.I.Na..
Vi sono, poi, diversi certificati il cui rilascio è previsto in forza della complessa disciplina introdotta dallo stesso Allegato II della MARPOL e dagli emendamenti adottati in materia dall’I.M.O. con le Risoluzioni dei suoi due Comitati, il M.E.P.C. (Marine Environment Protection Commite) e il M.S.C. (Maritime Safety Commitee). In particolare, con l’attività regolamentare svolta dai suddetti Comitati, l’IMO ha disciplinato dettagliatamente gli aspetti attinenti il trasporto alla rinfusa, di gas liquefatti e di prodotti chimici liquidi pericolosi, fissando, nei quattro Codici di seguito elencati, i requisiti di costruzione e di equipaggiamento delle navi adibite a tale tipo di trasporto:
Proprio al fine di attestare la rispondenza delle unità che effettuano viaggi internazionali ai requisiti previsti dai suddetti Codici, la summenzionata normativa internazionale prevede il rilascio di appositi certificati sia per le navi “nuove”, sia per quelle “esistenti”. Più precisamente, in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione SOLAS, Cap.VII, Parte B (per quanto riguarda l’IBC Code) e Parte C (per quel che concerne l’IGC Code), sono da considerare, a tal fine, “nuove” le unità costruite a partire dall’1 luglio 1986, mentre quelle costruite anteriormente a tale data sono da considerare come navi “esistenti”.
Premesso quanto sopra, si riportano di seguito i diversi certificati che devono trovarsi a bordo delle unità che disimpegnano il trasporto alla rinfusa di prodotti chimici liquidi pericolosi o di gas liquefatti.
Va aggiunto che l’elenco dei prodotti chimici liquidi pericolosi è riportato non solo, come si è visto in precedenza, nell’Appendice II dell’Allegato II alla Marpol, ma anche nello stesso IBC Code (Capitolo 17) e nel BCH Code (Capitolo VI). Anche in tali Capitoli, così come nella suddetta Appendice, a fianco di cuascun prodotto viene indicata la relativa categoria di appartenenza (A - B - C o D) e il relativo “U.N.number”.
Va precisato che se la nave trasporta solo “sostanze liquide nocive” ai sensi dell’Allegato II (Appendice II) della Marpol, non dovrà essere munita di ICOF o di COF, ma solo dell’IPPC. Viceversa, l’unità non dovrà essere munita dell’IPPC allorquando l’ICOF le sia stato rilasciato ai sensi delle Risoluzioni M.S.C. 4/48 e M.E.P.C. 19/22 o il COF in base alle Risoluzioni M.S.C. 9(53) e M.E.P.C. 20(22).
Si rammenta che nella nozione di “cisterna mobile” rientra il trasporto che avviene mediante contenitori cisterna posti su rimorchi stradali o su autocarri o su carri ferroviari nonchè per mezzo di veicoli cisterna o carri ferroviari cisterna.
Sempre nel caso di trasporto mediante imbarco di “cisterne mobili”, in base all’art.3 delle “Procedure per il rilascio dell’autorizzazione all’imbarco ed al trasporto delle merci pericolose” (approvate con il D.M.04.5.95), previo parere del R.I.Na., l’Autorità Marittima può autorizzare (su richiesta dell’armatore o del raccomandatario marittimo) una nave sprovvista delle suddette attestazioni/dichiarazioni, ad imbarcare in un porto italiano merci pericolose purchè la nave stessa sia stata costruita prima del 1°settembre 1984 oppure, a prescindere dalla data di costruzione, non sia soggetta alla Solas 74/81.
Tuttavia, va precisato che questa autorizzazione al compimento di un “viaggio occasionale” può essere rilasciata per non più di una volta all’anno.
Al termine di tale visita (che, per le navi di stazza lorda inferiore a 500 tonnellate, verrà effettuata anche allo scopo di verificare la rispondenza delle stesse alle disposizioni della legge 979/82 e del Regolamento italiano sulla sicurezza della navigazione, approvato con D.P.R. 435/91), verrà rilasciato all’unità un Report of inspection avente validità semestrale e valido per tutti i porti italiani.
Si esamineranno, adesso, le attestazioni e i certificati che le navi italiane e straniere devono avere per poter effettuare iltrasporto, in colli o alla rinfusa, di sostanze solide pericolose o nocive per l’ambiente marino. Va preliminarmente precisato che nella “nozione” di “trasporto in colli” risulta ricompreso il collettame, il trasporto di colli all’interno di containers o dentro containers a loro volta posti su rimorchi stradali, su carri ferroviari, su carrelli, all’interno di autocarri o in contenitori intermedi (IBC).
Anche in questo caso (così come si è visto in precedenza trattando del trasporto di merci pericolose allo stato liquido o gassoso in contenitori o in veicoli cisterna) è previsto, alle medesime condizioni, il rilascio, da parte dell’Autorità Marittima, dell’autorizzazione al compimento di un “viaggio occasionale” alle navi, costruite prima del 1°settembre 1984 o non soggette alla Solas, sprovviste della suddetta Attestazione o della Dichiarazione di conformità.
Tale Attestazione dovrà essere posseduta anche dalle navi straniere di stazza lorda inferiore alle 500 tonnellate o costruite prima del 1°settembre 1984.
In quest’ultimo caso, in alternativa, può essere emessa dall’Amministazione di bandiera o da una organizzazione dalla stessa autorizzata, la Dichiarazione di rispondenza alla Regola 53, Cap.II - 2, Solas 74/81.
Qualora, invece, l’unità di bandiera estera che trasporti merci pericolose su autoveicoli sia stata costruita dopo la suddetta data, essa dovrà possedere, se da carico, il Certificato di Sicurezza per le dotazioni di nave da carico, se da passeggeri, il Certificato di Sicurezza per nave da passeggeri, entrambi previsti dalla Solas 74/81.
Venendo al “trasporto alla rinfusa”,sempre di sostanze solide pericolose, va detto che la relativa disciplina discende, a livello internazionale, dal “BC Code” (Bulk Carriers Code), adottato dall’I.M.O., e, per quanto riguarda il nostro Paese, dal D.M.22.7.91. In particolare, il “BC Code” suddivide in tre “Appendici” (A - B e C ) le sostanze solide pericolose e, proprio in relazione a ciascuna di esse, è previsto il rilascio alle navi di apposite “Attestazioni”.
E' importante sottolineare che nel corso di una visita ispettiva effettuata, da parte egli Organi di controllo, a bordo di unità che trasportino merci pericolose (vale a dire quelle classificate come tali nell’ IMDG Code o individuate dal D.P.R. 1008/68 ovvero elencate nel Cap. 17 dell’IBC Code o nel Cap.19 dell’IGC Code) o inquinanti (secondo le definizioni di cui agli Allegati 1, 2 e 3 della Marpol), è di fondamentale importanza la visione ed il controllo dei documenti contenenti l’elenco, la quantità e la posizione a bordo delle merci imbarcate, con l’indicazione della relativa “Classe”.
In particolare, fra tali documenti rientrano la “Distinta o manifesto speciale per merci in transito” (previsto dalla Regola 5 del Cap. VII della Solas), il “Piano di carico o di stivaggio particolareggiato” (contemplato dalla Reg. 4 dell’Allegato III della Marpol) e, per quanto riguarda le navi “full - containers” o “ro - ro”, il “Piano generale delle baie di stivaggio” (Master Bay Plan).
Proprio l’esame del contenuto dei suddetti documenti costituisce la base di partenza per l’effettuazione di un’accurata visita ispettiva che proseguirà con il controllo dei certificati e/o delle attestazioni che la nave deve possedere in relazione al tipo di sostanza imbarcata ed alle modalità di trasporto della stessa.
E’ evidente che, qualora lo ritenga opportuno o necessario, il responsabile del team ispettivo potrà procedere, inoltre, al controllo sulla veridicità di quanto riportato nei documenti, ispezionando (a seconda dei casi “a campione” o “a tappeto”) le stive del carico.
Va rilevato che, in tale fase, qualora sussistano dubbi o sospetti sulla natura di determinate sostanze, il Capo team ispettivo procederà al prelievo di un campione delle stesse (c.d.“rilievo speditivo”), osservando una procedura che valga a conferire a tale operazione “valore legale”.
In particolare, il “rilievo speditivo” dovrà essere effettuato sigillando almeno "tre campioni” alla presenza della controparte (alla quale ne dovrà essere consegnato almeno uno). E’ evidente che i “campioni” dovranno essere anche etichettati indicando ora, data e luogo del prelievo con la firma dei soggetti che hanno preso parte alle relative operazioni.
Tali soggetti dovranno altresì apporre la loro firma anche in calce al verbale che dovrà contenere la precisa descrizione delle operazioni effettuate.
Rispetto alla dimensione pianificatoria, vista la presenza di una pluralità di soggetti e di mezzi coinvolti a vario titolo nell’attività di prevenzione e di intervento in caso di inquinamento, la normativa nazionale prevede una pianificazione operativa strutturata su due livelli:
E’ stato approvato nel 1998 il “Manuale delle procedure operative in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino e per gli interventi di emergenza in mare”, al cui interno sono analiticamente disciplinati i procedimenti da seguire per affrontare gli eventi inquinanti, secondo la loro gravità. In particolare si dispone che, in presenza di un inquinamento di piccola rilevanza, sono competenti a provvedere le Autorità marittime locali, le quali devono comunicare al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare[1] [14] gli interventi effettuati.
Il criterio base cui si ispira la Legge n. 979/82 è caratterizzato dalla entità del danno che un inquinamento può provocare nei riguardi degli interessi nazionali, della salvaguardia della vita umana e dell’ambiente in mare e lungo le coste.
Il piano trova applicazione in tutti i possibili inquinamenti marittimi o costieri qualunque siano le fonti e le situazioni che li hanno originati. Poiché un inquinamento può verificarsi in forme, modalità e situazioni diversissime, non è possibile, peraltro, dettare norme dettagliate ma solo dare direttive che siano valide in ogni circostanza.
â–º Il piano agisce su tre livelli temporali:
Al fine di rendere agevole la scelta delle operazioni da intraprendere, è opportuno fare una distinzione degli inquinamenti, tenendo conto delle diverse possibilità e disponibilità dei mezzi con i quali vengono affrontati gli sversamenti in mare.
In relazione all’ampiezza, natura e alla zona inquinata si possono distinguere, pertanto:
Un grande inquinamento può determinare situazione di “emergenza nazionale” quando si ritiene che non possono fronteggiarsi con i mezzi di cui l’Amministrazione Marittima dispone o può disporre. In particolare rientrano nella situazione di emergenza nazionale i seguenti casi (sempre che non siano fronteggiabili con i mezzi che dispone il nostro Ministero):
Questo tipo di classificazione degli inquinamenti in relazione alla possibilità di affrontarli permette di poter intervenire in base alla reale situazione
â–º Emergenza
Qualora il pericolo di inquinamento o l’inquinamento in atto sia tale da determinare una situazione di emergenza e non è fronteggiabile con i mezzi di cui dispone il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, viene richiesto al Capo del Dipartimento della Protezione Civile - presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e su richiesta del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - di proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri la emissione della «dichiarazione di emergenza nazionale».
In tale caso il Ministro del Dipartimento della Protezione Civile assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del “piano di pronto intervento nazionale” (art.11 L. 979/82). Il piano comincia ad essere operativo con l’attivazione del centro operativo del Dipartimento nel momento in cui il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da notizia dell’avvenuta dichiarazione di emergenza nazionale.
[1] Alla luce dell’art. 10, comma 1, della Legge n. 537 del 24.12.93 e del correlato D.M.19.1.94, sono state trasferite al Ministero dell’Ambiente tutte le funzioni in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino in precedenza attribuite al soppresso Ministero della Marina Mercantile. A seguito di tali provvedimenti normativi è, quindi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che provvede, nel quadro del Servizio Nazionale di Protezione Civile, d’intesa con le altre amministrazioni civili e militari dello Stato e mediante il concorso degli enti pubblici territoriali, alla organizzazione del pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti. Più precisamente, nel disimpegno di tale delicata competenza, il Ministero dell’Ambiente si avvale, a livello centrale, della Direzione per la Protezione della Natura (ex Servizio difesa Mare - DIFMAR) e dell’Istituto Centrale di Ricerca Applicata al Mare (ICRAM), entrambi istituiti presso lo stesso Ministero. A livello periferico, organi funzionalmente dipendenti, in questo specifico campo, dal Dicastero dell’Ambiente sono, invece, le Capitanerie di Porto, alle quali la normativa vigente assegna il compito di attuare il c.d. “pronto intervento”, in stretto contatto con i Centri Operativi Periferici esistenti presso i Servizi Supporto Navale (S.S.N..) delle Direzioni Marittime.
[2] [14] [14] Inquinamenti da idrocarburi: la conseguenza dell’immissione in mare di petroli e derivati, elencati nell’Allegato 1 e relativi aggiornamenti della Marpol 73/78, nonché dall’Allegato A della Legge n. 979/82 e successive modificazioni. Inquinamenti da altre sostanze nocive: la conseguenza dell’immissione in mare delle sostanze elencate nell’Allegato II e relativi aggiornamenti alla Marpol 73/78, nonché di quelle di cui all’allegato A e successive integrazioni della legge 31.12.1982 n. 979
Nell’ipotesi di eventi di particolare gravità ovvero nel caso di inquinamneto da idrocarburi o da altre sostanze nocive, ove l’ampiezza dell’area inquinata o il grado di pericolo per le vitre umane, le popolazioni rivierasche, l’ambiente o l’economia della zona colpita, sia tale da determinare una situazione di emergenza, il Capo del Compartimento marittimo (vale a dire il Comandante della Capitaneria di Porto) competente per territorio, dichiara lo stato di “emergenza locale”, dando di ciò tempestiva comunicazione:
L’attività di coordinamento e di direzione operativa degli interventi è assunta, allora, dal Comandante della Capitaneria di Porto. A tal fine ogni Capitaneria di Porto adotta un “Piano locale di pronto intervento antinquinamento” e può disporre di mezzi e dotazioni antinquinamento in convenzione con il Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Tramite la Direzione Generale per la Protezione della Natura, a sua volta, Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare provvederà a dare immediata comunicazione dell’avvenuta dichiarazione dell’emergenza locale al Dipartimento della Protezione Civile – Centro Operativo Energenze Marittime (C.O.E.M.M.).
Va rilevato che qualora lo stato di emergenza locale riguardi un inquinamento che investi o minacci di investire la costa, con l’Autorità Marittima interagirà la Prefettura, nella veste di massimo Organo periferico di Protezione Civile, alla quale spetta la direzione e il coordinamento delle operazioni di bonifica svolte sulla terraferma, ferma in attuazione di un “Piano provinciale di emergenza di protezione civile” (per il caso di emergenza inquinamento marino in costa), ferma restando la responsabilità del Capo del Compartimento Marittimo per quanto concerne la direzione ed il coordinamento operativo, a livello locale, di tutte le operazioni in mare.
Diversa da quella sinora esaminata è l’ipotesi in cui l’emergenza derivante da un inquinamento marino sia tale da non poter essere fronteggiata con i mezzi a disposizione del Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Qualora, infatti, l’emergenza locale non sia fronteggiabile con le risorse disponibili a livello locale, il Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - interessato dal Capo del Compartimento Marittimo colpito dall’inquinamento, per il tramite della Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto - deciderà in merito alla dichiarazione di stato di “emergenza nazionale” interessando il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le procedure da seguire dopo tale dichiarazione sono regolamentate nel “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive causate da incidenti in mare”.
Approvato con il D.M. 11.01.93. tale «Piano», in particolare, costituisce il “terzo livello temporale” di quello che può essere considerato come un unico piano operativo nazionale che vede ai primi due livelli, rispettivamente, i “Piani di pronto intervento locale” delle singole Capitanerie ed il “Piano di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti” approvato, quest’ultimo, con D.M. 03.3.87, dall’allora Ministro della Marina Mercantile. Si tratta di un piano dettagliato recante le modalità di intervento che le Autorità dello Stato, centrali e periferiche, con la collaborazione delle Regioni, devono porre in essere al fine di conseguire il massimo risultato possibile nell’azione di bonifica e di contenimento dei danni che possono essere causati a persone ed ambiente in seguito a simili eventi.
La "dichiarazione di emergenza nazionale", in attuazione della Legge n. 285/2002, avviene per Decreto emesso da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. In emergenza nazionale, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del “Piano di pronto intervento nazionale”. In ogni caso il Capo del Compartimento mantiene il controllo operativo, a livello locale, delle forze a disposizione ed alla responsabilità dell’esecuzione di tutte le attività in mare, con esclusione delle attribuzioni riconducibili ai concetti di direzione e coordinamento delle operazioni, nominando a tal fine per il controloo tattico dei mezzi assegnati per la lotta antinquinamento il Comandante in zona (O.S.C.).
La dichiarazione dello stato di emergenza nazionale antinquinamento costituisce, in generale, la naturale conseguenza di una situazione di “grande inquinamento”, intendendosi, come tale, quello difficilmente contenibile e/o che coinvolga, a causa dell’estensione della zona interessata, più Centri Operativi Periferici (C.O.P.) ovvero che minacci tratti di costa e/o di litorale di particolare pregio e valore. A prescindere da valutazioni di carattere economico/ambientale, rientra, altresì, nella nozione di “grande inquinamento” anche l’immissione in mare di sostanze che costituiscano seria minaccia per l’incolumità e la salute delle popolazioni rivierasche. Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, lo sversamento di idrocarburi, esiste un limite quantitativo, pari a 1.000 metri cubi, al di sopra del quale le immissioni sono convenzionalmente considerate “grandi inquinamenti”.
Sotto il profilo organizzativo, nel caso di emergenza nazionale, viene attivato, presso il Dicastero della Protezione Civile, il Centro Operativo Emergenza in Mare (C.O.E.M.) che ha il compito di seguire continuamente l’evolversi della situazione acquisendo tutti i dati e le notizie utili per consentire al titolare del Dicastero stesso di disimpegnare al meglio la propria attività direttiva e di coordinamento di tutte le forze impegnate.
Nello svolgimento di tale delicata attività, il Dipartimento della Protezione Civile si avvale, altresì, a livello periferico, dei Centri Operativi Periferici e dei Capi di Compartimento Marittimo mentre, a livello centrale, di notevole ausilio risulta l’opera svolta dal Comitato Tecnico - Scientifico (previsto dal D.M.11.8.90) e dalla Direzione per la Protezione della Natura (ex Servizio difesa Mare - DIFMAR), a sua volta collegato al Centro Nazionale di Coordinamento e Raccolta Dati (esistente presso la stessa Direzione) ed alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap).
Un’ulteriore ipotesi di emergenza che può verificarsi è, infine, quella in cui si renda necessaria l’attuazione di un intervento antinquinamento in acque internazionali al fine di scongiurare la possibilità di danni alle coste ed all’ecosistema delle nostre acque territoriali e interne. Tale intervento è previsto e disciplinato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Bruxelles del 1969, meglio nota come “Intervention 69”, alla quale è stata data regolare attuazione nell’ambito del nostro ordinamento giuridico.
In particolare, l’art.1 del D.M.25.9.95, in considerazione della particolarità e delicatezza dell’intervento in alto mare e della complessità degli interessi che, in questo caso, possono essere coinvolti, ha precisato che la relativa decisione deve essere adottata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare solo previa intesa con i Ministeri degli Affari Esteri e della Difesa, sentiti il Ministero dei Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dello Sviluppo Economico.
Una volta adottata tale decisione, la direzione delle operazioni sarà assunta dal Direttore Generale per la Protezione della natura (o da un suo delegato) il quale, qualora l’intervento risulti alquanto complesso, si avvarrà dell’opera del Comitato Permanente Interministeriale di Pronto Intervento (previsto dal D.P.R. 504/78) che, in questo caso (come in altri di una certa gravità), viene convocato d’urgenza tramite il C.O.A. della stessa Direzione per la Protezione della Natura.
L’attivazione, nei diversi stati di emergenza sopra esaminati, della struttura organizzativa del “pronto intervento” antinquinamento, per poter produrre risultati soddisfacenti, deve essere necessariamente connotata, come è ovvio, dal requisito della tempestività. A tal fine, il Protocollo I alla Convenzione Marpol 73/78 e l’art.12 della L. 979/82 prevedono che nel caso di avarie o incidenti suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino attraverso lo sversamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, il comandante, l’armatore o il proprietario della nave debbano informare, senza indugio, l’Autorità Marittima più vicina al luogo del sinistro, adottando, nel contempo, “ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti”.
In questo caso i summenzionati soggetti vengono «diffidati» ad adottare le suddette misure dalla stessa Autorità Marittima la quale, nel caso in cui tale diffida resti senza effetto ovvero non produca gli effetti sperati entro un termine a tal fine assegnato, provvederà ad eseguire gli interventi necessari per conto dell’armatore o del proprietario, recuperando poi dagli stessi le spese sostenute. Nei casi di comprovata urgenza, tuttavia, l’Autorità Marittima adotterà tali interventi, sempre per conto dell’armatore o del proprietario, anche in assenza della preventiva diffida.
Va aggiunto che, al fine di rendere gli interventi antinquinamento “mirati” e, quindi, efficaci,, le segnalazioni circa la presenza in mare di sostanze inquinanti dovranno essere quanto più possibile dettagliate con riferimento, in particolare, alle condimeteo in atto, alla esatta posizione ed estensione della “macchia”, alla natura, alla quantità ed alla denominazione tecnica delle sostanze sversate. Nel caso di trasporto in colli, inoltre, occorrerà fare riferimento anche al tipo ed alle condizioni dell’imballaggio, indicando, altresì, il nome del fabbricante, del caricatore e del destinatario del carico.
Tali dati, nel caso in cui a ciò non provveda la nave che ha provocato l’inquinamento, dovranno essere forniti, ove possibile, da chiunque rilevi l’immissione in mare di sostanze inquinanti. Infatti, va ricordato che l’obbligo di segnalare uno stato di inquinamento marino sussiste non solo a carico dei soggetti individuati dalle summenzionate disposizioni normative, ma anche dei Comandanti di qualsiasi unità aeronavale, civile o militare.
[1] [15] [15]La Direzione generale svolge le funzioni previste dall’art. 5 D.P.R. 3 agosto 2009, n. 140. Per l’espletamento dei propri compiti, la Direzione è articolata nelle seguenti sette Divisioni.
[2] [15]Organo periferico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al momento non operativo. Fino alla sua attivazione le funzioni del C.O.P. sono svolte dalla Direzione Marittima di giurisdizione.
Il sottoscritto ____________(CP) Capo del Compartimento Marittimo di _________________, Visti gli artt. 11 e 12 della legge 31.12.82 n° 979; Considerata l’oggettiva possibilità di arrecare danni all’ambiente marino, al litorale e agli interessi connessi, a causa del versamento in mare (descrivere sinteticamente l’ evento) _____________________________________________________________________________
D I F F I D A
la _____________ nella qualità di ______________ affinché provveda ad adottare urgentemente ogni misura ritenuta necessaria, e comunque entro e non oltre __________, atta ad eliminare gli effetti dannosi già prodotti e prevenire ulteriore pericolo di inquinamento. L’adozione delle predette misure deve essere preventivamente autorizzata dall’Autorità Marittima. Nel caso che la presente diffida resti senza effetto, ovvero non produca gli effetti sperati, questa Autorità Marittima farà eseguire le misure necessarie per conto della S.V. recuperando successivamente, nei termini di legge, le spese sostenute.
______________, lì__________
IL CAPO DEL COMPARTIMENTO MARITTIMO
RELATA DI NOTIFICA
Il sottoscritto ________________________________________ dichiara di aver notificato la presente diffida il giorno__________________ al sig .__________________________ alle ore _________ firma _______________________
Il notificatore __________________________
|
Spetta all’Amministrazione Marittima provvedere a fronteggiare in mare gli inquinamenti causati da immissione anche accidentale di idrocarburi o altre sostanze nocive provenienti da qualsiasi fonte e suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino, al litorale e agli interessi connessi.
In detta evenienza l’Autorità Marittima, nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, è tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle di rimozione del carico o della nave, allo scopo di prevenire che la minaccia d'inquinamento possa evolvere in inquinamento reale ed eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli, qualora risulti tecnicamente impossibile eliminarli.
Nell’ipotesi in cui il pericolo di inquinamento in atto sia tale da determinare una situazione di "emergenza", nell’ambito delle acque ricadenti sotto la giurisdizione della Capitaneria di Porto, il Capo del Compartimento Marittimo dichiara l’«emergenza locale», assumendo la direzione di tutte le operazioni fino al momento in cui non venga dichiarato lo stato di emergenza nazionale e coordinando gli interventi delle Amministrazioni ed Enti pubblici e privati finché esso non venga assunto dal Dipartimento della Protezione Civile, in emergenza nazionale.
Nel caso in cui l’inquinamento interessasse anche le acque di altri Compartimenti Marittimi, le misure del piano dovranno essere attuate in concorso con quelle dei piani emanati dai Compartimenti interessati finché esso non venga assunto dal Dipartimento della Protezione Civile, in emergenza nazionale
Nel caso l’inquinamento investa o minacci di investire la costa, la Prefettura–Ufficio Territoriale del Governo, nella veste di massimo Organo periferico di Protezione Civile, assume la direzione e il coordinamento operativo di tutte le "operazioni a terra", ai fini di difesa dell’incolumità delle popolazioni, dei loro interessi e della bonifica costiera. A tal fine è indispensabile mantenere un costante flusso informativo con la predetta Prefettura per i connessi aspetti di difesa della costa e fermo restando la responsabilità del Capo del Compartimento marittimo per quanto concerne la direzione ed il coordinamento operativo, a livello locale, di tutte le operazioni in mare.
La Prefettura esegue le operazioni previste nel "Piano provinciale di emergenza di protezione civile" per il caso di emergenza inquinamento marino in costa (al momento non risulta essere stato redatto)
Per inquinamenti, che interessano aree di mare o di litorale estese, non affrontabili con l’intervento dei mezzi localmente disponibili, il Capo del Compartimento richiede l’intervento di uno o più “Centri operativi periferici” (C.O.P.)[1] [15], mediante l’applicazione del “Piano di pronto intervento redatto dai predetti C.O.P”
In particolare, ai centri operativi spetta il compito di:
Il Centro Operativo Periferico, una volta collegato con il sistema NISAT (Navigation Information System in Advanced Technology) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sarà in grado di fornire in tempo reale all’Autorità Marittima locale tutte le informazioni contenute nella componente POLEM (Pollution Emergency) del sottosistema MAREM (Maritime Emergency), per una migliore gestione dell’emergenza (vedi messaggistica).
Il Dicastero è responsabile della definizione delle linee politico-programmatiche e della strategia nazionale in materia di difesa del mare, nel suo complesso. Attraverso la Direzione Generale per la Protezione della Natura (ex Servizio Difesa Mare - SDM) esplica, altresì, alcune importanti funzioni riguardanti la fase di risposta all’inquinamento, o ad essa connesse, quali:
Nell’ipotesi di cui all’art. 2 del D.P.R. 504/78 (inquinamento in alto mare) il Ministero dell’Ambiente, e della Tutela del Territorio e del Mare previa intesa con i Ministri degli Esteri, Difesa, Sviluppo Economico ed Infrastruttire e Trasporti, assume la direzione di tutte le operazioni, durante l’emergenza, secondo le indicazioni operative contenute nel “Manuale delle procedure operative in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino e per gli interventi di emergenza in mare”, edizione 1987 dell’ex Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare – Centro Operativo Antinquinamento.
Presso il Gabinetto del Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è istituito il Reparto Ambientale Marino (R.A.M.), composto da personale appartenente al Corpo delle Capitanerie di Porto. Tale Reparto svolge un’attività di organizzazione e raccordo tra suddetto Dicastero e la struttura amministrativa periferica rappresentata dai vari Comando di Porto.
Il Dipartimento è responsabile della direzione di tutte le operazioni una volta dichiarato lo stato di "emergenza nazionale", nonché del reperimento di tutte le risorse necessarie. All’interno del Dipartimento della protezione civile è inserito il Centro Operativo Emergenza Marittime (C.O.E.M.M.) - con personale appartenente al Corpo delle Capitanerie di Porto, il quale provvede alla gestione operativa dell’emergenza in caso di attivazione del “Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive causate da incidenti in mare”.
Il C.O.E.M.M. studia tutte le problematiche connesse all’inquinamento marino cagionato da idrocarburi o da altre sostanze nocive, curando i rapporti con enti ed organismi nazionali ed internazionali operanti in materia e presiede e coordina, altresì, l’attività del Comitato tecnico-scientifico.
Presso il Dipartimento della Protezione Civile è attivo un Centro di Coordinamento denominato SISTEMA che opera 24 ore su 24 per tutto l’anno e nel quale èp presente un operatore del Corpo delle Capitanerie di Porto. SISTEMA mantiene un collegamento operativo ed informativo costante con il Centro di informazione e monitoraggio di Bruxelles (MIC) della Commissione Europea il quale, tra le varie funzioni, ha quella di coordinare le richieste e le offerte d’aiuto per il Paese colpito dall’emergenza nell’ambito del Meccanismo Europea di Protezione Civile.
[1] [15]Organo periferico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al momento non operativo. Fino alla sua attivazione le funzioni del C.O.P. sono svolte dalla Direzione Marittima di giurisdizione.
Ai fini e per gli scopi del piano operativo, si definisce “emergenza in mare” ogni situazione eccezionale, comunque originata e causata, caratterizzata dalla presenza di inquinamento o imminente pericolo di inquinamento del mare e delle coste da idrocarburi o da altre sostanze nocive, suscettibile di creare anche una grave minaccia per la vita umana, le popolazioni rivierasche, l’ambiente e l’economia della zona colpita.
â–º L’emergenza consta di due fasi:
L’emergenza locale è l’ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 11 della legge 21/12/82 n. 979. Essa è dichiarata dal Capo del Compartimento marittimo colpito, o minacciato di essere colpito da inquinamento da idrocarburi o da altre sostanze nocive, ove, per l’ampiezza dell’area inquinata, ovvero per il grado di pericolo che tale situazione costituisce, o può costituire, per le vite umane, le popolazioni rivierasche, l’ambiente, o l’economia della zona colpita, si richieda, anche attraverso l’attivazione di procedure espressamente previste per tale tipo di situazione, la mobilitazione di risorse che, per qualità e quantità, eccedano quelle di cui normalmente il Capo del Compartimento marittimo dispone.
Dichiarata l’emergenza locale, il Capo del Compartimento marittimo assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del presente “Pano operativo di pronto intervento locale”, dando di ciò tempestiva comunicazione al Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la Protezione della Natura, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto e al Centro Operativo Periferico di giurisdizione (C.O.P.).
L’emergenza nazionale è l’ipotesi prevista dal comma 4 dell’art. 11 della legge 31.12.1982 n. 979. Essa è promossa dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su richiesta del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare interessato a tal fine dal Capo del Compartimento marittimo colpito dall’inquinamento, per il tramite della Centrale Operativa (C.O) del Comando Generale nel caso in cui l’emergenza locale non sia fronteggiabile con i mezzi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare disponibili a livello locale.
Chiunque rilevi la presenza di idrocarburi o abbia comunque cognizione di una immissione o di una minaccia di immissione di idrocarburi o di altre sostanze nocive nelle acque del Compartimento Marittimo interessato, deve darne rapida e tempestiva segnalazione alla Capitaneria di Porto competente oppure alla più vicina Autorità Marittima, ad un ufficio di P.S., alla stazione C.C. o al Sindaco competente per territorio. Tale segnalazione, oltre che a mezzo telefono utilizzando il numero blu 1530 potrà essere data:
La segnalazione di allarme dovrà specificare:
In particolare, i “messaggi rapporto” che il Comandante, l’armatore o il proprietario della nave, di un mezzo o di un impianto responsabile dell’inquinamento o della minaccia di inquinamento sono obbligati ad inviare, a norma del prot. I alla convenzione MARPOL 73/78 e della L. 979/82 art.12, devono comunque contenere, ad integrazione delle notizie generali di cui sopra, i seguenti dati:
La Sala Operativa della Capitaneria di Porto si attiva con il pronto intervento del Capo Sezione Operativa o Ufficiale/Sottufficiale d’ispezione e del Comandante che, dopo aver valutato l’entità dell’evento le sue modalità e gli eventuali responsabili, danno attuazione alle fasi di emergenza. Il Capo Sezione Operativa o l’Ufficiale/Sottufficiale d’ispezione, ove possibile si reca con i mezzi disponibili nella zona interessata e fornisce una prima valutazione dell’inquinamento in corso, soprattutto per quanto attiene all’ampiezza e alla natura; diversamente viene designato un Ufficiale/Sottufficiale appartenente anche alla struttura periferica più vicina al luogo dell’inquinamento, da inviare sul posto per riferire le informazioni necessarie.
Il Capo del Compartimento assume la supervisione e, valutata la situazione, può dichiarare lo stato di “emergenza locale” assumendo la direzione di tutte le operazioni oppure può non dichiarare lo stato di ”emergenza locale” mantenendo comunque il coordinamento di tutte le operazioni ovvero delegare il coordinamento.
Il Capo Servizio Operativo-Ambiente o, in sua assenza l’Ufficiale Superiore più anziano/reperibile, coordina e dispone l’intervento del personale e dei mezzi in relazione alle direttive impartite dal Comando.
Il Capo Sezione Operativa o, in sua assenza l’Ufficiale/Sottufficiale addetto alla Sala Operativa/d’ispezione, provvede affinché sia possibile:
L’emergenza consta di «due fasi operative». Allorché si ha notizia di un qualsiasi evento che possa costituire minaccia di inquinamento, ma di cui non si hanno ancora notizie certe o che vi è fondato pericolo di inquinamento, scatta la “Fase di allertamento ” (Alerfa). In questa fase occorre verificare l’attendibilità della notizia e predisporre le misure necessarie per un eventuale pronto intervento. Verranno allertati il Ministero dell’Ambiente - Direzione Generale della Natura, la propria organizzazione e, ove del caso, la Prefettura-Ufficio del Territoriale del Governo.
Se la notizia che la minaccia di inquinamento è fondata o è in atto un inquinamento, scatta la “ Fase di pericolo” (Detresfa) e quindi l’esecuzione delle operazioni. Il Capo del Compartimento marittimo interessato informerà al più presto, il Ministero dell’Ambiente - Direzione Generale della Natura, il Comando Generale delle Capitanerie di Porto - Centrale Operativa, la Prefettura-Ufficio del Territoriale del Governo e il Centro Operativo Periferico di giurisdizione.
In questa fase occorre verificare l’attendibilità della notizia e predisporre le misure necessarie per un eventuale pronto intervento, allertando i mezzi più idonei a disposizione nell’ambito del Compartimento Marittimo.
Verificata l’attendibilità della notizia, si procede a predisporre le misure necessarie per un eventuale pronto intervento, con contestuale allertamento dei mezzi a disposizione nell’ambito del Compartimento Marittimo interessato dalla minaccia di inquinamento o dall'inquinamento in atto. In questa fase occorre, altresì, assumere il maggior numero di informazioni relativamente all’inquinamento (localizzazione, natura, quantità, superficie coperta e struttura della macchia); le cause o condizioni che lo hanno prodotto (sinistro marittimo, sversamento volontario o colposo, condizioni climatiche particolari, ecc.); orario in cui è iniziato lo sversamento ed infine, individuare i presunti responsabili (nazionalità e nome della nave, identità del Comandante, del suo Armatore ed dell’Agente marittimo).
Si procederà ad allertare il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la Protezione della Natura, il Comando Generale delle Capitanerie di Porto – Centrale Operativa e, ove del caso, la Prefettura-Ufficio del Territoriale del Governo competente per territorio, l’Amministrazione Comunale interessata dall’eventuale spiaggiamento nonché altri Enti interessati richiedendo se del caso, qualora le risorse a disposizione non dovessere risultare idonee o insufficienti a fronterggiare l’inquinamento, richiedere l’autorizzazione all’impiego delle risorse e mezzi non dipendenti alla Direzione generale-Div. VI^-Centro Operativo Emergenze in mare (C.O.E.M)
â–º La fase di allertamento può concludersi con:
Se la notizia che la minaccia di inquinamento è fondata o è in atto un inquinamento, scatta la“Fase di pericolo (Detresfa)”e quindil’esecuzione delle operazioni.
Verificata la fondatezza della notizia di minaccia di inquinamento o inquinamento in atto, il Capo del Compartimento marittimo colpito predispone il piano per le operazioni (c.d Schema sulle priorità d’intervento operativo immediato) e informa immediatamente, circa l’evolversi della situazione, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la Protezione della Natura, la Centrale Operativa del Comando Generale delle capitanerie di Porto, il Reparto Ambiente Marino (R.A.M.), la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo e il Centro Operativo Periferico di giurisdizione (la cui funzione è svolta dalla Direzione Marittima competente), la Regione, la Provincia, i Comuni rivieraschi interessati e il Dipartimento della Protezione Civile (per conoscenza).
Il Capo del Compartimento marittimo dovrà valutare, se neccessario, la possibilità di emanare un’ Ordinanza d’interdizione dell’area (zona di mare o di litorale) interessata dalla minaccia di inquinamento o inquinamento in atto o comunque dalle operazioni di disinquinamento, al fine di delimitare e sterilizzare la zona o impedirne l’accesso ai soggetti estranei alle suddette attività.
Si dovranno inoltre assumere informazioni allo scopo di prevedere il possibile impatto ambientale e l’utilizzo delle appropriate tecniche di disinquinamento, come ad esempio:
Al fine di fronteggiare l’emergenza, previa autorizzazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con la Prefettura e Sindaci dei comuni rivieraschi interessati, il Capo del Compartimento marittimo predisporrà l’intervento dei mezzi, uomini e materiali a disposizione e qualora tali risorse non fossero sufficienti, informare Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare–Direzione Generale per la Protezione della Natura per gli opportuni interventi di competenza.
Qualora, per motivi di urgenza, si sia verificata la necessità di assicurare l’immediata disponibilità di materiale di pronto impiego, il Capo del Compartimento Marittimo, previa autorizzazione del suddetto Dicastero, attuerà le procedure contrattuali previste dall’art 13 legge 979/82.
Valutata la necessità di convocare il Centro Comando e Controllo Locale Antinquinamento, il Capo del Compartimento infine potrà dichiarare l’emergenza locale oppure, tramite la Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, interessare il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare al fine di richiedere alla Presidenza del Consiglio dei Minuistri, Capo del Dipartimento della Protezione Civile, il promuovimento della dichiarazione di emergenza nazionale.
L’attivazione, nei diversi stati di emergenza, della struttura organizzativa del “pronto intervento” antinquinamento, per poter produrre risultati soddisfacenti, deve essere necessariamente connotata, come è ovvio, dal requisito della «tempestività». Alla notizia di inquinamento, o di minaccia di inquinamento, comunque pervenuta, l’Autorità marittima è tenuta a disporre tutte le misure necessarie allo scopo di prevenire gli effetti inquinanti, ovvero eliminarli o attenuarli, qualora fosse tecnicamente impossibile eliminarli.
Qualunque inquinamento, indipendentemente dalla dichiarazione di emergenza locale, richiede interventi caratterizzati da rapidità nelle decisioni e nella scelta della strategia da adottare nonché rapidità di intervento. Inoltre, in considerazione che si è in presenza di un evento in grado di produrre comunque danni ambientali, sarà oltremodo opportuno che le scelte strategiche non siano condizionate da interessi di alcun genere se non quello, primario, di limitare i danni.
A prescindere da tale obbligo ad intervenire, vengono individuate due situazioni operative, in funzione dell’Autorità coordinatrice:
E’ quella in cui l’inquinamento interessa uno o più Compartimenti Marittimi ma la situazione non raggiunge una gravità tale da giustificare il passaggio allo stato di emergenza nazionale.
