La natura non è un serbatoio continuo e inesauribile di risorse da cui attingere senza preoccupazioni. Il sovrasfruttamento delle risorse del mare, il cambiamento di habitat per alcune specie, l’inquinamento diretto o indiretto del mare, possono, a lungo andare, essere causa di irreparabili danni con ripercussione anche sulla specie umana.
Per salvaguardare le specie in via di estinzione e i loro ambienti di vita, sono sorte diverse organizzazioni di protezione della natura in senso lato e sono stati stipulati trattati internazionali (convenzioni) che ogni singolo Paese firmatario ha ratificato.
L’Unione Europea ha emanato precise e puntuali direttive, nonché regolamenti, volti a tutelare e conservare gli habitat naturali e la fauna selvatica. L’Italia ha dato attuazione a queste direttive con proprie leggi ed ha aderito e ratificato le Convenzioni internazionali che vincolano il nostro paese alla tutela concreta delle specie indicate.
Nella Tabella sono riportate alcune tra le specie soggette a norme di protezione che si possono rinvenire nei mari italiani
La convenzione internazionale formulata a Berna il 19.09.1979, concernente “la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa” (di seguito denominata Convenzione di Berna) è stata ratificata in Italia con Legge 5 agosto 1891, n. 503, la quale riporta il testo integrale della Convenzione stessa. La convenzione di Berna è stata formulata nell’ambito del Consiglio d’Europa con lo scopo di assicurare la conservazione di flora e fauna selvatiche e i loro habitat naturali con particolare riguardo alle specie vulnerabili e minacciate di estinzione.
Il testo della convenzione prevede che i paesi firmatari adottino misure di conservazione per la flora e la fauna elencata nei suoi annessi, nonché degli habitat importanti alla conservazione delle specie. In particolare si presta attenzione alle specie e agli habitat di specie vulnerabili/in pericolo di estinzione/endemiche. I paesi si impegnano a pianificare e monitorare lo stato di conservazione di flora e di fauna e si impegnano a promuovere l’educazione in questa materia.
L’articolo 5 della Convenzione stabilisce i divieti che le parti si impegnano a far rispettare tramite opportune leggi e regolamenti per le specie di flora selvatica mentre, l’articolo 6 stabilisce i divieti previsti per le specie in Allegato II: “Specie di fauna rigorosamente protette”. Inoltre la convenzione prevede la salvaguardia degli habitat con particolare attenzione alla protezione di aree di svernamento, migrazione, raduno, alimentazione e muta. I divieti stabiliti previsti per le specie di cui all’Allegato II, ed illustrati all’articolo 6, sono:
“Ogni parte contraente adotterà necessarie e opportune leggi e regolamenti onde provvedere alla particolare salvaguardia delle specie di fauna selvatica enumerate all'allegato II. Sarà segnatamente vietata per queste specie:
L’articolo 9 prevede che ogni Parte Contraente potrà derogare alle disposizioni degli articoli 4-7 della Convenzione stessa per specifici motivi quali: la protezione della flora e della fauna, la prevenzione di danni alla natura e altre forme di proprietà, nell’interesse della salute e la sicurezza pubblica e per fini di ricerca/educativi, per il ripopolamento/reintroduzione delle specie in questione, e consentendo una cattura selettiva ed entro limiti precisati.
Questo importante atto sopranazionale è stato in parte attuato con l’adozione in Italia della Legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
Tuttavia è da segnalare che tale legge e tutti i suoi riferimenti di regolamentazione si riferiscono alla fauna selvatica omeoterma. Pertanto l’attuazione della Convenzione di Berna, promulgata tramite la legge n. 157, si può applicare solo ai mammiferi e all’avifauna selvatica, tralasciando tutte le altre specie di fauna e di flora considerate rigorosamente protette ai sensi della Convenzione di Berna, tartarughe marine incluse.
La Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici, appartenenti alla fauna selvatica è stata adottata a Bonn nel 1979 è stata ratificata ed è entrata in vigore in Italia nel 1983. L’obiettivo di tale convenzione è quello di conservare al di fuori dei confini nazionali, le singole specie migratrici e i loro habitat, nell’ambito dell’intera area di distribuzione, attraverso l’adozione di specifici accordi e di efficaci misure di protezione per le specie considerate in pericolo di estinzione. La Convenzione di Bonn individua due categorie di specie migratrici elencate nell’Appendice I e nell’Appendice II. Nella prima sono inserite le specie che richiedono una immediata protezione mentre nell’Appendice II figurano le specie per le quali gli Stati si sforzano di stipulare accordi con altri Stati per assicurarne la conservazione e la gestione.
La Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (di seguito nominata CITES) del 3.3.1973, ratificata in Italia con Legge. 874/1975, è stata recepita dalla Comunità Europea con Regolamento (CE) n. 3626/82, sostituito con Regolamento (CE) 338/97 del 9.12.1996 che ne fornisce una più completa e precisa attuazione. In Italia la Legge 150 del 7 febbraio 1992, modificata da ultimo dal decreto legislativo n. 275 del 18 maggio 2001, recepisce la normativa CITES, prevedendo un regime di sanzioni per le violazioni. La Convenzione di Washington è nata dall'esigenza di controllare il commercio di esemplari di fauna e flora (vivi, morti o parti e prodotti derivati), in quanto lo sfruttamento commerciale è, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, una delle principali cause dell'estinzione e rarefazione in natura di numerose specie. La Convenzione, pertanto, è un accordo internazionale che regolamenta il commercio di fauna e flora in via di estinzione comprendendo anche i sottoprodotti o derivati dalle medesime.
La Convenzione elenca alcune specie animali e vegetali in tre appendici, secondo il loro grado di rischio di estinzione in natura. L’Appendice I, “Specie minacciate d'estinzione”, comprende quelle specie gravemente minacciate di estinzione per le quali è rigorosamente vietato il commercio. La loro utilizzazione è consentita solo per circostanze eccezionali. L’Appendice II, riguarda le specie il cui commercio è regolamentato per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza. L’Appendice III invece comprende specie protette da singoli stati, e iscritte nell'appendice, per regolamentare le esportazioni dai loro territori.
Lo strumento comunitario che recepisce questa convenzione (Regolamento CE n. 338/97) la regolamenta e formula dei nuovi allegati identificati con le seguenti sigle: A, B, C e D. Questo permette di controllare anche le popolazioni europee di specie che non sono necessariamente incluse nelle appendici CITES a livello globale ma che la Comunità Europea intende tutelare in maniera più restrittiva tramite lo strumento della CITES, oltre ad impedire l’introduzione nella U.E. di specie esotiche che possano mettere in pericolo quelle autoctone. Le specie in Allegato A comprendono tutte le specie elencate in Appendice I, alcune specie di Appendice II e Appendice III per le quali l’Unione Europea ha adottato misure più’ restrittive, nonché alcune specie non listate nella CITES. L’allegato B comprende tutte le specie presenti in Appendice II, alcune specie presenti in Appendice III ed alcune specie non listate nella CITES. L’Allegato C include tutte le altre specie listate in Appendice III. L’Allegato D include alcune specie listate in Appendice III per le quali l’Unione Europea ritiene necessario condurre un’attenta attività di monitoraggio, nonché alcune specie non listate nella CITES.
In Italia l'attuazione della Convenzione di Washington è affidata al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare con il supporto del Ministero del Commercio Internazionale e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per tramite del Corpo forestale dello Stato. Questo ultimo, tramite il Servizio CITES, cura la gestione amministrativa ai fini del rilascio della certificazione di riesportazione e di riconoscimento delle nascite in cattività, oltre all’attività di enforcement e controllo sul territorio dell’applicazione della normativa CITES. Il Servizio CITES è strutturato in un Servizio Centrale, presso l’Ispettorato Generale del Corpo forestale dello Stato a Roma, e in 41 Uffici periferici, oltre ad altri 5 istituiti presso le Regioni a Statuto Speciale e la Provincia autonoma di Bolzano. Il Servizio Centrale ha funzioni di assistenza operativa, di coordinamento e di indirizzo per l’attività degli uffici periferici di concerto con il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, di consulenza tecnico-scientifica nonché di rapporto con Enti e Organismi Internazionali. Gli Uffici periferici si differenziano in 27 Uffici territoriali, con funzione di certificazione, accertamento infrazioni e controllo territoriale, e in 19 Nuclei Operativi presso le Dogane, con funzione di verifica merceologica, controllo documentale e verifica della movimentazione commerciale nonché collaborazione nell’accertamento di illeciti.