Alla notizia di inquinamento o di minaccia di inquinamento, delle acque del mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive provenienti da qualsiasi fonte e suscettibile di arrecare danni all'ambiente marino, al litorale ed agli interessi connessi, il Capo del Compartimento marittimo nella cui giurisdizione si verifichi l'inquinamento o la minaccia di inquinamento, assume la direzione delle operazioni ed il coordinamento operativo degli interventi finché perdura la “prima situazione operativa, attivando se del caso il «piano di pronto intervento locale».
In questo caso il Capo del Compartimento, dopo aver provveduto alla «diffida» di cui l’art. 12 L. 979/82 (comprensiva della diffida ad attivare il SOPE (Shipboard Oil Pollution Emergency) PLAN ex regola 26, Allegato I, MARPOL n 73/78), mette in atto le azioni pertinenti e le seguenti misure:
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Qualora l’emergenza locale non sia fronteggiabile con le risorse disponibili a livello locale, il Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, richiede alla Presidenza del Consiglio, Dipartimento della Protezione Civile, di promuovere la dichiarazione di “emergenza nazionale” interessando il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La direzione delle operazioni e il coordinamento operativo degli interventi viene assunto dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile sulla base del "piano di pronto intervento nazionale" adottato dagli Organi del Servizio Nazionale della Protezione Civile.
I compiti del Capo del Compartimento marittimo in “seconda situazione operativa” rimangono quelli previsti dalla vigente normativa: si limitano al controllo operativo delle forze a disposizione ed alla responsabilità dell'esecuzione delle attività in mare, con esclusione delle attribuzioni riconducibili ai concetti di direzione e coordinamento delle operazioni.
Il Comandante in zona (O.S.C.), precedentemente nominato dal Capo del Compartimento Marittimo manterrà il controllo tattico dei mezzi assegnati per la lotta antinquinamento.
con il cessare dell’emergenza |
Allo scopo di ottenere organicità, efficienza e rendimento nell’attività antinquinamento delle unità e dei mezzi impiegati nelle operazioni in mare, è necessario, che le relative attività siano anche direttamente coordinate nella zona delle operazioni da un “Comandante sul posto” (OSC), il quale viene designato dal Capo del Compartimento secondo i seguenti criteri:
L’ O.S.C., responsabile del coordinamento in zona, deve svolgere i seguenti compiti, qualora non ancora espletati dall’Autorità responsabile della direzione delle operazioni:
Le modalità operative di intervento variano in relazione al tipo di «attuazione operativa» che si dovrà affrontare e possono essere condizionate dal tempo di permanenza in mare della sostanza inquinante. Particolarmente di dovrà agire per limitare il danno ambientale, indirizzando gli sforzi per conseguire la maggiore rapidità nell'intervento di bonifica che dovrà tendere alla: eliminazione della fonte inquinante e alla rimozione meccanica di quanto sversato in mare.
Ricevuta la prima notizia riguardante un inquinamento, anche di origine ignota, ovvero un sinistro che stia causando o sia suscettibile di causare sversamento di idrocarburi o, comunque, immissione di sostanze nocive in mare, l’Autorità marittima locale, salvo che la fonte sia di per sé garanzia di veridicità e completezza dell’informazione, è tenuta a disporre ogni misura tesa a:
A tal fine utilizza i mezzi a propria disposizione per eseguire l’opportuna “attività di ricognizione” per la quale, ove necessario, può essere richiesto tramite il locale Servizio Supporto Navale di Zona Marittima, alla Centrale Operativa (C.O.) del Comando Generale delle Capitanerie di Porto l’intervento dei velivoli PL 166 DL3 della Guardia Costiera in configurazione “monitoraggio”, o, in concorso, di mezzi navali e aeromobili di altre Amministrazioni dello Stato disponibili in zona.
• Attivazione del piano locale
Verificata la veridicità della notizia e acquisite attraverso la ricognizione le informazioni necessarie, l'Autorità Marittima:
In ogni caso vanno informati quantomeno il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione Generale per la Protezione della Natura, e il Ministero dell Infrastrutture e dei Trasporti , e Comando Generale delle Capitanerie di Porto - Centrale Operativa e il Centro Operativo Periferico di giurisdizione.
L’attivazione dell’emergenza locale di pronto intervento può comportare, a giudizio del Capo del Compartimento, la costituzione, nel suo ufficio, del “Centro Comando e Controllo Antinquinamento” (L.P.C.C. - Local Pollution Coordination Centre), costituito di “gruppi definiti” per le loro funzioni, che fanno capo e rispondono tutti al Capo del Compartimento che resta, per legge, il solo ed unico responsabile della direzione delle operazioni.
Il ruolo del L.P.C.C. è quindi quello di affiancare e supportare il Capo del Compartimento, aiutandolo nell’attività di direzione e coordinamento degli interventi.
Per la gestione di tali attività è necessario:
E’ strutturato in due livelli:
Il primo, cuore del sistema, è articolato in:
Il secondo, di supporto, è suddiviso in:
Il “Comitato direttivo”[1]ha compiti decisionali, ed è responsabile delle strategie generali. In particolare, si occupa di tutto quanto attiene:
Il “Comitato tecnico”[2]è responsabile dello studio dei metodi e delle tecniche più adatte da utilizzare per combattere l’inquinamento, ivi compresi gli aspetti riguardanti il deposito temporaneo e lo smaltimento dei prodotti inquinanti e dei residui oleosi/contaminati recuperati.
Oltre ai compiti prettamente tecnici, si occupa di:
Il “Comitato logistico”[3] è responsabile dell’attività di reperimento delle risorse, in stretto contatto con il “Comitato tecnico”:
Oltre ai compiti esecutivi,in particolare si occupa di coordinare gli aspetti connessi con:
Il “Comitato logistico” mantiene costantemente aggiornato il “Comitato tecnico” sulla consistenza ed efficienza delle risorse in campo e disponibili.
Elementi indispensabile per il buon funzionamento del C.L.P.C.C. sono i “Gruppi di supporto”, costituiti dal personale addetto alle sezioni della Capitaneria (P.G., Naviglio, ecc.):
Il Gruppo finanziario, in stretto contatto con il “Comitato direttivo” e il “Comitato logistico”, mantiene costantemente aggiornati e sotto controllo gli aspetti legati alle spese che vengono impegnate a causa della gestione dell’emergenza.
Si occupa tra l’altro di:
Il Gruppo amministrativo, responsabile del supporto generale al C.L.P.C.C., provvede:
Il “Gruppo ambientale”, in contatto con il “Comitato direttivo” e il “Comitato tecnico” si occupa:
Ed infine il “Gruppo pubbliche relazioni”, in stretto contatto con il Comitato direttivo, è responsabile:
Per i contatti con le strutture decisionali/operative costituite presso le Autorità locali, il “Comitato direttivo” può avvalersi di uno, o più, ufficiali di collegamento.
A far parte dei vari Organismi del “Centro di Comando e Controllo”, il Capo del Compartimento può chiamare anche personale estraneo al Corpo delle Capitanerie di Porto. Ove lo ritenga necessario il Capo del Compartimento marittimo può chiedere al Comando Generale delle Capitanerie di Porto l’invio di personale del Corpo, particolarmente esperto e preparato in particolari discipline (normativa internazionale e nazionale, aspetti tecnici legati agli inquinamenti, aspetti giuridico-amministrativi e assicurativi, comunicazioni, sistemi informatici, problemi ambientali, pubbliche relazioni, ecc.), in grado di fornirgli tutto l’aiuto ed il supporto indispensabile per una migliore e più efficace gestione dell’emergenza
[1] Composizione: Comandante, Comandante in 2^, capo Servizio Operativo-Ambiente, rappresentante Autorità portuale
[2] Composizione: capo Sezione Demanio, Capo Sezione Operativa, Capo Sezione Sicurezza Navigazione, Nostromo (quando l’evento interessa la zona portuale), Chimico del porto, Ente di classifica della Nave coinvolta (a richiesta dal Capo del Compartimento), Rappresentante Armamento della Nave coinvolta (a richiesta dal Capo del Compartimento), Rappresentante del Comune costiero (quando interessato), Rappresentante VV.FF. (a richiesta del Capo del Compartimento).
[3] Composizione: Capo Servizio Mezzi Navali, Capo Servizio Amministrativa, Capo Sezione Ambiente e Rappresentante Autorità Portuale.odalità operative
Secondo quanto previsto dall'art. 20 del D.lgs. 19 agosto 2005, n. 196 il Capo del Compartimento marittimo, nell'ambito della applicazione operativa di pronto intervento locale antinquinamento, di cui all'art. 11[1] [15] della legge n. 979/82, individua le procedure per accogliere le navi in pericolo nelle acque di giurisdizione tenuto conto in via prioritaria dei vincoli ambientali e paesaggistici delle aree costiere ad alta valenza e vocazione turistica, nonché delle caratteristicghe e della tipologia della nave.
Le procedure adottate dagli Stati membri, in conformità con le pertinenti linee guida dell'IMO, stabiliscono dei piani per accogliere nelle acque sotto la loro giurisdizione le navi in pericolo. Detti piani indicano le necessarie modalità e procedure, tenuto conto dei vincoli operativi e ambientali, per assicurare che le navi in pericolo possano raggiungere immediatamente un «luogo di rifugio»[2] [15], previa autorizzazione dell'Autorità individuata dalla pianificazione operativa di pronto intervento locale antinquinamento in relazione al livello di emergenza in corso.
Restano impregiudicati la disciplina ed i relativi piani in materia di ricerca e salvataggio nei casi di pericolo per la vita umana in mare.
Quando una nave mercantile viene a trovarsi in serie difficoltà a causa di un incidente che potrebbe determinare la perdita dell’unità o causare un pericolo per l’ambiente o per la sicurezza della navigazione ovvero ha bisogno di assistenza senza, comunque, mettere in causa il rischio della salvaguardia della vita in mare, il modo migliore per prevenire danni o inquinamenti dovuti dal progressivo peggioramento delle sue condizioni, sarebbe quello di alleggerire la nave dal suo carico e del combustibile, riparando inoltre il danno. Per tale ragione la nave dovrebbe essere ricoverata sottocosta oppure all’interno di un porto o al contrario allontanata verso il largo.
E’ preferibile che il Comandante della nave richieda l’ assistenza ed eventuale accesso ad un «luogo rifugio» all’Autorità dello Stato costiero in quanto risulterebbe quasi impossibile trattare efficacemente un incidente marittimo in mare aperto. Per questa ragione, si ritiene vantaggioso mandare una nave in un luogo rifugio, per limitare l’estensione di litorale minacciato e dove procedere ad un trasferimento del carico o a qualsiasi altra operazione al fine di prevenire o minimizzare i danni o l’inquinamento.
Lo Stato costiero al fine di designare un luogo rifugio deve procedere ad un’analisi dei vantaggi e degli inconvenienti che permettono ad una nave che ha bisogno di assistenza di dirigersi verso un luogo rifugio idoneo, prendendo in considerazione alcuni importanti parametri di valutazione - tenuto conto dei rischi collegati - alla messa a punto dei luoghi di rifugio, in quelle aree di transito particolarmente sensibili e suscettibili di essere messi in pericolo dall’arrivo della nave sinistrata
Nella valutazione della scelta e messa a punto dei luoghi di rifugio entrano in gioco - oltre quello ambientale e sociale – altri fattori legati alle condizioni naturali della zona ineteressata come ad esempio:
Luogo di Rifugio
[1] [15] [15] Si riporta il testo dell'art. 11 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, recante: «Disposizioni per la difesa del mare».
«Art. 11. Nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque del mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte o suscettibili di arrecare danni all'ambiente marino, al litorale agli interessi connessi, l'autorita' marittima, nella cui area di competenza si verifichi l'inquinamento o la minaccia di inquinamento, e' tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli.
Qualora il pericolo di inquinamento o l'inquinamento in atto sia tale da determinare una situazione di emergenza, il capo del compartimento marittimo competente per territorio dichiara l'emergenza locale, dandone immediata comunicazione al Ministro della marina mercantile, ed assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano operativo di pronto intervento locale, ferme restando le attribuzioni di ogni amministrazione nell'esecuzione dei compiti di istituto, da lui adottato d'intesa con gli organi del servizio nazionale della protezione civile. Il Ministro della marina mercantile da' immediata comunicazione della dichiarazione di emergenza locale al servizio nazionale della protezione civile tramite l'Ispettorato centrale per la difesa del mare di cui al successivo art. 34. Quando l'emergenza non e' fronteggiabile con i mezzi di cui il Ministero della marina mercantile dispone, il Ministro della marina mercantile chiede al Ministro della protezione civile di promuovere la dichiarazione di emergenza nazionale. In tal caso il Ministro della protezione civile assume la direzione di tutte le operazioni sulla base del piano di pronto intervento nazionale adottato dagli organi del Servizio nazionale per la protezione civile. Restano ferme le norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 maggio 1978, n. 504, per l'intervento in alto mare in caso di sinistri ed avarie a navi battenti bandiera straniera che possano causare inquinamento o pericolo di inquinamento all'ambiente marino, o al litorale.».
[2] [15]Il porto, la parte del porto o qualsiasi altro luogo di ancoraggio o ormeggio protetto o qualsiasi altra area riparata individuata da uno Stato membro per accogliere una nave in pericolo.
Allorquando un’autorizzazione di accesso ad un luogo rifugio è richiesta, lo Stato costiero non è affatto tenuto ad accordarlo. Portare infatti, una nave in un luogo rifugio sottocosta in una zona sensibile, come le zone di grande valore ecologico suscettibile di essere colpito da eventuale inquinamento, può comportare alcuni rischi per lo Stato costiero, sia dal punto di vita economico che sociale (risorse attrattive e turistiche). Le Autorità locali e le popolazioni rivierasche potrebbero essere riluttanti ad eccettare navi sinistrate o danneggiate nella loro area di responsabilità proprio in virtù del potenziale danno ambientale e minaccia per la sicurezza pubblica.
Il contatto nave – Autorità Stato costiero per il trasferimento dei dati in ordine alla valutazione della situazione reale e delle ragioni per cui la nave ha bisogno di assistenza è reso possibile dall’intermediario del «Servizio Assistenza Marittima» (M.A.S.)[1] [15] dello Stato costiero il quale notifica al Comandante i mezzi e le misure che egli può mettere a disposizione per l’assistenza o l’accoglienza della nave. In attesa che venga individuato ufficialmemte il Servizio Assistenza Marittima (MAS), la responsabilità di acquisire le notizie e costituire il punto di contatto tra il comando di bordo e le Autorità dello Stato costiero sono devolute alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto, in veste di MAS.
Il Comandante della nave, valutata la situazione con l’aiuto della sua Compagnia, dovrà fornire alla Sala Operativa, oltre che i dati identificativi dell’unità, una stima delle conseguenze del sinistro (specificando se trattasi di guasto meccanico o strutturale, alterazione della stabilità, incendio a bordo estinto o ancora in atto, esplosione o collisione o incaglio, minaccia di inquinamento o inquinamento in atto). Sarà compito del Comandante dell’unità fornire, altresì, alla Sala Operativa - sulla base della valutazione delle condizioni meteo-marine, le probabilità e le possibili conseguenze di un potenziale incidente, tenendo conto della qualità e quantità di carico e carburante presente a bordo – precise indicazioni circa l’attuale posizione della nave, l’eventuale prosecuzione del viaggio oppure il raggiungimento di un luogo di rifugio.
Sarà cura della Sala Operativa – una volta acquisite le informazioni necessarie al fine della valutazione della reale situazione in cui versa la nave – fornire al Comandante dell’unità le indicazioni neccessarie in ordine ai servizi disponibili nell’area di giurisdizione, specificando se gli stessi potranno essere garantiti in mare aperto oppure in un luogo rifugio.
In caso di inquinamento o imminente pericolo di inquinamento il Capo del Compartimento Marittimo interessato, dovrà provvedere ex art. 11 L. 31 dicembre 1982, n. 789 ad emettere apposita “Diffida”, attivando la procedura di “analisi” dei dati acquisiti al fine di valutare l’opportunità e la possibilità di permettere alla nave di accedere ad un luogo rifugio, qualora ne abbia fatto specifica richiesta.
Al fine di procedere alla individuazione di un luogo rifugio idoneo a ricoverare la nave sinistrata ed autoriazzarne l’eventuale accesso dovranno essere presi in considerazione alcuni importanti elementi:
[1] [15]Il servizio Assistenza marittima, così come previsto dalla risoluzione [A.950(23)]
Al fine di giungere ad una migliore valutazione dei fattori di rischio, viene formato un «Team di ispezione» (Task Forece) - in possesso delle competenze appropriate alla situazione - designato dallo Stato costiero che qualora possibile, in relazione alle condizioni meteo-marine, dovrà imbarcare a bordo della nave interessata.
L’intervento del Team ispettivo deve fornire ulteriori informazioni in ordine alla comparazione tra i possibili rischi se la nave resta in mare aperto e quello che farebbe correre al luogo di rifugio e al suo ambiente, comparazione che dovrebbe portare su ciascuno dei seguenti punti:
I caso di attuazione della procedura, dovranno essere informati del pericolo nonché aggiornati in merito alla situazione contingente ed alle decisioni che saranno assunte oltre ai soggetti interessati durante la fase istruttoria:
Nel caso l’accesso ad un luogo di rifugio venga negato dovranno essere inoltre informati:
[15][1] [15] [15] Ogni nave è soggetta al controllo di Ufficiali debitamente autorizzati dallo Stato del porto allo scopo di verificare la validità dei certificati di cui la nave è munita. Nel caso venga riscontrata una situazione deficitaria o nel caso di certificati scaduti l’Ufficiale preposto al controllo deve adottare ogni misura atta ad assicurare che la nave possa riprendere il mare senza costituire un pericolo per la nave, le persone a bordo o per l’ambiente marino. Il PSC è condotto da un PSCO (Port State Control Officer). Il PSCO è una persona adeguatamente qualificata, autorizzata dall’Autorità Marittima dello Stato del Porto ad effettuare le ispezioni PSC secondo il Paris Mou e agire sotto la propria responsabilità. Ciascun ispettore è provvisto di un documento personale, sotto forma di documento di identità, rilasciato dall’Autorità competente da cui dipende conformemente alla legislazione nazionale, nel quale è indicato che l’ispettore è autorizzato a effettuare l’ispezione.
[15] [15] [15][2] [15] La Legge 133/2008 di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112 prevede l'istituzione del'ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. L’ISPRA svolge le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici di cui all’articolo 38 del Decreto Legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 e successive modificazioni, dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e successive modificazioni, e dell’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare di cui all’articolo 1-bis del decreto-legge 4 dicembre 1993, n.496, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 21 gennaio 1994, n. 61.
[15] [15] [15][3] [15]L'Arpas è un'agenzia regionale dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia amministrativa, tecnica, contabile e patrimoniale, istituita con la Legge regionale n. 6 del 18 maggio 2006. L'Agenzia ha compiti di monitoraggio e controllo ambientale e fornisce supporto tecnico alle Autorità competenti in materia di programmazione, autorizzazione e sanzioni in campo ambientale, a tutti i livelli di governo del territorio: la competenza tecnico-scientifica è la sua componente distintiva e qualificante. L'Arpas garantisce lo svolgimento dei propri compiti su tutto il territorio regionale attraverso strutture decentrate (i dipartimenti), coordinati da una struttura centrale. Fa parte della rete nazionale delle agenzie ambientali presenti in tutte le regioni italiane, con le quali intrattiene un costante scambio di esperienze per sviluppare metodologie comuni per la tutela dell’ambiente.
[15] [15][4] [15]La SID S.r.l. dal 1975 è un’azienda leader nel proprio settore ed opera su tutto il territorio nazionale - Servizi integrati di Igiene e Difesa dell’ambiente.
E’ opportuno evidenziare l’importanza della cosiddetta “Attività preventiva” del personale delle Capitanerie di Porto che deve basarsi su accurati e frequenti controlli a tutte quelle attività, che si svolgono sul mare e sul litorale, al fine di mantenere sempre ad un elevato livello l’attenzione e la cura dei vari operatori del settore (tecnici delle industrie, equipaggi delle navi, personale di piattaforme, ecc.), di verificarne il livello professionale e l’idoneità dei mezzi e materiali alle operazioni in atto.
In materia di inquinamento, l’Ispettorato Centrale per la Difesa del mare (ora Servizio Difesa Mare del Ministero dell'Ambiente) ha disposto (Circolare n. 9262157 del 14 Aprile 1989) che per ogni controllo effettuato dal personale delle Capitanerie, venga compilato un apposito “Rapporto NODM”, che in caso di accertata violazione di norme relative alla MARPOL 73/78 dovrà essere inviato al suddetto Ispettorato che provvederà, in caso di nave straniera che ha effettuato sversamenti irregolari in acque internazionali, ad informare lo Stato di bandiera tramite il Ministero degli Esteri.
L’attivazione del sistema di intervento scatta allorché si ha notizia di un qualsiasi evento che possa costituire minaccia di inquinamento. In tale situazione la Capitaneria di Porto deve predisporre tutte le misure necessarie per un eventuale pronto intervento allertando la sua organizzazione.
A seconda del luogo dove è avvenuto o potrebbe avvenire l’inquinamento, diverse saranno le operazioni da compiere, tale considerazione in funzione del luogo (porto mercantile, porto petrolifero, rada, mare territoriale, alto mare, costa, ecc.) deve essere necessariamente fatta avendo a riguardo anche per le condimeteo sussistenti nella zona dell’evento.
In linea di massima, ricevuta la “segnalazione di allarme” (che può giungere anche attraverso i titolari degli Uffici dipendenti, navi coinvolte in un sinistro, responsabili di installazioni fisse o mobili situate in mare o sul litorale ovvero di terzi non responsabili), l'Ufficiale o il Sottufficiale preposti alla Centrale Operativa (o l’Ufficiale di guardia), provvede a informare il Comando il quale dispone, in attuazione del “Piano di Pronto Intervento Locale” ed in relazione all'ampiezza e natura dell'inquinamento, una serie di azioni.
Ai sensi dell’art. 11 Legge 979/82, in caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento, l’Autorità marittima, nella cui area di competenza si verifichi l’evento, è tenuta a disporre le misure necessarie allo scopo di prevenire o eliminare gli effetti inquinanti, ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli, con tecniche di recupero e riduzione delle sostanze sversate in mare. Qualora si renda necessario, in particolare, l’impiego di risorse (uomini e mezzi) non dipendenti o l’uso di prodotti disperdenti, le relative operazioni dovranno essere sempre preventivamente autorizzate dalla Direzione Generale per la Protezione della Natura del Ministero dell'Ambiente – per il tramite del Centro Operativo Antinquinamento), pena il mancato successivo riconoscimento di qualsiasi onere a carico dell’erario; per la qual cosa dovranno instaurarsi dei contatti diretti.
Per le determinazioni salienti (rilascio autorizzazioni all’uso dei disperdenti, ecc…) dovrà preferirsi la comunicazione scritta, ovvero il ricorso a fonogrammi in caso di impossibilità (attività svolte oltre l’orario di servizio, reperibilità festiva dei funzionari responsabili, ecc.).
Viceversa per quanto concerne le attività svolte dagli uffici marittimi con risorse (uomini e mezzi) dipendenti, la Direzione Generale per la Protezione della Natura (per il tramite del C.O.A.) dovrà comunque esserne tempestivamente messo a conoscenza e successivamente informato con rapporto circostanziato scritto (cd. rapporto iniziale di inquinamento).
Il Titolare dell'Ufficio Circondariale Mrittimo è responsabile della immediata attivazione ed assunzione del coordinamento operativo dei mezzi e del personale dipendente per gli inquinamenti che si verificano nei rispettivi ambiti portuali.
L'Ufficio opera sulla base delle disposizioni del presente "Piano" in prima situazione operativa, in quanto applicabile, informando e mantenendo costantemente aggiornato sin dalla fase iniziale la Sala Operativa della Capitaneria di Porto competente (Centro LVTS) e rimanendo a disposizione del Capo del Compartimento Marittimo che assume la direzione degli interventi in loco. In relazione alla gravità dell’inquinamento in atto e/o in previsione della sua possibile evoluzione, o qualora sia necessario l’impiego di risorse eccedenti quelle disponibili in ambito compartimentale, il Capo del Compartimento può in ogni momento assumere il coordinamento delle operazioni a prescindere dalla dichiarazione di emergenza locale.
Nel caso in cui l’inquinamento interessi o minacci i Circondari Marittimi di Giurisdizione, il Capo del Compartimento assume il coordinamento operativo degli interventi, salvo delega al Capo del Circondario che ha giurisdizione sull'area interessata dall'inquinamento.
I titolari degli Uffici Locali Marittimi e delle Delegazioni di Spiaggia dipendenti sono responsabili della immediata attivazione ed assunzione della direzione e del coordinamento operativo per gli inquinamenti che si verifichino nei rispettivi ambiti portuali ed operano sulla base delle disposizioni del presente piano in prima situazione operativa, in quanto applicabili.
A seconda delle priorità della situazione di emergenza locale da fronteggiare, il Capo del Compartimento Marittimo competente potrà richiedere la partecipazione di personale, mezzi e materiali di Autorità. Uffici, Società private e Comandi alla esecuzione del piano, nonché avvalersi della consulenza di esperti locali per la scelte e l’impiego delle opportune tecniche di riduzione/diminuzione.
Ai sensi della Circolare n° 1/1987, prot. n° 258 del 31 gennaio 1987 il Ministro della Marina Mercantile, ora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha disposto che presso ogni Compartimento Marittimo deve essere istituito un…“Nucleo Operativo per la Difesa del Mare”, composto di personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, in numero proporzionale alla disponibilità di personale di ciascun Comando e correlato all’entità dei problemi locali in materia di inquinamento delle acque marine e di salvaguardia delle coste. Detti nuclei sono posti sotto il diretto controllo dei Comandanti/Vicecomandanti, i quali, sulla scorta delle direttive, di ordine generale, da parte dei Titolari dei Comandi, assumono le iniziative ritenute necessarie per l’impiego ottimale degli uomini e mezzi.
L’organizzazione del servizio deve essere disciplinata, con specifico Ordine di Servizio, sulla base dei criteri generali contenuti nella circolare indicata, delle discendenti circolari del Comando Generale e dei seguenti criteri particolari:
Il “Servizio Spiagge sicure” risponde all’esigenza di:
Atteso il carattere stagionale del servizio, il Comando Generale, entro il 31 marzo di ciascun anno, emana direttive specifiche per la relativa organizzazione e il suo espletamento. Tuttavia, allo scopo di evitare che la data di inizio del servizio possa essere differita, ogni Comando assegnatario di battelli della classe GC, al termine della stagione balneare, dovrà curare ogni adempimento necessario per:
I responsabili per il coordinamento del servizio devono esercitare adeguato controllo e puntuale azione ispettiva sull’efficienza e la correttezza del personale destinato al servizio e sulla conduzione dei mezzi nautici affidati.
Le modalità d’azione da attivare per fronteggiare un pericolo di inquinamento causato da sversamento di sostanze nocive all’interno di un’area portuale sono differenti a seconda dell’entità dell’incidente.
In caso di modesti sversamenti di sostanze inquinanti le Autorità Marittime o Portuali devono provvedere a contattare la ditta che ha in gestione il servizio di pulizia degli specchi acquei portuali e richiedere la rimozione in sicurezza dell’inquinamento, mentre se un incidente provoca il rilascio di notevole quantità di sostanze nocive dovranno essere attivate una serie di procedure d’emergenza che saranno definite con il coinvolgimento di diversi soggetti istituzionali, fra cui: Protezione Civile, Enti Locali, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine, ecc.
Nell’ambito portuale gli inquinamenti si verificano più di frequente durante le operazioni di bunkeraggio per fuoriuscita di modesti quantitativi di olii combustibili ovvero per sversamento di acque di sentina contenenti notevoli quantità di idrocarburi.
In questi casi si deve:
[1] Cfr. Circolare POLL 001 “Attività operativa antinquinamento” in data 21.7.1995. E’ presumibile che il termine abbattimento sia stato originato da una scorretta traduzione del sostantivo abatement, spesso usato in documenti in lingua inglese che, fino a pochi anni fa, erano gli unici disponibili in materia di tecniche di lotta agli inquinamenti marini da idrocarburi.
In effetti abatement ha significato di riduzione o diminuzione che meglio, e correttamente, possono riferirsi all’azione di tecniche e sistemi utilizzati in operazioni di disinquinamento al fine di ridurlo e diminuire l’impatto e gli effetti sull’ambiente marino o costiero.
Nei porti di grandi o medie dimensioni è solitamente presente il servizio di approvvigionamento di combustibili liquidi ed oli lubrificanti alle navi ed è necessario adottare alcuni accorgimenti per compiere in sicurezza queste operazioni presso i distributori fissi o autobotti.
Le operazioni di bunkeraggio dovrebbero essere effettuate solo in occasione di buone condizioni meteorologiche e nelle ore diurne. E’ inoltre buona prassi non eseguire i rifornimenti in concomitanza di operazioni di sbarco, imbarco, trasbordo di passeggeri e merci di qualsiasi natura.
Prima dell’inizio e durante le operazioni di rifornimento il Comandante della nave e gli addetti agli impianti dovranno verificare che lo specchio acqueo circostante sia e rimanga sempre pulito. Qualora si verifichino fuoriuscite, eventi dannosi o stati di pericolo il Comandante della nave e gli addetti agli impianti sono tenuti ad informare immediatamente l’Autorità Marittima e/o Portuale e sospendere le operazioni di rifornimento. In presenza di spandimenti dovrà essere messa in atto ogni attività utile ad evitare la fuoriuscita ed a limitare l’entità dello sversamento.
Saranno a carico del fornitore del servizio o della nave, a seconda delle rispettive responsabilità, le spese per la bonifica della zona inquinata.
Le operazioni di rifornimento in banchina potranno essere eseguite solo se presso il distributore sono adottate tutte le misure necessarie previste per legge (es. presenza di dispositivi di estinzione incendio, controllo periodico delle manichette, opportuno addestramento del personale dell’impianto in tema antincendio, ecc.). In aggiunta è regola comune effettuare il rifornimento a motori spenti e in completa assenza di fiamme libere o scintille. Per la distribuzione di combustibili tramite autobotti potranno essere seguite prescrizioni aggiuntive e in via generale:
Per le operazioni di rifornimento alle navi a mezzo di autobotti per prodotti specifici (ad esempio oli combustibili aventi punti di infiammabilità di poco inferiori ai 100° C) si applicheranno ulteriori disposizioni aggiuntive rispetto a quanto indicato in precedenza, infatti, tenuto conto delle caratteristiche di infiammabilità del prodotto deve essere prevista una vigilanza con finalità prevalentemente antiinquinamento da parte di una guardia ai fuochi dotata di adeguata riserva di sabbia e segatura, di fogli oleoassorbenti, di cascame o di altro materiale utile allo scopo e di attrezzatura idonea per l’utilizzo di tali materiali. L’addetto alla vigilanza deve essere comunque dotato di idonea attrezzatura per il contrasto di eventuali principi di incendio. La guardia ai fuochi deve essere obbligatoriamente dotata di idoneo mezzo di comunicazione efficiente (cellulare, radio VHF marino o altro) con il quale poter immediatamente dare l’allarme ovvero chiedere rinforzi sul posto.
Per gestire adeguatamente le «emergenze» che possono verificarsi nelle aree portuali a causa di incidenti causati da attività, sia industriali che non, che possono dare origine a particolari forme di inquinamento (come accade ad esempio in presenza di stabilimenti a rischio di incidenti rilevanti, come definiti nel D.Lgs. n. 334/199915 e succ. mod.), è necessario predisporre un chiaro quadro sull’organizzazione e sulle modalità di svolgimento dei servizi di soccorso e degli interventi assistenziali, ponendo a conoscenza di tutte le componenti del "Sistema di Protezione Civile" sia l’organizzazione generale del servizio, sia i compiti che per ciascuna di esse derivano.
In Italia già la normativa di settore obbliga alla predisposizione di «Piani d’emergenza provinciali» (art. 14 della Legge n. 225 del 24.02.1992, “istituzione del servizio nazionale della protezione civile”) in cui si delineano chiaramente i “punti deboli” provinciali e le dotazioni in possesso di ciascun componente del Sistema di Protezione Civile.
E’ indubbio comunque che un siffatto sistema non può prescindere da una efficiente rete di comunicazione fra le parti coinvolte, fra cui sono sicuramente da ricordare:
Fra questi soggetti sarà necessario individuare appositi responsabili per le operazioni di soccorso e per gli interventi a terra, comprese le attività di disinquinamento.
In caso di inquinamento delle acque marine causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi e/o altre sostanze nocive provenienti da qualsiasi fonte, l’Autorità Marittima o Portuale di competenza è tenuta a predisporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione degli eventuali carichi o natanti, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli (art. 11 della Legge n. 979 del 31 dicembre 1982, “disposizioni per la difesa del mare”17).
Al verificarsi di un simile incidente nelle acque interne al porto dovranno essere posti immediatamente in allarme (elenco non esaustivo):
I soggetti di cui sopra ed eventuali altri soggetti interessati invieranno sul posto i propri tecnici e personale attrezzato per i lavori di rispettiva competenza.
Di tale attività e dell’evolversi della situazione dovranno essere informati e costantemente aggiornati:
I Vigili del Fuoco, in collaborazione con i tecnici del Comune, della Provincia, dell’ARPA e sotto la direzione della Autorità Portuale e/o Marittima, concorderanno con quest’ultime le strategie di bonifica e di disinquinamento a seconda del tipo di costa e della sensibilità dell’area, considerando anche la pianificazione di settore.
L’A.S.L. e l’A.R.P.A. provvederanno:
Il Sindaco mediante i tecnici del Comune e su indicazioni dell’A.S.L. e dell’A.R.P.A. provvederà ad avvisare la popolazione.
La Questura e i Carabinieri saranno incaricati del mantenimento della sicurezza pubblica.
La stragrande maggioranza delle emergenze antinquinamento, nasce come conseguenza di sinistri marittimi per i quali si richiede innanzi tutto un’attività S.A.R., che deve essere svolta nel rispetto delle procedure fissate dal “Piano nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare” edito dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto - IMRCC ed approvato dal Ministro dei Trasporti e della Navigazione. E’ quindi verosimile che, per lo meno nelle fasi iniziali, le comunicazioni si basino sulle procedure e sulle reti/sistemi SAR, acquisendo, man mano che la funzione legata alla ricerca e soccorso di persone, ovvero l’assistenza agli infortunati diminuisce, una più chiara e precisa connotazione antinquinamento.
La prima informazione è quindi probabile che giunga all’organizzazione preposta alla ricerca e al salvataggio marittimo (MRCC - MRSC - UCG) che, essendo gli aspetti del soccorso alla vita umana prevalenti rispetto a quelli della difesa del mare e dell’ambiente, utilizzerà la messaggistica formattata prevista dal piano “SAR marittimo” nazionale.
Comunque, superato il primo impatto e avviata a consolidatasi la fase S.A.R., l’aspetto antinquinamento acquisirà la sua giusta importanza e verrà trattato di conseguenza.
La prima notizia di inquinamento, qualora non vi sia coincidenza con attività di ricerca e soccorso, può essere acquisita dall’Autorità marittima:
Ricevuta la notizia, l’Autorità marittima, qualora non ne abbia certezza, ovvero abbia necessità di completarla con maggiori dati, dispone per un’immediata ricognizione.
Fin dalle prime fasi (fase di allertamento) l’Autorità marittima locale informerà opportunamente il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e la propria organizzazione.
A questo scopo la messaggistica da impiegare è formattata, lasciando comunque alla discrezionalità di chi la compila la possibilità di redigerla:
La predetta messaggistica è formattata con riferimento a schemi internazionalmente riconosciuti ed adottati in ambito I.M.O. (International Maritime Organization).
Il sistema POLMES (Pollution Message) è utilizzato a livello nazionale per le comunicazioni riguardanti ogni incidente che abbia causato o sia suscettibile di causare inquinamenti del mare o delle coste da idrocarburi o da altre sostanze pericolose.
Un primo messaggio deve essere inviato al più presto possibile e deve contenere le notizie immediatamente disponibili. Successivi messaggi verranno trasmessi quando in possesso di ulteriori informazioni.
In termini concettuali il messaggio POLMES può considerarsi diviso in tre parti (Stampato):
Le tre parti possono essere utilizzate tutte insieme, o separatamente, tenendo sempre presente che il messaggio dovrà comprendere solo i numeri per i quali vi siano delle notizie da trasmettere.
Nel documento, prima dei punti del messaggio, indicati con una numerazione, di massima, progressiva, sono inseriti i titoli che danno una indicazione di massima del contenuto del punto stesso. I predetti titoli sono sottolineati con una punteggiatura che indica che gli stessi sono visibili al compilatore ma non vengono stampati sul messaggio. A fianco del titoli è posta una casella di aiuto evidenziata in giallo che si attiva quando il puntatore del mouse vi passa sopra. Nella riga sottostante, dopo la numerazione, è posto il moduloin cui è possibile immettere i dati.
Se i moduli non vengono utilizzati deve essere cancellata l’intera riga comprendendo anche la numerazione.
|
Contenuto |
Notazioni |
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GDO |
Gruppo data-orario (ora locale) |
|
Da ___________ A ___________ Perco ___________ |
Componenti indirizzi. Deve sempre comprendere: - DIFMAR; - MARICOGECAP C.O.; - C.O.P.. |
|
URGENTE-URGENTE-URGENTE |
Qualifica di precedenza, da utilizzarsi quando e se giustificata. |
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POLMES |
Acronimo identificativo del tipo di messaggio. |
|
PA/ /1 |
Numero di serie. Esso è composto da: - la sigla del Compartimento originatore; - il nome della nave/installazione coinvolta nell’inci-dente; - il numero identificante il progressivo seriale di messaggio originato per uno specifico incidente. Esempio: PA/SIRENA/3 Indica che trattasi del 3° messaggio che Compamare Palermo trasmette con riferimento all’incidente riguardante SIRENA. |
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NC _______________ |
Numero di protocollo. |
1. |
Data e ora |
Indica il momento in cui si è verificato l’incidente. Va specificato se trattasi di ora locale (preferibile) o GMT. |
2. |
Posizione |
Coordinate geografiche dell’incidente. |
3. |
Tipo di incidente |
Indicare la natura dell’incidente, quali, ad esempio: - collisione; - esplosione; - incendio; - naufragio - incaglio; - sversamento; - altro. |
4. |
Natura inquinamento |
Indicare il tipo di prodotto sversato o suscettibile di esserlo: - greggio - raffinato - slops - zavorra - prodotti chimici (liquidi, solidi) - gas liquefatti fornendo anche la stima della quantità sversata. Qualora vi sia solo minaccia, far seguire il termine “non ancora” al nome del prodotto di cui si teme lo sversamento. |
5. |
Disponibile |
Utilizzare per indicare il livello di emergenza in atto (locale o nazionale). |
11. |
Posizione e dimensione dell’inquinamento |
Indicare le coordinate geografiche della zona maggiormente interessata dall’inquinamento. Ove possibile fornire ogni altra indicazione (lunghezza, larghezza, superficie, spessore, ecc.) atta a dare un quadro il più possibile completo dello scenario, ivi compresi i quantitativi sversati (se diversi da quelli dati al punto 4) o numero di contenitori, bidoni, ecc. alla deriva. |
12. |
Caratteristiche dell’inquinamento |
Caratteristiche chimico/fisiche dell’inquinante (tipo di idrocarburo, viscosità, punto di scorrimento, numero UN, nome specifico e codice IMDG per i chimici, tipo di contenitore). Fornire informazioni sullo stato apparente: liquido, solidi flottanti, agglomerati, emulsioni, colorazione, presenza di vapori. Se conosciuti, vanno forniti numeri, sigle, identificativi presenti su contenitori, bidoni ed altro alla deriva. |
13. |
Origine dell’inquinamen-to |
ogni informazione riguardante la nave e/o l’installazione interessata (in caso di cui trattasi di installazioni off-shore, costiere, ecc.). nome/nominativo internazionale tipo nazionalità equipaggio tsl proprietario/noleggiatore registro classificazione e numero agente raccomandatario assicurazione porto di caricazione porto di destinazione. |
13A |
|
Qualità e quantità del carico. |
14. |
Direzione e intensità del vento |
Intensità in m/s. Scala beaufort |
15. |
Direzione e intensità della corrente |
Intensità in m/s. |
16. |
Stato del mare Visibilità Tendenza |
In miglia nautiche. |
17. |
Deriva dell’inquinamen-to |
Direzione e velocità dello spostamento in miglia nautiche. Per nubi gassose, velocità in m/s.
|
18. |
Previsione |
Possibile arrivo dell’inquinamento in costa o in aree protette. Indicazione di aree minacciate. Livelli di rischio per la popolazione. Risultati di proiezione di modelli (indicare il tipo di modello utilizzato), ove disponibili.
|
19. |
Osservazioni |
Indicare con precisione la fonte delle notizie sull’incidente, soprattutto qualora l’inquinamento sia di origine sconosciuta. Eventuale presenza di osservatori nella zona; risultati delle attività di monitoraggio (specificare tipo, apparato e tecnica utilizzata). |
20. |
Azioni assunte |
Ogni azione assunta in risposta all’inquinamento. |
20A |
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Vanno indicati gli altri Organismi/Enti pubblici e privati coinvolti a vario titolo. |
20B |
Mezzi impiegati |
Appartenenza, nome/tipo/materiale, costo (se a titolo oneroso), tipo e descrizione intervento, tempo di impiego, persone impiegate, estremi autorizzazione DIFMAR se prevista e richiesta. |
20C |
Materiali impiegati |
(Come sopra). |
21. |
Documentazione acquisita |
Prelievo campioni, avvio in laboratorio, risultati. Documentazione fotografica. Monitoraggio (se non già riferito al punto 19) |
22/30. |
|
Disponibili per ogni altra notizia/informazione quali: - danni alle persone, perdita di vite umane; - costa minacciata e/o già interessata; - tipologia, estensione, insediamento, ecc.; - OSC; - risultati di indagini, sopralluoghi, ispezioni, dichiara-zioni membri equipaggio, testimoni, ecc; - ogni altra informazione che non sia stato possibile dare nei paragrafi precedenti e che si ritiene indispensabile fornire. |
31. |
Esigenze |
Necessità di mezzi, materiali, personale specialistico, esperti, velivoli per monitoraggio, ecc.. |
32 |
Autorizzazioni che si richiedono |
- Ad utilizzare disperdenti; - a stipulare contratti per l’utilizzazione di mezzi e materiali a titolo oneroso.
|
33. |
Affluenza materiali richiesti |
Luogo ove far affluire il materiale; punto di incontro in mare per i mezzi; frequenze da usare; telefoni, telex e telefax; punti di contatto. |
34 |
|
Disponibile. |
Utilizzo del modello di messaggio contenuto nel disco di Emergenza Antinquinamento.