Tutte le tartarughe marine presenti nei mari italiani, sono elencate in Appendice I e nell’Allegato A e ricevono dunque la massima protezione: ne è vietato l’acquisto, l’offerta per l’acquisto, l’acquisizione ai fini commerciali, l’esposizione ai fini commerciali, l’uso ai fini commerciali, l’offerta e il trasporto ai fini dell’alienazione (rif. Art. 1, Reg. CE 338/97). A norma dell’art. 1 della L. 150/1992, come novellato in ultimo dal decreto legislativo n. 275/2001, è punito chiunque “in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/1997”, tra l’altro, “trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del regolamento (CE) n. 338/97 […]” e “detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta autorizzazione”. A norma dell’art. 4 della L. 150/92, in caso di violazione dei divieti indicati è disposta sempre la confisca dell’esemplare; qualora venga confiscato l’esemplare vivo si procede, sentita la Commissione scientifica CITES, “all’affidamento a strutture pubbliche o private anche estere”; mentre nel caso di confisca dell’esemplare morto è disposta “la conservazione ai fini didattici o scientifici, o la loro distruzione”. Quanto sopra esposto non sembra contemplare la necessità di intervento della Commissione scientifica CITES nel caso, come quello in esame, in cui gli esemplari siano accidentalmente recuperati dal mare o spiaggiati, e poi siano detenuti o trasportati da strutture pubbliche autorizzate, non ai fini commerciali ma per la loro cura e riabilitazione. Infatti, tale fattispecie di “prelievo” dalla natura non sembra normato dalla legislazione CITES.
Si elenca di seguito, una breve sintesi dei principali strumenti legislativi, comunitari e nazionali, che possono essere applicati alle tartarughe marine e in particolar modo alla regolamentazione delle modalità inerenti la loro importazione ed esportazione ai fini del commercio.
Regolamento CE n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie di flora e fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio.
Il Regolamento n. 338/97 sostituisce il Regolamento precedente n. 3626/82 che già applicava la Convenzione ed introduce norme più restrittive per il commercio di esemplari di fauna e di flora (nei due allegati A e B sono state inserite specie che non sono incluse nelle Appendici della Convenzione, ma per le quali l'Unione Europea ha inteso estendere la tutela normata dalla Convenzione stessa). Il Regolamento n. 865/2006 della Commissione stabilisce le modalità per l'applicazione del Regolamento n. 338/97.
L’articolo 8, comma 1 del Regolamento CE 338/97 stabilisce i seguenti divieti per le specie in Allegato A: acquisto, offerta di acquisto, acquisizione, esposizione ai fini commerciali, uso a scopo di lucro e alienazione, detenzione, offerta o trasporto ai fini dell’alienazione. Il regolamento stabilisce che tali specie possono essere tuttavia esportate/importate dalla/nella Comunità purché munite di una specifica licenza. Le licenze di importazione possono essere concesse per le specie in allegato A (art.4), qualora l’Autorità Scientifica CITES abbia stabilito che:
Nel caso di introduzioni dal mare, la spedizione avverrà in maniera da ridurre al minimo il rischio di lesioni o il danno alla salute o il maltrattamento dell’esemplare in questione. Le licenze di esportazione possono essere concesse per le specie in Allegato A (art. 5 comma 1-3), qualora l’Autorità Scientifica abbia stabilito che:
La Legge 150 ordina e disciplina sotto il profilo sanzionatorio i reati relativi ai divieti posti dalla Convenzione. Gli articoli 4 comma 2, 5, 6, 8 bis, 12 ter sono stati modificati e integrati dall'articolo 4 della Legge 9 dicembre 1998 n.426 (Nuovi interventi in campo ambientale) e successivamente dal D.L. n.2, del 12.1.93 (Modifiche e integrazioni alla Legge 7febbraio 1992, n. 150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione) nonché dalla legge n. 59, del 13.03.93 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 gennaio 1993, n.2, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 febbraio 1992, n.150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione). La più recente integrazione della legge 150 è stata portata dal D.L. 275, 18 maggio 2001.