Nel documento, prima dei punti del messaggio, indicati con una numerazione, di massima, progressiva, sono inseriti i titoli che danno una indicazione di massima del contenuto del punto stesso.
I predetti titoli sono sottolineati con una punteggiatura che indica che gli stessi sono visibili al compilatore ma non vengono stampati sul messaggio.
A fianco del titoli è posta una casella di aiuto evidenziata in giallo che si attiva quando il puntatore del mouse[A1] vi passa sopra.
Nella riga sottostante, dopo la numerazione, è posto il modulo in cui è possibile immettere i dati.
Se i moduli non vengono utilizzati deve essere cancellata l’intera riga comprendendo anche la numerazione.
NOTA BENE: Prima di compilare il messaggio assicurarsi che il pulsante di formattazione posto sulla barra degli strumenti è attivo. In caso contrario non saranno visibili i titoli e le caselle di aiuto.
Completato il documento devono essere stampate le pagine seguenti.
(IL MESSAGGIO È DISPONIBILE SOLO SUL SUPPORTO INFORMATICO)
Il sistema POLREP (Pollution Reporting System) è utilizzato a livello internazionale per le comunicazioni dirette agli altri Paesi, o direttamente, o attraverso i Centri Regionali (REMPEC per il Mediterraneo) e gli Organismi Comunitari di collegamento e coordinamento (Urgent Pollution Alert Section EC-DG XI Bruxelles), allo scopo di:
Le tre parti possono essere utilizzate insieme o separatamente.
E’ possibile altresì utilizzare solo una parte dei paragrafi previsti dai formulari standard, con l’avvertenza che la numerazione dei paragrafi che non interessano e/o che non si vuole utilizzare non deve comparire sul messaggio.
Quando la 1^ parte (POLWARN), è utilizzata per lanciare l’allarme di una minaccia di grave inquinamento, bisogna dare al messaggio la qualifica di priorità “URGENTE”.
A tutti i messaggi POLREP che si ricevano e che contengano richiesta di accuso ricevuta (Acknowledge), va data risposta al più presto possibile a cura dell’Autorità nazionale competente.
Una volta concluso l’evento che ha richiesto l’emanazione di POLREP, bisognerà che l’Autorità che ha originato i messaggi ne dia comunicazione a tutte le altre parti.
Per quanto riguarda l’area mediterranea, qualora il POLREP sia inviato per competenza direttamente alle Autorità Nazionali competenti degli altri Paesi, dovrà sempre essere trasmesso per conoscenza anche al REMPEC di Malta (telex 1464 UNROCC MW).
Per gli altri Paesi europei, il POLREP va indirizzato e trasmesso alla Commissione Europea: URGENT POLLUTION ALERT SECTION – TELEX 63960 COMEU B.
Nel documento, prima dei punti del messaggio, indicati con una numerazione, di massima, progressiva, sono inseriti i titoli che danno una indicazione di massima del contenuto del punto stesso. I predetti titoli sono sottolineati con una punteggiatura che indica che gli stessi sono visibili al compilatore ma non vengono stampati sul messaggio. A fianco del titoli è posta una casella di aiuto evidenziata in giallo che si attiva quando il puntatore del mouse vi passa sopra.
Nella riga sottostante, dopo la numerazione, è posto il modulo in cui è possibile immettere i dati.
Se i moduli non vengono utilizzati deve essere cancellata l’intera riga comprendendo anche la numerazione.
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Contenuto |
Notazioni |
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From ___________ To ___________ Perco ___________ |
Componenti indirizzi. |
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GDO |
Gruppo data orario, in GMT o LT da indicare subito dopo la componente a sei cifre del GDO. |
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URGENT |
Da indicare ove sussista minaccia di grave inquinamento. |
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POLREP |
Acronimo indicativo del messaggio. |
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ITA/.........../1 |
Numero di serie. Esso è composto: - dall’indicativo del Paese originatore del POLREP (ITA per l’Italia); - dal nome della nave/installazione coinvolta nell’inci-dente; - numero identificanti il progressivo seriale di messaggio originato per uno specifico incidente. Esempio: ITA/POLLUX/3 Indica che trattasi dal 3° maggio che l’Autorità Nazionale Italiana trasmette con riferimento all’incidente riguardante POLLUX. |
1. |
Data e ora |
Dell’incidente. In GMT o LT, come per GDO. |
2. |
Posizione |
Coordinate geografiche dell’incidente. |
3. |
Tipo di incidente |
Indicare la natura dell’incidente: - Blow out; - Tanker grounding; - Tanker collision; - Oil Slick; - etc..
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4. |
Natura inquinamento |
Indicare tipo di prodotto sversato o suscettibile di esserlo: - crude oil; - chlorine; - refined product (gasoline); - etc.. Se non c’è ancora sversamento, bensi’ minaccia di sversamento, far precedere il nome della sostanza da NOT YET. Per esempio: - NOT YET IRANIAN HEAVY. |
5. |
Richiesta di accuso ricevuta |
Apporre il termine AKNOWLEDGE. |
40. |
Data e ora |
Riguarda la situazione descritta nei paragrafi da 41 a 60 e va indicata se il messaggio non comprende i paragrafi da 1 a 5, ovvero trattasi di dato diverso da quello indicato al n.1.
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41. |
Posizione ed estensione dell’inquinamento |
Indica le coordinate geografiche della zona maggiormente interessata dall’inquinamento. Ove possibile fornirà ogni altra indicazione (lunghezza, larghezza; superficie, spessore, ecc.) atta a dare un quadro il più possibile completo dello scenario, ivi compresi i quantitativi sversati (se diversi da quelli eventualmente detti al punto 4) o numero di contenitori, bidoni, ecc. alla deriva. |
42. |
Caratteristiche dell’inquinamento |
Caratteristiche chimico/fisiche dell’inquinante (tipo di idrocarburo, viscosità, punto di scorrimento, numero UN) nome specifico per i chimici, tipo di contenitore. Fornire informazioni sullo stato apparente: liquido, solidi flottanti, agglomerati, emulsioni, colorazione, presenza di vapori. Se conosciuti, vanno forniti numeri, sigle, identificativi presenti su contenitori, bidoni ed altro alla deriva. |
43. |
Origine dell’inquinamento |
Ogni informazione riguardante la nave e/o l’installazione interessata (in caso di cui trattasi di installazioni off-shore, costiere, ecc.): - nome/nominativo internazionale; - tipo; - nazionalità; - equipaggio; - tsl; - proprietario/noleggiatore; - qualità e quantità del carico; - registro classificazione e numero; - agente raccomandatario; - assicurazione; - tipo di viaggio; - porto di caricazione. |
44. |
Direzione ed intensità del vento |
Intensità in m/s. |
45. |
Direzione e intensità della corrente |
Intensità in m/s. |
46. |
Stato del mare Visibilità Tendenza |
Scala beaufort. In miglia nautiche. |
47. |
Deriva dall’inquinamento |
Direzione e velocità dello spostamento in miglia nautiche. Per nubi gassose, velocità in m/s. |
48 |
Previsione |
Possibile arrivo dell’inquinamento in costa o in aree protette. Indicazione di aree minacciate. Livelli di rischio per la popolazione. Risultati di protezione di modelli. |
49. |
Osservazioni |
Indicare con precisione la fonte delle notizie sull’incidente, soprattutto qualora l’inquinamento sia di origine sconosciuta. Eventuale presenza di osservatori nella zona; risultati di attività di monitoraggio (specificare tipo, apparato e tecnica utilizzata). |
50. |
Azioni assunte |
Ogni azione assunta in risposta all’inquinamento.
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51 |
Documentazione acquisita |
Prelievo campioni, avvio in laboratorio, risultati. Documentazione fotografica. Monitoraggio (se non già riferito al punto 49). |
52. |
Nomi di altri Paesi ed Organizzazioni già infor-mate/intervenute |
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53-59. |
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Disponibili per ogni altra notizia/informazione quali: - danni alle persone, perdita vite umane; - stato del prodotto inquinante;: - risultati di indagini, sopralluoghi, ispezioni; - dichiarazioni membri equipaggio, testimoni. Ogni altra informazione che non sia stato possibile dare nei paragrafi precedenti. |
60. |
Richiesta di accuso ricevuta |
Vedasi nota punto 5. |
80. |
Data e ora |
Vedasi nota punto 40. |
81. |
Richiesta di assistenza |
Tipo ed ammontare dell’assistenza che si richiede: - specified equipment; - specified equipment with trained personnel; - complete strike team; - personnel with special expertise con indicazione del Paese cui la richiesta è indirizzata. |
82. |
Costi |
Richiesta dei costi per invio e utilizzo del personale/mezzi/materiali di cui al paragrafo 81. |
83. |
Accordi per la consegna del materiale richiesto |
Indicazioni riguardanti le autorizzazioni doganali, accesso alle acque territoriali, spazio aereo, ecc., del Paese richiedente |
84. |
Luogo e modalità per la fornitura dell’assistenza richiesta |
Per esempio: rendez-vous in mare con informazioni sulle frequenze da usare, nominativi ed indicazione dell’OSC del Paese richiedente; autorità a terra con indicativi telefonici, telex, telefax. |
85. |
Nominativi di altri Paesi ed organizzazioni già informati/interessati |
Da utilizzare se non già soddisfatto dal paragrafo 81. Per esempio: in caso in cui si richieda assistenza, in un secondo momento, ad altri Stati. |
86. |
Cambio di Comando |
Nel caso in cui l’inquinamento finisca per interessare o minacciare le acque di un altro Paese e si ritenga di dover trasferire a questi il comando delle operazioni.
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87. |
Scambio di informazioni |
Da utilizzare per un completo rapporto della situazione, nel caso in cui si perfezioni l’ipotesi di trasferimento di Comando di cui al paragrafo 86. |
88 -98 |
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Disponibili per ogni ulteriore notizia/richiesta/istru-zione |
99. |
Richiesta di accuso ricevuta |
Vedasi punto 5. |
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Address |
|
From ITA To FRA and REMPEC |
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Date Time Group |
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181100z june |
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Identification |
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POLREP |
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Serial Number |
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ITA/POLLUX/2 (ITAL/POLLUX/1 for REMPEC) |
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1. |
Date and Time |
1. |
181000z |
2. |
Position |
2. |
43°31’N - 09°54’E |
3. |
Incident |
3. |
Tanker collision |
4. |
Outflow |
4. |
Crude oil, estimated 3000 tonnes |
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41. |
Position and/or extent of pol-lution 0n/above/in sea
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41. |
The oil is forming a slick 0.5 nautical miles. |
42 |
Charcteristics of pollution |
42. |
Venezuela crude. Viscosity 3780 cSt at 37.8°C. Rather viscous. |
43. |
Source and cause of pollution |
43. |
Italian tanker POLLUX of Genoa, 22000 GRT, call sign xxx in collision with French bulk carrier CASTOR of Marseille, 30000 GRT, call sign yyy. Two tanks damaged in POLLUX. No damage in CASTOR. |
44. |
Wind direction and speed |
44. |
90 - 10 m/s. |
45. |
Current direction and speed and/or tide |
45. |
180 - 0.3 knots. |
46. |
Sea state and visibility |
46. |
Wave height 2 m. 10 nautical miles. |
47. |
Drift of pollution |
47. |
240 - 0.5 knots. |
48. |
Forecast of likely effects of pollution and zones affected |
48. |
Could reach Corsica, FRA on th 21st of this month. |
49. |
Identity of observer/reporter Identity of ships on scene |
49. |
CASTOR, figure 43 refers. |
50 |
Action taken |
50. |
3 italian antipollution vessels with high oil recovery and dispersant spraying capacity on route to the area. |
51. |
Photographs or samples |
51. |
Oil samples have been taken. Telex 123456 XYZ ITA. |
52 |
Names of other States and organizations informed |
52. |
REMPEC. |
53. |
Spare |
53. |
Italian national contingency plan is activated. |
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81 |
Request for assistance |
81. |
FRA is requested for 1 surveillance aircraft with remote sensing equipment. |
82. |
Cost |
82. |
FRA is requested for an approximate cost rate per day of assistance rendered. |
83. |
Pre - arrangements for the delivery of assistance |
83. |
FRA plane will be allowed to enter. |
84. |
To where assistance should be rendered and how |
84. |
Rendez-vous 43°15’N - 09°50’E. Report on VHF channels 16 and 67. OSC Cdr. Rossi - M/V MICHELE FIORILLO call sign xxx. |
99 |
Acknowledge |
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ACKNOWLEDGE |
Utilizzo del modello di messaggio contenuto nel disco di Emergenza Antinquinamento.
Nel documento, prima dei punti del messaggio, indicati con una numerazione, di massima, progressiva, sono inseriti i titoli che danno una indicazione di massima del contenuto del punto stesso.
I predetti titoli sono sottolineati con una punteggiatura che indica che gli stessi sono visibili al compilatore ma non vengono stampati sul messaggio.
A fianco del titoli è posta una casella di aiuto evidenziata in giallo che si attiva quando il puntatore del mouse[A1] vi passa sopra.
Nella riga sottostante, dopo la numerazione, è posto il modulo in cui è possibile immettere i dati.
Se i moduli non vengono utilizzati deve essere cancellata l’intera riga comprendendo anche la numerazione.
NOTA BENE: Prima di compilare il messaggio il pulsante di formattazione posto sulla barra degli strumenti deve essere attivo. In caso contrario non saranno visibili i titoli e le caselle di aiuto.
Completato il documento deve essere stampata la pagina 3 e seguenti.
(IL MESSAGGIO È DISPONIBILE SOLO SUL SUPPORTO INFORMATICO)
Avviso contenente notizie relative alla installazione, condizione e variazione di qualsiasi servizio, assistenza aeronautica, procedura o pericolo, la conoscenza dei quali è essenziale per il personale interessato alle operazioni di volo.
Esso va richiesto nel caso in cui:
Messaggio formattato utilizzato a livello locale per informare l’A.M. locale del grado di inquinamento costiero in atto.
MAREM (Maritime Emergency): sottosistema informatizzato del NISAT (Navigation information system in advanced tecnology) per la gestione delle emergenze di qualsiasi natura in mare.
POLEM (Pollution Emergency): componente del MAREM per la gestione delle emergenze in mare causate da sversamento di idrocarburi o altre sostanze nocive. EMERGENZA
Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - Direzione Generale per la Protezione della Natura (ex Servizio difesa Mare) può disporre, in forza di una convenzione stipulata con una Società specializzata nel settore [15] [15] [15] «Castalia Elcomar»[1] [15] [15] [15], di circa 60 unità attrezzate ed equipaggiate miratamente per effettuare un servizio di monitoraggio delle acque e condurre la lotta all' inquinamento marino, distribuite negli approdi nazionali ritenuti più strategici. Attualmente il naviglio dello Stato non dispone di specifiche unità attrezzate per condurre la lotta all'inquinamento marino, eccezion fatta per i Pattugliatori della Marina Militare classe «Cassiopea» che, invece, sono in grado di poter efficacemente effettuare attività antinquinamento, sia nella forma passiva (circoscrivendo mediante panne galleggianti prodotti insolubili sversati in mare), sia nella fase attiva, avvalendosi di sistemi che consentono il contrasto chimico (prodotti disperdenti, assorbenti, emulsionati, ecc.) sia la rimozione meccanica (skimmer). Tali unità, come è noto, sono state costruite al fine di potenziare il servizio di vigilanza e soccorso in mare svolto dal Corpo delle Capitanerie di Porto ai sensi dell'art. 2, commi a, b e c, della Legge 979/82.
Nel complesso panorama nazionale, particolare menzione meritano i mezzi aerei ad ala fissa delle Capitanerie di Porto in quanto dotati di un sistema di telerilevamento ad infrarossi «DAEDALUS» in grado di poter rilevare tracce, anche minime, di idrocarburi presenti sulla superficie del mare, utilizzati, fra l'altro, dalla Direzione Generale per la Protezione della Natura, a seguito di una convenzione che prevede che, durante l'impiego dei mezzi, il controllo operativo sia assicurato dalla Centrale Operativa del Comando Generale.
Infine, è opportuno dover fare una dovuta precisazione. Allo stato attuale il citato piano nazionale deve ancora vedere la luce e devono ancora essere ben definite attribuzioni e competenze dei singoli Organi della Pubblica Amministrazione. Infatti, con l'entrata in vigore del D.Lvo del 30.07.1999, n. 300, che prevede, tra l'altro, la creazione di un sistema di agenziale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (ABAT), alla istituenda Agenzia devono essere trasferite le attribuzioni dell'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente, quelle dei servizi tecnici nazionali istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ad eccezione di quelle del Servizio Sismico Nazionale.
Tale innovativo assetto della Pubblica Amministrazione, se da un lato ha accelerato l'avvio delle soluzioni di molti problemi legati alla protezione dell'ambiente, dall'altro lato ha prodotto ritardi dovuti soprattutto alla certa e definitiva attribuzione dei compiti ed attività come, per esempio, l'approvazione del Nuovo Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti da idrocarburi o da altre sostanze nocive causate da incidenti marini. In attesa della definitiva approvazione del sopracitato “piano nazionale”, restano in vigore sia i “piani locali” emanati da ogni Compartimento Marittimo, sia il vecchio Piano Nazionale emanato dall'allora Ministero della Marina Mercantile.
[1] [15] [15] [15] E' stata rinnovata di recente la convenzione con la Castalia. In verità, scaduta la convenzione con la società Castalia il servizio di vigilanza e pronto intervento in caso di inquinamento marino era stato sospeso in tutta Italia. La gara che il Ministero dell'Ambiente aveva bandito per la riassegnazione dell'appalto gestito dalla Castalia è andata deserta. E non perché la società che dal 1999 gestiva il servizio di tutela dei litorali con le sue 35 navi (10 d'altura e 25 costiere) non fosse più interessata a parteciparvi. La verità è che non poteva più garantire, come d'altra parte non potevano farlo le altre imprese italiane specializzate nel settore della sorveglianza costiera, per via delle richieste avanzate dal dicastero giudicate insostenibili.
E' stata costituita nel 1991 da Castalia S.p.A. e fino alla fine del 2009 ha rappresentato una tra le principali società armatoriali operanti nel settore ambientale. «Castalia Ecolmar» lavora per la prevenzione, il controllo e il contenimento dei fenomeni inquinanti dell'ecosistema marino, configuradosi come struttura di pronto intervento in relazione alle normative internazionali, quali la MARPOL '78 e la OPRC Convention del '90. La sua presenza sul territorio è capillare; il modello organizzativo è composto da una struttura operativa a terra ed una a mare che basa l’attività di prevenzione mediante un pattugliamento sottocosta e in altura, nella maggior parte dei casi con mezzi definiti «supply vessel», che superano i 60 metri, con tanto spazio libero in coperta.
Questo servizio ha visto aumentare il numero delle unità, dal 2000 al 2004, fino a raggiungerne 71, per poi diminuire attestandosi fino alla fine del servizio, nel 2009, su 54 unità. La scoperta dell’inquinamento avviene tramite perlustrazioni, pattugliamenti costieri nelle aree a nord e a sud dei porti di locazione, garantendo in questo modo una copertura totale del territorio costiero, comprese le isole. Dal 2005, questo servizio ha introdotto nuove metodologie per la prevenzione, mediante sistema satellitare e radar. La scoperta via satellite restava compito delle Autorità istituzionali, quindi del Ministero dell’Ambiente, mentre Castalia mantiene la scoperta coi sistemi radar e il pronto intervento a mare in caso di emergenza.
La procedura di intervento passa per il «Centro Operativo Emergenze in Mare», istituito presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con compiti di coordinamento generale degli interventi nei casi di inquinamento o grave pericolo di inquinamento. Da qui viene allarmata la flotta di Castalia Ecolmar: dieci unità d’altura e venticinque unità costiere dislocate in 35 porti italiani, 4 sedi operative periferiche, ad Olbia, Ravenna, Civitavecchia e Messina. Il posizionamento delle unità navali lungo il territorio nazionale garantisce l’intervento entro le 5 ore dal momento in cui viene impartito l’ordine di intervenire, se entro le 3 miglia dalla costa, altrimenti entro le 12 ore per incidenti al largo.
L’attività di monitoraggio viene eseguita anche tramite un sistema radar in grado di localizzare chiazze di idrocarburi da rimuovere. Una volta partito l’allarme ed individuata la zona dell’incidente, si decide quali navi dovessero intervenire.
L’incaglio della “Moby Magic” nel Golfo degli Aranci in Sardegna nel 2003, l’affondamento della nave turca “Tevfik Kaptan 1” nelle acque pugliesi di Santa Maria di Leuca nel 2007, o l’affondamento della nave oceanografica del Cnr “Thesis”, speronata da una portacontainer battente bandiera panamense nel 2007 a Mazara del Vallo, sono solo alcuni degli incidenti verificatisi negli ultimi dieci anni, in cui è stata impiegata anche la flotta di Castalia. Altre operazioni sono state invece effettuate oltre i mari territoriali, come nel caso dell’affondamento del “Prestige” nelle acque galiziane, in Spagna, o in quello della prima azione di bonifica ambientale svolta dall’Italia all’estero, nelle acque del Libano dove esplose una gravissima emergenza in seguito al bombardamento israeliano dei serbatoi della centrale termoelettrica di Jieh, che provocò la fuoriuscita in mare di circa 15 mila tonnellate di olio combustibile.
Tutto ciò senza tener conto del valore deterrente che il pattugliamento della flotta di Castalia rappresenta nei confronti di certi tipi di operazioni illecite che possono compiersi in mare, come ad esempio il lavaggio delle cisterne per oli combustibili o petrolio.
Approfondimenti
Dal 10 maggio 1999 il Ministero dell’Ambiente ha attivato un servizio pubblico finalizzato alla prevenzione e alla lotta agli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 Km. di costa italiana, mediante l’impiego di 58 unità navali specializzate.
Questo sistema di tutela e prevenzione nazionale è stato istituito in attuazione della normativa nazionale e in ottemperanza a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito, in materia di lotta agli inquinamenti marini da idrocarburi e da sostanze tossico-nocive in genere.
La struttura si compone di 9 unità di altura (SS/VV), 12 unità litoranee/alturiere (UU/SS) e 37 unità costiere (BB/DD), queste ultime dislocate particolarmente in prossimità delle aree marine protette, già istituite o in corso di istituzione o comunque in aree di particolare pregio naturalistico. Le unità navali sono fornite dal Consorzio CASTALIA-ECOLMAR sulla base di contratto di noleggio e appalto di servizio.
I SS/VV (Supply Vessel), sono unità di altura abilitate alla navigazione internazionale lunga; hanno una lunghezza F.T. che varia da 43,00 mt. a 64,00 mt.; inoltre hanno una capacità di stoccaggio degli idrocarburi recuperati di 200mc., una velocità di 12 nodi ed hanno come dotazioni di bordo per l’antinquinamento 400 mt. di panne d’altura, 200 mt. di panne costiere e impianti ed attrezzi specifici per la raccolta degli idrocarburi in mare. Le UU/SS (unità litoranee/alturiere), sono unità navali abilitate alla navigazione internazionale lunga e nazionale costiera; hanno una lunghezza F.T. che varia da 30 mt. a 36 mt., una velocità di 10 nodi ed una capacità di stoccaggio degli idrocarburi recuperati da 40 mc. a 200 mc.; hanno 200 mt. di panne d’altura e 200 mt. di panne costiere; per le altre dotazioni di bordo per l’antinquinamento sono sostanzialmente equivalenti a quelli della classe superiore. I BB/DD (battelli disinquinanti), sono unità abilitate alla navigazione litoranea, hanno una velocità di 8 nodi, lunghezza F.T. che varia da 10,80 mt. a 22,00 mt., hanno una capacità di stoccaggio degli idrocarburi recuperati da 10 mc. a 16 mc., hanno a bordo 100 mt. di panne costiere; sono particolarmente indicati per la raccolta di rifiuti solidi e liquidi inquinanti a pochissima distanza dalla costa. Le unità in questione, dislocate in 71 porti italiani, svolgono servizio di pattugliamento e pronto intervento per la raccolta di idrocarburi in mare secondo rotte programmate per otto ore giornaliere e sei giorni la settimana, festivi non esclusi, nel periodo estivo compreso tra il 1° giugno e il 30 settembre; nella restante parte dell’anno i mezzi navali sono operativi per tre giorni la settimana. Nei giorni in cui non sono operative sono in banchina pronti a partire entro 30 minuti dalla richiesta, soprattutto per far fronte ad eventuali emergenze dovute ad inquinamenti. Durante il normale pattugliamento, i mezzi specializzati sono tenuti a recuperare i rifiuti galleggianti, sia solidi che liquidi, per poi conferirli in banchina e, successivamente, trasferirli e smaltirli in discarica autorizzata. Particolare attenzione, nel corso del pattugliamento, è data all’attività di avvistamento e tutela di mammiferi marini e tartarughe in difficoltà.
Le unità antinquinamento del Ministero dell’Ambiente svolgono, sostanzialmente, due funzioni strategiche:
Le unità convenzionate di maggior tonnellaggio (unità alturiere) possono anche svolgere attività di disincaglio o rimorchio di navi mercantili in difficoltà al fine di prevenire possibili inquinamenti conseguenti al sinistro nonché attività di travaso del carburante o prodotto esistente a bordo della nave mercantile in difficoltà riducendo quindi il pericolo di danno ambientale.
Presso il Servizio Difesa del Mare (Divisione IV) è stato istituito il Centro Operativo per le Emergenze in Mare con compiti di coordinamento generale degli interventi nei casi di inquinamento o grave pericolo di inquinamento.
Le Forze Armate e specificamente la Marina Militare, hanno subito in materia di protezione dell'ambiente, un'evoluzione delle proprie capacità operative, adeguando la propria professionalità ai sempre maggiori compiti che il legislatore ha ritenuto di assegnare nell'ambito di una politica volta alla salvaguardia delle risorse naturali e attenta ad una razionale gestione del territorio sino ad allargare notevolmente il concetto di "difesa nazionale".
Pertanto, a mente dell'art. 2 del D.L.vo 464/97, gli scenari e i campi d'intervento entro cui viene ad operare la Marina Militare, a richiesta degli Organi dell'Amministrazione Centrale, si possono così riassumere:
La Marina dunque è sempre impegnata con tutte le sue forze aeree e navali sulle nuove frontiere della difesa del mare e dell'ambiente; non si dimentichi infatti l'apporto spesso decisivo della componente aerea della Marina nelle operazioni di lotta ecologica e ambientale, dalle azioni anti incendi boschivi alla ricerca delle fonti di inquinamento, al trasporto di uomini e materiali per qualsiasi operazione nel campo specifico. E' una missione, quella della tutela dell'ambiente, che la Marina svolge non solo per senso di responsabilità ma anche e soprattutto perchè essa, in ogni suo uomo, sente questa missione come una grande scelta di civiltà e un sicuro contributo all'affermazione del diritto ed alla tutela della vita della nostra collettività.
Il Consiglio d'Europa ha dichiarato il 1995, Anno Europeo della Conservazione della Natura, iniziativa volta a sensibilizzare l'opinione pubblica dei 42 Paesi aderenti al problema certamente serio, in qualche caso drammatico, della protezione ambientale. Le Forze Armate Italiane hanno dato all'iniziativa la loro più grande disponibilità e, come primo passo, hanno deciso di porre sotto tutela ambientale le aree sottoposte a servitù militari. La Marina ha inoltre preso altre importanti iniziative e si è associata ad iniziative altrui per rendere la difesa dell'ambiente sempre più credibile ed efficace. Ricordiamo qualcuna delle azioni della Marina. La campagna ecologica di Nave Vespucci "Il mare deve vivere" con una mostra itinerante visitata in molti porti italiani da decine di migliaia di cittadini, soprattutto giovani; le successive campagne di sensibilizzazione ambientale della Nave Scuola Palinuro e di unità a vela minori; il supporto decisivo dato ai ricercatori per lo studio dell'ecosistema delle isole Eolie; la partecipazione massiccia di volontari M.M. alla pulizia ecologica dell'isola di Caprera; lo studio sulla distribuzione della Posidonia nelle aree litorali; il lavoro oscuro quanto delicato e pericoloso dei nuclei Sdai per la bonifica di spiagge e fondali da ordigni esplosivi; gli interventi generosi quanto pronti ed efficaci per i disastri delle navi cisterna Haven e Abruzzo Agip. Ultima fondamentale iniziativa l'adesione al Marpol (Maritime Pollution), convenzione internazionale per la prevenzione dall'inquinamento causato da navi, malgrado che la stessa convenzione, obbligatoria per le Flotte mercantili, severa e ferma nelle sue regole, non si applichi alle unità militari. La Marina Italiana, e con essa anche altre Marine della Nato, ha deciso di aderire pur conscia delle serie difficoltà che deriveranno dall'adesione stessa per la necessità di effettuare radicali interventi su unità già in linea e ciò, per di più, in momenti assai difficili per le sopraggiunte restrizioni di bilancio. Il problema è stato affrontato oltreché, come detto, prevedendo interventi sul naviglio esistente programmando l'adeguamento in fase di progettazione alle direttive Marpol delle unità di futura progettazione e costruzione.
La Marina in definitiva, e a conclusione, è ben conscia che il mare debba vivere e che si tratti di una battaglia, per conservare questa vita, lunga, paziente, meticolosa, dura, costosa ma ha fermo l'intendimento di contribuire al buon esito di questa battaglia di civiltà con ogni suo mezzo, ogni sua possibilità di pensiero e di azioni, ogni sua energia. Il "Mare deve vivere" era scritto sul ponte del Vespucci nel lontano 1979; il Mare deve vivere dice oggi con fermezza la Marina Militare Italiana.
Quando un prodotto (petrolifero o chimico) più leggero dell’acqua e immiscibile con questa viene versato in mare, per diffusione si spanderà sotto forma di un «film» più o meno spesso, in relazione alle sue proprietà fisiche (densità, viscosità) ed alla temperatura ambiente. Durante il fenomeno della diffusione, avverranno anche dei processi fisici e chimici che modificheranno profondamente le sue caratteristiche originarie. Se si tratta di una miscela a più componenti, come lo sono tutti i prodotti petroliferi, quelli più leggeri evaporeranno mentre, per effetto della luce solare, dei microrganismi dell’habitat marino e dello stesso ossigeno dell’aria, avverranno processi di trasformazione tali da favorire la formazione di soluzioni ed emulsioni con l’acqua di mare. Infine, per raffreddamento, le frazioni più pesanti, come le paraffine, gli asfalti e i bitumi presenti nei prodotti petroliferi, tenderanno a solidificare.
A seguito di tutti questi fenomeni si potrà formare una «macchia» più o meno densa, viscosa ed oleosa che, una volta stabilizzata, per azione delle correnti e dei venti, se non verrà aggredita ed eliminata, prima o dopo raggiungerà la costa.
Poiché la bonifica delle zone costiere è sempre più difficoltosa e costosa degli interventi che si possono attuare in mare aperto, si deve intervenire prima che la macchia raggiunga la costa predisponendo i «mezzi antinquinamento» ritenuti necessari.
â–º Le principali tecniche da impiegare per combattere un inquinamento sono le seguenti:
E’ superfluo fare rilevare che le operazioni di cui sopra saranno subordinate alle azioni da intraprendere per evitare incendi ed esplosioni e comunque intese al salvataggio delle vite umane.
Allo scopo di stabilire la natura e la concentrazione degli «agenti inquinanti» presenti in un versamento occorre prelevare dei campioni dallo scarico o dallo specchio acqueo inquinato per sottoporli ad analisi.
Il «campionamento» è l’operazione che si esegue per ottenere un’aliquota dello scarico o dello specchio acqueo sotto indagine che rappresenti, con la maggiore corrispondenza possibile, le sue caratteristiche chimiche, fisiche e batteriologiche. E’ evidente che tutta l’attenzione e la cura poste nell’ effettuare le analisi sono vane se il campione inviato al laboratorio non è testimone attendibile.
Mentre non si incontrano difficoltà per il prelievo di campioni da scarichi o da corpi idrici in cui gli agenti inquinanti si trovano in soluzione o allo stato di dispersione omogenea, il campionamento di specchi marini inquinati da prodotti petroliferi diventa un’operazione tecnicamente difficile.
Il sistema acqua olio è per sua natura eterogeneo e di composizione incerta e variabile per il moto ondoso e per le correnti; inoltre, non è facile prelevare un campione rappresentativo a livello della superficie del mare. Proprio per questi motivi per effettuare un campionamento di uno spandimento oleoso si deve fare affidamento sulla capacità e sulla esperienza del personale incaricato ad eseguirlo.
I criteri di massima ai quali ci si può attenere per avere un campione legalmente valido sono i seguenti:
Tutte le operazioni di cui sopra saranno descritte in un «Verbale di campionamento» che dovrà essere controfirmato dalle persone che vi hanno partecipato.
Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470[1] [1] e che qui di seguito si elencano, a pena di nullità di tutti gli atti compiuti.
Di norma la distanza tra due punti di prelievo adiacenti non dovrà superare i 2 Km. salvo a ridurla opportunamente nelle zone ad alta densità di balneazione. Per ogni singolo punto di campionamento i prelievi dovranno essere, durante il mese, opportunamente distanziati nel tempo.
I prelievi dovranno essere effettuati ad una profondità di circa 30 cm. sotto il pelo libero dell’acqua ad una distanza dalla battigia tale che il fondale abbia una profondità di 80 o 120 cm.; in corrispondenza di scogliere a picco o di fondali rapidamente degradanti i prelievi dovranno essere effettuati in punti distanti non più di 5 metri dalla scogliera o dalla battigia; per gli olii minerali i prelievi vanno effettuati in superficie.
I prelievi dovranno essere effettuati dalle ore 09.00 alle ore 15.00. Non dovranno essere effettuati durante e nei due giorni successivi all’ultima precipitazione atmosferica di rilievo ed all’ultima burrasca.
I campioni per le analisi microbiologiche dovranno essere prelevati con le comuni bottiglie sterili in uso per i campioni di acque, incartate e successivamente sterilizzate. La bottiglia dovrà essere immersa aperta e trattenuta tramite una pinza o altro idoneo sistema.
I campioni dovranno essere trasportati in idoneo contenitore frigorifero e sottoposti ad esame al più presto e comunque entro le 24 ore.
Nella pratica è comunque possibile effettuare un singolo prelevamento (ad esempio: in caso di sversamento a mare da parte di nave cisterna), dinanzi alle parti (ad esempio: comandante il quale può farsi assistere da un proprio perito) e utilizzarlo quale atto irripetibile (cd. atto probatorio). Del fatto verrà, naturalmente, redatto apposito Verbale.
Atteso i che non esiste al momento una metodologia codificata ed uniforme, gli Organismi preposti redigono dei protocolli di intervento che tentino almeno di rispettare i seguenti principi fondamentali:
La prima cosa importante da chiarire è che, in generale, le Forze o gli Organi di polizia ben difficilmente potranno effettuare autonomamente il prelievo di campioni, posto che è necessario disporre di un’attrezzatura particolare e che bisogna spesso seguire regole di comportamento alquanto complesse, che presuppongono nozioni altamente tecniche e specialistiche.
Tuttavia campionamenti irregolari o d’emergenza, ed è il caso più volte citato di una petroliera che ha sversato una certa quantità di idrocarburi in mare, da attuarsi in situazioni di assoluta necessità che non consentono nemmeno l’attesa dell’arrivo di eventuali tecnici ed eseguiti dal personale imbarcato a bordo delle unità navali (Motovedette della Guardia Costiera, CC, G.d.F., ecc.) avranno un valore di assoluta inutilizzabilità in sede processuale, potendo non di più costituire una possibile fonte di informazioni in sede di indagine e supportare altri atti aventi maggiore rilevanza probatoria.
â–º E’ opportuno definire i seguenti caratteri, essenziali durante il prelievo:
Altro aspetto importante è costituito dall’identificazione del campione. In effetti ogni campione deve essere idoneamente identificato tramite un “cartellino” indicativo dei seguenti elementi:
E’ fondamentale che ogni operazione di campionamento sia accompagnata dalla redazione di un apposito verbale detto per l’appunto “verbale di prelievo”.
Esso, in sostanza, non presenta particolari peculiarità nella sua composizione, dovendo però necessariamente riportare una descrizione accurata della metodologia di intervento seguita (numero dei campioni prelevati, criteri di mappatura, profondità dei prelievi, ecc).
â–º Il documento dovrà in ogni caso contenere:
Infine non è infrequente che l’attività di campionamento possa costituire una situazione di pericolo per il personale che vi concorre: questa è la ragione per la quale vanno seguite alcune norme di precauzione che la medicina del lavoro ha individuato come le più idonee a prevenire infortuni.
In sostanza, a seconda dei casi è necessario far uso di dispositivi di protezione tendenti ad impedire:
Dovranno, allora e se necessario, indossarsi elmetti, indumenti e calzature protettivi, maschere, occhiali particolari ecc.
[1] [1] Pubblicato sulla G.U. 26.7.1983, n.203 in attuazione della direttiva CEE n. 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione (acque correnti o di lago e le acque marine nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata ovvero vietata ). Il decreto non si applica, alle acque destinate ad usi terapeutici ed a quella di piscina.
Per la buona riuscita delle operazioni da intraprendere per combattere un inquinamento bisogna conoscere le caratteristiche del prodotto versato, la sua quantità, la velocità con la quale potrà diffondersi e l’area di mare che potrà essere investita.
â–º Le principali tecniche antinquinamento sono:
L’eliminazione della causa del versamento spesso coincide con il salvataggio della nave e del carico; operazione tra le più complesse non solo per la necessità di disporre di mezzi idonei di vario genere ma anche per le condizioni in cui si dovrà operare, molto diverse a seconda del sinistro e delle condizioni meteo marine. Il confinamento si attua per intercettare e bloccare il versamento e lo spandimento e per la buona riuscita dell’intervento è predominante il fattore tempo, la immediata reperibilità dei mezzi e delle attrezzature necessarie che dovranno trovarsi in prossimità delle zone di maggiore rischio di sinistro.
I materiali necessari possono essere così raggruppati:
In caso di incendio, si dovrà valutare se convenga o meno estinguerlo, tenendo conto delle conseguenze dell’inquinamento e dei rischi in cui si potrebbe incorrere nel caso di affondamento della nave.
Una volta confinato e messo sotto controllo il versamento, o in concomitanza con queste operazioni, si dovrà procedere al contenimento dello spandimento oleoso sfruttando al massimo le sue peculiari proprietà: il galleggiamento. E’ un processo indirizzato ad ostacolare il progredire dello spargimento degli idrocarburi stessi confinandoli nella zona più vicina alla sorgente di sversamento. Il contenimento si effettua in genere per mezzo di «barriere galleggianti», che in una strategia di bonifica, sono generalmente il primo strumento ad essere utilizzato e l’ultimo ad essere rimosso. L’importanza di un corretto contenimento deriva dalla conoscenza che gli sversamenti di idrocarburi hanno la tendenza a spargersi in strati sempre più sottili e a frazionarsi in aree più piccole che vanno a interessare zone sempre più estese (o migrazione verso la costa). Man mano che l’area ricoperta dalla mappa di idrocarburi aumenta è evidente che la strategia di un intervento diventa più difficile, e, di conseguenza, più costosa.
Barriere galleggianti
A tutt’oggi sono stati studiati e allestiti diversi tipi di barriere di contenimento; tali mezzi comprendono:
â–º Le barriere fisiche (=panne) sono le più usate e possono essere raggruppate in tre categorie:
Il buon funzionamento delle panne è subordinato, oltre che dalle loro caratteristiche tecniche, anche dalle condizioni di mare e di vento nel luogo in cui esse vengono impiegate. Le panne meccaniche, essendo quasi tutte costruite con componenti galleggianti e fluttuanti (schiume plastiche espanse di polietilene o poliuretano), vengono comunemente chiamate «panne galleggianti». Questo tipo di panna è considerata la più pratica per il maggior numero di soluzioni e situazioni che consente di affrontare e, se opportunamente dimensionate, è idoneo a proteggere specchi d’acqua molto grandi.
Panne assorbenti
Le panne pneumatiche (o idro-pneumatiche) consistono in una tubazione (tubo perforato), posizionata sul fondo marino, in acque relativamente basse, in cui viene insufflata, attraverso una serie di ugelli calibrati, dell’aria che raggiunge la superficie generando una fitta barriera di bolle le quali creano una turbolenza tale da impedire lo spandimento dell’olio minerale. Il principio su cui si basano tali barriere è che gli idrocarburi in acque calme non tendono ad attraversare la corrente determinata dal flusso d’aria che raggiunge la superficie. L’unico svantaggio di questo tipo di panna è il fatto che non può essere usata in presenza di moto ondoso e in postazioni mobili; preferibilmente si utilizza con acque molto calme come quelle portuali.
Le panne assorbenti, infine, costituiscono una particolare versione della panne meccaniche; vengono impiegate per eliminare piccoli spandimenti e per la protezione delle spiagge. Tali panne le cui proprietà essenziali sono analoghe a quelle dei “fogli assorbenti” risultano notevolmente utili allorché il film di idrocarburi sia estremamente sottile e di recente produzione. Sono fabbricate con materiale sintetico ad alto coefficiente di assorbimento trattenuto all’interno di un involucro a forma di rete, realizzato in fibra e fabbricato con lo stesso materiale di riempimento.
â–º Le barriere chimiche sono ottenute con prodotti biodegradabili e di bassa tossicità che, immersi in mare, lungo il perimetro della macchia oleosa, agiscono modificando la tensione superficiale dell’olio (l’equilibrio delle cariche superficiali) inibendone l’ulteriore spargimento e compattandolo (effetto coagulante)[1] [1], in modo da facilitarne il recupero che deve essere, visto che l’effetto di tali barriere non è duraturo, iniziato dopo l’applicazione delle barriere chimiche. a loro azione è esattamente contraria a quella dei disperdenti (hanno gli stessi effetti dei detergenti); vengono praticamente usati nebulizzati e distribuiti con un mezzo nautico e con elicotteri.
L’uso di tali barriere è subordinato all’autorizzazione della competente Autorità perché trattasi di sostanze chimiche che, in definitiva, si aggiungono quale eventuale componente peggiorativa all’inquinamento già prodotto dagli idrocarburi.
Barriere chimiche
Le operazioni poste in essere per combattere l'inquinamento hanno come obiettivo l’eliminazione totale dello spandimento, dopo averlo contenuto e, per quanto possibile, concentrato manovrando le panne galleggianti in modo da dislocarle nelle posizioni più favorevoli di vento e di corrente.
Le principali metodologie su cui si basano le tecniche di riduzione sono:
[1] [1] L’unico prodotto italiano che possieda questi requisiti è quello brevettato dalla Snam Progetti (Pollustrop) prodotto commercializzato in Italia ed in molti Paesi esteri dalla Prodeco S.p.A. con il nome di “PRODENTENSER”
Le operazioni di riduzione hanno come obiettivo l'eliminazione totale dello spandimento, dopo averlo contenuto e, per quanto possibile, concentrato manovrando le panne galleggianti in modo da dislocare nelle posizioini più favorevoli di vento e di corrente.
Sistemi più soffisticati sono attualmente allo studio, come la coagulazione e la gelificazione dell'olio, ma si ritiene che queste metodologie avranno scarse possibilità di applicazione sia per le dificoltà operative che presentano, sia per l'elevato costo dei prodotti.
Le apparecchiatrure da impiegare dovranno possedere le seguenti caratteristiche:
Inoltre, dovranno essere antideflagranti nell'eventualità della presenza di gas e vapori di idrocarburi nelle zone nelle quali dovranno operare.
La scelta della tecnica più idonea per ottenere i migliori risultati nelle condizioni contingenti in cui si dovrà intervenire, dipende dall'entità dello spandimento, dalle caratteristiche chimiche e fisiche del prodotto versato e, in particolare, dalle condizioni meteomarine. E' evidente che in condizioni di moto ondoso accentuato sarà pressoché impossibile la rimozione diretta dell'olio come del resto risulterà estremamente difficoltoso il suo assorbimento in caso di vento.
Questo metodo di disinquinamento, è messo in atto servendosi di particolari “apparecchi succhiatori” identificabili con il termine di «skimmers», ideati per rimuovere dalla superficie dell’acqua gli idrocarburi senza causare notevoli cambiamenti delle loro proprietà chimico fisiche sia per l’eventuale riutilizzo del prodotto recuperato.
Esistono in commercio vari tipi di skimmers:
Belt Skimmer: tipo a nastro
Vengono usati in genere insieme alle “panne galleggianti” di contenimento e posizionate nell’angolo chiuso dello sbarramento a “V” oppure nella concavità dello sbarramento a “U” o nei siti ove, per corrente, vento e interventi programmati, gli idrocarburi si raccolgono in maggior quantità. Nei casi di utilizzazione è necessario il collegamento con mezzi di appoggio e di stoccaggio, per poter effettuare il successivo trasporto del prodotto oleoso raccolto presso i depositi costieri opportunamente adibiti.
Schema a "U"
• l’olio può essere contenuto presso la fonte inquinante
• si riduce la possibilità di contaminazione costiera
• la sostanza oleosa viene rimossa dal mare
• considerevole tempo per il trasporto e la dislocazione
• costi di impiego
• logistica
• eliminazione delle sostanze rimosse
• possibile inefficacia in relazione alle situazioni meteo-marine
Il disinquinamento basato sulle tecniche dell’assorbimento richiede dei particolari materiali che abbiano una grande affinità verso i prodotti oleosi e, una notevole repellenza verso l’acqua. Possono quindi assorbire l’olio versato assorbendo contemporaneamente solo modeste quantità d’acqua.
Gli assorbenti galleggianti, in particolare, sono prodotti in grado, grazie anche al loro peso specifico molto basso, di galleggiare a lungo consentendo (a differenza degli affondanti) il recupero meccanico della miscela olio-assorbente.
Le principali limitazioni all’uso di questi prodotti sono la loro voluminosità che ovviamente gioca inerte che fa raggiungere al petrolio un ruolo sfavorevole nel trasporto e nella manipolazione, ma soprattutto il fatto che quelli di origine vegetale tendono in un tempo più o meno breve ad affondare e quindi il recupero deve, ma non sempre può, essere rapido. Quelli di origine minerale galleggiano per un tempo più lungo ma creano problemi di smaltimento in quanto l’estrazione dell’olio dall’assorbente risulta non economica. Inoltre, presentano alcuni inconvenienti in fase di spargimento sulla chiazza oleosa. Infatti, in condizioni, di vento e di moto ondoso accentuati, il tempo di permanenza del materiale assorbente non risulterebbe sufficiente per consentire tale meccanismo. Queste sostanze al termine del processo di assorbimento devono essere rimosse meccanicamente e distrutte, per incenerimento o per combustione, oppure interrati in zone di non facile individuazione.
Gli assorbenti autoaffondanti, sono aditivi chimici (c.d gelificanti, in quanto riducono allo stato di gel gli oli minerali), che tendono a prevenire lo spargimento rapido degli idrocarburi flottanti sull’acqua formando come un tappeto che talvolta, rimosso, permette il riutilizzo degli idrocarburi stessi. Il loro uso presenta, peraltro, l’inconveniente di trasferire l’inquinamento dalla superficie al fondo marino con conseguenze gravi per l’ecosistema. Inoltre, se la sostanza impiegata non possiede una elevata capacità di ritenzione, tale da mantenere inalterata la proprietà di autoaffondamento, potrebbe avvenire la risalita del prodotto rendendo indispensabile un nuovo intervento. Tale tecnica non è più in uso.
Assorbenti galleggianti
La tecnica operativa del metodo della «dispersione» consiste nell’irrogare il disperdente sulla macchia oleosa mentre il mezzo navale avanza, a velocità adeguata, lungo il perimetro della macchia ovvero a rastrello, tenendo conto della direzione del vento e della corrente.
Tali prodotti agiscono quindi per riduzione dell’inquinamento. A questo proposito è da osservare che in effetti i disperdenti di 1^ generazione, utilizzati fino alla fine degli anni '60 (vedasi Torrey Canyon 1967), presentavano un’alta percentuale di componenti aromatici (benzene, tluene, xylene), alquanto tossici che, additivati con agenti tensio-attivi, esercitavano soprattutto un’azione solvente delle macchie di idrocarburo irrorate.
I disperdenti successivamente prodotti, ed oggi disponibili per l’uso, sono di concezione e composizione diversa. Essi si dividono in 3 categorie con riferimento al modo d’impiego e al tipo di agente che espleta funzioni di supporto meccanico del tensio-attivo destinato ad abbassare la tensione superficiale dell’idrocarburo trattato, causandone la dispersione nella colonna d’acqua. Trattasi in effetti di un processo fisico-meccanico che consiste nel provocare il frazionamento della massa di petrolio, provocandone la rottura della forza di coesione molecolare e agevolando così il processo di metabolizzazione (biodegradazione) dell’idrocarburo da parte dell’ambiente marino.
• hanno efficacia immediata
• riducono il rischio di incendio e di compromissione delle coste
• riducono la contaminazione densa degli uccelli marini
• evitano la formazione delle emulsioni
• il loro uso costa meno dell’intervento meccanico
• migliorano la biodegradazione
• l’olio non viene rimosso, ma soltanto spostato
• procurano nuovi e diversi effetti inquinanti
• possono sfavorire le altre strategie di intervento
L’eliminazione della macchia oleosa per combustione (incendio) non è facilmente attuabile poiché il prodotto versato in mare tende rapidamente ad evaporare. Inoltre, distribuendosi su strati sottili, risente dell’azione raffreddante dell’acqua; azione che impedisce il raggiungimento della temperatura di accensione dell’olio minerale. Vi è inoltre da considerare che la fase di incendio non sarebbe sufficientemente controllabile e porterebbe come conseguenza l’inquinamento atmosferico. In conclusione tale metodo è una alternativa solo quando non esistano altre tecniche per fronteggiare una grave situazione di inquinamento marino (per una caduta di residui combusti sottovento e un residuo carbonioso in mare difficilmente degradabile).
• l’incendio elimina dall’ambiente parte dell’inquinante
• pericoli per la sicurezza del personale
• possibile inefficacia in relazione alle situazioni meteo-marine
• produzione di inquinamento atmosferico
• problemi di gestione dell’incendio
• deposito dei residui della combustione sul fondo del mare
Particolare importanza, nell’ambito delle operazioni di disinquinamento, assume la fase di smaltimento dei materiali recuperati in mare e dalla costa, intendendosi per “smaltimento” il complesso delle operazioni intese a consentire, attraverso vari processi, la totale o parziale riutilizzazione dell’idrocarburo recuperato, oltre che il ricondizionamento e l’inertizzazione o la distruzione dei residui o di altri materiali contaminati o contaminanti e la sistemazione dei residui in condizioni di sicurezza.
Tra l’attività del recupero degli oli, o di altri materiali inquinati o inquinanti, e lo smaltimento vero e proprio, esiste una fase intermedia che è quella del deposito e dello stoccaggio provvisorio della massa recuperata.
Operazioni di smaltimento/bonifica
I pattugliatori della classe «Cassiopea» (o Costellazioni) sono stati finanziati dal Ministero della Marina Mercantile (oggi Ministero delle Infrastrtutture e dei Trasporti) e gestite operativamente dalla Marina Militare al fine di svolgere gli specifici compiti di pattugliamento dei bacini costieri ed in particolare il controllo del traffico mercantile, la sorveglianza e controllo anti-immigrazione.
Le unità hanno la capacità di operare autonomamente e di cooperare con altri mezzi aerei o navali, per assicurare nell'ambito della "Zona Economica Esclusiva" interventi relativi a:
I Cassiopea sono stati impiegati, altresì, in varie operazioni internazionali come la missione ONU per il pattugliamento delle acque del Libano.
Il coinvolgimento dei Pattugliatori d’Altura della Classe «Cassiopea» nell’ambito di operazioni antinquinamento può avvenire solo previa formale e motivata richiesta avanzata a Maristat dal C.O.A. di Difmar o, nel caso di emergenza nazionale, dal Dipartimento della Protezione Civile. In tal caso, quindi, alla luce di quanto si è detto in precedenza a proposito dell’organizzazione del “pronto intervento”, le suddette Unità potranno trovarsi ad operare sotto la direzione ed il coordinamento di una delle seguenti Autorità:
Di conseguenza, nell’ambito di tale struttura organizzativa le decisioni circa l’impiego delle dotazioni antinquinamento in possesso dei Pattugliatori, non saranno adottate autonomamente dal Comandante dell’unità stessa ma saranno frutto di valutazioni operate dalle suddette competenti Autorità in relazione all’estensione dell’area interessata dallo sversamento, alle condimeteo in atto ed al numero e alle caratteristiche dei mezzi antinquinamento intervenuti. Ciò vale in particolar modo per l’impiego del “disperdente”: la decisione circa l’utilizzo di questo prodotto presuppone, infatti, delle delicate quanto complesse valutazioni legate, in particolare, alla natura della sostanza inquinante, al processo di invecchiamento della stessa (con possibile aumento della viscosità ed insorgenza del fenomeno dell’emulsione acqua in olio) nonchè all’impatto ambientale che ne deriverebbe, considerando, sotto quest’ultimo aspetto, che l’uso di disperdenti costituisce pur sempre un’immissione di per sé inquinante. Va sottolineato, fra l’altro, che l’impiego di tali prodotti può essere disposto dall’Autorità coordinatrice del pronto intervento solo previa espressa autorizzazione accordata da Difmar per il tramite del suo C.O.A..
E’ evidente che quanto si è detto sinora nulla toglie al ruolo del Comandante dell’unità quale responsabile della condotta della navigazione. In virtù dei poteri/doveri che discendono da tale ruolo il Comandante deve infatti valutare se le disposizioni impartite dalle Autorità che dirigono le operazioni antinquinamento siano concretamente attuabili senza comportare rischi per l’unità stessa e/o per l’equipaggio. E’ altrettanto evidente, inoltre, che la direzione delle operazioni antinquinamento è cosa diversa dal controllo operativo (Opcon) delle unità, che, come è noto, spetta a Cincnav. In particolare, l’Autorità che esercita l’Opcon dovrà curare nel corso dell’emergenza antinquinamento gli opportuni collegamenti fra Maristat (Rep.P.O.) e il Centro Operativo del Centro Nazionale di coordinamento e raccolta dati operante presso Difmar.
In definitiva, occorre tenere ben distinte le decisioni inerenti le modalità di attuazione dell’intervento antinquinamento (spettanti, a seconda dei casi, ad una delle Autorità coordinatrici sopra menzionate) dalle decisioni che riguardano, invece, il controllo operativo delle unità e la condotta della navigazione (spettanti, rispettivamente, a Cincnav ed al Comando di bordo).
Va rilevato, ancora, che nel caso di intervento dei Pattugliatori d’Altura in operazioni antinquinamento, il Comando di Bordo degli stessi può essere designato dall’Autorità coordinatrice quale OSC (On Scene Commander) venendo così ad assumere, nel quadro operativo del “pronto intervento antinquinamento”, un ruolo di fondamentale importanza. Infatti, è l’O.S.C. che, di fatto, coordina in oparea le azioni di tutti i mezzi cooperanti fornendo, altresì, all’Autorità coordinatrice dell’intervento gli elementi ed i dati indispensabili per un’efficace direzione delle relative operazioni.
Cassiopea P-401 Libra P-402
L’attività dei Pattugliatori nel campo dell’antinquinamento non si limita all’ipotesi sopra esaminata di un loro coinvolgimento nella struttura organizzativa del “pronto intervento” ma si estrinseca anche nella sorveglianza a fini preventivi, nell’accertamento e nella repressione degli illeciti derivanti dalla violazione della normativa vigente in tale campo.
Infatti, l’art. 23 della Legge 979/82 affida lo svolgimento delle attività di sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine e di accertamento delle relative infrazioni, agli “Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria di cui all’art. 57 c.p.p. e 1235 del Cod. nav., nonchè al personale civile dell’amministrazione dell’Ambiente, agli Ufficiali, Sottufficiali e Sottocapi della Marina Militare”, sotto la direzione dei Comadanti dei porti.
Per il corretto svolgimento di tale delicato compito, di fondamentale rilievo è la conoscenza sia delle norme che regolamentano la discarica di sostanze nocive ed il loro trasporto via mare, sia delle norme che sanzionano la violazione di tale normativa.
Spica P-403 Vega P-404
Nel S.O. n. 228 della Gazzetta Ufficiale n. 261 del 9 novembre 2007 è pubblicato il Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 202 [17] sulla “Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento delle navi e conseguenti sanzioni”.
L’attuazione della direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, adegua la normativa italiana a far aumentare la sicurezza marittima e migliorare la protezione dell’ambiente marino provocato dalle navi.
Infatti, il decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria prevede il divieto di scarico delle sostanze inquinantii (idrocarburi e sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa di cui agli Allegati della Convenzione di Marpol 73/78), provenienti dalle navi battenti qualsiasi bandiera effettuati:
Le disposizioni del decreto non si applicano alle navi militari da guerra o ausiliarie e alle navi possedute o gestite dallo Stato, solo se impiegate per servizi governativi e non commerciali".
Lo scarico di dette sostanze costituisce reato rubricato come “inquinamento doloso” o “inquinamento colposo”.
L’articolo 8, comma 1 del Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 202 [17] dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste,
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
L’articolo 10, comma 1 D.lgs. 202/07 prevede a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8 la pena accessoria
Al Comandante e ai membri dell’equipaggio condannati per il reato di cui all' art. 8 è inibito l’attracco ai porti italiani per un periodo comunque non inferiore ad 1 (uno) anno, commisurato alla gravità del reato commesso, da determinarsi con Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
L’articolo 9, comma 1 del Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 202 [17] dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, diolar partice gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste
Al Comandante e ai membri dell’equipaggio condannati per il reato di cui all' art. 9 è inibito l’attracco ai porti italiani per un periodo comunque non inferiore ad 1 (uno) anno, commisurato alla gravità del reato commesso, da determinarsi con Decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
I rifiuti sono ormai da anni al centro di tematiche politico-ambientali a livello internazionale ed europeo. Non a caso i diversi programmi europei d'azione per l'ambiente hanno posto al centro dell'attenzione proprio il tema rifiuti e l'Europa ha promosso e integrato una serie di normative di settore allo scopo di raggiungere una maggiore tutela dell'ambiente e della salute umana. La consapevolezza del valore economico, sociale e culturale dell’ambiente marino ed il dovere di preservare un così grande patrimonio dell’umanità ha spinto gli Stati a creare uno strumento conforme al diritto internazionale in grado di dettare i principi generali verso cui i medesimi devono uniformare le proprie capacità di protezione e preservazione. Inoltre, la necessità di una stretta cooperazione fra gli Stati e le organizzazioni internazionali che li concentri a livello regionale e locale, rappresenta un nuovo “modus operandi” per il conseguimento di risultati soddisfacenti in termini di protezione, preservazione e conservazione.
L’esigenza di affrontare la questione della tutela dell’ambiente marino da varie forme e fonti di inquinamento è sorta contestualmente al processo di industrializzazione e il crescente uso del mare come via di comunicazione nonché di trasporto, soprattutto di prodotti ad alta potenzialità inquinante. Molto si è fatto a livello legislativo per proteggere, preservare e conservare l’ambiente in generale e per informare e stimolare il pubblico ad una nuova mentalità di precauzione e preservazione dell’ambiente marino e terrestre, soprattutto in materia di «gestione dei rifiuti», la quale necessitava la definizione di regole comuni per la corretta raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi che, se non opportunatamente gestiti, costituiscono un forte impatto nell’ecosistema marino.
Con l’evolversi della normativa comunitaria e conseguentemente quella nazionale, il quadro riguardante le modalità di gestione delle aree portuali sta assumendo contorni sempre più netti e precisi. In materia di gestione dei rifiuti delle navi in ambito portuale con la Direttiva n. 2000/59/CE il legislatore ha regolamentato a livello europeo una tematica, quella appunto dei "rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico", divenuta inattuale e arretrata rispetto alla situazione presente in quanto sono aumentati i traffici delle navi nei mari e di conseguenza sono aumentati i rischi di incidenti e sversamenti oltre al problema dei rifiuti in crescente aumento. Fino a questo momento l’unica regolamentazione di riferimento era la Convenzione di Londra del 2 Novembre 1973, MARPOL 73/78, obsoleta al riguardo in quanto realizzata basandosi su traffici allora molto più limitati rispetto agli attuali e quindi con la possibilità di pericoli per l’ambiente minori. La MARPOL è stata la prima, a livello internazionale, a fissare un insieme di regole e disposizioni volte a prevenire l’inquinamento marino provocato da idrocarburi, da sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa, da sostanze pericolose trasportate in appositi contenitori, da acque nere e rifiuti e ad evitare l’inquinamento atmosferico causato da navi. Nel corso degli anni questa Convenzione ha assunto un ruolo di primaria importanza per la tutela ecologica dei mari; essa cerca di regolamentare tutte quelle sostanze che, immesse nell’ambiente marino, possono mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse biologiche e all’ecosistema. In tal senso, la Convenzione in esame si segnala per avere introdotto una dettagliata normativa diretta ad eliminare, ridurre e prevenire l’inquinamento marino derivante dall’immissione volontaria o accidentale di tutte le sostanze che siano in grado di nuocere o comunque mettere in pericolo la salute umana, le risorse biologiche, le bellezze naturali e, in generale, le attività connesse con i legittimi usi del mare. Il Governo italiano ha dato attuazione alla Direttiva CE n. 59/2000 relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182, che abroga l’art. 19, comma 4 bis del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. Tale Decreto Legislativo ha costituito uno strumento normativo attraverso il quale il legislatore, su proposta del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha introdotto una disciplina ad hoc sui rifiuti riferendosi al contesto marittimo e portuale. Il decreto in questione è composto di 16 articoli e 4 allegati. Obiettivo primario che il legislatore intende perseguire con l’emanazione del D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 è ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che scalano i porti nazionali. Non ultimo, migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli impianti portuali di raccolta dei citati rifiuti e residui.
Per questo motivo il Decreto 182/2003 impone alle Autorità portuali[1] [18] l’obbligo di elaborare un «piano di raccolta e gestione dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi» e di dotarsi di impianti e di servizi portuali di raccolta dei rifiuti e dei residui del carico adeguati in relazione alla classificazione del porto o del traffico registrato nell’ultimo triennio.
L’entrata in vigore del D. Lgs. 182/03, ha provocato notevoli disagi e disguidi, infatti dal 2003 ad oggi sono state innumerevoli le interpretazioni e le deroghe illegittime non conformi alla legislazione vigente. Precedentemente all’entrata in vigore del D. Lgs. 182/03, la normativa nazionale in materia portuale si era pronunciata con la legge 28 gennaio 1994, n. 84, la quale si è resa necessaria in quanto il Codice della navigazione non appariva più idoneo, da solo, a definire adeguatamente il bene porto. Essa ha profondamente mutato il quadro normativo e culturale della pianificazione delle aree portuali, nella consapevolezza dell’importanza da questa assunta per uno sviluppo coerente delle dinamiche complessive dei porti, delle azioni imprenditoriali che in essi si sviluppano e del rinnovato rapporto con la città.
La legge 28 gennaio 1994, n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale ha previsto l’istituzione per i porti maggiori delle Autorità Portuali, enti aventi personalità giuridica che svolgono attività sostitutiva e integrativa e, in ogni caso, ausiliaria dello Stato, perseguendo la finalità di attuare la gestione dei porti con la partecipazione delle strutture pubbliche e private interessate. Per i rimanenti porti vengono mantenute le Autorità Marittime, organi periferici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
In seguito divenendo necessario adottare misure relative alla gestione e alla distruzione dei rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali, quali scarti inutilizzabili per il consumo o la trasformazione, assicurando una adeguata protezione dal rischio di introduzione nel territorio nazionale di malattie degli animali, con particolare riguardo alle pesti suine, attraverso tali rifiuti, quando sbarcati dai citati mezzi di trasporto e considerata, altresì, l’esigenza di favorire l’impiego di vasellame e stoviglie riutilizzabili nonché l’effettivo utilizzo di tali beni, in attuazione dell’obiettivo della riduzione della produzione dei rifiuti, il Ministero della Sanità di concerto con il Ministro dell’Ambiente un decreto concernente le “Misure relative alla gestione e alla distruzione dei rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali”.
Quindi, concludendo, a partire dal 1994 in poi l’ambito portuale è diventato sempre più una realtà concreta e reale a cui si sta cercando di dare regole e procedure operative atte a difendere l’ambiente marino e terrestre all’interno del quale si sviluppa. L’inquinamento e i rifiuti superano la capacità del pianeta di assorbirli e trasformarli e produrre meno rifiuti è diventata una necessità improrogabile, con la quale tutti dobbiamo fare i conti in quanto dobbiamo avviarci verso uno sviluppo più sostenibile delle risorse, dove per sviluppo sostenibile si deve intendere una forma di sviluppo non solo economico ma anche sociale in cui la crescita economica avviene entro i limiti delle possibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità di soddisfare i bisogni delle generazioni future.
La gestione dei rifiuti delle navi è una tematica molto complessa in quanto poco si sa su quest’argomento anche perché ogni Porto è una realtà a sé e non esistono dati globali sia a livello nazionale che a livello comunitario. A livello legislativo solo da pochi anni si è affrontato il problema con un’ottica diversa, con l’obiettivo di promuovere il rispetto dell’ambiente e l’incentivo di sviluppare questo ambito per ricavare un guadagno e sfruttare anche i rifiuti delle navi come “risorsa” e non come semplici rifiuti da distruggere. I dubbi e i problemi affrontati con l’entrata in vigore della nuova normativa, a partire dalla Legge 28 gennaio 1994, n. 84 per arrivare al Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182, sono stati tanti e tanti ancora destano problemi proprio perché si è andato a legiferare e rinnovare un ambito rimasto arretrato nel tempo e che necessitava di un miglioramento e di una spinta verso una politica maggiormente volta al rispetto dell’ambiente.
[1] [18] Le Autorità Portuali istituite sono quelle per i porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste, Venezia.
Le problematiche connesse alla produzione dei rifiuti hanno assunto, negli ultimi decenni, proporzioni sempre maggiori anche in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle aree urbane.
Il «Servizio di Gestione dei Rifiuti» si è, negli ultimi decenni, particolarmente evoluto con l’inserimento di nuovi e più complessi interessi pubblici da tutelare. Si è, infatti, assistito al passaggio da un «sistema a filiera semplice», in cui l’igiene urbana era l’unico interesse tutelato ad un «sistema a filiera complessa», in cui all’igiene urbana si è aggiunta l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale, attraverso l’attività di recupero e la limitazione dello smaltimento dei rifiuti in discarica.
La gestione dei rifiuti è regolata in Italia dal D.lgs. n. 152/2006 e successive modif. (noto come “Codice dell’ambiente”).che recepisce la principale normativa europea in materia di rifiuti. Il decreto, nella parte IV, "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati" (articoli da 177 a 266), contiene una dettagliata disciplina in materia di rifiuti e prevede l'abrogazione di taluni provvedimenti, tra cui il D.lgs. n. 22/97 (cd. Decreto Ronchi) che, per lungo tempo, ha rappresentato l'unica legge di riferimento.
Il Codice dell’ambiente è stato integrato e modificato dal D.lgs. 4/2008, che ha apportato considerevoli modifiche alla disciplina sulla gestione dei rifiuti urbani tra le quali:
La normativa, in continua evoluzione, ha portato ultimamante alla emanazione del D.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205 intitolato: “Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiutie che abroga alcune direttive”con cui lo stato Italiano nel recepire l’ultima “direttiva-quadro” sui rifiuti (2008/98/CE), riscrive alcune regole-cardine della materiamodificando le disposizioni, contenute nel “D. Lgs n. 152/2006 “Norme in materia ambientale”, sulla gestione dei rifiuti senza incidere però sulla bonifica dei siti inquinati. Il decreto rappresenta la seconda importante modifica della Parte IV relativa alla gestione dei rifiuti, dopo la prima modifica apportata dal D. Lgs. 4/2008. Si compone di 39 articoli e 6 allegati, modifica diversi passaggi della precedente normativa rifiuti. Alcuni di queste modifiche interessano gli aspetti di ordine generale sul tema dei rifiuti, altre invece coinvolgono direttamente le modalità di gestione dei rifiuti da parte delle imprese, introducedo, pertanto, una serie di novità che riguardano la gerarchia della gestione dei rifiuti. Una gerarchia che se pur riconfermata, nel'individuare nell'ordine la prevenzione, riciclo, recupero e smaltimento viene innovata con l'inserimento del principio del "ciclo di vita" dei rifiuti che rende possibile in certi casi, discostarsi dall'ordine di priorità. Le novità riguardano anche l'introduzione della definizione di preparazione al riutilizzo e la previsione di nuove disposizioni che riguardano direttamente il principio di prevenzione (primo "step" della gerarchia).
Una corretta gestione dei rifiuti dovrebbe, infatti, passare in primo luogo attraverso la politica di prevenzione della produzione dei rifiuti[1] [18], in secondo luogo attraverso la preparazione per riutilizzo (ossia le "operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui i prodotti o i componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento"), in terzo attraverso il riciclaggio (ossia "qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini."), in quarto attraverso il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia ed in ultima istanza attraverso lo smaltimento.
Per quanto riguarda la «prevenzione» della produzione dei rifiuti il legislatore oltre a introdurre il programma nazionale di prevenzione che deve essere varato e adottato dal Ministero dell'ambiente entro il dicembre 2013, punta il dito sulla prevenzione quantitativa e qualitativa affermando e chiamando in causa la responsabilità del produttore.
Inserisce quindi un nuovo articolo «Responsabilità estesa dei produttori» (articolo 178-bis) con l'intento di rafforzare la prevenzione e facilitare l'utilizzo efficiente delle risorse durante l'intero ciclo di vita comprese le fasi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti, evitando di compromettere la libera circolazione delle merci sul mercato.
Prevede inoltre la possibilità da parte del Ministero dell'Ambiente di poter adottare - con uno o più decreti aventi natura regolamentare - le modalità e i criteri di introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto. Il produttore è inteso come "qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell'organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell'accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo".
Ai medesimi fini potranno anche essere adottate - con uno o più decreti del Ministro dell'Ambiente con il Ministero dello Sviluppo Economico - le modalità e i criteri di gestione dei rifiuti e della relativa responsabilità finanziaria dei produttori del prodotto. Potranno essere indicate le modalità di pubblicizzazione delle informazioni relative alla misura in cui il prodotto è riutilizzabile e riciclabile; i criteri della progettazione dei prodotti volta a ridurre i loro impatti ambientali e a diminuire o eliminare i rifiuti durante la produzione e il successivo utilizzo dei prodotti.
La disciplina prevede, inoltre, una serie di divieti e obblighi a carico dei produttori e detentori di rifiuti e dei soggetti che esercitano attività professionali attinenti ai rifiuti, che comprendono l'obbligo di autorizzazione per la gestione di impianti fissi e mobili di gestione dei rifiuti, il divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi (art. 187, D.Lgs. 152/2006), l'obbligo di tenuta di un formulario di identificazione per il trasporto e di un registro di carico e scarico, la compilazione del Modello unico di dichiarazione ambientale (artt. 189, 190 e 193, D.Lgs. 152/2006), l'iscrizione all'Albo gestori rifiuti.
[1] [18] La prevenzione dei rifiuti consiste in un insieme di politiche volte a disincentivare, penalizzare economicamente o addirittura vietare la produzione di materiali e manufatti a ciclo di vita molto breve e destinati a diventare rifiuti senza possibilità di riuso. Soggetti interessati possono quindi essere tanto le imprese quanto i comuni cittadini, incentivati a ridurre a monte la produzione dei rifiuti, ad effettuare la raccolta differenziata. Oltre ad uno stimolo "etico", tali soggetti possono anche essere incentivati da una riduzione della TARSU, ad esempio quando ricorrano al compostaggio domestico (si consideri che la frazione organica è comunque una parte molto significativa dei rifiuti delle famiglie).
Il Dlgs 205/2010 che recepisce la Direttiva europea 2008/98 e modifica la parte IV del cosiddetto Testo unico ambientale (Dlgs 152/06) introduce una serie di novità che riguardano la «gerarchia» della gestione dei rifiuti. Una gerarchia che se pur riconfermata, nell'individuare nell'ordine la prevenzione, riciclo, recupero e smaltimento viene innovata con l'inserimento del principio del "ciclo di vita" dei rifiuti che rende possibile in certi casi, discostarsi dall'ordine di priorità. Le novità riguardano anche l'introduzione della definizione di preparazione al riutilizzo e la previsione di nuove disposizioni che riguardano direttamente il principio di prevenzione (primo "step" della gerarchia). Uno degli aspetti innovativi di maggior interesse riguarda l'inserimento del «SISTRI» nel Codice ambientale e le relative sanzioni.
â–º Rimandando alla lettura del decreto correttivo, le principali modifiche sono le seguenti:
In particolare, torna in vigore l’obbligo di tenere un «Registro di carico e scarico dei rifiuti non pericolosi», per ciascun cantiere in cui si opera; il Dlgs 205/2010 infatti modifica la Parte Quarta del Codice Ambiente (Dlgs 152/2006), coordinandola con il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI che entrerà in vigore il 1° gennaio 2011; con una modifica all’articolo 212, comma 8, del Codice Ambiente, si dispone che chi intenda raccogliere e trasportare i propri rifiuti non pericolosi, non aderendo al sistema SISTRI, dovrà dotarsi di un registro di carico e scarico. Le imprese che producono meno di dieci tonnellate di rifiuti non pericolosi all’anno, possono adempiere all'obbligo della tenuta dei registri anche tramite associazioni imprenditoriali o società di servizi. Il registro dovrà essere vidimato dalle Camere di commercio e gestito con le stesse procedure dei registri IVA. Le informazioni contenute nei registri devono essere rese disponibili in qualunque momento all’autorità di controllo. I registri vanno conservati per cinque anni dalla data dell’ultima registrazione.
La natura non conosce rifiuti, intesi come materiali che non possano venir costruttivamente assorbiti e riutilizzati in qualche altro posto nel sistema naturale, ora o in futuro. I rifiuti pertanto rappresentano una delle principali pressioni create sull’ambiente dall’uomo e soprattutto dalle sue organizzazioni più industrializzate. L’utilizzo poco efficiente delle risorse naturali ha portato come principale conseguenza la creazione di grandi quantitativi di materiali non più riutilizzabili né dai sistemi industriali, né da quelli naturali e si sono accumulati creando nel tempo notevoli problemi ed inquinamenti. Con il passare del tempo e con il diffondersi di una sempre maggiore consapevolezza dei problemi derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti è nata l’esigenza di regolamentare con strategie, norme e piani i flussi di materiali in uscita dai nostri sistemi produttivi e dalle nostre case, cercando di prevenirne la produzione e la pericolosità e cercando di gestirli, una volta prodotti, privilegiando il recupero allo smaltimento.
Prima di passare ad un'analisi dettagliata del sistema sanzionatorio in materia di rifiuti, è indispensabile affrontare le problematiche inerenti alla definizione stessa di rifiuto. E’ evidente come il corretto inquadramento della nozione di rifiuto sia di fondamentale importanza per l’individuazione delle sostanze che devono sottostare alle disposizioni in materia. Secondo la definizione che viene ricalcata nell'art. 183 comma 1 (definizioni) del Testo Unico sull'Ambiente, deve intendersi rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A della parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi". Dalla lettura della definizione si ricava che l’elemento centrale della definizione di rifiuto è contenuta nell’ultima parte, laddove viene fatto riferimento alla condotta del detentore ed al significato da attribuire al termine“disfarsi”. La definizione di rifiuti rimane quindi fondata, come con il precedente Decreto “Ronchi”, sul concetto di “disfarsi”, che costituisce una condizione necessaria e sufficiente perché un oggetto, un bene o un materiale sia classificato come rifiuto. L’individuazione del significato e della portata di tale azione ha determinato, nel tempo, un acceso di battito giurisprudenziale e dottrinario mai sopito e destinato a suscitare analogo interesse.
Le incertezze nell’individuazione dell’ambito di operatività della definizione di rifiuto, hanno determinato il formarsi di due diversi approcci interpretativi, il primo dei quali privilegia il dato soggettivo (dato dal fatto che il proprietario si sia disfatto dell'oggetto, o che abbia deciso di farlo o vi sia tenuto), mentre il secondo valorizza quello oggettivo (consistente nell'inserimento nell'elenco di cui all'allegato A). Secondo la «teoria soggettiva» della nozione di rifiuto viene, in un certo senso, attribuita preminenza alla volontà del detentore del rifiuto circa la sua destinazione, mentre la «nozione oggettiva» si fonda su una valutazione obiettiva della condotta del detentore o di un obbligo cui lo stesso comunque è tenuto.