Il decreto modifica alcuni articoli della legge 7 febbraio 1992, n. 150. In particolare, il decreto sostituisce il testo degli articoli 1, 2 e 4, integra l’articolo 3 e inserisce un nuovo articolo inerente le sanzioni penali in materia di importazioni di pellicce animali (art.5). L’articolo 1 stabilisce, al comma 1, le sanzioni (arresto da 3-12 mesi e ammenda da €7.746 a €77.468) per chi viola i seguenti divieti per le specie incluse nell’Allegato A:
L’art. 1, stabilisce inoltre (comma 2) che, in caso di recidiva, è previsto l’arresto da 3-24 mesi e l’ammenda (da €10.329 a €103.291) e qualora l’illecito dovesse essere condotto nell’ambito di una attività di impresa, oltre alla condanna di cui sopra, è prevista la sospensione della licenza per un periodo da 6-18 mesi. Qualora sia implicata l’importazione, l’esportazione o riesportazione di oggetti derivati da esemplari di specie di cui all’Allegato A, si applica la sanzione amministrativa da € 1.549 a € 9.296.
In caso di violazione dei divieti di cui agli art.1 e 2, è sempre prevista la confisca degli esemplari. Per gli esemplari vivi, la Commissione Scientifica CITES può procedere al rinvio allo stato esportatore, all’affidamento a strutture pubbliche/private, o vendita mediante asta pubblica. Per gli esemplari morti invece, la stessa Commissione può prevedere la conservazione ai fini didattici/scientifici o la distruzione dell’esemplare (art. 4).
Il decreto stabilisce i soggetti tenuti a dotarsi di registro, numerato e vidimato prima del suo utilizzo dal Servizio certificazione CITES del Corpo forestale dello Stato, sul quale annotare, entro il 31 gennaio 2002, gli esemplari delle specie della flora e della fauna selvatica di cui agli allegati A e B del regolamento CE n. 338\97 e successive modificazioni. L'annotazione sul registro di qualsiasi variazione degli esemplari detenuti andrà riportata entro trenta giorni dalla variazione medesima. Le sanzioni per coloro che non rispettassero i termini suddetti oscillano tra €3.098 e €9.296. I soggetti al quale questo decreto si indirizza sono, tra l’altro, chiunque utilizzi detenga o esponga esemplari a fini di lucro o ponga in essere atti di disposizione finalizzati allo scambio, alla locazione, alla permuta o alla cessione a fini commerciali di qualsiasi natura e titolo, ivi compreso chiunque ottenga esemplari provenienti da sequestro, confisca, affidamento fatte salve le disposizioni della L.157/1992. Proprio dalla lettura di questo ultimo paragrafo (art.2, comma 1 lett. c) del D.M. 8 gennaio 2002), sembrerebbe previsto l’obbligo della tenuta del registro di detenzione delle specie animali e vegetali CITES anche per i centri di riabilitazione, tenendo gli stessi gli esemplari CITES in una forma di affidamento.
1.2.4 Direttiva 92/43/CEE, “Habitat”
Il D.P.R. 357 dell’8.09.97 regolamenta l’attuazione della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE. Le specie elencate negli allegati B, D, ed E (Allegati II, III e IV nel testo della Direttiva CEE) sono specie di interesse comunitario, e sono considerate tali perché ritenute in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche. Le specie elencate in allegato B (Allegato II nel testo della Direttiva) sono specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione (ZSC). Alcune di queste sono evidenziate come specie prioritarie per le quali l’Unione ha una particolare responsabilità (la tartaruga comune è una di queste).
Spetta alle Regioni e le Province autonome l’adozione di misure di monitoraggio sullo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario, in particolar modo quelli prioritari. In particolare, le Regioni e le Province autonome rappresentano le amministrazioni preposte a instaurare un monitoraggio continuo delle catture e delle uccisioni accidentali rispetto alle quali devono trasmettere un rapporto annuale al MATT. Le linee guida per il monitoraggio delle specie e degli habitat sono definite tramite decreto del Ministero dell’Ambiente, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (art.7).
Le specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa sono elencate nell’allegato D. I divieti di massima protezione previsti per la fauna presente in questo allegato sono stabiliti nell’articolo 8:
► art. 8 -Tutela delle specie faunistiche
Il MATTM, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, autorizza le deroghe ai divieti di cui agli articoli 8-10 per fini di protezione, per la prevenzione di danni specifici, per interesse della sanità, la sicurezza pubblica, inclusi i motivi socio-economici e a fini didattici, di ricerca, per il ripopolamento e la reintroduzione. Le deroghe concesse sono trasmesse con cadenza biennale alla CEE (art.11). Il MATTM promuove altresì programmi di ricerca per il monitoraggio e per l’individuazione di aree di collegamento ecologico funzionali (art. 14).