In pratica secondo la prima teoria è rifiuto ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base alla sua personale scelta mentre, per la seconda, l’individuazione di una sostanza come rifiuto prescinde dalla volontà del singolo, rcavandosi da dati obiettivi. La nozione oggettiva di rifiuto, in linea peraltro con la giurisprudenza comunitaria e nazionale, propende quindi per un concetto ampio di rifiuto, fondato su risultanze oggettive e non sull’intenzione del detentore (Cass. Sez. III n. 31011 del 18 giugno 2002, Zatti).
A differenza della legislazione previgente (Decreto Ronchi), il nuovo testo Unico Ambientale in sostanza esclude dal concetto di "rifiuto" le materie prime secondarie e i sottoprodotti valorizzabili come combustibili[1] [18].
Un'ultima precisazione assume rilevanza ai fini della nostra disamina, ed attiene all'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti rispetto a quella che abbiamo sopra analizzato sull'inquinamento idrico. Nella vigenza del Decreto Ronchi e della Legge Merli, la Suprema Corte aveva chiarito che "in tema di smaltimento di rifiuti la definizione di rifiuto come qualunque sostanza che rientri nelle categorie comprese nel catalogo dei rifiuti, e della quale il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi, comprende anche i rifiuti allo stato liquido. Pertanto l'abbandono incontrollato sul suolo o l'immissione nelle acque superficiali o sotterranee di rifiuti allo stato liquido compresi nel catalogo dei rifiuti e' punito ai sensi dell'art. 50 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, mentre lo scarico di acque reflue non comprese in questo catalogo continua ad essere soggetto alla disciplina della legge 10 maggio 1976 n. 319". Sulla base del medesimo criterio si dovranno ritenere ora applicabili, in casi analoghi, le norme del testo Unico dell'Ambiente rispettivamente in materia di inquinamento idrico (sopra analizzate), ovvero in tema di rifiuti.
[1] [18] Non sono rifiuti i sottoprodotti e le materie prime seconde (MPS), così definiti:
In attesa dell’emanazione del decreto del Ministero dell’Ambiente le caratteristiche dei materiali devono essere conformi alle autorizzazioni vigenti rilasciate ai sensi degli artt. 208, 209 e 210 del D.Lgs.152/06 in accordo con il D.M. 05/02/98 così come modificato dal D.M. 186/06, il D.M. 161/02 e il D.M. 269/05.
Il Decreto legislativo 152/06 determina, nell’art. 184, come modificato dall’art. 11 del D.Lgs. 205/2010, una classificazione dei rifiuti che, sostanzialmente, ricalca quella già contemplata dal “decreto Ronchi”. Una prima fondamentale distinzione è effettuata, in in base alla «origine», tra "rifiuti urbani" e "rifiuti speciali" che possono, a loro volta distinguersi, in base alle «caratteristiche di pericolosità», in "rifiuti pericolosi" e "non pericolosi".
Da ciò consegue che tanto i rifiuti urbani (ad eccezione dei rifiuti domestici che pure ne fanno parte) quanto i rifiuti speciali possono essere qualificati pericolosi e non pericolosi.
La gestione integrata dei rifiuti urbani è di competenza dei Comuni che partecipano obbligatoriamente alle Autorità d’Ambito Territoriali Ottimali. Gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) sono suddivisioni del territorio regionale individuate al fine di superare l’originaria frammentazione in Autorità di Bacino per la gestione dei rifiuti, e di ottimizzare il servizio in termini di raccolta, trasporto e destinazione finale dei rifiuti.
Negli ultimi anni, i rifiuti speciali hanno assunto una rilevanza sempre maggiore in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al progredire dello sviluppo industriale, della produzione di beni, merci, processi di consumo, e alle politiche di miglioramento degli standard ambientali. È ormai consolidata la consapevolezza che una corretta gestione dei rifiuti può consentire oltre alla tutela delle condizioni ambientali e della salute, anche il recupero di materie prime secondarie e di energia.
I Rifiuti pericolosi sono, nfine, individuato come tali da penultimo comma dell’art. 184 D.lgs. 152/06 che specifica: “Sono pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco nell’elenco di cui all’Allegato D alla parte quarta del citato decreto, sulla base degli Allegati G, H e I alla medesima parte quarta” in applicazione del “nuovo CER” (catalogo europeo dei rifiuti). In tale elenco alcune tipologie di rifiuti sono classificate come pericolose o non pericolose fin dall’origine, mentre per altre la pericolosità dipende dalla concentrazione di sostanze pericolose e/o metalli pesanti presenti nel rifiuto. [2] [18]
Per "sostanza pericolosa" si intende qualsiasi sostanza classificata come pericolosa ai sensi della direttiva 67/548/CEE e successive modifiche: questa classificazione è soggetta ad aggiornamenti, in quanto la ricerca e le conoscenze in questo campo sono in continua evoluzione.
I rifiuti si distinguono, in base alle caratteristiche di pericolosità, in «rifiuti non pericolosi» e «rifiuti pericolosi». Sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE, se presentano una o più delle seguenti caratteristiche di pericolosità:
Per definire le caratteristiche di pericolo da H3 a H8, H10 e H11 sono stati stabiliti i "limiti di riferimento" (art. 2 della Decisione 200/532/CE e successive modifiche), ossia dei valori di concentrazione delle sostanze contenute nel rifiuto, superati i quali il rifiuto è classificato come pericoloso, mentre per le caratteristiche H1, H2, H9; H12, H13 e H14 mancano i criteri di riferimento sia a livello comunitario che nazionale.
Alcuni rifiuti sono classificati come pericolosi già dall'origine e contrassegnati da un "asterisco"a fianco del codice CER, riguardo all’attività che li ha prodotti; per altre tipologie si fa riferimento alla concentrazione di sostanze pericolose da determinarsi mediante opportuna verifica analitica.
[1] [18]L’assimilazione viene disposta con regolamento comunale ai sensi dell’art. 198 comma 2, lettera g) secondo la determinazione (di competenza statale) dei criteri qualitativi e quali-quantitativi, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali assimilati. Non possono essere, di norma, asimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei ba e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico.
[2] [18]I "metalli pesanti" sono antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno: possono essere presenti sia puri che, combinati con altri alementi, in composti chimici.
I produttori e i detentori dei rifiuti, ai sensi dell’art. 188 del D.lgs. 152/06, sono obbligati a consegnare i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettui le operazioni di recupero o smaltimento. Inoltre, nel medesimo articolo è definita la responsabilità del detentore dei rifiuti sul corretto recupero o smaltimento. Questa termina nel momento in cui il detentore dei rifiuti li consegna al servizio pubblico di raccolta o, nel caso di conferimento a soggetti autorizzati, riceve la quarta copia del formulario di identificazione del rifiuto controfirmato e datato dal destinatario del rifiuto stesso entro il termine di tre mesi dal data di consegna al trasportatore.
Il potere da parte del Sindaco di ricorrere ad ordinanze contingibili ed urgenti può essere legittimamente esercitato soltanto quando si versa in una situazione di eccezionale ed urgente necessità, e ciò giustifica il ricorso ad una sanzione penale, e non solo amministrativa, in caso di inottemperanza all'ordinanza sindacale.
Infine il predetto articolo stabilisce che in caso di sentenza di condanna, anche se emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto stabilito nelle sopraccitata ordinanza sindacale o nell'obbligo non eseguiti. Questa disposizione è chiaramente finalizzata a garantire che la sentenza di condanna raggiunga l'obiettivo di assicurare l'effettivo recupero dell'ambiente inquinato e l'eliminazione del danno provocato dal reato.
L'art. 256 del Testo Unico sull'Ambiente, punisce l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata. In base al predetto articolo "chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione,iscrizione o comunicazione" è punito: con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
L'autorizzazione é necessaria sia per le operazioni di smaltimento sia per quelle di recupero, e non hanno alcun valore le autorizzazioni successive in sanatoria, le quali non hanno il potere di disciplinare i fatti ad esse antecedenti.
In particolare, l'art. 208 del testo Unico stabilisce che: "i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda é altresi allegata la comunicazione del progetto all'autorita' competente ai predetti fini".
Entro trenta giorni dal ricevimento della predetta domanda, la Regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d'ambito e degli enti locali interessati. Alla conferenza è invitato a partecipare, con preavviso di almeno venti giorni, anche il richiedente l'autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti.
Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la Conferenza di servizi:
Entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza di servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità urgenza ed indifferibilità dei lavori.
L'autorizzazione detta le opportune condizioni e prescrizioni, chiarendo:
La predetta autorizzazione è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile. A tale fine, almeno 180 (centottanta) giorni prima della scadenza dell'autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni caso l'attività può essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate.
Quando, a seguito di controlli successivi all'avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all'autorizzazione, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, quest'ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell'atto di diffida, l'autorizzazione è revocata.
Il predetto art. 208 del testo Unico stabilisce, inoltre, che l'autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla legge n. 84/1994 e di cui al D. lgs. 182/2003 di attuazione della direttiva 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. Nel caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti, l'autorizzazione delle operazioni di imbarco e di sbarco è disciplinata dai regolamenti comunitari che regolano la materia, dagli accordi bilaterali di cui all'articolo 19 del regolamento CEE n. 259/93 (vedi la regolamentazione dei rifiuti nelle aree portuali).
Le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi non necessitano della predetta autorizzazione, ma, in base ad una procedura semplificata prevista dall'art. 215, possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla competente Sezione regionale dell'Albo nazionale dei gestori ambientali istituito dal precedente art. 212. Anche in tale caso, tuttavia, qualora la Sezione regionale del predetto Albo accerti il mancato rispetto delle norme tecniche da parte del gestore dell'impianto di smaltimento, essa propone alla Provincia di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare la propria attivita' alla normativa vigente.
Una particolare ipotesi di violazione del divieto di autorizzazione è contenuta nel terzo comma dell'art. 256, che sanziona la realizzazione e gestione di discarica abusiva: "Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se la discarica è destinata,anche in parte,allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell'art.444 del c.p.p. consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi".
Secondo la Corte di Cassazione, ci si trova di fronte alla realizzazione di discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti (Cass. Sez. III, sent. n. 4260 del 15 aprile 1991).
L'art. 257 del Testo Unico, come modificato dal d.lgs. 8 novembre 1997 n. 389, stabilisce che: "Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente".
Difatti, a norma dell'art. 242 del Testo Unico, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento deve mettere in opera immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e deve svolgere, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento. All'esito di tale indagine, ove il responsabile dell'inquinamento accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, deve provvedere al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione.
Qualora, invece, la predetta indagine preliminare accerti l'avvenuto superamento delle CSC, il responsabile dell'inquinamento deve darne immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate, e nei successivi trenta giorni deve presentare alle predette amministrazioni, nonchè alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione. Entro i trenta giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative, e sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. Qualora invece gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito e' superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile deve sottoporre alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l'obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell'ambiente, in sede di approvazione del progetto assicura che i suddetti interventi siano articolati in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione della attività.
Il secondo comma dell'art. 257 del Testo Unico prevede che "si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose".
Il terzo comma prevede che con la sentenza di condanna per le predette contravvenzioni, o con la decisione emessa ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. "il beneficio della sospensione condizionale della pena puo' essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale". Tale previsione conferma che la ratio della norma non è tanto quella di garantire il puntuale adempimento della procedura di bonifica, ma soprattutto quella di difendere e salvaguardare l'ambiente dall'inquinamento.
Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nato nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è un sistema informatico gestito dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente finalizzato a semplificare le procedure e gli adempimenti amministrativi per la gestione dei rifiuti e a combattere il traffico illecito e lo smaltimento illegale. Il Sistema permette l’informatizzazione dell’intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani e modifica completamente il modello di identificazione, registrazione e denuncia dei rifiuti, prevedendo l’iscrizione obbligatoria di specifiche categorie di soggetti individuati dal Decreto ministeriale del 17 dicembre 2009.
Il 14 gennaio 2010 è entrato in vigore il nuovo Sistema Informatico di Tracciabilità dei Rifiuti, previsto dal Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 17/12/2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13/01/2010. La gestione informatica della documentazione sostituisce la tenuta dei registri di carico e scarico (area Registro Cronologico della scheda Sistri), l'emissione dei formulari (area Movimentazione del Rifiuto della scheda Sistri) e prevede, a partire dal 2011, l'abolizione del MUD.
Il tracciamento informatico del percorso dei rifiuti permette un maggior controllo della movimentazione degli stessi. L'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale si realizza tramite l'uso di dispositivi USB personalizzati per ogni sede che produce o gestisce rifiuti e per ogni veicolo a motore che li trasporta. Il dispositivo USB è una chiavetta con firma elettronica che permette l'accesso in sicurezza al sistema informatico Sistri per la trasmissione dei dati e delle informazioni memorizzandole sul dispositivo stesso. Ciascun dispositivo USB può contenere fino ad un massimo di tre certificati elettronici che corrispondono alle firme elettroniche delle persone fisiche individuate come "delegati" durante la procedura di iscrizione al Sistri. Per ogni veicolo a motore adibito al trasporto dei rifiuti oltre alla dotazione di un dispositivo USB è prevista l'installazione di una black box (scatola nera) con la funzione di seguire e verificare il percorso dei rifiuti speciali in tempo reale dal momento in cui sono caricati sul veicolo fino alla destinazione finale.
Il decreto che istituisce e disciplina il SISTRI individua i soggetti (detti operatori) e le attività di produzione, gestione e trasporto di rifiuti (categorie di iscrizione) coinvolte nel processo di informatizzazione e ne definisce le modalità di iscrizione, obbligatoria o facoltativa, secondo determinate tempistiche. In particolare, i seguenti soggetti sono obbligati ad effettuare la registrazione:
E’ la parte quarta del Decreto legislativo 152/2006 (artt. 177-266) a dettare norme in materia di gestione dei rifiuti che, ai sensi dell’art. 178, costituisce attività di pubblico interesse tesa ad assicurare una elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci.
La gestione di un rifiuto può essere considerata come l’insieme delle attività che accompagnano e seguono l’atto del disfarsi di una sostanza o oggetto, partendo dalla fase di produzione del rifiuto e, ancor prima dalla prevenzione di tale produzione, fino alla raccolta, il trasporto, il trattamento (riciclaggio o smaltimento) ed anche il riutilizzo dei materiali di scarto solitamente prodotti dall'attività umana, nel tentativo di ridurre i loro effetti sulla salute dell’uomo e sull’ambiente. Un interesse particolare negli ultimi decenni riguarda la riduzione degli effetti dei rifiuti sulla natura e sull'ambiente e la possibilità di recuperare risorse da essi, e la riduzione della produzione di rifiuti stessi.
La gestione dei rifiuti è effettuata in conformità ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, diresponsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonché del principio chi «inquina paga». A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali.
Articolo 179
(Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti
I Comuni promuovono tutte quelle iniziative tendenti a diminuire la produzione dei rifiuti sia coinvolgendo la popolazione interessata che attraverso adeguati interventi di raccolta differenziata e di recupero dei materiali. I Gestori del servizio hanno l’obbligo di seguire razionalmente l’innovazione tecnologica in materia ambientale e conseguentemente di aggiornare, sotto il profilo tecnico-scientifico il proprio personale, i propri mezzi e le proprie dotazioni, promuovendo la sperimentazione di tutte le forme organizzative che consentano il continuo miglioramento del servizi.
La tutela dell’ambiente marino si sostanza, principalmente, nella lotta al fenomeno dell'inquinamento del mare, dovuto ad una molteplicità di cause, tra cui gli scarichi di oli combustibili provenienti dalle raffinerie o dai lavaggi delle petroliere e le perdite accidentali di idrocarburi che complessivamente incidono, sull'ecosistema marino, in misura inferiore rispetto ai quotidiani sversamenti volontari dei predetti lavaggi di cisterne, o degli scarichi delle acque nere o di sentina. A tali fattori occorre aggiungere l'incidenza degli scarichi di rifiuti civili, agricoli ed industriali.
L'analisi della disciplina posta a tutela dell'ambiente marino non può non riguardare anche la normativa in materia di rifiuti, che chiaramente attiene anche alla tutela ed all'igiene dei litorali e dei porti. Le attività portuali, oltre a risultare dinamicamente collegate ad aspetti di natura economica, sociale, storica e culturale, comportano inevitabili relazioni con l’ambiente, sia costiero che marino. Una gestione incontrollata di tali attività, soprattutto se inserite in aree fortemente antropizzate, potrebbe provocare pericolose ripercussioni sull’ambiente naturale, un continuo aumento del consumo di risorse e dei costi per gestire l’ambiente, una maggiore produzione di rifiuti e una conseguente perdita del valore del porto. Ciò risulta tanto più vero per i porti inseriti in aree di particolare interesse naturalistico o in contesti di particolare vulnerabilità come quello del bacino del mediterraneo.
Il Corpo delle Capitanerie – Guardia Costiera colloca la materia ambientale al centro dell’ordinario spiegarsi dei compiti istituzionali. Tali delicate attribuzioni, risultano ulteriormente consolidatesi, alla luce del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”[1] [18], ed in particolare, dagli articoli 135 e 195, che individuano competenze di natura specialistica del Corpo, nella gestione, rispettivamente, dell’attività di prevenzione ed accertamento dei reati ed illeciti in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e nella repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti. La vigilanza sulle aree di reperimento e monitoraggio della filiera dei rifiuti in ambito terrestre, marino e portuale era costituita, in passato dal D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. decreto Ronchi), il quale aveva recepito tre direttive della CEE (la 91/156 sui rifiuti; la 91/689 sui rifiuti pericolosi e la 94/62 sugli imballaggi), ed aveva abrogato quasi tutta la normativa precedente, rappresentando una svolta fondamentale nella regolamentazione dei rifiuti. Tale decreto, infatti, si ispirava all'idea che l'inquinamento da rifiuti doveva essere fronteggiato non con interventi da collocarsi a valle dei processi di consumo, attraverso il ricorso allo smaltimento in discarica, ma riducendo la quantità' complessiva dei rifiuti prodotti, e favorendo tecnologie di gestione degli stessi orientate al recupero, al riutilizzo e al riciclo. Il testo legislativo ha mostrato delle molteplici carenze normative, che avevano portato all'emanazione nel ’97 del D. Lgs. n. 389 (cd. Rochi - bis) e nel ’98 della Legge n. 426 (cd. Ronchi - ter), finché è intervenuto il sopra citato Testo Unico dell'Ambiente a riordinare integralmente anche tale materia (la Parte IV tratta la gestine dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati). La nuova legge, in conformità con quanto stabilito dalla normativa comunitaria, accorpa infatti tutte le disposizioni emanate successivamente al decreto Ronchi, e riorganizza la disciplina dei consorzi di raccolta attraverso l'introduzione di istituti finalizzati ad assicurare la massima concorrenzialità nella gestione del sistema e consentire di costituire nuovi consorzi.La finalità del decreto sono indicate nell’art. 2 comma 1 nella promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzarsi attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionaòe delle risorse naturali.
L’art. 232 comma 2 del Testo Unico ambientale (D.L.vo 152/2006) richiama, quale disciplina di carattere nazionale relativa ai rifiuti prodotti dalle navi ed ai residui del carico, il D.L.vo 24 giugno 2003 n. 182 (in Gazz. Uff., 22 luglio, n. 168) “Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”. il quale ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva CE 59/2000, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico, finalizzata ad assicurare alle navi che approdano nei diversi porti dell'Unione Europea adeguati sistemi ove poter conferire non solo i rifiuti inevitabilmente prodotti a bordo della nave, ma anche i residui del carico che altrimenti verrebbero eliminati attraverso sversamenti volontari nelle acque marine. E’ composto di 16 articoli e 4 allegati, che definiscono in modo puntuale l’ambito di applicazione e le modalità operative di gestione dei rifiuti navali e dei porti:
Scopo del decreto legislativo è dunque quello di “ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato, nonché di migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli «impianti portuali di raccolta» per i suddetti rifiuti e residui” (art. 1).Una nave, infatti, durante il suo esercizio impatta in maniera significativa sull’ambiente: basti pensare alle operazioni di routine come quella di smaltimento dei rifiuti prodotti a bordo. Lo stesso dicasi per le attività condotte nei porti, che generano rifiuti anche di natura pericolosa. Tali impianti vengono definiti dall'art. 2, comma 1, lett. e) come strutture, che possono essere fisse, galleggianti o mobili all'interno del porto dove, prima del loro avvio al recupero o allo smaltimento, possono essere conferiti i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico.
Esso si applica (art. 2) a tutte le navi, comprese le unità da diporto ed i pescherecci facenti scalo o operanti in un porto dello Stato, indipendentemente dalla bandiera. Si applica inoltre ai porti dello Stato ove fanno scalo dette navi. Sono invece escluse le navi militari da guerra ed ausiliarie o altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali ai fini non commerciali, ma è previsto che, con decreto ministeriale, siano stabilite le misure necessarie ad assicurare che le navi militari da guerra ed ausiliarie e le navi delle forze di polizia ad ordinamento civile conferiscano rifiuti ed i residui del carico in conformità alla normativa vigente in materia, tenuto conto delle specifiche prescrizioni tecniche previste per dette navi e delle caratteristiche di ogni unità. Ed infatti, con D.M. 19 marzo 2008, recante “Misure necessarie per il conferimento da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali, ai sensi dell’articolo 3, commi 1 e 2 del decreto legislativo 24 giuno 2003, n. 182”, sono state stabilite le misure necessarie per il conferimento, da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali.
Occorre sottolineare che già dalle predette previsioni relative agli obiettivi della norma, ed alla definizione degli impianti di raccolta, emerge chiaramente come il decreto legislativo 182/2003 si occupi della gestioni dei rifiuti del sistema "nave-porto", e non del servizio di pulizia, raccolta rifiuti e disinquinamento del porto. Per ciò che attiene a tale servizio, viene in evidenza, oltre alla disciplina generale sui rifiuti sopra esaminata, il decreto del Ministero dei Trasporti del 14/11/1994, il quale ha individuato vari servizi portuali di interesse generale (servizi di illuminazione, idrici, informatici, telematici), tra cui, per l'appunto, i servizi di pulizia, raccolta dei rifiuti e disinquinamento del porto. In base a tale provvedimento la pulizia di tutti gli spazi terrestri non coperti situati entro l'ambito portuale, compresi quelli utilizzati da soggetti terzi, imprese o utenti portuali viene affidata ad imprese competenti a seguito di gara pubblica indetta dall'Autorità Portuale o, dove non istituita, dall'Autorità Marittima. Il predetto decreto ministeriale in precedenza regolava anche l'attività di pulizia e raccolta di rifiuti provenienti dalle navi in sosta nel porto, che ora invece ha trovato una disciplina ad hoc con il D.Lgs 182/03.
Pertanto, per i rifiuti della nave ed i residui del carico, si applica il Decreto 182/03, e le relative norme concernenti il conferimento, l'obbligo di notifica ed il regime tariffario, mentre per i rifiuti derivanti dalla pulizia degli specchi acquei e terrestri la principale fonte giuridica di riferimento è il nuovo Testo Unico sull'Ambiente, per la parte relativa alla disciplina dei rifiuti (prima regolata dal D.Lgs 22/97), oltre alla L. 84/94 (riordino della legislazione in materia portuale) ed al predetto D.M. 14/11/94.
Particolare importanza riveste, inoltre, la Marpol 73/78, ossia la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento dalle navi. Tale convenzione fu elaborata per rispondere alla necessità di controllare e limitare il rilascio accidentale e deliberato in mare di idrocarburi ed altre sostanze pericolose, fra cui i rifiuti (ad essi è dedicato l’Annesso V).
[1] [18] Tale Decreto, emanato in attuazione della Legge 308/2004 “delega ambientale” che a sua volta è stato oggetto di interventi correttivi, l’ultimo dei quali effettuato con il D. Lgs. 29/06/2010, n. 128. e recante “norme in materia ambientale”, dedica la parte IV alle “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” (articoli 177 – 266) ed ha abrogato una serie di provvedimenti precedenti tra cui il Decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, cosiddetto Decreto Ronchi, che fino alla data di entrata in vigore del D.lgs. 152/06 ha rappresentato la legge quadro di riferimento in materia di rifiuti. La gerarchia di gestione dei rifiuti è disciplinata dall’art. 179 del D.Lgs. 152/06 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti” che stabilisce quali misure prioritarie la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti seguite da misure dirette quali il recupero dei rifiuti mediante riciclo, il reimpiego, il riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie, nonché all’uso di rifiuti come fonte di energia.
Il Decreto quindi persegue la linea già definita dal Decreto “Ronchi”, ovvero la priorità della prevenzione e della riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, a cui seguono solo successivamente il recupero (di materia e di energia) e quindi, come fase residuale dell’intera gestione, lo smaltimento (messa in discarica ed incenerimento).
I rifiuti portuali sono classificati in:
- plastica;
- ï€ materiale di imballaggio, tessuti;
- prodotti cartacei, stracci, metalli, bottiglie, terracotta;
- rifiuti alimentari;
- cenere proveniente da inceneritore.
Nell’Allegato 1 è riportato un elenco esemplificativo e non esaustivo, dei principali codici CER relativi alle tre macro-categorie di rifiuti portuali sopra elencate.
Elenco dei possibili rifiuti prodotti dalle navi
(Elenco non esaustivo)
Elenco dei possibili rifiuti prodotti dalle navi
(Elenco non esaustivo)
Elenco dei possibili rifiuti genericamente prodotti nell’area portuale
(Elenco non esaustivo)
Elenco dei possibili rifiuti derivanti dalla pulizia delle aree comunie degli specchi acquei portuali
(Elenco non esaustivo)
Per «gestione dei rifiuti» si intende l'insieme delle politiche volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro sorte finale. Per ciascun porto è elaborato un «piano di raccolta e di gestione dei rifiuti». Il piano è valutato e approvato dallo Stato membro interessato. Si procede ad una nuova approvazione almeno ogni tre anni.
Il Piano di gestione sostenibile dei rifiuti portuali ha come obiettivo principale quello di fornire una dettagliata descrizione del servizio relativo dell’intero «ciclo di gestione» rifiuti, e coinvolge quindi la raccolta, la differenziazione, il trasporto, il trattamento (reiciclaggio o smaltimento) e anche il riutilizzo dei materiali di scarto, nel tentativo di evitare che vi siano dispersioni in mare di detti rifiuti, prevenendo così l’inquinamento dell’ambiente marino.Nel Piano è inoltre riportata una breve descrizione o un semplice elenco della normativa presa in riferimento per l’elaborazione. A titolo esemplificativo e non esaustivo, le norme internazionali, europee ed italiane, sono:
• Direttiva 91/156/CEE;
• Direttiva 91/689/CEE;
• Direttiva 94/62/CE;
• Direttiva 2000/59/CE;
• D.Lgs. n. 152/2006;
• D.Lgs. n. 182/2003.
Numerosi Protocolli, Convenzioni e Accordi sono stati siglati fra Stati per tutelare i mari e, nello specifico della «gestione dei rifiuti» prodotti dalle navi, è stata adottata in particolare la Direttiva 2000/59/CE che regolamenta anche i residui di carico delle stesse e si propone di perseguire due obiettivi: la semplificazione e la migliore efficacia della Convenzione MARPOL 73/78, ponendosi anche come collegamento fra la stessa e la normativa di riferimento in materia di rifiuti rappresentata dalla Direttiva 95/21/CE[1] [18].
La Direttiva 2000/59/CE, in aggiunta alle prescrizioni previste a livello internazionale, prevede delle disposizioni più restrittive (anche se il suo ambito territoriale di applicazione è limitato alle navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri a prescindere dalla loro bandiera) ed inoltre definisce, in termini univoci, che, a prescindere dalla definizione data a livello internazionale, anche i residui del carico (e le acque reflue) sono da considerarsi rifiuti ed essi, pertanto, ricadono nell’ambito di competenza della normativa in materia (per esempio per ciò che riguarda le regole sulla loro circolazione, i procedimenti autorizzatori, ecc.). In realtà anche la Convenzione MARPOL 73/78 prevede la realizzazione, “al più presto”, di impianti di raccolta per residui di idrocarburi e per ricevere e trattare la zavorra inquinata e le acque di pulitura delle cisterne delle petroliere, acque di scarico e i rifiuti (definiti nell’Allegato V), ma solo nella Direttiva 2000/59/CE si prevedono misure specifiche da realizzare a scadenze predeterminate.
Un’altra peculiarità della Direttiva è che, rispetto ai tempi lunghi rimessi al potere discrezionale delle parti sottoscriventi la Convenzione, adotta disposizioni più stringenti che incidono non solo, come si è detto, sulla circolazione, trattamento e recupero dei rifiuti prodotti da navi, ma soprattutto su:
Con questa Direttiva si è creato un sistema di prescrizioni che mira a raggiungere un elevato grado di tutela attraverso regole di incentivazione (giuridiche, tecniche e finanziarie) sul conferimento agli impianti portuali, riducendo così gli scarichi in mare dei rifiuti e dei residui di carico, provenienti da tutti i tipi di navi, sia che si tratti di scarichi leciti, ma soprattutto illeciti.
E’ importante rilevare che, nonostante il carattere di “linea guida” della Direttiva in oggetto, la stessa prevede già un meccanismo coercitivo che si sostanzia in ispezioni da parte dell’autorità competente nel sito portuale, il cui esito negativo può dar luogo al divieto di lasciare il porto, al quale si possono aggiungere sanzioni economiche specifiche previste dal singolo Stato membro.
In conclusione l’Unione Europea ha adottato un approccio incisivo per la protezione del mare da scarichi di rifiuti e residui provenienti da navi, attraverso un meccanismo di regole, non solo repressive, ma anche incentivanti, che rendono più agevole e più conveniente, per i Comandanti delle navi, conferire rifiuti e residui ai porti piuttosto che scaricare in mare, sia quando rischiano una pena per fatto illecito, sia quando lo scarico sarebbe consentito dalle Convenzioni internazionali e le relative leggi nazionali di ratifica.
In Italia la «gestione dei rifiuti» è regolamentata dal D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, “Norme in materia ambientale” come modificato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, dove, nella Parte IV, vengono descritti tutti gli obblighi e vincoli previsti per il settore rifiuti. Lo stesso decreto prevede l’abrogazione di numerose norme fra cui il D.Lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997, che per anni ha rappresentato il principale testo di legge del settore.
I rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico sono regolamentati da un apposito decreto legislativo e precisamente dal D.Lgs. n. 182/2003 con il quale è stata recepita la citata Direttiva Comunitaria n° 2000/59/CE. Le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 182/2003 sono state confermate dal D.Lgs. n. 152/2006 nell’art 232.
Il D.Lgs. n. 182/2003 si applica a tutte le navi, compresi i pescherecci e le imbarcazioni da diporto (a prescindere dalla loro bandiera) che fanno scalo o operano in un porto dello Stato ed ai porti dello Stato ove fanno scalo le suddette navi. Il Decreto Legislativo n. 182 non si applica alle navi militari da guerra ed ausiliarie o di altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali a fini non commerciali.
Rispetto alla Direttiva 2000/59/CE, il decreto legislativo 182/03, amplia il concetto di gestione dei rifiuti, introducendo, a fianco alla previsione di impianti portuali, la fornitura di servizi per la raccolta e gestione dei rifiuti, adeguati alla classificazione del porto e al traffico di navi che scalano il medesimo porto.
In attuazione delle citate disposizioni sopranazionali, con D.Lgs. del 24 giugno 2003 n. 182, sono state emanate norme di dettaglio la cui applicazione è demandata alle Autorità marittime e alle regioni.
La disciplina prevista nel D. Lgs. 182/2003 si applica a tutte le navi di qualsiasi tipo (inclusi aliscafi, aircraft (2 NOTA), sommergibili e galleggianti), compresi i pescherecci e le unità da diporto, a prescindere dalla loro bandiera, ai porti dello Stato ove fanno scalo o operano le predette unità, ad esclusione delle navi militari da guerra ed ausiliarie o di altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali a fini non commerciali" (art. 3). Obiettivo del decreto è quello di ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti ndalle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato, nonché di migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli impianti portuali di raccolta per i suddetti rifiuti e residui.
[1] [18] In ambito comunitario la norma di riferimento in materia di rifiuti è rappresentata dalla Direttiva 91/156/CEE , la quale, fra l’altro, prevede che:
[2] [18] veicoli a cuscino d'aria
Il Piano di gestione sostenibile dei rifiuti portuali - adeguato ad ogni singola realtà portuale - contiene tutte le “informazioni” [1] [18] richieste dalla Direttiva 2000/59/CE e relative ad un Piano per la raccolta e gestione dei rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico, e, in aggiunta, prende in considerazione anche le altre tipologie di rifiuti normalmente raccolti in un porto. L’obiettivo che si intende perseguire con l’elaborazione di un Piano di gestione sostenibile dei rifiuti portuali è di predisporre una gestione unitaria ed integrata di tutti questi rifiuti, in grado di assicurare alti livelli di protezione per la salute e la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.
â–º Esso si applica ai rifiuti:
Sono esclusi dal campo di applicazione del Piano i rifiuti provenienti da:
Peraltro, per quanto attiene alle "navi militari" da guerra ed ausiliarie e le navi «in servizio governativo» delle forze di polizia ad ordinamento civile, con decreto ministeriale, D.M. 19 marzo 2008, recante “Misure necessarie per il conferimento da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali, ai sensi dell’articolo 3, commi 1 e 2 del decreto legislativo 24 giuno 2003, n. 182”, sono state stabilite le misure necessarie per il conferimento dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali, in conformità alla normativa vigente in materia, tenuto conto delle specifiche prescrizioni tecniche previste per dette navi e delle caratteristiche di ogni unità.
Quanto alle modalità di gestione degli impianti portuali di raccolta previsti dal D. Lgs. 182/2003, è stabilito che l’Autorità portuale, previa consultazione delle parti interessate e, in particolare, degli enti locali, dell’Ufficio di sanità marittima e degli operatori dello scalo o dei loro rappresentanti, elabori un «piano di raccolta dei rifiuti» prodotti dalle navi e dei residui del carico, il quale va poi approvato dalla regione che provvede ad integrarlo con il piano regionale di gestione rifiuti. Il riferimento è effettuato, dall’articolo, al D.L.vo 22/1997 ma, come già osservato riguardo ad altri richiami alla previgente normativa, stante la sostanziale continuità tra le diverse disposizioni, deve intendersi ora riferito all’articolo 196 del D.L.vo 152/2006.
In attuazione del piano, è prevista, con onere a carico del gestore del servizio, la realizzazione di impianti e di servizi portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico adeguati in relazione alla classificazione dello stesso porto (laddove adottata ovvero in relazione al traffico registrato nell'ultimo triennio), al fine di assicurare il rapido conferimento di detti rifiuti e residui, evitando ingiustificati ritardi e garantendo nel contempo standard di sicurezza per l'ambiente e per la salute dell'uomo raggiungibili con l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili (articolo 4).
La capacità degli impianti portuali di raccolta realizzati, siano essi strutture fisse, mobili o galleggianti, è commisurata alla tipologia ed al quantitativo di rifiuti prodotti da navi e di residui del carico provenienti dalle navi che in via ordinaria approdano nel porto, tenuto conto delle esigenze operative degli utenti dello scalo, dell'ubicazione geografica e delle dimensioni del porto, della tipologia delle navi che vi fanno scalo e deve essere conforme a quanto previsto nel piano di raccolta e piano di gestione dei rifiuti disciplinati dall'art. 5 del D. Lgs. 182/03, nonché delle esenzioni di cui all'articolo 7, comma 1. Tali impianti devono inoltre conformarsi alle vigenti disposizioni di sicurezza e di prevenzione incendi (es. D.Lgs. n. 81/2008, “Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”).E’ opportuno rilevare che, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 81/1994, il soggetto pubblico o privato che intenda realizzare un impianto fisso di raccolta deve preventivamente ottenere il rilascio di una «concessione demaniale» da parte dell’Autorità portuale, limitatamente agli scali marittimi ove la stessa sia stata istituita. Tale autorizzazione tuttavia non è da sola sufficiente ai fini dell’espletamento delle attività di raccolta rifiuti: è altresì necessario, infatti, l’ottenimento dell'autorizzazione rilasciata dalla Regione competente per territorio, la cui validità è di 5 anni (cfr. artt. 208 e ss. D.Lgs. n. 152/2006).
[1] [18] Per definire le tipologie e le quantità dei rifiuti portuali è necessario preliminarmente acquisire le seguenti informazioni:
Le tipologie di navi che normalmente scalano in un porto possono dividersi in:
Le prime hanno una produzione di rifiuti varia, comprendente i residui oleosi liquidi o fangosi, i rifiuti assimilabili agli urbani prodotti dall’equipaggio e dall’attività di bordo, e i residui del carico o associati al carico trasportato.
Le navi passeggeri invece hanno una produzione rilevante di rifiuti urbani/assimilabili, mentre pescherecci e imbarcazioni da diporto hanno una produzione limitata di tutte le tipologie di rifiuti.
Per valutare i traffici marittimi devono essere considerati:
Questi dati possono essere reperiti presso le locali Autorità Marittime e/o Autorità Portuali.
Per i rifiuti derivanti dalla pulizia delle aree comuni e degli specchi acquei portuali dovranno essere chiaramente delimitate:
Queste informazioni preliminari saranno utilizzate per determinare l’origine dei diversi rifiuti portuali e dovranno essere associate ai dati relativi ai loro quantitativi, recuperati tramite la consultazione dei Moduli di notifica per i rifiuti prodotti dalle navi, dei MUD e dei soggetti concessionari del servizio di raccolta per le altre due tipologie di rifiuti.
In base a quanto stabilito all’art. 6 del D.Lgs. n. 182/2003, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazine di bandiera, diretta verso un porto italiano deve provvedere a trasmettere, all’Autorità competente nel porto (Autorità portuali o, laddove non istituite, le Autorità marittime), il «modulo di notifica». Sfuggono alla regola le navi militari da guerra ed ausiliarie o altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali a fini non commerciali, i pescherecci, le unità da diporto omologate per un massimo di 12 passeggeri e le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari. Anche i mezzi che svolgono attività di raccolta e di trasporto di rifiuti nell’ambito e per conto del proprio impianto portuale di raccolta e che ne costituiscono parte integrante non sono tenuti a comunicare la predetta notifica.
Nella notifica vanno riportate le quantità e la tipologia di rifiuti e residui trasportati, indicando quanti di questi debbono essere conferiti o trattenuti a bordo, oltre alla percentuale della capacità massima di stoccaggio possibile consentita della nave.
Per compiere un esame dei dati sui rifiuti contenuti nelle notifiche si possono verificare:
In merito alle acque di sentina e ai rifiuti da cucina e mensa, si sottolinea che sembra consuetudine per le navi scaricare questi rifiuti direttamente in mare in conformità con le procedure sancite dalla Convenzione MARPOL 73/78.
Gli obblighi di notifica della situazione relativa ai rifiuti a bordo da smaltire, di cui trattano le disposizioni generali in materia di rifiuti, sono imposti, entro i limiti temporali rigorosi, al Comandante della nave diretta verso un porto situato nel territorio nazionale mediante compilazione di «apposito modulo» da consegnarsi all’Autorità marittima competente.
Il modello dovrà essere trasmesso all’Autorità marittima comtetente almeno 24 ore prima dell'arrivo nel porto di scalo, se detto porto è noto. Qualora il porto di scalo venga conosciuto a meno di 24 ore dall'arrivo, la predetta notificazione va effettuata non appena il porto di scalo è noto. Se la durata del viaggio è inferiore a 24 ore, tale notificazione va effettuata prima della partenza dal porto di scalo precedente. A notifica avvenuta, l'Autorità marittima trasmette i dati all'Autorità portuale, laddove istituita, al gestore dell'impianto di raccolta, all'ufficio di sanità marittima ed agli uffici veterinari.
Non sono sottoposti al predetto obbligo di notifica i pescherecci e le unità da diporto, omologate per un massimo di 12 passeggeri, dovendosi intendere però tale limite non comprensivo del numero dei componenti l'equipaggio.
Ricevuta la notifica, l'Autorità Marittima trasmette a sua volta i dati all'Autorità portuale, laddove istituita, al gestore dell'impianto di raccolta, agli uffici di Sanità Marittima ed agli Uffici Veterinari di porto. Le navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari possono fornire le informazioni di cui sopra cumulativamente all'Autorità Marittima dello scalo di conferimento dei rifiuti.
Il MUD (Modello Unico di Dichiarazione ambientale) deve essere obbligatoriamente compilato da chiunque effettua a titolo professionale o svolge attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione, ovvero svolge operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi ed i consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuti (rif. art. 189, comma 3 del D.Lgs. n. 152/2006).
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 i produttori di rifiuti non pericolosi (industria, commercio, artigianato e servizi) non hanno più l’obbligo di presentare il MUD (art. 189) e pertanto non sarà più possibile quantificare tali rifiuti con questa modalità; è comunque consigliabile ricercare alcuni dati storici sui rifiuti portuali non pericolosi analizzando i MUD relativi agli anni precedenti il 2005.
I dati derivanti dai MUD, riferiti a periodi di un anno, anche se acquisiti in modo indiretto, permettono di:
E’ possibile reperire numerose informazioni sui rifiuti portuali anche consultando i differenti soggetti concessionari dei servizi di raccolta. I dati andrebbero distinti considerando:
Nel caso in cui siano disponibili solo dati parziali sarà necessario compiere, in collaborazione con le ditte medesime, una stima dei quantitativi di rifiuti portuali mediamente raccolti basandosi sul numero di conferimenti effettuati presso gli impianti portuali, sul numero e dislocazione dei cassonetti presenti nell’area, sulla frequenza media di svuotamento annuale e sul quantitativo medio di rifiuti raccolti (kg) con ogni svuotamento, le principali tipologie di rifiuti raccolte, non sottovalutando le variabilità stagionali in porti soggetti a flussi turistici di passeggeri.
In ogni caso è buona prassi che, in fase di affidamento dei servizi di raccolta dei rifiuti portuali, l’Autorità competente nel porto preveda che i soggetti incaricati comunichino periodicamente informazioni dettagliate circa la provenienza, quantità e tipologie dei rifiuti portuali raccolti.
Un esempio di come organizzare i dati raccolti relativi a questi rifiuti è riportato nella Tabella seguente:
Schema tipo per il riepilogo delle informazioni raccolte presso le ditte concessionarie
dei servizi di raccolta
Le modalità con cui vengono raccolti i rifiuti portuali sono differenti a seconda della loro provenienza. Sono descritte di seguito le procedure adottate per:
L’art. 7 comma 1 del D.Lgs. n. 182/2003 stabilisce le modalità di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave e quelle di conferimento dei residui del carico (articolo 10).
Il comandante della nave, ogniqualvolta lascia il porto di approdo, conferisce i rifiuti prodotti dalla nave all'impianto portuale di raccolta prima di lasciare il porto, salvo il caso di navi in servizio di linea con scali frequenti e regolari. Tuttavia, la nave può proseguire verso il successivo porto di scalo senza avere adempiuto in deroga a tale prescrizione previa autorizzazione dell'Autorità marittima, che avvalendosi dell'Autorità sanitaria marittima e del chimico del porto, ove presenti, abbia accertato che la stessa nave abbia una capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti ed accumulati e per quelli che saranno prodotti fino al momento dell'arrivo presso il successivo porto di conferimento. Il conferimento dei rifiuti e dei residui ad un impianto di raccolta deve avvenire in conformità alle disposizioni della Convenzione Marpol 73/78.
L'Autorità competente, qualora ritenga che nel porto di conferimento previsto non siano disponibili impianti adeguati o nel caso in cui detto porto non sia conosciuto e sussista il rischio che i rifiuti vengano scaricati in mare, richiede alla nave di conferire i rifiuti prodotti prima di lasciare il porto.
Dunque la predetta deroga è subordinata dalla legge all'attività di controllo dell'Autorità Marittima, che è l'organo deputato ad effettuare i controlli in materia di Port State Control (PSC).
Ai rifiuti sanitari ed ai rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali si applicano le disposizioni vigenti in materia. Per quanto riguarda i residui del carico (art. 10) il comandante della nave che fa scalo nel porto li conferisce ad un impianto di raccolta in base alle disposizioni della convenzione Marpol 73/78 e dei relativi allegati I, II, II, IV e V (riguardanti le merci inquinanti, le sostanze liquide nocive, le sostanze dannose, le acque reflue e quelle di sentina, ed i rifiuti associati al carico); tali residui saranno avviati in via prioritaria al riciclaggio ed al recupero nel rispetto della normativa vigente.
Per assicurare il rispetto delle norme sopra descritte, l’art. 11 prevede che l'Autorità marittima esegua delle ispezioni. Nella scelta delle navi da ispezionare, l'Autorità marittima si interessa in particolare:
L’attività di accertamento consiste nella valutazione del «modulo di notifica» e della capacità di stoccaggio dei rifiuti a bordo in funzione degli spazi disponibili, della durata del viaggio nonché delle possibilità di successivo conferimento.
Qualora l'Autorità marittima accerti la violazione degli articoli 7 e 10, essa provvede affinché la nave non lasci il porto fino al conferimento dei rifiuti e dei residui del carico all'impianto di raccolta, in misura tale da ottemperare ai citati articoli. Nell’ipotesi in cui la nave contravvenga al divieto di lasciare il porto, l'Autorità marittima informa immediatamente l'Autorità marittima del successivo porto di scalo.
I Comandanti delle navi dirette verso un porto situato nel territorio italiano o di un altro Stato Membro della Comunità Europea devono comunicare e trasmettere all’Autorità competente nel porto di scalo tutte le «informazioni» inerenti i rifiuti prodotti dalla nave e dai residui del carico mediante la compilazione del «modulo di notifica» (Allegato). Tale modello, debitamente compilato in ogni sua parte può essere inviato anche a cura dell’Agenzia marittima della nave.
La tempistica dell’invio della notifica da parte del Comandante della nave è la seguente:
Il servizio di raccolta dei rifiuti può essere organizzato per erogare le prestazioni in modo continuativo (ad esempio dalle 8.00 h alle 24.00 (16 h) o 24 h su 24 h) in base alle esigenze del porto e alla regolamentazione locale; inoltre è possibile definire delle modalità operative per organizzare il servizio anche su chiamata ossia in seguito a necessità esplicitamente comunicate dal Comandante della nave. Il personale operativo deve essere in numero sufficiente ed adeguatamente formato per garantire l’efficacia del servizio.
Le fasi operative per la raccolta dei rifiuti distinti per tipologia, provenienti dalle navi soggette a notifica
â–ºRifiuti prodotti dalle attività di bordo
I rifiuti prodotti dalle attività di bordo (assimilabili agli urbani, alimentari e altri non speciali e non pericolosi) devono essere, differenziati per tipologia dal personale di bordo, per permettere un corretto conferimento. Compiute le fasi di accertamento preliminare del quantitativo e della tipologia, il ritiro dei rifiuti può avvenire, da parte del personale addetto al servizio, via terra o via mare a seconda se la nave si trova in all’ormeggio o in rada:
Ultimate le operazioni di ritiro, sia via terra che via mare:
â–º I rifiuti alimentari provenienti dai Paesi Extra U.E. collocati in appositi contenitori, devono essere smaltiti in impianti di incenerimento o in discarica previa sterilizzazione da effettuarsi secondo le modalità tecniche indicate nell’art. 4 comma 3 del Decreto del Ministero della Sanità del 22 maggio 2001; ai sensi dello stesso Decreto la vigilanza relativa all’attività di sbarco e raggruppamento di detti rifiuti e l’attività di sterilizzazione, all’interno del sedime portuale, è esercitata dagli Uffici di Sanità Marittima ed Aerea e dagli Uffici Veterinari di Porto.
â–º Oli esauriti e residui oleosi
Il servizio di raccolta degli oli esauriti e di altri residui oleosi si svolge utilizzando un autocarro con cisterna scarrabile o gli altri appositi mezzi nautici qualora la nave sia in rada. Le cisterne/contenitori/serbatoi devono essere provvisti di sistemi di chiusura e di dispostivi atti ad effettuare, in condizioni di sicurezza, le operazioni di riempimento, travaso e svuotamento. Tali sistemi devono essere dotati di dispositivi di antitraboccamento o di tubazioni di troppo pieno, devono inoltre prevedere indicatori di livello e sfiati captati ed abbattuti da un idoneo sistema di abbattimento. Le manichette e i raccordi dei tubi devono essere mantenuti in perfetta efficienza per evitare dispersioni nell’ambiente.
I liquidi possono essere pompati direttamente dal bordo della nave o dalla ditta concessionaria, sia che la nave sia in rada o all’ormeggio:
Ultimate le operazioni di ritiro:
â–º Rifiuti speciali pericolosi e non
I rifiuti speciali, pericolosi e non, dovranno essere conferiti in appositi contenitori e opportunamente identificati in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente, evitando la miscelazione perché espressamente vietata. Compiute le fasi di accertamento preliminare del quantitativo e della tipologia, il ritiro dei rifiuti si svolge utilizzando un autocarro autorizzato con idoneo cassone.
Ultimate le operazioni di ritiro:
Fra i rifiuti speciali, pericolosi e non, possono rientrare anche i rifiuti sanitari il cui conferimento deve avvenire in sacchetti distinti; in caso di rifiuti a rischio infettivo gli stessi dovranno essere conferiti in appositi contenitori. La normativa di riferimento per i rifiuti sanitari è il Decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 15 luglio 2003 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179”.
â–º Acque nere
Il servizio si svolge utilizzando un autocarro con cisterna scarrabile o gli altri appositi mezzi nautici qualora la nave sia in rada. I liquidi possono essere pompati direttamente dal bordo della nave o dalla ditta concessionaria (Vedi fasi operative Oli esauriti e residui oleosi) Al riempimento della cisterna il personale addetto al servizio si recherà presso un apposito impianto di depurazione per lo scarico dei rifiuti.
â–º Utilizzo di mezzi nautici e terrestri
Il ritiro dei rifiuti dalle navi soggette a notifica si attua attraverso l’utilizzo di mezzi nautici e terrestri. La prevalenza del ritiro dei rifiuti con mezzi nautici rispetto a quelli terrestri può trovare la sua ragione in base alle caratteristiche geografiche dell’area portuale, ai luoghi di ancoraggio delle navi che stazionano nel porto e al posizionamento delle banchine. Ad esempio nel caso di navi in rada la ditta dovrà provvedere al ritiro in loco dei rifiuti utilizzando mezzi nautici.
I possibili mezzi nautici e terrestri utili per il ritiro dei rifiuti sono di seguito elencati.
• Mezzi Nautici
• Mezzi terrestri
I mezzi nautici devono risultare conformi alle specifiche prescrizioni stabilite dalla vigente normativa ed essere abilitati allo svolgimento del relativo servizio, con particolare riferimento al trasporto di rifiuti pericolosi e all’indicazione della relativa classe. Ogni mezzo nautico è sottoposto a revisione e controllo periodico dal Registro Italiano Navale (RINa) per il rinnovo dell’abilitazione alla navigazione e dall’Autorità competente nel porto per la sicurezza.
I mezzi terrestri sono sottoposti ad autorizzazione e le ditte che effettuano il trasporto di rifiuti, pericolosi o non, devono essere in possesso dell’iscrizione all’Albo Nazionale gestori ambientali (in ottemperanza all’art. 212 del D.Lgs. n. 152/2006) e alle revisioni periodiche previste dalla legislazione in materia di trasporti (revisione annuale presso la MCTC – Motorizzazione Civile e Trasporti in Concessione).
Modulo di dichiarazione contenente le informazioni da notificare prima dell’entrata nel porto, come previsto nell’Allegato 3 del D.Lgs. n. 182/2003
L’art. 6 del decreto stabilisce infatti che il comandante deve notificare all’Autorità Marittima riportandoli sul citato modulo i seguenti dati:
Nel caso in cui si intende scaricare tutti i rifiuti, bisogna compilare la seconda colonna come occorre. Se si intende scaricare alcuni rifiuti o nessun rifiuto, bisogna completare tutte le colonne.
(1) Può trattarsi di stime
(*) Contrassegnare la casella appropriata
Note:
Tali informazioni possono essere usate per i controlli degli Stati di approdo e per altri scopi connessi con le ispezioni.
Il presente modulo deve essere compilato in ogni sua parte, salvo nel caso previsto all’art. 6, comma 3 del D.Lgs. n. 182/2003.
Io sottoscritto ………………………………… dichiaro che le suddette informazioni sono corrette e che a bordo vi è una capacità dedicata sufficiente per stoccare tutti i rifiuti prodotti tra il momento della notifica ed il successivo porto in cui saranno conferiti rifiuti.
Data ………………………….
Ora …………………………….. Firma
…………………………..
Schema tipo di un “Buono di prestazione “
I Comandanti delle navi non soggette a notifica (pescherecci e unità da diporto fino a 12 passeggeri), dovranno provvedere ad organizzarsi autonomamente per consegnare i rifiuti prodotti. I rifiuti derivanti dalle normali attività di bordo, non pericolosi, potranno essere conferiti presso appositi cassonetti dislocati nell’area e/o presso gli impianti portuali di raccolta, in cui saranno presenti anche opportuni cassonetti dedicati alla raccolta delle frazioni differenziate (carta, plastica, vetro, metalli, ecc.). I rifiuti speciali, pericolosi e non, e gli oli esauriti e residui oleosi dovranno essere obbligatoriamente conferiti presso gli impianti di raccolta portuali negli orari stabiliti dall’Autorità competente nel porto, previa concertazione con gli operatori interessati.
Diversamente, per le acque nere, dovrà essere predisposto un idoneo servizio per il loro prelievo, utilizzando un autocarro con cisterna scarrabile. I liquidi possono essere pompati direttamente dal bordo delle imbarcazioni o dalla ditta concessionaria (Vedi fasi operative Oli esauriti e residui oleosi descritte per il ritiro dei rifiuti provenienti da navi soggette a notifica).
Al riempimento della cisterna il personale addetto al servizio si recherà presso un apposito impianto di depurazione per lo scarico dei rifiuti. I conferimenti presso gli appositi impianti di raccolta avverranno in determinati orari di apertura e alla presenza di un responsabile appositamente individuato dal soggetto concessionario del servizio, che avrà l’incarico di verificare, e registrare la provenienza dei conferimenti e rilasciare il buono di conferimento.
I rifiuti indifferenziati devono essere raccolti mediante appositi involucri protettivi in modo da evitare qualsiasi dispersione o cattivi odori e conferiti, a cura del produttore, presso i cassonetti predisposti. Per le frazioni di rifiuti recuperabili deve essere vietata la possibilità di conferimento presso i cassonetti destinati al rifiuto indifferenziato.
Il servizio dovrà essere assicurato tutti i giorni lavorativi e dovranno essere predisposte misure particolari in caso di festività infrasettimanali o festività multiple.
I rifiuti oggetto di raccolta differenziata sono, a titolo esemplificativo:
Il produttore dovrà provvedere alla preventiva selezione dei suddetti materiali alla fonte ed al successivo conferimento nell’apposito contenitore in base alle frazioni per cui lo stesso è destinato. Nel caso in cui i quantitativi e la pezzatura di detti rifiuti superino le capacità dei contenitori e per i rifiuti pericolosi (batterie esauste, prodotti tossici e/o infiammabili), possono essere previsti conferimenti su chiamata concordati con il soggetto concessionario del servizio.
Modalità particolari saranno invece adottate per i rifiuti costituiti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) che, in conformità a quanto previsto dal D.Lgs. n. 152/2005, dovranno essere consegnati ad un rivenditore contestualmente all’acquisto di un bene di tipologia equivalente; nel caso in cui non avvenga l’acquisto contestuale di un bene equivalente potranno essere conferiti, previo accordo, al soggetto concessionario del servizio.
I rifiuti derivanti dalla pulizia delle aree comuni e degli specchi acquei portuali possono essere, in via ordinaria, raccolti da un unico soggetto concessionario del servizio di raccolta.
Le aree portuali comuni sottoposte a pulizia e spazzamento sono:
Chi effettua operazioni di carico e scarico di merci o altri materiali non deve rilasciare rifiuti di qualsiasi genere sull’area di uso comune e dovrà provvedere, ad operazioni ultimate, alla pulizia dell’area stessa.
La pulizia degli specchi acquei potrà essere periodica o avvenire “su chiamata” e si svolgerà con l’ausilio di appositi mezzi nautici in grado di recuperare i rifiuti galleggianti. Date le usuali caratteristiche dei rifiuti raccolti dagli specchi acquei (es. legno, polistirolo, plastiche) è possibile prevedere una loro differenziazione, con successivo avvio a recupero.
In un porto, in via ordinaria ed anche in conformità all’art. 4 del D.Lgs. n. 182/2003, devono essere presenti impianti e servizi portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico opportunamente dimensionati e gestiti in relazione alla classificazione dello scalo stesso, dei servizi presenti nel portoe alle tipologie e frequenze dei traffici marittimi, al fine di assicurare il rapido conferimento di detti rifiuti e residui, evitando ingiustificati ritardi e garantendo nel contempo standard di sicurezza per l'ambiente e per la salute dell'uomo raggiungibili con l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili.
L’impianto portuale di raccolta è definito come una qualsiasi struttura fissa, galleggiante o mobile collocata all’interno del porto dove possono essere conferiti i rifiuti della nave ed i residui del carico prima che vengano avviati al recupero o allo smaltimento.
Ogni porto è dotato di impianti e di servizi portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi[1] [18] e dei residui del carico adeguati in relazione alla classificazione dello stesso porto[2] [18] .
In generale possono prevedersi tre differenti tipi di impianti:
Il dimensionamento, la collocazione e le caratteristiche basilari di tali impianti, siano essi fissi, mobili o galleggianti, deve essere commisurata alla tipologia ed al quantitativo di rifiuti prodotti da navi e di residui del carico provenienti dalle navi che in via ordinaria approdano nel porto, tenuto conto delle esigenze operative degli utenti dello scalo, dell'ubicazione geografica, delle dimensioni del porto e della tipologia delle navi che vi fanno scalo, e deve essere conforme a quanto previsto nel «piano di raccolta» e «piano di gestione» dei rifiuti disciplinati dall'art. 5 del D. Lgs. 182/03. nonché delle esenzioni di cui all'articolo 7, comma 1. Tali impianti devono inoltre conformarsi alle vigenti disposizioni di sicurezza e di prevenzione incendi (es. D.Lgs. n. 81/2008, “Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”)
Non si esclude che un porto possa dotarsi di più tipologie di impianti contemporaneamente, in relazione alle proprie esigenze, indipendentemente dalle classi di dimensioni individuate in precedenza. Gli impianti dovranno essere strutturati in modo tale da assicurare un rapido conferimento dei rifiuti, evitando ingiustificati ritardi ai soggetti conferitori e garantendo, nel contempo, i necessari standard di sicurezza per l’ambiente e la salute dell’uomo, comprese le conformità previste dalle vigenti disposizioni in materia di prevenzione incendi, anche con l’ausilio delle migliori tecnologie disponibili.
Oltre alla presenza di detti impianti, nel porto dovranno essere dislocati appositi contenitori atti a raccogliere sia i rifiuti differenziati che quelli indifferenziati che non possono essere conferiti presso tali installazioni.
Nel «Piano di raccolta» vanno descritte le caratteristiche tecniche e gestionali di tali impianti, come ad esempio:
[1] [18] I rifiuti, comprese le acque reflue e i residui diversi dai residui del carico, ivi comprese le acque di sentina, prodotti a bordo di una nave e che rientrano nell'ambito di applicazione degli allegati I, IV e V della Marpol 73/78, nonché i rifiuti associati al carico di cui alle linee guida definite a livello comunitario per l'attuazione dell'allegato V della Marpol 73/78)
[2] [18]I resti di qualsiasi materiale che costituisce il carico contenuto a bordo della nave nella stiva o in cisterne e che permane al termine delle operazioni di scarico o di pulizia, ivi comprese le acque di lavaggio (slop) e le acque di zavorra, qualora venute a contatto con il carico o suoi residui; tali resti comprendono eccedenze di carico-scarico e fuoriuscite).
Per il buon funzionamento del servizio di gestione dei rifiuti in un porto interessato da un notevole flusso di navi, si può ipotizzare di realizzare, in ambito portuale, una base operativa, ossia un edificio munito di:
Tutte le aree dovranno essere ben delimitate e distinte, mentre nel caso sia predisposta un’area destinata ai rifiuti infiammabili dovranno essere prese tutte le adeguate precauzioni previste dalla normativa antincendio.
Le aree destinate al conferimento e pre-trattamento dei rifiuti pericolosi e non, sono necessarie per una eventuale selezione e cernita nel caso in cui i rifiuti non siano conferiti correttamente differenziati; la superficie dovrà essere impermeabile e dotata di sistemi di raccolta per i reflui che potrebbero fuoriuscire dagli automezzi o derivare dai rifiuti. In queste aree dovrà essere installata apposita cartellonistica esterna per la segnalazione dell’impianto. Dovrà inoltre essere esposto il regolamento dell’impianto in cui saranno indicate: le modalità di conferimento dei rifiuti, gli orari di accesso, gli obblighi e i divieti di chi conferisce, le sanzioni applicabili, i riferimenti del gestore dell’area, le modalità di segnalazione delle inadeguatezze riscontate dagli utenti e un numero telefonico a cui poter comunicare eventuali situazioni di emergenza.
Il settore della messa in riserva deve essere organizzato in aree distinte a seconda della categoria di rifiuto in deposito ed adeguatamente contrassegnate da tabelle ben visibili, per dimensioni e collocazione, in cui siano presenti le seguenti informazioni:
I contenitori o serbatoi fissi o mobili utilizzati per lo stoccaggio devono possedere adeguati requisiti di resistenza in relazione alle proprietà chimico-fisiche ed alle caratteristiche di pericolosità del rifiuto e devono essere provvisti di sistema di chiusura, di accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento, travaso e svuotamento.
L’area destinata alla messa in riserva dei rifiuti pericolosi può essere organizzata anche in scaffalature con più livelli in altezza dove è possibile movimentare i rifiuti con muletti o altro mezzo di trasporto idoneo. In ogni singola scaffalatura devono essere stoccati rifiuti compatibili della medesima categoria; se questi si presentano allo stato liquido o contengono liquidi che possono fuoriuscire, le scaffalature devono essere dotate di apposito bacino di contenimento in modo da poter recuperare eventuali sversamenti. L’utilizzo delle scaffalature deve comunque garantire la sistemazione del rifiuto in totale sicurezza e l’accessibilità agli stessi per verificare eventuali perdite.
Per definire i volumi necessari per la messa in riserva è possibile ipotizzare, indicativamente, il rapporto tra i volumi di rifiuti pericolosi da conferire sulla volumetria disponibile pari a: 1 mc (rifiuti): 6 mc (spazio). Per dimensionare invece l’area di messa in riserva dei rifiuti non pericolosi il rapporto è pari circa ad 1 mc (rifiuto): 3 mc (spazio necessario). Tali rapporti potranno essere in ogni caso ottimizzati adottando le migliori tecnologie disponibili.
Il trasporto di rifiuti non pericolosi dall’area destinata al conferimento alla zona per la messa in riserva avverrà tramite cassoni scarrabili opportunamente identificati.
La base operativa dovrà essere localizzata in un’area logisticamente idonea per l’espletamento del servizio e sarà costituita da un fabbricato di estensione variabile, ma la cui superficie sia tale da consentire una movimentazione dei rifiuti e delle attrezzature in ingresso ed in uscita in sicurezza.
Per i rifiuti costituiti da prodotti alimentari per l’approvvigionamento dell’equipaggio e dei passeggeri e i loro residui sbarcati da mezzi di trasporto commerciali, nazionali ed esteri, provenienti da Paesi extra-UE (così come definiti dal Decreto del Ministero della Sanità del 22 maggio 2001) e che devono essere smaltiti in impianti di incenerimento (o in discarica previa sterilizzazione) potrebbe rendersi utile, in seguito alla valutazione delle reali necessità, la realizzazione di un impianto di sterilizzazione presso la base operativa; per lo stesso dovrà essere predisposta un’area di conferimento dedicata.
Per il servizio di raccolta dei rifiuti nei porti di medie dimensioni si dovranno realizzare una o più aree attrezzate, a seconda delle caratteristiche del porto; infatti può riscontrarsi la necessità di predisporre distinte aree attrezzate da destinare alle navi soggette a notifica, alla flotta pescherecci e/o ai diportisti (ad esempio nel caso in cui il porto turistico sia completamente separato dal resto del porto).
Le aree attrezzate dovranno assicurare la raccolta dei seguenti rifiuti sia pericolosi che non pericolosi; tra i rifiuti pericolosi si ricordano:
Per l’area si dovrà stabilire il quantitativo giornaliero massimo stoccabile, che usualmente, è pari a circa 25 ton.
I rifiuti pericolosi liquidi conferiti presso l’area attrezzata saranno stoccati in serbatoi idonei a contenere sostanze liquide pericolose ed in particolare dovranno essere muniti di:
L’area attrezzata potrà essere anche munita di appositi contenitori per la raccolta dei rifiuti differenziati (umido/organici, vetro, lattine, carta e cartone, plastica, umido, ecc.) ed indifferenziati, predisponendo per i cassonetti dell’umido una raccolta frequente.
L’area attrezzata dovrà soddisfare i seguenti requisiti:
La copertura dell’area attrezzata potrà essere costituita a falde in laminato metallico, con una superficie piana maggiore del basamento per meglio garantire l’allontanamento dell’acqua piovana.
Si dovrà inoltre prevedere l’installazione di apposita cartellonistica esterna per la segnalazione dell’impianto. Dovrà inoltre essere esposto il regolamento dell’impianto in cui saranno indicate:
Nel caso di un porto turistico gestito in concessione, al fine di garantire la corretta gestione dei rifiuti raccolti, l’Autorità Marittima o Portuale potrebbe prevedere di richiedere al concessionario:
Sono aree attrezzate per la raccolta dei rifiuti portuali pericolosi, realizzate con il contributo del Consorzio Obbligatorio per gli Oli Usati (COOU) e del Consorzio Obbligatorio per le Batterie al Piombo Esauste (COBAT).
In un porto di piccole dimensioni ed interessato da ridotti traffici navali è in ogni caso necessario assicurare la raccolta dei rifiuti pericolosi prodotti dalle navi in approdo e l’Isola nel porto può rappresentare in questi casi la soluzione ottimale. Le «Isole nel porto» consistono in apposite strutture metalliche coperte (le cui caratteristiche tecniche sono riportate in dettaglio nell’Allegato 1), all’interno delle quali sono collocati differenti contenitori per la raccolta di oli usati, batterie al piombo esauste, filtri dell’olio usati ed eventualmente lattine di olio.
Con lo stesso termine “L’isola nel Porto” ci si riferisce al progetto promosso dal Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati (COOU) e dal Consorzio Obbligatorio per le Batterie al Piombo Esauste (COBAT), finalizzato a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della dispersione in mare degli oli lubrificanti usati e delle batterie esauste e sui relativi danni ambientali generati dal fenomeno del “fai da te”. Infatti la nautica costituisce, insieme all’agricoltura e al fai da te nell’autotrazione, uno dei segmenti critici della raccolta di olio lubrificante usato e di batterie al piombo esauste. L’iniziativa è rivolta in particolar modo all’utenza costituita da piccole unità per le quali, essendo relativamente contenuti i volumi di rifiuto prodotti, può risultare relativamente “semplice” liberarsene scaricando gli oli e gettando le batterie direttamente in mare.
Le Isole nel porto costituiscono una struttura funzionale dedicata agli utenti dei porti; che collocate in punti strategici agevolano il conferimento di oli lubrificanti usati, filtri dell’olio e batterie esauste che se raccolti con cura e riutilizzati, forniscono un importante contributo alla bilancia dei pagamenti del nostro Paese, consentendo di risparmiare sulle importazioni sia di piombo che di petrolio. Con l’ultima isola inaugurata nel porto di Venezia, salgono a 59 le isole ecologiche installate in 31 porti italiani e attualmente sono in trattativa numerosi altri porti di interesse sia commerciale che turistico (ad es. Pesaro, Siracusa, Formia (LT), Rimini, Bari).
In conformità del D.Lgs. n. 182/2003 per giungere all’installazione delle isole ecologiche, fornite in comodato d’uso gratuito, ed al successivo avvio del servizio, i due Consorzi richiedono che vengano ad essere soddisfatte le seguenti condizioni:
I risultati finora ottenuti con questa iniziativa sono decisamente positivi: nelle 59 isole ecologiche, sono già state recuperate circa 550 tonnellate di olio lubrificante usato e oltre 4000 tonnellate di batterie esauste.
Altra interessante iniziativa intrapresa dal COOU, assieme al COBAT e al Gruppo Italia Navigando S.p.A., è rappresentata dal progetto “Porti turistici”, tramite cui è stato siglato un protocollo d’intesa per l’attivazione di un servizio di raccolta gratuita dei rifiuti costituiti da oli lubrificanti usati e batterie al piombo esauste anche attraverso l’installazione di appositi centri nei porti turistici. Con questo accordo, i tre soggetti si impegnano alla gestione dei punti di conferimento dei rifiuti pericolosi derivanti dall’attività di diporto, le già collaudate “Isole nel porto”. Anche in questo caso, se il porto turistico è gestito in concessione, l’Autorità Marittima o Portuale potrebbe prevedere di richiedere al concessionario:
Isola nel porto
L’Isola nel porto è costituita da un gazebo zincato a caldo e verniciato generalmente in azzurro e a base esagonale. Sul basamento esagonale in lamiera è posizionata una pavimentazione in ferro grigliato calpestabile.
La cavità tra basamento e pavimentazione costituisce un bacino per la raccolta di quantità di olio usato. Ai sei spigoli del basamento sono collegati sei pali per la tenuta del tetto realizzato in lamiera. La struttura è inoltre chiusa da 6 pannelli in grigliato zincato a caldo e verniciato a tutta altezza, di cui due apribili.
All’interno dell’isola sono posti n° 4 contenitori di colore azzurro:
L’ingombro massimo è di 3 m x 3 m x h. 3.2 m circa e il peso a vuoto stimato è di 850 kg.
SEZIONE DI ISOLA NEL PORTO PIANTA DI ISOLA NEL PORTO
Prospetto di un’usuale Isola nel porto - Caratteristiche tecniche dell’Isola nel porto
Fatta salva la disciplina in materia di concessione di beni demaniali e di servizi esplicitati con mezzi navali in regime di concessione, gli impianti portuali di raccolta sono autorizzati ai sensi dell’art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006. Tale disposizione non si applica se gli stessi sono considerati depositi temporanei ossia, come definiti nell’art. 183, comma 1, lettera m) del citato decreto, un raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, nel rispetto delle seguenti condizioni:
Nel rispetto al sopramenzionato D.Lgs. n. 152/2006 (art. 208) i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda di autorizzazione alla Regione competente nel territorio; anche in questo caso tali disposizioni non si applicano ai depositi temporanei.
L’affidamento dei lavori per la realizzazione degli impianti portuali di raccolta avviene mediante gara ad evidenza pubblica in conformità alla legislazione nazionale e comunitaria vigente.
Gli impianti portuali di raccolta, se consistono in strutture fisse, ossia inamovibili, sono considerati «opere marittime» e per la loro realizzazione si dovranno considerare le differenti competenze che possono essere presenti in una realtà portuale.
In Italia attualmente l’ordinamento e le attività portuali sono disciplinate con la Legge n. 84 del 28 gennaio 1994 “Riordino della legislazione in materia portuale”; la stessa abroga in parte, ma non del tutto, il Regio Decreto n. 713 del 26 settembre 1904 (che approva il regolamento per la esecuzione della legge sui porti, spiagge e fari) che costituisce ancora il riferimento per l’originaria specifica e nozione di opere portuali e marittime in genere. Già prima dell’emanazione della Legge n. 84/1994, con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 8 del 15 gennaio 1972 “Trasferimento alle Regioni a Statuto Ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici” e il Decreto del Presidente delle Repubblica n. 616 del 24 luglio 197 “Attuazione della delega di cui all’art. 1 della Legge 22 luglio 1975, n. 382” erano state trasferite alle Regioni le competenze per le opere marittime relative ai porti della seconda categoria dalla seconda classe in poi e quelle relative agli approdi turistici e le aree del demanio marittimo di interesse turistico-balneare (art. 59 del DPR n. 616/197).
La Legge n. 84/1994 ha dato una prima risposta all’esigenza di razionalizzazione e di ammodernamento istituzionale ed operativo dell’ordinamento portuale, istituendo nei principali porti nazionali le Autorità Portuali, enti di diritto pubblico dotati di autonomia organizzativa, finanziaria e decisionale, alle quali sono state affidate, tra le altre, le funzioni di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere portuali. La medesima legge ha introdotto una nuova classificazione dei porti marittimi nazionali (a modifica della classificazione adottata dal RD n. 713/1904), basata su nuovi criteri riguardanti:
Con la Legge n. 30 del 27 febbraio 1998 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo del settore dei trasporti e l’incremento dell’occupazione”, che ha in parte modificato la Legge n. 84/1994, si specifica che i porti sede di Autorità Portuale appartengono comunque ad una delle prime due classi della categoria II.
I porti, o le specifiche aree portuali di cui alla categoria II, classi I, II e III, hanno le seguenti funzioni:
a) commerciale;
b) industriale e petrolifera;
c) di servizio passeggeri;
d) peschereccia;
e) turistica e da diporto.
A distanza di oltre dieci anni dall’emanazione, la nuova normativa non è ancora a regime per la mancata emissione del Decreto Ministeriale con cui dovranno essere individuati i porti o le specifiche aree portuali appartenenti alla categoria I.
La riorganizzazione sopradescritta prevede che siano di competenza regionale le funzioni amministrative concernenti le opere marittime relative ai porti di categoria II, classi II e III, mentre spetta allo Stato l’onere per la realizzazione delle opere nei porti di categoria I e per le opere di grande infrastrutturazione nei porti appartenenti alla categoria II, classi I e II. Infine spetta alle Regioni interessate l’onere per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione nei porti di categoria II, classe III.
Con il Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del Capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59” è stata confermata la precedente normativa sulla ripartizione delle competenze, prevedendo il conferimento alle Regioni delle funzioni amministrative relative:
Nei porti di categoria II, classi I, II e III, con esclusione di quelli aventi le funzioni turistiche e da diporto, l’ambito e l’assetto complessivo del porto, comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono rispettivamente delimitati e disegnati dal "Piano Regolatore Portuale" che individua inoltre le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate. Le previsioni del Piano Regolatore Portuale non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti. Nei porti nei quali è istituita l’Autorità Portuale, il Piano Regolatore è adottato dal Comitato portuale, previa intesa con il Comune o i Comuni interessati. Nei porti di categoria II nei quali non è istituita l’Autorità Portuale, il Piano Regolatore è adottato dall’Autorità Marittima, previa intesa con il Comune o i Comuni interessati. Il Piano è quindi inviato per il parere al Consiglio superiore dei lavori pubblici. Il Piano Regolatore relativo a tutti i porti di categoria II, esaurite le procedure di consultazione, è sottoposto alla valutazione dell’impatto ambientale ed è quindi approvato dalla Regione competente.
I rifiuti portuali che non vengono conferiti presso gli impianti di raccolta dovranno essere raccolti tramite appositi «contenitori/cassonetti» dislocati nell’area portuale.
La collocazione dei contenitori nell’area portuale avverrà considerando:
In una stessa area possono essere collocati più cassonetti in funzione della richiesta del servizio e delle condizioni oggettive dei luoghi. Per le frazioni organiche putrescibili costituite da residui provenienti da mense pubbliche e private, punti di ristorazione ed esercizi commerciali, dovranno adottarsi delle misure aggiuntive in quanto devono essere conferite in contenitori situati in piazzole o altre aree appositamente individuate presso le mense, i centri di ristorazione ed in genere presso le utenze collettive.
Nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, nel collocare i cassonetti deve essere mantenuta una distanza di 5 metri in orizzontale rispetto a finestre ubicate a piano terra o in seminterrati, e ingressi di attività commerciali (bar, supermercati, tavole calde, ristoranti, ecc.). I contenitori dovranno essere posti in luoghi in cui si possano eseguire le operazioni di svuotamento, movimentazione e lavaggio degli stessi; per consentire tali operazioni da parte dei mezzi del soggetto concessionario del servizio, gli spazi immediatamente adiacenti ai cassonetti dovranno essere lasciati liberi dall’utenza automobilistica, come anche previsto dall’art. 158 del Codice della Strada, e gli stessi non dovranno costituire intralcio alla circolazione veicolare e pedonale (art. 25 del Codice della Strada).
L’area occupata dai contenitori deve essere delimitata da apposita segnaletica orizzontale di colore giallo e, se necessario, devono essere installate protezioni di ancoraggio e di fermo.
I contenitori dovranno essere idonei a proteggere i rifiuti dagli agenti atmosferici e dagli animali; i cassonetti destinati alla raccolta dei rifiuti organici putrescibili dovranno disporre di chiusura ermetica non solo per impedire il rovistamento da parte di animali, ma anche per evitare la fuoriuscita di esalazioni maleodoranti o di eventuali liquidi formatisi.
La capacità dei cassonetti sarà variabile in relazione al tipo di rifiuto raccolto, all’utenza portuale che ne usufruirà, considerando i relativi indici di produzione, alle dimensioni della rete stradale e alle caratteristiche dei mezzi che li devono movimentare. Sui contenitori dovranno essere chiaramente indicate le tipologie di rifiuti che in essi possono essere inseriti e le modalità di conferimento.
I contenitori dovranno essere sottoposti a manutenzione, pulizia e disinfezione periodica.
Infine, per garantire il mantenimento della pulizia delle aree portuali comuni, dovranno essere dislocati appositi contenitori portarifiuti, dedicati esclusivamente a contenere i rifiuti minuti prodotti occasionalmente dagli utenti delle aree sopra indicate; in essi non potranno essere conferite altre tipologie di rifiuti.
Il soggetto pubblico o privato che intende realizzare un impianto fisso di raccolta, deve dapprima ottenere il rilascio di una «concessione demaniale» dall’ Autorità Portuale ai sensi dell’art. 18 della Legge 84/94, limitatamente agli scali marittimi ove la stessa sia stata istituita, collocandosi tale struttura nell’ambito portuale così come individuato dal “Piano regolatore portuale”. Di contro, le incombenze amministrative dell’atto concessorio ricadranno sull’Autorità Marittima, che esplica la sua funzione amministrativa attraverso il Capo del Compartimento Marittimo o Direttore marittimo, fermo restando che per il rilascio delle concessioni di durata superiore ai 15 anni la competenza ricade sul Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Nel rispetto al D.Lgs. n. 152/2006 (art. 208) i soggetti che intendono realizzare e gestire impianti di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda di "autorizzazione" alla Regione competente nel territorio; anche in questo caso tali disposizioni non si applicano ai depositi temporanei. L’affidamento dei lavori per la realizzazione degli impianti portuali di raccolta avviene mediante gara ad evidenza pubblica in conformità alla legislazione nazionale e comunitaria vigente. Sulla base dell’esperienza italiana, la gestione delle varie tipologie di rifiuti portuali è svolta da soggetti concessionari differenti selezionati tramite gara ad evidenza pubblica.
Sulla base dell’esperienza italiana, la gestione delle varie tipologie di rifiuti portuali è svolta da soggetti concessionari differenti selezionati tramite gara ad evidenza pubblica.
Si sottolinea che in ambito nazionale, nei porti in cui non è istituita l’Autorità Portuale, per queste specifiche tipologie di rifiuti, si riscontrano modalità di gestione e di affidamento del servizio molto diversificate, calibrate sulla specificità della realtà locale.
Le Autorità Portuali e/o Autorità Marittime hanno la competenza in materia di rifiuti provenienti dalle navi e le stesse possono disciplinare il settore con atti di regolamentazione ed organizzazione, sia stabilendo i capitolati per le imprese erogatrici dei servizi, sia emanando apposite Ordinanze regolanti facoltà, diritti ed obblighi degli utenti e dei prestatori dei servizi.
Per i porti in cui è istituita l’Autorità Portuale, l’art. 6 della L. n. 84/1994 prevede che siano affidati in concessione dall’Autorità Portuale stessa mediante gara pubblica, i seguenti servizi di interesse generale da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale (individuati con il D.M. del 14.11.199430):
Per i rifiuti provenienti dalle navi e residui del carico, l’affidamento del servizio di raccolta deve avvenire mediante gara ad evidenza pubblica in conformità alla legislazione nazionale e comunitaria vigente, come riferito all’art. 4, comma 5 del D. Lgs. n. 182/2003. In considerazione del fatto che la concessione del servizio di ritiro rifiuti dalle navi rientra pienamente nella categoria delle concessioni di servizio, non è applicabile a tale istituto la normativa sugli appalti di servizio ed in particolare le disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 157 del 17 marzo 1995, “Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”.
E’ stato riconosciuto dalla giurisprudenza nazionale e dalla Commissione Europea che, pur non richiedendosi l’applicazione del D.Lgs. n. 157/95, il ricorso all’istituto concessorio non rende libera la scelta del soggetto a cui affidare la concessione, restando la scelta dell’erogatore assoggettata ai principi generali del Trattato U.E. costitutivo, nonché ai principi generali che governano la materia dei contratti pubblici (par condicio dei concorrenti, pubblicità dei bandi, trasparenza delle procedure, segretezze delle offerte economiche).
Tenuto conto di quanto sopra, la procedura selettiva di affidamento non necessariamente deve prevedere tutti gli adempimenti di cui al D. Lgs. n. 157/95, ma è sufficiente che siano pienamente soddisfatti i principi di parità di trattamento, di trasparenza, di non discriminazione, di proporzionalità.
Si stabiliscono pertanto le seguenti linee guida per la procedura selettiva:
Per la definizione dei requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria dei partecipanti dovrà ovviamente tenersi conto del principio di proporzionalità, evitando di fissare requisiti professionali o finanziari sproporzionati rispetto all’oggetto della concessione. Ad ogni modo potranno partecipare alla gara le imprese provviste del certificato di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori ambientali (art. 212 del D.Lgs. n. 152/2006).
L’impresa concorrente dovrà dimostrare con idonea documentazione, di disporre, all’atto della partecipazione della gara, di tutti i mezzi d’opera ad attrezzature necessarie per lo svolgimento dei servizi.
Per garantire idonea capacità finanziaria sarà richiesto un capitale sociale minimo e un patrimonio netto di importo adeguato e ciò in base al bilancio dell’ultimo anno o a successiva documentazione legale, oltre ad una referenza bancaria di solvibilità e a fideiussioni il cui importo sarà stabilito nel bando di gara.
Per assicurare che i candidati abbiano un’esperienza qualificata nel settore, quale requisito tecnico per lo svolgimento ottimale del servizio, sarà legittimamente inseribile la clausola che limiti l’ammissione ai soli concorrenti che abbiano svolto servizi identici a quelli oggetto della concessione nei tre anni precedenti (in conformità alla Sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 919 del 15 febbraio 2002) e che abbiano realizzato nel triennio precedente un fatturato, per ciascun esercizio finanziario, pari alla metà dell’importo presunto del servizio.
Completeranno il quadro i requisiti di moralità e di onorabilità e ciò secondo le consuete verifiche dei casellari giudiziali, della certificazione antimafia e dell’assenza di procedure concorsuali.
L’aggiudicazione del servizio sarà poi effettuata a favore dell’”offerta economicamente più vantaggiosa” (in linea con l’art. 23, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 157/95 in materia di appalti di servizi) da valutare sulla base di specifici parametri (ad es. ribasso sulla tariffa posta a base di gara, possesso di certificazione di qualità ISO 9001, ISO 14001 o EMAS, proposta tecnicooperativa migliorativa per l’espletamento del servizio, anni di esperienza per prestazioni identiche) attribuendo a ciascuno di essi un punteggio proporzionale all’importanza attribuita ad ogni parametro.
I soggetti concessionari dei servizi di raccolta dei rifiuti portuali non provenienti da navi potranno essere selezionati con le stesse modalità sopra descritte qualora il soggetto a cui fa capo il loro affidamento è l’Autorità Portuale o Marittima.
Si sottolinea che in ambito nazionale, nei porti in cui non è istituita l’Autorità Portuale, per queste specifiche tipologie di rifiuti, si riscontrano modalità di gestione e di affidamento del servizio molto diversificate, calibrate sulla specificità della realtà locale. Può, ad esempio, riscontrarsi che gli Enti Locali siano preposti alla manutenzione del porto: in questo caso gli stessi dovranno provvedere ad affidare i servizi di gestione di tali rifiuti tramite apposite gare, in conformità a quanto stabilito dall’art. 202 del D.Lgs. n. 152/2006.
Le ditte selezionate dovranno in ogni caso dimostrare di possedere idonei mezzi per svolgere questi servizi, come ad esempio imbarcazioni adatte al recupero di rifiuti galleggianti, automezzi per lo spazzamento e la disinfestazione stradale, automezzi per lo svuotamento dei cassonetti stradali, ecc.
Fac-Simile
In seguito alla valutazione e pianificazione delle attività necessarie per una gestione completa dei rifiuti portuali dovranno essere stimati, il più fedelmente possibile, i costi di gestione sulla base delle voci successivamente individuate. E’ fondamentale valutare opportunamente tali importi per strutturare adeguatamente le tariffe a carico dell’utenza portuale che usufruirà dei servizi di raccolta dei rifiuti portuali. Tali tariffe saranno modulate anche in base alle differenti tipologie di imbarcazioni che approdano in via ordinaria nel porto. Il piano dovrà contenere il dettaglio di come le stesse sono state calcolate ed i relativi importi.
â–º Costi di gestione
Considerate le modalità di organizzazione, un generico soggetto concessionario di uno dei servizi di raccolta dei rifiuti portuali, dovrà sostenere i seguenti costi di gestione:
In base all’art. 8 D.Lgs. n. 182/2003 i costi degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi, quelli di investimento e quelli relativi al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti stessi sono recuperati attraverso la riscossione di tariffe a carico delle navi che approdano nel porto; i criteri per la determinazione della tariffa sono esposti nell’Allegato IV del Decreto stesso, ed in particolare l’Autorità competente nel porto determina l’importo della tariffa prevedendo:
Per garantire l’equità e la trasparenza delle tariffe, il loro importo e i criteri sulla base dei quali sono state calcolate sono portati a conoscenza degli utenti del porto, come previsto all’art. 14 e nell’Allegato II del D.Lgs. n. 182/2003. Le tariffe possono essere ridotte se la gestione ambientale, la concezione, le attrezzature ed il funzionamento della nave sono tali che il Comandante della nave stessa può dimostrare che essa produce quantità ridotte di rifiuti. Possono essere previsti sconti o incentivi ad esempio per quelle unità che raccolgono i rifiuti abbandonati in mare o nei fondali, e raccolti occasionalmente con l’attività di pesca.
La tariffa per il conferimento dei residui del carico è richiesta esclusivamente per le navi che richiedono un apposito servizio. Si possono prevedere tariffe ridotte se la gestione ambientale, le attrezzature ed il funzionamento della nave sono tali da assicurare una produzione ridotta di questi rifiuti. Si potrà altresì prevedere un’ulteriore riduzione tariffaria qualora, in relazione all’incremento di traffico mercantile, aumentino le richieste di erogazione del servizio.
La tariffa per le unità da pesca e da diporto sarà costituita da una quota fissa, diversa per tipologia imbarcazione, obbligatoria, calcolata facendo riferimento ad un quantitativo standard; qualora l’unità conferisca quantitativi che superino la quantità standard o per particolari richieste di conferimento, si applicherà una maggiorazione per coprire le spese aggiuntive legate all’erogazione del servizio. Per le unità da diporto in transito potrebbe prevedersi il pagamento della tariffa solo nel caso in cui usufruiscano di un servizio erogato a titolo oneroso.
Per le navi in servizio di linea che effettuano scali frequenti e regolari il D.Lgs. n. 182/2003 prevede una deroga all’obbligo di conferimento prima dell’abbandono del porto. Per questa categoria di imbarcazioni è consigliabile applicare una tariffa base standard, ed una quota aggiuntiva in caso di richiesta di servizi particolari: tale strutturazione della tariffa dovrebbe incentivare il conferimento dei rifiuti presso il porto, scoraggiando lo scarico in mare degli stessi.
Per i rifiuti genericamente prodotti nell’area portuale dovranno essere previste apposite tariffe a carico dell’utenza portuale. Il loro importo dovrà essere commisurato all’effettivo quantitativo di rifiuti conferiti dall’utenza prevedendo appositi sistemi di misurazione/pesatura.
Nel caso in cui non siano disponibili tali sistemi si potranno adottare opportuni criteri di calcolo, basati ad esempio sull’individuazione di tariffe al mq di superficie tassabile, diversificate in base alla categoria dei locali.
Per i rifiuti derivanti dalla pulizia delle aree comuni e degli specchi acquei portuali i costi di gestione potranno essere recuperati, ad esempio, tramite i canoni di concessione applicati ai concessionari di aree portuali.
Anche in conformità a quanto previsto nell’Allegato II del D.Lgs. n. 182/2003, l’Autorità competente nel porto dovrà fornire al Comandante della nave, al gestore del servizio ed agli altri utenti del porto un «Documento Informativo» che, in generale, contenga:
In merito alle procedure per la segnalazione delle inadeguatezze i Comandanti delle navi che usufruiscono degli impianti portuali e dei servizi di raccolta, avranno in particolare a disposizione delle «Schede di segnalazione inadeguatezze» tramite cui comunicare eventuali disservizi riscontrati (un esempio di scheda è riportato nell’Allegato 6).
Nel Piano vanno inoltre indicate le procedure relative alle consultazioni permanenti con gli utenti del porto, con i soggetti concessionari dei servizi e con le altre parti interessate.
L’Autorità competente nel porto deve infine descrivere nel Piano le iniziative che intende realizzare per promuovere l’informazione agli utenti del porto al fine di ridurre i rischi di inquinamento dei mari causati dallo scarico in mare dei rifiuti e per favorire forme corrette di raccolta e trasporto.
Per quanto riguarda il controllo e l’autorizzazione all’espletamento delle operazioni di carico e scarico, trasporto, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali, l’ambito è regolato dal combinato disposto dall’art. 16 della legge 84/94 e dall’art. 28, comma 6, del D.Lgs 22/97; ne consegue, quindi, la subordinazione ad un atto autorizzativo da parte dell’Autorità Portuale o, laddove non istituita, dall’Autorità Marittima. Mentre nel primo caso le Capitanerie di Porto svolgono attività di controllo e di polizia sotto l’aspetto inerente la “sicurezza della navigazione”, ed in effetti tale compito è riconosciuto anche in seno alla legislazione portuale del 1994 più volte citata; nel secondo, invece, espletano anche funzioni amministrative vere e proprie attraverso, appunto, il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio delle operazioni commerciali che, come si è detto, ricomprendono il carico, lo scarico, il trasbordo, deposito e maneggio di merci, materiali e persone in genere svolte in ambito portuale.
L’attività di controllo sull’adempimento delle disposizioni in materia di conferimento di rifiuti è demandato all’Autorità marittima che lo attua mediante «ispezioni» da effettuare su navi individuate, in particolare, tra quelle non adempienti agli obblighi di notifica di cui all'articolo 6 o per le quali le informazioni fornite dal comandante possano far ritenere che siano rimaste inosservate le disposizioni in materia di conferimento dei rifiuti di cui agli articoli 7 e 10.
Le Capitanerie di Porto, ai sensi dell’art. 11, hanno il compito di verificare l’osservanza delle disposizioni relative alla fase del “conferimento”, dando attuazione al D.M. n. 305/03 relativo all’attività di controllo dello stato di approdo. L’attività di accertamento ha inizio con un’attenta valutazione del modulo di notifica e della capacità di stoccaggio dei rifiuti a bordo in funzione degli spazi disponibili, della durata del viaggio nonché delle possibilità di successivo conferimento. Ne consegue, quindi, che in un siffatto quadro operativo, il personale della Guardia Costiera, darà priorità ai casi in cui la notifica non sia stata resa, oppure, anche se resa, la stessa risulti palesemente incongrua. Inoltre, è da evidenziare come l’Autorità Marittima, in via del tutto cautelativa, possa non esonerare la nave dall’obbligo di conferire i rifiuti qualora il porto di destinazione sia sconosciuto o vi sia la certezza che il medesimo non sia adeguatamente attrezzato per il conferimento. In caso di accertata violazione, l’Autorità marittima deve provvedere affinché la nave non lasci il porto fino al conferimento dei rifiuti o dei residui del carico all’impianto di raccolta., in misura tale da ottemperare alle disposizioni violate o, qualora la nave abbia già lasciato il porto, ad informare la corrispondente Autorità del successivo porto di scalo, in modo tale che provveda con le stesse modalità. L’impianto sanzionatorio è contenuto nell’art. 13.
Pur essendo state escluse dall’obbligo di notifica i pescherecci e le unità da diporto rimane fondamentale il ruolo assegnato alle Capitanerie di Porto–Guardia Costiera sull’attività di prevenzione, controllo e vigilanza sull’osservanza degli artt. 7 e 10 anche da parte di queste unità. Infatti, il comma 5 dell’art. 14, affida all’Autorità Marittima il compito di definire le procedure di controllo atte ad espletare l’attività cui prima si è fatto riferimento (si pensi al potere di regolamentazione esplicabile a mezzo ordinanza).
I compiti che vanno a delinearsi, quindi, si presentano piuttosto complessi e ricchi di particolari caratteri e problematiche tecnico–operative, ai quali si può ottemperare soltanto se si dispone di una grande responsabilità, dedizione e professionalità. Tutte prerogative che da sempre hanno contraddistinto e contraddistinguono gli uomini delle Capitanerie di Porto che si prodigano per la salvaguardia della vita umana in mare, per la sicurezza della navigazione e del personale marittimo e la protezione e salvaguardia dell’ambiente marino.
Per quanto concerne il sistema sanzionatorio attualmente vigente in materia di rifiuti, l'art. 13 del D.L.vo 24 giugno 2003 n. 182 “Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”, prevede una serie di «sanzioni amministrative» per le violazioni commesse dai gestori degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti e dai comandanti delle navi.
â–º Competenza e giurisdizione
L’articolo 135, al comma 2 (Competenza e giurisdizione) del Testo Unico sull'ambiente dispone:«Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 , ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero».
L’articolo 195, n. 5 (Competenze) del Testo Unico sull'ambiente dispone : «Fatto salvo quanto previsto da decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di “rifiuti nonché della repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti” (di cui alla parte quarta del presente decreto), provvedono il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) e il Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato».
La giurisprudenza si è occupata più volte della tematica dei rifiuti prodotti dalle navi e dai porti. Con riferimento a quali sostanze possano essere ricondotte nell’ambito applicativo del D. Lgs. N. 182/2003, si legge che “Gli slops (e cioè le miscele contenenti idrocarburi derivanti dallo svuotamento dei bracci di carico delle navi dallo scarico delle valvole di sicurezza), se sono effettivamente ed oggettivamente riutilizzati in un diverso ciclo produttivo, anche dopo aver subito un trattamento preventivo minimo (decantazione), fuoriescono dal regime dei rifiuti in virtù dell'art. 14 l. 178/02: essi possono essere considerati sottoprodotti se ricorrono i requisiti dettati dall'art. 183, comma 1. lett. p), d.lg. 152/06 (vale a dire: origine da un processo non direttamente finalizzato alla sua produzione, che può consistere anche nella produzione di un servizio come il trasporto di beni, assenza della volontà del produttore di disfarsene, reimpiego certo ed integrale, rispetto di standard merceologici e di tutela ambientale, riutilizzo senza necessità di trattamento preventivo, valore economico)” (Cassazione penale, sez. III, 30 settembre 2008, n. 41839). Sono invece considerati rifiuti (pericolosi) le acque di sentina che vengono raccolte e ritirate all'esito delle operazioni di pulizia delle navi (Cassazione penale, sez. III, 27 giugno 2003, n. 38567).
Per quanto concerne le «autorizzazioni», invece, è stata ritenuta legittima l'attribuzione del servizio di prelievo dei rifiuti da navi nelle rade e nei porti nazionali, in via temporanea e d'urgenza, mediante autorizzazione temporanea, al fine di sopperire ad urgenti esigenze nelle more del procedimento di concessione (Consiglio di Stato, sex. VI, 21 febbraio 2001, n. 895). Non è invece consentito che un soggetto, autorizzato dall'autorità portuale alla sola raccolta dei rifiuti solidi scaricati dalle navi, provveda di fatto alla raccolta ed allo stoccaggio di ogni altro rifiuto delle attività portuali in mancanza di ulteriore espressa autorizzazione (Tribunale di Genova, 25 febbraio 2003).
La Cassazione civile, poi, con sentenza n. 19800 del 14 settembre 2006, è intervenuta in materia di sanzioni amministrative. In particolare, la Suprema Corte ha stabilito che “l'ordinanza della Capitaneria di Porto che vincoli le navi in ingresso nel porto a tempi (nella specie di non oltre ventiquattro ore) di consegna dei rifiuti di bordo (anche non alimentari), non è in contrasto con le disposizioni della convenzione internazionale di Londra del 2 novembre 1973 (Marpol 73/78) per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi, ratificata in Italia con l. 29 settembre 1980 n. 662, sebbene tale convenzione, nello stabilire (allegato V) le linee guida dei piani di smaltimento dei rifiuti da adottare dalle singole navi, non imponga limiti temporali vincolanti per lo scarico. Conseguentemente, in caso di inottemperanza alle disposizioni regolamentari temporali imposte dalla Capitaneria è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall'art. 1174 c.nav.”.
Infine, la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 25 settembre 2008, causa C-368/07, ha condannato l'Italia per omessa elaborazione ed applicazione dei piani di raccolta e gestione dei rifiuti per tutti i porti italiani. Lo Stato italiano risulta infatti inadempiente relativamente agli obblighi previsti dagli art. 5, n. 1 e 16, n.1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/59/CE, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico. Tala direttiva, infatti, impone ai Paesi dell’Unione Europea di ridurre gli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui di carico, di rafforzare la protezione dell'ambiente marino e di far sì che ogni porto abbia un piano adeguato di raccolta e di gestione dei rifiuti. Il ricorso arriva dopo numerose sollecitazioni da parte della Commissione delle comunità europee, che già nel luglio 2004 aveva chiesto alla Repubblica italiana la conferma dell'adozione dei piani di raccolta e di gestione dei rifiuti per tutti i porti italiani ed in particolare la trasmissione dei piani concernenti un campione di 19 porti. Nell'anno successivo lo Stato italiano aveva comunicato i piani di raccolta di alcuni porti (Napoli, Ravenna, Taranto e Trieste) ed i progetti di piani di raccolta di altri, portando la Commissione a formulare un parere motivato, in data 18 ottobre 2005, con il quale invitava a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere nel termine dei due mesi successivi. Alla scadenza del termine l'Italia non aveva ancora adottato piani di raccolta per 10 dei 19 porti segnalati dalla Commissione.
Il nostro Paese, posto al centro del Mediterraneo, ha nel mare una risorsa insostituibile. Nell'ultimo secolo, purtroppo, questo patrimonio senza pari, che lamenta però una debolezza congenita, e cioè l'essere costituito da un bacino semichiuso con cadenze secolari per il ricambio delle acque, è stato aggredito dall'inquinamento, dalla speculazione edilizia e dalla crescita esponenziale delle attività economiche e industriali. I danni sono stati così pesanti per le condizioni qualitative delle nostre acque che, negli ultimi anni, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare si è dovuto impegnare in una decisa politica di salvaguardia, protezione e rivalorizzazione del mare e delle coste. Tra le varie iniziative, grande rilevanza ha avuto quella che ha portato alla istituzione delle «Aree Marine Protette» (A.M.P.) nazionali.
Giungere ad una definizione giuridicamente valida di «Aree marine protette», che rispecchi i reali intendimenti ed orientamenti del legislatore susseguitisi negli anni, non è stato semplice laddove l’intrecciarsi delle diverse leggi ha creato un’inevitabile confusione e sulla cui interpretazione non poche sono state le incertezze. Inequivocabilmente l’articolo 25 e ss. della Legge 31 dicembre 1979 n. 82 e Legge 6 dicembre 1991 n. 394[1] [18]individua i parchi e le riserve naturali marine in quei particolari ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica ed economica. In esse cultura e natura si intrecciano e si fondono in equilibri diversi e affascinanti, in un rapporto indissolubile con i contributi culturali provenienti da tutte le sponde del Mediterraneo. L’articolo 2 della Legge 394/91, si preoccupa, invece, di far rientrare tale definizione nell’ambito di una classificazione piuttosto ampia per il settore. Tuttavia, riferendosi all’ambiente marino, risalta la definizione che è propria della legge 979/82 più volte menzionata, distinguendo le fattispecie di luogo di che trattasi non solo dai parchi nazionali e regionali, ma anche dalle aree protette statali e regionali, in quanto i parametri istitutivi e di regolamentazione risultano essere piuttosto differenti sino ad apparire in alcune circostanze, assai remoti. L’iter istitutivo di una riserva marina naturale protetta continua ad essere regolamentato dall’articolo 26 della Legge 979/82, sebbene, con la Legge 426/98, sia stata soppressa la “Consulta per la difesa del mare”, trasferendone i relativi compiti alla III^ Divisione della Direzione per la difesa del Mare del Ministero dell’Ambiente, coadiuvata da una “Segreteria Tecnica per le Aree Marine Protette”; quest’ultima composta da personale altamente specializzato. Analizzando attentamente tutta la problematica normativa, è possibile intuire, tra l’altro, come il tutto trovi la sua “conditio sine qua non” di esistenza nel fondamentale principio costituzionale espresso dall’art. 9 della Carta Costituzionale, proprio perché: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutelando il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Le aree marine protette sono costituite, pertanto,da tratti di mare, costieri e non, in cui le attività umane sono parzialmente o totalmente limitate. Nelle riserve marine è assolutamente vietato: abbandonare rifiuti sulle spiagge, effettuare la pesca subacquea. Le seguenti attività sono soggette a regolamentazione variabile: pesca sportiva, pesca professionale, immersione subacquea, ingresso con mezzi di trasporto inquinanti (imbarcazioni a motore, moto, automobili). La tipologia di queste aree varia in base ai vincoli di protezione e ogni attività può essere regolamentata in funzione delle finalità per la cui realizzazione la riserva è stata istituita. Sono comunque vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell’area, come la pesca, l’esportazione di minerali e reperti archeologici., la navigazione a motore, la discarica di rifiuti, ecc. La vigilanza e la gestione delle riserve è affidata alle Capitanerie di porto competenti, ma la gestione può anche essere delegata a enti pubblici, istituzioni scientifiche che associazioni riconosciute con apposita convenzione stipulata dal Ministro dell’ambiente.
Al momento in Italia esistono 30 riserve marine (compreso il Santuario[2] [18] dei mammiferi marini) istituite da decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica. A tali aree occorre aggiungere 2 parchi nazionali (l'Arcipelago Toscano e l'Arcipelago di La Maddalena) che presentano perimetrazioni a mare. Altre sono in programma e oggi vengono definite "Aree di reperimento".
Le aree marine protette sono generalmente divise in "settori" a diverso grado di tutela. Troviamo infatti una «zona A» destinata a riserva integrale, una «zona B» a riserva generale ed una «zona C» a riserva parziale.
L’obbligo di provvedere all’approntamento di strumenti di tutela più incisivi per i siti marini di particolare pregio è sancito anche nelle Convenzioni internazionali alle quali ha aderito lo Stato italiano, come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 1982 e la Convenzione internazionale sulla biodiversità di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992. Così l’art. 194 della Convenzione di Montego Bay impone agli Stati aderenti di adottare misure di salvaguardia e di prevenzione di «ecosistemi rari o delicati» e di qualsiasi altra forma di vita marina in pericolo di estinzione.
[1] [18] La definizione normativa di «riserva marina» di cui all’art. 25 comma 1, Legge 979/82 è analoga alla definizione di «area marina protetta» che è stata eleborata nel diritto internazionale.
[2] [18] Il Santuario dei Cetacei, si estende in un’area protetta di vaste dimensioni, ben 87.500 chilometri quadrati, la maggior parte dei quali in acque internazionali, e ha come limiti Punta Escampobariu (43°20'00''N ; 004°50'30''E) in Francia, Capo Falcone (40°58'00'' N ; 008°12'00''E) e Capo Ferro (41°09'18'' N ; 009°31'00'' E) nella Sardegna Occidentale e Fosso Chiarone (42°21'24'' N ; 011°31'00'' E) in Toscana. Il Santuario dei Cetacei comprende numerose "Aree Marine Protette", inoltre è delimitato da ben 5 grandi Aree Protette Terrestri: 4 Parchi Nazionali ed un Parco Regionale. Il Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria, il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, il Parco Regionale della Maremma Toscana, Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena ed il Parco Nazionale dell'Asinara. Essi possono essere considerati non solo i limiti geografici ma parte integrante del Santuario stesso, poichè l'area di tutela spesso si estende anche al mare.
Le zone di particolare valore naturalistico da destinare ad Aree Marine Protette, le cosiddette aree di reperimento, sono individuate dalla legge 31 dicembre 1982 n. 979 (sulla difesa del mare) e dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394 e successive modificazioni e integrazioni (legge quadro sulle aree protette) che dettano anche le procedure per l'istituzione delle stesse aree marine.
Le Aree Marine Protette sono istituite con apposito provvedimento che prevede la determinazione delle aree marittime e di demanio marittimo costituenti la superficie delle aree stesse; le finalità di carattere scientifico, culturale, economico ed educativo per la cui realizzazione è istituita l'area protetta; i programmi di studio e di ricerca scientifica nonché di valorizzazione da attuarsi nell'ambito dell'area; la regolamentazione dell'Area Marina Protetta con la specificazione delle attività oggetto di divieto o di particolari limitazioni o autorizzazioni.
Le riserve marine protette oltre ad aver ricevuto un inquadramento giuridico dalle Leggi 979/ 82 e 394/91, hanno contemporaneamente acquisito quell’indispensabile linfa a che vengano alla luce e successivamente siano portate avanti attraverso permanenti e adeguate risorse umane, economiche ed amministrative. Con il dettato sulle disposizioni per la difesa del mare, furono individuate ben 20 aree di reperimento. Successivamente talune furono portate a 46 con la Legge 394/91, quale “Legge quadro sulle aree protette”; tuttavia, allo stato attuale, le riserve marine effettivamente istituite sono 30 (compreso il Santuario dei mammiferi marini).
L’iter istitutivo prevede, infatti, che nell’ambito di dette aree, il Ministero dell’Ambiente, coadiuvato dalla Direzione generale per la protezione della natura (ex Servizio Difesa Mare) e dalla Segreteria tecnica per le Aree Marine Protette, avvalendosi inoltre di istituti scientifici, laboratori e centri di ricerca, effettui dapprima uno studio che porti ad una dettagliata ed approfondita conoscenza dell’ambiente naturale d’interesse. In un secondo momento, gli esperti della Segreteria tecnica avviano l’istruttoria istitutiva, fermo restando l’acquisizione di essenziali pareri tecnico – economici da parte di enti e comunità locali; talvolta risulta rilevante supportarli con sopralluoghi specificatamente mirati agli scopi da perseguire. Ultimate queste fasi, si provvede ulteriormente all’acquisizione dei pareri della Regione e degli enti locali interessati dall’istituenda area marina protetta al fine di ottenere un concreto ed armonico consenso locale. Non ultima, infine, risulta l’acquisizione del parere della Conferenza Unificata in merito allo schema di Decreto Ministeriale. Ultimata anche quest’ultima fase, il Ministro dell’Ambiente, sentito il Ministro dell’Economia, procede all’effettiva istituzione dell’area marina protetta, autorizzando anche il finanziamento per far fronte alle prime spese attinenti e necessarie all’istituzione, secondo quanto previsto dalle Leggi 394/91 e 93/01. Importante aspetto dell’iter è poi la suddivisione in zone diverse in relazione alle caratteristiche ambientali, in quanto esiste la necessità improcrastinabile di assegnare un differente regime di tutela tenendo conto delle diverse attività presenti.
Le 30 Aree Marine Protette istituite al 31 dicembre 2010 sono le seguenti:
A tali aree occorre aggiungere 2 parchi nazionali (l'Arcipelago Toscano e l'Arcipelago di La Maddalena) che presentano perimetrazioni a mare.
Parco nazionale - Arcipelago di La Maddalena Spiaggia di "Cala Andreani" Isola di Caprera
Tali zone sono identificate con A, B e C.
I diversi divieti vengono di volta in volta individuati dal decreto istitutivo, tenendo conto delle realtà locali, con il quale si provvede a stabilire i limiti e le modalità di segnalamento marittimo.
La gestione delle Aree Marine Protette è affidata, con specifico provvedimento, ad enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste riconosciute, anche consorziate tra loro. L'ente delegato nella gestione dell'Area Marina Protetta è affiancato da una Commissione che formula proposte e suggerimenti per tutto quanto attiene al funzionamento dell'area medesima. In particolare, esprime il proprio parere sul regolamento di esecuzione del decreto istitutivo e l'organizzazione dell'area protetta oltre che sulle previsioni delle spese relative alla gestione.
La Commissione è nominata con decreto del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha la seguente composizione:
Parco Nazionale - Arcipelago di La Maddalena Spiaggia di "Cala Andreani" Isola di Caprera
Di norma l'Area Marina Protetta viene suddivisa in tre distinte zone a diverso grado di tutela che, pur non prevedendo un limite assoluto alle tradizionali attività legate al mare (prime fra tutte la pesca e il turismo), ne regolano lo svolgimento in base alle diverse necessità di conservazione. Esse si distinguono in:
La zona di riserva integrale (A) è quella in cui sono generalmente vietate le attività che possano arrecare danno o disturbo all'ambiente marino. Essa garantisce la tutela della biodiversità e il ripopolamento delle specie animali e vegetali, e pertanto prescrive, quasi sempre, il divieto di balneazione e di navigazione, escluse solo le attività di ricerca scientifica.
Al confine con la zona di protezione integrale si trova quella di riserva generale (B) che coniuga la conservazione dei valori ambientali con la fruizione compatibile dell'ambiente marino. In essa, in genere, sono consentite la balneazione, le visite guidate anche subacquee, la navigazione (a remi, a vela o a velocità ridotta), l'ormeggio e l'ancoraggio in zone limitate individuate dall'ente gestore. Le attività di pesca consentite si limitano generalmente alle attività professionali esercitate dai residenti, mentre la pesca sportiva, quando permessa, è regolamentata rigidamente. La pesca subacquea è rigorosamente vietata.
Di norma la zona di riserva generale è racchiusa da una zona di riserva parziale (C) che si può considerare una fascia tampone tra le zone di maggiore pregio naturalistico e i settori esterni all'Area Marina Protetta. Qui, oltre a quanto già consentito nelle altre zone, sono permesse e regolamentate dall'organismo di gestione tutte le attività di fruizione del mare di modesto impatto ambientale, quali la navigazione delle imbarcazioni a motore (nel più dei casi a velocità ridotta), l'ormeggio, l'ancoraggio e la pesca sportiva.
Occorre precisare che limiti e divieti nelle diverse zone sono esattamente definiti e individuati dai decreti istitutivi e dai regolamenti delle Aree Marine Protette, che tengono conto delle peculiarità, caratteristiche e necessità di ciascuna.
Parco Nazionale - Arcipelago di La Maddalena Spiaggia "Il Costone" Isola di La Maddalena
E’ evidente come le riserve naturali marine - aree di particolare valore naturalistico - richiedano un costante controllo ed un’intensa attività di prevenzione e repressione, adeguatamente supportate da una gestione responsabile che soddisfi appieno, coniugando in maniera equilibrata, sia le aspettative degli utenti del mare che quelle dell’ambiente da tutelare. A tal riguardo, le Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, assolvono essenziali compiti di polizia amministrativa, nella sua accezione più ampia, conferiti non solo dalla legge istitutiva ma anche dal Codice di Procedura Penale e dal Codice della Navigazione. L’art. 19 della legge quadro sulle aree protette, infatti, sancisce che per l’eventuale gestione delle aree marine protette, il Ministero dell’Ambiente si avvale proprio delle competenti Capitanerie di Porto. Tenuto conto, altresì, che per ogni riserva marina la legge prevede una commissione di riserva, nominata con decreto ministeriale, di cui fa parte il Comandante della Capitaneria di Porto interessata, ben si comprende come l’Autorità Marittima sia rappresentativa tanto degli aspetti inerenti la salvaguardia ambientale quanto di quelli legati al traffico marittimo, alle attività di pesca, al diporto ed in genere a quanto connesso con le realtà esistenti in loco. La Commissione di riserva ha un duplice compito ovvero, di affiancare la Capitaneria e l’Ente gestore nella gestione dell’area protetta, formulando proposte e suggerimenti per tutto quanto attiene al funzionamento della riserva stessa, e di fornire il proprio parere in merito alla proposta del regolamento di esecuzione del decreto istitutivo e di organizzazione della riserva, ivi comprese le previsioni relative alle spese di gestione, formulata dalla Capitaneria o dall’ente. Chiaramente, il regolamento sarà sottoposto ad approvazione da parte del Ministro, sentito il parere della Direzione Genarale per la protezione della natura (ex Servizio Difesa Mare) – Segreteria Tecnica per le aree marine protette.
Il Capo del Compartimento ai sensi dell’articolo 59 del Reg. Cod. Nav., in veste di Capo del Circondario, può emanare delle "ordinanze" (atti amministrativi aventi forza di legge) ai fini della disciplina organizzativa e gestionale della riserva protetta. Nel periodo che intercorre tra la pubblicazione del decreto istitutivo sulla Gazzetta Ufficiale e l’individuazione dell’Ente gestore, tale provvedimento assume indubbiamente un elevato carattere normativo poiché permette di delineare, seppur temporaneamente, una forma di tutela che comunque risulta essere utile anche se probabilmente incompleta o apparentemente superficiale.
Lo strumento che consente al Corpo di intraprendere azioni repressive qualora venissero accertati degli illeciti amministrativi e penali, è costituito dall’art. 30 (Sanzioni) della legge 979/82 e della legge 394/91.
Per le violazioni amministrative è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 103 € ad un massimo di 2.582 €, mentre per quelle penali la pena pecuniaria o detentiva variano a seconda della tipologia di reato commesso.
Parco Nazionale - Arcipelago di La Maddalena Spiaggia "Il Costone" Isola di La Maddalena
Il Codice di procedura penale richiede una particolare professionalità da parte del personale di Polizia Giudiziaria non solo durante le indagini preliminari, ma anche nella successiva fase dibattimentale, tanto in relazione agli atti compiuti che vengono, almeno in parte, valutati ai fini della decisione e contribuiscono così alla formazione della prova, quanto in sede di testimonianza, al cospetto di un Giudice pressoché ignaro dei fatti.
Tale stato di cose appare maggiormente accentuato nei procedimenti che riguardano i reati commessi con violazione delle norme poste a «tutela dell’ambiente». Invero, da una quasi totale assenza di leggi, che costringeva gli operatori ad applicare in maniera talora impropria le norme del Codice penale, si è passati ad una situazione in cui norme numerose, ma spesso di difficile interpretazione, regolano i diversi e talora anche gli stessi aspetti di una medesima materia. Altre norme, inoltre, prevedono generalmente una suddivisione di competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni e così contribuiscono a rendere ancora più ardua l’opera dell’interprete.
Peraltro la Polizia Giudiziaria, nell’espletare le attività di istituto dovrà tenere conto di tutto ciò, considerando inoltre che, a fronte di pene a volte irrisorie, i processi riguardanti la materia in esame incidono su interessi economici e politici di notevole rilievo. Ne consegue che chi opera in tale campo sovente troverà, nello svolgimento delle indagini, maggiori difficoltà rispetto a quelle incontrate per i più comuni reati previsti dal Codice penale.
Un ulteriore problema consiste nel fatto che la maggior parte degli atti di indagine compiuti, o per lo meno i più importanti tra essi, assumono la veste di ‘‘atti irripetibili’’ i quali giocano un ruolo importante ai fini della decisione, avendo ingresso nel dibattimento come fonti di prova.
Parimenti importante è l’acquisizione di documenti (autorizzazioni ed altri atti amministrativi) che consentono al Pubblico Ministero e, successivamente, al Giudice, di ricostruire l’intero iter seguito nei procedimenti amministrativi che precedono il rilascio dei predetti atti o che comunque illustrano quale sia stata la posizione assunta dalle parti private e dagli enti pubblici preposti alla tutela dell’ambiente nell’ambito dei fatti oggetto di indagine.
La rilevanza della prova documentale non fa tuttavia venir meno l’importanza della prova testimoniale: la complessità delle pratiche amministrative o di alcune indagini compiute, rende pressoché indispensabile la presenza dell’Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria che le ha svolte, quantomeno per illustrare quei particolari che non vengono immediatamente posti in evidenza dal contenuto dei documenti prodotti.
Non va poi sottaciuto che, nonostante il risalto che attualmente viene dato ai problemi connessi con la tutela dell’ambiente, quasi mai si dà seguito concreto alle frequenti dichiarazioni di intenti, specie dei soggetti pubblici, cosicché la Polizia Giudiziaria si troverà qualche volta ad operare senza il sostegno o, peggio, con l’opposizione esplicita o implicita, di quanti, preposti a detta tutela, esercitano con scarsa attenzione le funzioni loro attribuite, rendendo più difficoltosa l’attività di indagine.
Le circostanze sopra indicate rendono dunque necessaria la massima attenzione ed un costante contatto con l’ufficio del Pubblico Ministero, con il quale saranno concordate le modalità di esecuzione dei singoli atti di indagine.
Al pari di quanto accade per un qualsiasi reato, anche in relazione ai reati ambientali l’accertamento si snoda attraverso le scansioni procedimentali classiche ed i consueti strumenti configurati normativamente, sia in sede di indagini che nell’ambito del processo. Questo significa che in questa materia, almeno tendenzialmente, possono richiamarsi tutti i principi e le soluzioni suggerite dalla dottrina e fatte proprie dalla giurisprudenza in altri campi
I reati in materia ambientale sono, al pari di tutti gli altri reati inerenti ogni altro settore, di competenza generica di tutta la Polizia Giudiziaria. Non esiste, quindi, alcuna competenza selettiva specifica che determini una esclusività operativa di un Organo di polizia giudiziaria verso questi reati o addirittura verso alcuni di questi reati. In altre parole, nessun Organo di polizia giudiziaria può essere considerato competente in via esclusiva per alcuni reati ambientali (con esclusione di altri Organi) né, al contrario, nessun Organo di polizia può ritenersi esonerato parzialmente o totalmente dalla competenza verso questi reati (con rinvio ad altri Organi).
Indubbiamente esiste una specializzazione di fatto che fa si che alcuni Organi siano istituzionalmente preposti e preparati in particolare verso determinate tipologie di illeciti, ma questo non esime gli stessi Organi dalla competenza verso gli altri reati ed in particolare, per quanto attiene al settore in esame, non li esime dal potere-dovere di intervento verso illeciti di diversa tipologia nel campo ambientale.
Tale concetto è autorevolmente ripreso e ribadito fin dagli anni ’90 dalla Suprema Corte di Cassazione la quale fin da allora ha espressamente sancito che «i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la Polizia Giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni» (Cass. Pen., Sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872 – Prs. Gambino, Est. Postiglione).
La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della Polizia Giudiziaria in generale, aggiunge che «naturalmente la Polizia Giudiziaria potrà avvalersi di “persone idonee” nella qualità di “ausiliari” e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa Polizia Giudiziaria». Questo, dunque, è un principio basilare che riguarda i rapporti tra Polizia Giudiziaria e reati in generale.
Tutti gli Organi di polizia, su iniziativa o su segnalazione, devono comunque sempre intervenire in ordine ad un reato ambientale. E non possono rifiutare il loro operato (sotto pena di integrazione del reato di omissione di atti di ufficio ex art. 328 c.p.) qualora un privato si rivolga a loro sostenendo, e ciò è frequente, che non è di loro competenza ma che bisogna rivolgersi ad un Organo specializzato.
Il fondamento di quanto asserito lo troviamo nell’art. 55 c.p.p. che nell’individuare i compiti della polizia giudiziaria, stabilisce che «la stessa deve prendere notizia dei reati impedendo che vengano portati a conseguenze ulteriori, e compiere, fra l’altro, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova» non distingue poi affatto competenze selettive per genere di reati ma crea un connubio generale polizia giudiziaria (generica) – reati (generici).
L’articolo 347 del Codice di procedura penale disciplina l’obbligo da parte della Polizia Giudiziaria di riferire “senza ritardo” e “per iscritto” al Pubblico Ministero competente; tale comunicazione deve contenere secondo il disposto della norma:
La predetta disposizione fa obbligo inoltre di comunicare, quando sia possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti ed, inoltre, qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell’atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari.
È opportuno sottolineare che l’obbligo di riferire “senza ritardo” deve essere inteso non come un obbligo di comunicare immediatamente qualsiasi notizia acquisita e che prima facie abbia la parvenza di un reato, ma deve essere interpretata nel senso che il fatto, che si ritiene possa integrare una notitia criminis, deve essere attentamente verificato ed, in ogni caso, supportato da una minima attività di indagine che possa dare al Pubblico Ministero, che riceve la comunicazione, un’idea alquanto precisa sul fatto e sulla responsabilità penale di chi si ritiene autore dello stesso.
In merito alla locuzione “senza ritardo” o all’avverbio “immediatamente” utilizzati rispettivamente nei commi primo e terzo dell’articolo 347 c.p.p., la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che essi, ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell’obbligo della Polizia Giudiziaria di riferire la notizia di reato al Pubblico Ministero le espressioni adoperate dalla legge (e precisamente “senza ritardo” o “immediatamente”), pur se non impongono termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè non appena possibile, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro.
La stessa Corte ha aggiunto che, dinanzi alla mancata previsione di un termine per l’adempimento dell’obbligo di denuncia di cui all’art. 361 Codice penale, vi sia ritardo nella trasmissione della denuncia (ritardo equiparato alla omissione, con le conseguenze previste dalla norma de qua), allorché il rapporto venga presentato con una dilazione tale da incidere negativamente sulla pronta persecuzione del reato, che è il fine tutelato dalla norma stessa.
Ciò è indispensabile per consentire all’Autorità inquirente di poter assumere la direzione delle indagini e continuare ad indagare in modo efficace e proficuo.
Con particolare riferimento alla «materia ambientale», va detto che si rivela di fondamentale importanza, ai fini del prosieguo delle indagini da parte dell’Autorità inquirente, che la Polizia Giudiziaria non si limiti a comunicare sic ed simpliciter i fatti, ma proceda altresì allo svolgimento delle indagini necessarie per ricostruire il fatto costituente reato (ipotizzando la fattispecie violata), sia sotto l’aspetto materiale ed oggettivo che, soprattutto, sotto l’aspetto psicologico, acquisendo tutte quelle fonti di prova che costituiranno poi l’impalcatura probatoria per consentire la formazione della prova in sede penale ed addivenire così alla condanna dei responsabili.
Molto spesso, infatti, sono le stesse Autorità inquirenti che dettano precise direttive in tal senso e chiedono alla Polizia Giudiziaria di acquisire, nell’immediatezza dei fatti, le fonti di prova che, altrimenti, andrebbero perdute, congelando così il teatro degli avvenimenti. Così come si è già puntualizzato, la Polizia Giudiziaria deve procedere in modo particolare ad effettuare dei rilievi fotografici dei luoghi in cui è stato accertato un reato ambientale, in modo tale da far conoscere, anche sul piano visivo, al Pubblico Ministero ciò che è oggetto di descrizione sia nell’annotazione di polizia giudiziaria che nel corpo della notizia di reato. In ogni caso, trattandosi di atto irripetibile, è necessario che venga redatto un apposito verbale dei rilievi fotografici che, pur allegato alla comunicazione di reato, potrà trasmigrare dal fascicolo del Pubblico Ministero a quello del dibattimento, costituendo prova in senso tecnico del giudizio.
È appena il caso di aggiungere che si rivela spesso di fondamentale importanza procedere agli accertamenti urgenti sui luoghi di cui all’articolo 354 c.p.p. e, se del caso, al contestuale sequestro probatorio, chiedendone nei termini la convalida all’Autorità giudiziaria competente.
L’attività della Polizia Giudiziaria deve essere scevra da condizionamenti; deve essere improntata alla massima serenità nell’accertare i fatti e le eventuali responsabilità. Sarà poi il Pubblico Ministero a decidere sulla rilevanza o meno di quanto accertato dalla Polizia Giudiziaria e procedere alla richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione. È comunque necessario che vi sia un continuo collegamento fra Polizia Giudiziaria e Pubblico Ministero, in modo tale che l’attività investigativa fin da subito segua un percorso lineare e teso alla ricerca di tutte le fonti di prova anche quelle volte a escludere la responsabilità di chi di primo acchito possa apparire l’unico responsabile di un determinato fatto reato.
È chiaro che, nell’attesa che il Pubblico Ministero assuma la direzione delle indagini, la Polizia Giudiziaria potrà espletare, dopo aver dato la comunicazione di reato, ulteriore indagini, e dovrà darne tempestiva comunicazione all’Autorità giudiziaria procedente.
La Suprema Corte ha chiarito, infatti, che, nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, la Polizia Giudiziaria dispone di un margine di autonoma operatività non solo prima della comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato di cui all’articolo 347 c.p.p., ma anche dopo tale comunicazione, così come previsto dall’articolo 348 c.p.p., giacché essa - oltre a dareesecuzione alle specifiche direttive impartite dal Pubblico Ministero - ben può compiere ulteriori attività investigative, a condizione che tali attività non siano incompatibili (o comunque in contrasto) con le specifiche direttive impartite dal Pubblico Ministero stesso e, di conseguenza, nessun limite investigativo è ravvisabile nei casi in cui, nonostante l’avvenuta comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato, questi non abbia in concreto emanato direttiva alcuna, non potendosi nemmeno astrattamente prospettarsi (in tali casi) problemi di incompatibilità o contrasti; si deve ritenere, pertanto, l’esclusiva operatività, nei casi in questione, del disposto di cui all’art. 348 comma 1 c.p.p.
Prima di concludere questa parte dedicata all’attività di polizia, va sottolineato che lo svolgimento delle relative indagini presenta, come è ovvio, una maggiore complessità allorquando non ricorra la flagranza del reato nè si abbiano fondati sospetti sull’unità che abbia potuto causare l’inquinamento.
Tutti gli Stati si sono dati norme interne in materia di inquinamento marino causato dalle navi, soprattutto tese a regolamentare ciò che la Marpol non voleva e non poteva fare, cioè stabilire norme sanzionatorie per i trasgressori, sia di carattere amministrativo che penale.
Come è noto l’Italia ha provveduto ad emenare le prime vere norme antinquinamento negli anni ’80 con la Legge 31/12/1982 n. 979, detta “Difesa del Mare”. Fra l’altro detta normativa ebbe due indiscussi meriti per incentivare e rendere più efficace l’attività di controllo e polizia:
La suddetta normativa è stata recentemente modificata ed aggiornata con l’emanazione del Decreto Legislativo 06/11/2007 n. 202, in attuazione della Direttiva 2005/35/CE che non solo ribadisce i divieti di scarico delle sostanze inquinanti anche nell’alto mare, ma stabilisce l’obbligo per l’Autorità Marittima di accertare le eventuali irregolarità di carattere tecnico (ad esempio, un separatore acque oleose di bordo manomesso) od amministrativo (ad esempio, un Registro del Carico di idrocarburi non conforme o palesemente non veritiero) delle navi in porto, nonché detta misure di controllo delle navi in transito nei mari limitrofi alle coste degli Stati comunitari stabilendo un sistema di fattiva collaborazione fra gli stessi nel perseguire, anche con il loro “fermo”[ [19]1] [19], le navi responsabili di inquinamento. Altro fatto da evidenziare è che il Decreto va a sanare un grave difetto intrinseco della precedente Legge 979/1982, che prevedeva solo il reato di inquinamento nella sua attuazione “dolosa”[ [19]2] [19] e ne perseguiva, inoltre, la sola persona del Comandante della nave. Con quest’ultima normativa possono essere, infatti, adeguatamente perseguiti anche i reati di inquinamento “colposo”[ [19]3] [19]con la possibilità di sanzionare chiunque del bordo li abbia commessi.
Alla Legge 979/1982, poi emendata come sopra specificato, seguì tutta una serie di interventi legislativi, sempre inerenti, più o meno direttamente, all’attività di controllo e vigilanza delle navi, di cui si citano in sintesi di seguito gli effetti normativi:
VTSL - Forte di "San Vittorio" Guardia Vecchia - Isola di La Maddalena
Sala Operativa del ”Bonifacio Traffic”
[ [19]1] [19]L’art. 7, comma 2 (Fermo della nave), dispone che se esistono elementi di prova certi ed obiettivi che una nave che naviga nelle acque territoriali, negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare, nell’alto mare abbia effettuato uno scarico che provoca o minaccia di provocare un grave danno al litorale o agli interessi collegati allo Stato italiano o alle altre risorse delle acque territoriali o della zona economica esclusiva o di una zona equivalente (articolo 7), l’Autorità Marittima, qualora gli elementi di prova lo giustificano e fatto salvo quanto previsto nella parte XII, sezione 7, della Montego Bay 1982, procede, sulla base di apposite direttive indicate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a sottoporre a “fermo” la nave, ad informare le Autorità dello Stato di bandiera della nave e ad adottare le misure necessarie (articolo 6) allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli
[2 [19]] [19]L’articolo 8, comma 1 D.lgs. 202/07 (inquinamento doloso) dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000. Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
L’articolo 10, comma 1 D.lgs. 202/07 prevede a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8 la pena accessoria della «sospensione del titolo professionale» per il Comandante della nave e per le persone dell’equipaggio fornite dei titoli di cui all’art. 123 cod. nav., nonché la «sospensione dalla professione marittima» per i restanti membri dell’equipaggio, rispettivamente di durata non inferiore ad 1 (uno) anno, ai sensi dell’art. 1083 cod. nav.
[3 [19]] [19]L’articolo 9, comma 1 D.lgs. 202/07 (Inquinamento colpso) dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000. Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
[ [19]4] [19]Il VTS è un sistema complesso di mezzi di rilevazione (radar, radiogoniometri, comunicazioni di riporto in radiofonia/radiotelex nelle bande di frequenza del servizio mobile marittimo) della posizione delle unità navali in transito in una zona di mare, tra loro combinati, i cui dati vengono analizzati e integrati da un software di gestione che rappresenta in’immagine delo traffico complessivo su cartografia elettronica, in una data area.Il sitema ha lo scopo di fornire i dati che permettono la gestione completa del traffico marittimo, attraverso un’interfaccia sviluppata ad hoc, al fine di costituire un fondamentale ed efficace ausilio al processo decisionale degli moperatori in materia di sicurezza della navigazione, salvaguardia della vita in mare, prevenzione degli inquinamenti delle zone marine e costiere causati da incidenti ed infine sicurezza (security) a bordo delle unità navali, nei terminali marittimi e nelle infrastrutture portuali. Il VTS è composto da un sistema centrale (VTSC) presso il Comando Generale delle Capitanerie di Porto; 15 sistemi regionali (VTSA) localizzati presso le Direzioni Marittime con compiti di supervisione coordinamento del centri locali (VTSL) presenti nell’area di propria giurisdizione e distribuiti lungo le coste nazionali ed equipaggiati di tutte le componenti sensoristiche per l’interazione operativa col mondo navigante.
Il ruolo da sempre ricoperto dalle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera in materia di «sicurezza e prevenzione ambientale» è sempre stato considerato dal legislatore, almeno dal 1982, come un ruolo di primo piano nella tutela dagli inquinamenti marini e di intervento per fronteggiare i danni provocati all’ambiente marino. Tale centralità, peraltro, è dimostrata dalla legge sulla difesa del mare, la quale con l’attribuzione di ulteriori uomini e mezzi, con l’istituzione di "Centri Operativi" e con la figura dell’Ispettorato Centrale Difesa Mare, ha individuato nel Ministero dell’Ambiente l’organo propulsivo e direttivo nella tutela del mare e, nelle Capitanerie di Porto, l’organo esecutivo di tale pianificazione. L’articolo 23 della citata legge 979/82, che delega espressamente ai Comandanti di porto i compiti di vigilanza antinquinamento sul mare, ne è dimostrazione.[1] [18]
Attraverso la propria organizzazione centrale, ovvero il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera -, e più precisamente la “Centrale Operativa” del 3° Reparto “piani ed Operazioni”, e periferica, le Capitanerie assolvono compiti relativamente alla sorveglianza antinquinamento in mare, di pattugliamento per mezzo di unità navali dei reparti “Guardia Costiera”, al fine di prevenire, reprimere e sorvegliare quanto possa costituire pericolo o minaccia per gli ecosistemi marini. A quest’importante attività, prevalentemente navale, si affianca, il «Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C.» (S.T.A.I), con il compito di predisporre e pianificare missioni di telerilevamento ambientale avvalendosi dei mezzi della componente aerea. Allo stato attuale, essa è costituita da 9 elicotteri AB412 (“Koala”), 6 bimotori turboelica Piaggio P-166DL3 (“Orca”) e 2 bimotore turboelica a lunga autonomia ATR – 42MP (“Manta”).
Né poteva mancare, anche in tale contesto operativo del Corpo, un impegno propulsivo dal punto di vista "tecnologico" finalizzato all’individuazione di sempre migliori soluzioni tecniche volte a prevenire il fenomeno dell’inquinamento marino ed a contrastarne con efficacia gli effetti.
Il sistema N.I.S.A.T. (Navigation Information System in Advanced Technology) ha consentito un notevole passo in avanti nella gestione dei compiti della Centrale Operativa nei settori della sicurezza della navigazione, salvaguardia della vita umana in mare e lotta agli inquinamenti marini. Infatti, un’informatizzazione avanzata permette di avere a disposizione, in tempo reale, i dati necessari agli operatori per poter intervenire efficacemente nei casi di emergenza.
Il sistema è sostanzialmente un data-base contenente tutte le informazioni relative alle risorse esistenti sul territorio nazionale per la lotta agli inquinamenti marini, tenuto conto che la legge 31.12.1982, n.979 attribuisce alle Autorità marittime competenze operative in tale settore.
In particolare, relativamente alla lotta agli inquinamenti, con l’introduzione del «Sistema HAZMAT» (Hazardous Materials), già previsto dalle direttive 93/75 e 96/39 della Comunità Europea, è stato possibile monitorare il movimento delle navi che trasportano carichi pericolosi o inquinanti in arrivo o in partenza dai porti comunitari, al fine di prevenire, nei limiti del possibile, gli incidenti in mare, ridurre gli eventuali danni e individuare i responsabili nei casi di inquinamento doloso del mare. Le segnalazioni riguardanti i movimenti delle navi e la natura dei carichi trasportati, originate dal comandi di bordo, sono inviate all’IMRCC (Italian Maritime Rescue and Coordination Center) dalle Autorità Marittime a cui prevengono tramite gli Agenti Marittimi. I messaggi, di tipo formattato, contengono una serie di informazioni standard necessarie per il riporto dei dati riguardanti la navigazione e quelli relativi al carico trasportato. Vengono inviati all'IMRCC tramite posta elettronica, per essere automaticamente inseriti nel sistema grazie ad un apposito software. L'HAZMAT è in grado di interfacciarsi con l'ARES e con gli altri sottosistemi di elaborazione dati. Al momento le informazioni sono messe a disposizione dei Paesi comunitari o di altri che ne facciano richiesta con sistemi di telecomunicazione convenzionali (fax, E Mail). Recentemente l'Italia ha aderito ad un protocollo d'intesa tra alcuni Paesi dell'Unione Europea per la realizzazione dell' EU EDI HAZMAT (Sistema di scambio dati elettronico - Electronic Data Interchange) per la connessione in rete delle banche dati HAZMAT.
Il «Sistema MAREM» (Maritime emergency), inoltre, quale sottosistema del N.I.S.A.T. (Sistema informativo per la Navigazione ad Avanzata tecnologia), gestisce un data–base contenente tutte le informazioni relative al naviglio italiano, sue caratteristiche e dotazioni di bordo e di tutte le risorse esistenti sul territorio nazionale per la lotta agli inquinamenti marini, evidenziando pertanto le attribuzioni conferite alle Capitanerie in tali settori. Tale sottosistema è anche equipaggiato con uno specifico software adatto proprio alla gestione delle emergenze ambientali e recentemente interfacciato, a livello del tutto sperimentale, con il server RAMSES, sistema in rete per la trasmissione di informazioni satellitari afferenti l’avvistamento di sversamenti di idrocarburi in mare.
Nel contesto della protezione dell’ecosistema marino non è da dimenticare - in applicazione del Memorandum di Parigi del 26 gennaio 1982 (Paris MOU – Paris Memorandum of Understanding on the Port State Control), stipulata tra gli Stati Europei ed alcuni Stati extraeuropei, per arminizzare i controlli a bordo delle navi che approdano nei porti dei paesi aderenti - l’attività di Port State Control (PSC) e tutte le analoghe azioni mirate a riconoscere, in anticipo rispetto al danno ambientale consumato, l’incidenza di rischio connesso con le carenti condizioni delle navi straniere che approdino nei porti degli stati firmatari. L’attività che riguarda il Port State Control è rivolta principalmente a contrastare il fenomeno delle c.d. navi sub-standards ed è strumentale allo svolgimento di quell’attività di controllo e vigilanza tesa a salvaguardare la salute del nostro mare. L’accordo di Parigi prevede tra l’altro che ogni Stato firmatario ispezioni almeno il 25% delle navi straniere in arrivo nei propri porti, al fine di verificare le condizioni di adeguatezza e di conformità alle norme internazionali di sicurezza, fra cui spicca anche la Marpol 73/78.
Esiste, inoltre, un ulteriore e non ultimo servizio svolto a terra dalle Capitanerie che investe due livelli organizzativi, centrale e periferico; il primo facente capo al Ministero dell’Ambiente, ove è stata istituita, a mezzo apposita convenzione, stipulata in data 06 Agosto 1999 tra detto dicastero e quello delle infrastrutture e dei trasporti, l’ Unità Organizzativa del Corpo delle Capitanerie di Porto, composta da 10 elementi tra Ufficiali, Sottufficiali e marinai con l’obiettivo primario di avvalersi da tale personale specializzato per il miglior perseguimento dei fini individuati non soltanto dalle leggi 979/82, 349/86 e 394/91, modificata dalla 426/98 ed istitutiva delle riserve marine protette, ma anche delle convenzioni internazionali ed accordi comunitari. Il secondo, invece, facente capo ad ogni singolo ente periferico del Corpo, individuabile come sede compartimentale – capitaneria di porto, ove sono stati appositamente istituiti i “Nuclei per la Difesa del Mare” (N.O.D.M.), composti da personale in forza a codesti enti. La relativa organizzazione funzionale è disciplinata con apposito ordine di servizio sulla base della circolare 1/1997 in data 31/01/1987 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al cui servizio devono ricondursi tutte le attività svolte da altri nuclei operativi quali il “Nucleo Operativo Intervento Portuale" (N.O.I.P.), “Nucleo Operativo Ambiente” (N.O.A.) ed il personale addetto ai controlli sulla pesca, secondo quanto disposto dalla Circolare n° 82/35668/II in data 30/05/2000, del Comando Generale.
In ogni compartimento marittimo, infine, esiste un “Piano Locale di Pronto intervento”, che è attuato dal Capo del Compartimento in caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento, il quale, inoltre, provvede a disporre le misure necessarie per prevenire o eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risulti tecnicamente impossibile eliminarli mettendosi in contatto con la Direzione Generale per la protezione della natura ( ex Servizio Difesa Mare) del Ministero dell’Ambiente.
Tutte queste attività, naturalmente, trovano il loro centro nevralgico nelle varie Centrali Operative presenti sul territorio nazionale che fanno riferimento, per ogni attività di coordinamento, ai 15 centri M.R.S.C. (Marittime Rescue Sub Center) costituiti presso le Direzioni Marittime della Guardia Costiera ed istituiti in attuazione della Convenzione di Amburgo del 1979 che ha introdotto, su scala Europea, sostanziali innovazioni nel campo dell’organizzazione e nel coordinamento delle attività di ricerca e soccorso e, comunque, di pronto intervento in mare.
E’ infatti in questo settore che, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 28/09/1994, n. 662, si sono notati i più grandi elementi di innovazione che hanno consentito di creare un più rapido e coordinato assetto organizzativo delle varie attività operative sotto la guida, a livello nazionale, del Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo (I.M.R.C.C.) che fa capo, attualmente, alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto di Roma.
Ciò premesso dal punto di vista della sicurezza e della tutela dell’ambiente marino dagli inquinamenti, bisogna fare alcune considerazioni che riguardano direttamente, per ciò che concerne le attività portuali e non solo, l’attività di polizia latu sensu. L’attività di controllo e vigilanza, nonché di polizia preventiva e giudiziaria inerente il fenomeno dell’inquinamento marino proveniente dalle navi può estrinsecarsi in:
[1] [18] Le attribuzioni in materia di tutela ambientale demandate al Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera –, derivano ad hoc dall’art. 23 della Legge 979/82, che così recita “la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accertamento delle infrazioni alle norme relative, sono affidati agli Ufficiali ed Agenti di P.G. di cui all’art. 57 del Codice di procedura penale e all’articolo 1235 del Codice della navigazione nonché al personale civile dell’ Amministrazione dell’ambiente, agli Ufficiali e Sottufficiali e Sottocapi della Marina Militare”.
Prima di parlare dell’attività di controllo tecnico/amministrativo, non si può evitare di fare un cenno a quella che è l’azione normativa e regolamentatrice dell’Autorità Marittima locale svolta dalle Capitanerie di Porto competenti per territorio.
Forti delle competenze che la vigente legislazione affida alle predette Autorità in materia di inquinamento del mare e delle acque portuali di giurisdizione, nonché della sicurezza delle operazioni commerciali delle merci pericolose, le stesse hanno provveduto ad emanare, senza eccezioni, apposite Ordinanze, aventi valore di legge giusta art. 59 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione, al fine di regolamentare, fra l’altro, le procedure di attuazione dei controlli relativi alla movimentazione delle merci inquinanti liquide alla rinfusa, di cui agli Allegati I e II della Marpol ed alla raccolta e smaltimento dei rifiuti liquidi e solidi di bordo, di cui agli Allegati III, IV e V della suddetta Marpol, nonché al D.lgs. 24/06/2003 n. 182.
Per poter svelare, l’intreccio dei molteplici controlli e verifiche a cui devono sottoporsi le navi durante la loro navigazione e la loro sosta nei porti nazionali, si ritiene più semplice ed efficace prendere un esempio e spiegarlo.
Una volta accertata, diciamo, la non pericolosità ambientale della nave in questione la stessa verrà fatta accedere in porto. Qualora dovesse trattarsi di nave petroliera o chimichiera l’attività di controllo e vigilanza ai fini dell’antinquinamento, non si fermerà certo qui. Naturalmente è verso queste navi che dovrebbe concentrarsi lo sforzo maggiore di tutta l’attività in questione, sia essa di fonte privatistica che pubblica.
Tutte le navi, a prescindere dalle dimensioni e dalla stazza, approssimandosi alla zona delle Bocche, prima di entrare nel canale di transito, per quanto possibile, devono mantenersi all’interno delle due «aree precauzionali» poste alle due estremità del predetto canale di transito, così individuate:
Tutte le navi di lunghezza fuori tutto superiore ai 20 metri che transitano nelle Bocche di Bonifacio in direzione Est-Ovest e viceversa debbono, per quanto possibile, procedere mantenendosi all’interno del canale di transito delimitato dai seguenti punti geografici:
navigando sulla destra della linea mediana.
È fatto obbligo a tutte le navi che intendano transitare nelle Bocche di Bonifaacio in direzione Est-Ovest e viceversa, di comunicare tale loro intenzione con la seguente procedura:
Il rapporto è reso nel rispetto del formato riportato in annesso;
Fermo restando tutti gli altri obblighi previsti dalla legge, è fatto obbligo a tutte le navi che navighino nelle Bocche di Bonifacio di osservare durante la navigazione le seguenti prescrizioni:
L’ossevanza delle prescrizioni e procedure dettate nei punti che precedono non esime la nave in navigazione nelle Bocche di Bonifacio dal conformarsi alle norme del COLREG.
[1] [18] Il sistema di terra A.I.S. (Automatic Identification Sistem) è stato attivato con il Decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196 che ha recepito la Direttiva 2002/59/CE relativa all’istituzione di un sistema di monitoraggio del traffico navale e di informazione. Il sietma consente di realizzare una corrispondenza tra il bersaglio monitorato e gli elementi reali identificativi della nave e, quindi, necessario anche per garantire la security marittima nazionale e la port security . Il sistema è costituito attualmente di n. 46 stazioni installate presso siti remoti che garantiscono la copertura delle acque nazionali fino a 50/70 miglia dalla costa e da trasponder installati a bordo delle navi. Le informazioni AIS vengono inviate tramite segnali radio in banda VHF, con la centralizzazione presso il Server nazionale presente presso la Centrale operativa del Comandoi generale e da questi, trasmesse ad altri utenti istituzionali nazionali ed internazionali.
Sulla nave petroliera l’Autorità Marittima, dopo aver provveduto a verificare la citata “Lista di Controllo” e la regolarità della Certificazione di bandiera, allo scopo di verificare l’idoneità generale della nave ad entrare in porto, accerterà, al fine del rilascio dell’autorizzazione ad eseguire le operazioni commerciali, la regolarità della relativa istanza, la “Scheda di sicurezza” del prodotto fornita dal caricatore e l’avvenuta redazione congiunta della “Chek-list” di sicurezza da parte del Terminal e della nave .
Qualora la nave debba scaricare greggio col sistema “Crude Oil Washing”, di elevata importanza al fine di ridurre il più possibile i residui impompabili del carico e di conseguenza le emissioni inquinanti, si provvederà a continui controlli, da parte del Chimico di Porto e del Registro Navale, dell’efficienza del sistema di inertizzazione delle cisterne del carico.
Terminate le operazioni commerciali sarà sufficiente all’Autorità Marittima accertarsi che il Bordo abbia redatto il messaggio HAZMAT di partenza ed, eventualmente, verificare le avvenute registrazioni obbligatorie sul “Registro del Carico” dei residui rimasti, per autorizzarne la partenza.
Qualora trattasi di nave chimichiera le operazioni di controllo dovranno addentrarsi maggiormente sulla tipologia del carico da movimentare. Infatti, con la recente entrata in vigore del nuovo Allegato II della Marpol che ha, fra l’altro:
L’Autorità Marittima dovrà approfondire i propri controlli, anche tramite i Consulenti Chimici di Porto specie a riguardo dei residui di lavaggio dei prodotti più pericolosi di Categoria X di cui è fatto obbligo del conferimento presso le Port-facilities, al fine di accertarsi che vengano rispettate le procedure di smaltimento dei residui di lavaggio del carico prescritte dalla Marpol per ognuna delle Categorie di pericolosità da questa previste (X, Y, Z) e che siano state eseguite le prescritte trascrizioni del Registro del Carico.
Per quanto riguarda tutte le altre navi in generale i controlli di rito, come già accennato, si limitano solitamente alla verifica del rispetto delle procedure di custodia e conferimento dei rifiuti vari di bordo, di cui agli Allegati III, IV e V della Marpol, alle norme emanate con il D.Lgs 182/2003. Per lo svolgimento di detti controlli l’Autorità Marittima può avvalersi dei richiamati Chimici di Porto nonché del personale degli Uffici di Sanità Marittima.
Le principali linee di attività del Corpo in materia di polizia sono indirizzate principalmente nell’attività di prevenzione, accertamento e repressione di tutti quei comportamenti illeciti o comunque sanzionabili che hanno come presupposto giuridico la violazione di norme non solo previste dal Codice della navigazione ma anche in materia di «tutela ambientale», per assicurare la prevenzione degli inquinamenti del mare e dirigere le operazioni di disinquinamento.
L’attività in questione è fondamentale per la salvaguardia dei nostri mari dall’inquinamento navale. Per quanto attiene la «polizia preventiva» dobbiamo subito premettere che questa, per essere correttamente svolta e per divenire non una “persecuzione del cittadino” bensì un prezioso servizio alla collettività, necessita di personale ben addestrato e preparato. A tal fine, è stato dato notevole impulso alla formazione con l’obiettivo di specializzare sempre più il personale della Guardia Costiera e, nel contempo, corrispondere alle aspettative di crescita professionale dei singoli interessati.
L’attività in questione dovrà essere portata “dal mare al porto”. Dal mare con mezzi aerei e navali adeguati al fine di prevenire gli scarichi abusivi dalle navi in alto mare. In porto, sia tramite i cosiddetti Ispettori PSC che il normale personale della Guardia Costiera, al fine di accertarsi, fra l’altro, del regolare funzionamento di tutti i sistemi antinquinamento di bordo, come gli “Oil Water Separator”, obbligatori per tutte le navi, o gli “Oil Dicharge Monitoring Equipment”, presenti sulle navi petroliere, delle corrette trascrizioni sui Registri sia del Carico che dei Residui oleosi di bordo, al fine di verificare, confrontandole con le ricevute delle Port-facilities, che i residui del carico o delle sentine di bordo siano stati regolarmente smaltiti.
Per quanto riguarda la «polizia giudiziaria» questa, pur non necessitando di personale fornito di un altissimo grado di addestramento specifico nella materia, è chiaro che non può essere svolta efficacemente senza un minimo di conoscenza nel campo dell’inquinamento marino dalle navi. Se non altro poiché diviene fondamentale nelle indagini che l’investigatore sia nelle condizioni di sapere dove e come individuare e raccogliere gli indispensabili reperti probatori.
Ma ancora più importante si ritiene sia la possibilità per le Forze di Polizia di cogliere il reato d’inquinamento in flagranza o quasi flagranza oppure, quanto meno, nell’immediatezza della sua consumazione. Le note difficoltà di reperire campioni di prodotto inquinante e di eseguire confronti di questi in laboratorio, molto tempo dopo che l’inquinamento sia avvenuto, fanno divenire essenziale l’esigenza della prontezza dell’intervento d’indagine sopra esposta.
Trattandosi l’inquinamento marino dalle navi un reato molto spesso compiuto da stranieri, è di gran lunga preferibile che il legislatore, nell’emanare la normativa di riferimento, propenda più nel comminare sanzioni amministrative, eventualmente correlate ad una semplice procedura di fermo nave, che sanzioni penali, che spesso finiscono senza un vero esito punitivo per il responsabile straniero.
All'attività, prevalentemente navale della Guardia Costiera, si affianca, il «Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C.» (S.T.A.I), con il compito di predisporre e pianificare missioni di telerilevamento ambientale avvalendosi dei mezzi della componente aerea. Tali missioni, che sfruttano avanzate tecnologie come i «sistemi aerofotografici Vinten» e i «sensori multispettrali Daedalus all’infrarosso/ultravioletto», consentono sostanzialmente di monitorare la superficie delle acque marine rilevando, con precisione elevatissima, eventuali mutamenti delle caratteristiche cromatiche e fisiche delle acque allo scopo di accertare la presenza di inquinamenti e provvedere, con una notevole riduzione dei tempi di intervento, alla loro bonifica. Allo stato attuale, essa è costituita da 9 elicotteri AB412 (“Koala”), 6 bimotori turboelica Piaggio P-166DL3 (“Orca”) e 2 bimotore turboelica a lunga autonomia ATR – 42MP (“Manta”).
Tali mezzi hanno in dotazione vari tipi di sensori e sistemi ad alta tecnologia aerofotografica per ottimizzare la sorveglianza sul mare territoriale e sulle zone demaniali di giurisdizione; in primis per rilevare gli inquinamenti e controllare gli ecosistemi marini ed in secundis per scopi prettamente geologici, che riguardano l’erosione delle coste, l’assetto del territorio nonché il controllo degli scarichi abusivi, assolvendo, in tal modo, compiti rientranti nell’ambito applicativo dei decreti legislativi 152/99 e 22/97, sugli scarichi e rifiuti in genere, prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio, e quindi attività di P.G. in senso stretto, non trascurando ovviamente l’attività di ricerca e soccorso..
Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C. (S.T.A.I),
L’istituzione governativa che si occupa in primis della tutela dell’ambiente marino non può che essere il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territrio e del mare, istituito con la Legge del 08 luglio 1986 n° 349, il cui compito è quello di assicurare la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento. A livello centrale è strutturato in dipartimenti. Il Dipartimento per le risorse idriche, si occupa essenzialmente della gestione e tutela delle risorse idriche, prevenzione e protezione dall’inquinamento idrico e difesa del mare e dell’ambiente costiero. Del medesimo fanno parte poi due direzioni, una per la tutela delle acque interne (TAI) ed un’altra per la difesa del mare (DM); in quest’ultima operano poi quattro divisioni.
In merito al monitoraggio delle acque marine, questo programma, predisposto dai tecnici della Direzione generale per la protezione della natura (ex Servizio Difesa Mare) e dell’ICRAM, ha come obiettivi quelli di verificare per ciascuna Regione lo stato di qualità ambientale, raccogliere in una banca dati realizzata presso la Direzione generale per la protezione della natura tutti i dati emersi a livello nazionale e metterli a disposizione dei vari utenti e distribuire le metodiche analitiche di riferimento per le analisi previste dal programma. Le indagini salienti ricadono su 73 aree inquinate significative, localizzate lungo le coste italiane, delle quali, 57 scelte come aree critiche da confrontare con le restanti 16, individuate, invece, come aree di controllo, privilegiando quelle sui molluschi che hanno la capacità di conservare in memoria gran parte delle sostanze con cui sono venute a contatto, e degli ecosistemi quali le praterie di “Posidonia oceanica”, pianta marina fanerogama superiore che ossigena ed offre riparo a molte specie di pesci.
In merito al coordinamento degli interventi in caso di emergenza – inquinamento, con decisione n. 2850/2000/EC in data 20 dicembre 2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, la Commissione Europea ha istituito il Quadro Comunitario di Cooperazione in materia di prevenzione e lotta all'inquinamento marino, nell’ambito del qual è stata decisa l'attivazione del "Community Information System" che in sintesi costituisce la banca dati comunitaria su tutti i mezzi e le apparecchiature idonee alla lotta all'inquinamento marino, di pronto impiego nei casi di emergenza e disponibili presso i diversi Paesi dell'Unione.
Per quanto concerne, infine, l'attivazione dei mezzi specializzati per l’intervento antinquinamento dell’ambiente marino, in data 10/05/1999, è stato attivato un servizio (in attuazione anche delle direttive comunitarie e convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito) per la prevenzione e la lotta agli inquinamenti marini lungo tutta la costa della penisola attraverso l’impiego di 71 unità specializzate, che vanno a costituire la cosiddetta “Flotta Gialla”. Tali unità possono essere classificate in tre categorie:
Le unità della flotta gialla, nella fattispecie tecnico - operativa, svolgono servizio di pattugliamento e pronto intervento per la raccolta di idrocarburi secondo rotte programmate per otto ore giornaliere e sei giorni la settimana, festivi inclusi, per il periodo estivo. Nel periodo invernale, invece, solo tre giorni la settimana e negli altri sono in banchina pronti ad intervenire entro 30 minuti per far fronte ad eventuali emergenze. Durante il pattugliamento, tra l’altro, provvedono alla raccolta dei rifiuti galleggianti, sia solidi che liquidi, per poi scaricarli in banchina e successivamente smaltirli, avvistare e tutelare i mammiferi marini e le tartarughe in difficoltà ed infine ad eventualmente segnalare via radio alla locale Capitaneria di Porto, sotto il cui controllo sono sottoposte, l’unità mercantile o da diporto che stia illegittimamente scaricando in mare idrocarburi o sostanze nocive.
Il Reparto Ambientale Marino (R.A.M.) del Corpo delle Capitanerie di Porto è stato istituito con la legge 31 luglio 2002, n 179 in sostituzione della già attiva Unità organizzativa del Corpo prevista dall'art. 7 della convenzione stipulata in data 6 agosto 1999 tra gli allora Ministeri dell'Ambiente e dei Trasporti e della Navigazione. Il R.A.M., che ha sede presso il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è posto alle dipendenze funzionali dell'On. Ministro ed è inquadrato tra gli organi di supporto tecnico – scientifico di cui il medesimo Dicastero si avvale per l'esercizio delle funzioni istituzionali tese alla salvaguardia dell'ambiente marino costiero. Esso collabora con l'Ufficio di Gabinetto e le Direzioni generali sia sotto un profilo tecnico – operativo, sia giuridico, sviluppando, nel contempo, la necessaria azione di raccordo tra il Ministero e il Comando Generale delle Capitanerie di Porto.Il R.A.M. è strutturato in una segreteria e tre Uffici.
In particolare:
Ufficio I: collabora con la competente Direzione Generale per i differenti aspetti tecnici, giuridici e operativi attinenti le aree marine protette e cura il rapporto convenzionale tra il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto;
Con l'entrata in vigore del Decreto Direttoriale 24 aprile 2008 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, il R.A.M. ha assunto ulteriori ed ancor più impegnativi compiti a carattere ispettivo, direttivo ed operativo nel campo della sicurezza ambientale in mare con particolare riferimento al rischio di incidenti marini e prevenzione e lotta agli inquinamenti marini.
Il R.A.M. svolge attività di raccordo tra Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto in tutte le questioni coinvolgenti i compiti stesso del Corpo in materia di tutela dell'ambiente marino e delle coste.
Con l'entrata in vigore del citato Decreto Direttoriale 24 aprile 2008 il RAM ha altresì assunto ulteriori attribuzioni istituzionali di natura tecnico/operativa in materia di :
Da tali linee di attività vengono fatti discendere nuovi compiti, a carattere solo apparentemente amministrativo, che si sostanziano:
nonché ulteriori ed altrettanto importanti compiti direttivi, concernenti, in particolar modo:
Ai sensi dell'art. 5 del suddetto Decreto Direttoriale, il Capo del Reparto Ambientale Marino può essere delegato dal Direttore generale della Direzione Generale per la protezione della natura Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare a presiedere l'unità di crisi, prevista dalla legge 28 febbraio 1992 n. 220 ed attivata con decreto direttoriale DEC/DPN/167 in data 8 febbraio 2008 presso la centrale operative del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto.
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[2] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2015;68
[3] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2006;152
[4] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2015;68~art1
[5] http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/46170_11_2016.pdf
[6] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2006;152~art318octies
[7] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2017;103
[8] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001;231
[9] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001;231~art9
[10] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992;150
[11] http://www.nonnodondolo.it/edit%23_ftn1
[12] http://www.nonnodondolo.it/../1014/edit%23_ftnref2
[13] http://www.pcn.minambiente.it/mattm/wp-content/uploads/2017/03/Legge-31-dicembre-1982-n.-979.pdf
[14] http://www.nonnodondolo.it/edit%23_ftnref1
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