► Art. 11 – Deroghe
Il D.P.R. 120 apporta alcune modifiche al D.P.R. 357 identificando, nello specifico, il compito del MATT nella definizione di linee guida per il monitoraggio e per i prelievi e le deroghe delle specie rigorosamente protette. In particolare, l’art. 8 stabilisce che:
► Art. 8 ( Modifiche all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 35
► Art. 7 (Indirizzi di monitoraggio, tutela e gestione degli habitat e delle specie);
Protocollo Aspim (Aree Speciali di Protezione di Interesse per il Mediterraneo)
Il protocollo comprende l’istituzione di aree protette importanti per potere conservare le componenti della diversità biologica nonché di ecosistemi specifici al Mediterraneo o habitat di specie minacciate e di interesse scientifico, estetico e culturale garantendone la protezione. Le aree protette, denominate ASPIM, possono essere costituite da zone marine costiere sotto la giurisdizione dei Paesi o zone parzialmente/interamente in alto mare. I paesi che aderiscono si impegnano a mantenere in buono stato di conservazione la flora e la fauna marina e a garantire massima protezione alle specie elencate negli annessi del protocollo e a sviluppare Piani d’Azione Nazionali per la conservazione delle specie protette. Per le specie in Appendice 2, “Lista di specie in pericolo o minacciate”, il protocollo prevede che i paesi garantiscano misure di protezione e di conservazione per le specie vietandone l’uccisione, il commercio, ed il disturbo durante i periodi di riproduzione, migrazione, svernamento ed altri periodi in cui gli animali sono sottoposti a stress fisiologici. In particolare, gli art. 11 e 12 stabiliscono che:
► Parte III - Articolo 11
[…]
► Articolo 12
1.2.6 Regolamento 1967/2006/CE
Alcuni bivalvi sono comunemente consumati (cozze, vongole, cannolicchi, fasolari, pettini, telline), ma altri sono protetti: il Dattero di mare, il Dattero bianco, la Pinna nobilis e la Patella ferrosa - la Pinna e il dattero di mare sono inseriti nella lista di specie strettamente protette della Direttiva Habitat della Comunità Europea, mentre tutte e tre sono incluse nell'Appendice 2 del Protocollo ASPIM.
I 4 Bivalvi sono inclusi in questa lista poiché subiscono pressioni antropiche che mettono a rischio, o lo stato di conservazione della specie (nel caso della Pinna), o dell'ambiente in cui vivono (nel caso dei datteri).
E’ distribuito in tutto Mediterraneo e nell’oceano Atlantico orientale, dal Portogallo al Senegal. Presenta una conchiglia liscia, cilindrica, con valve uguali e arrotondate all’estremità, di colore marrone scuro. Spesso ha striature violacee lungo il dorso. Raggiunge una lunghezza di 8-12 cm
Vive nei fondali rocciosi di tipo calcareo. Qui perfora la roccia calcarea, scavando una galleria. Vive fino a 30 metri profondità; più frequente nei primi metri. E' capace di perforare il substrato fino a 20 cm di profondità (n.b. lithophaga significa “che si nutre di pietra").
Cresce molto lentamente. Tre anni dopo la fissazione al substrato arriva ad 1 cm ed impiega 15-20 anni per raggiungere i 5 cm di lunghezza. L‘ età degli esemplari più grandi è stimata intorno agli 80 anni.
La specie è consumata in tutti paesi Mediterranei per la sua prelibatezza ma è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli subacquei pneumatici che ne distruggono l’habitat costituito da biocenosi che ospitano molte specie autoctone. Tale sistema di pesca ha causato la rarefazione della specie in varie località mediterranee (i.e. il sud della Francia) e la distruzione di molte scogliere Mediterranee. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat.
Dattero rosso
La specie di per se non è minacciata ma la sua protezione è importante per diminuire l’impatto ambientale causato dalla sua pesca (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006)
E’ presente in tutto il Mediterraneo e nell'Atlantico orientale, dalla Gran Bretagna al Marocco. E' un bivalve perforante. Le valve sono di forma allungata e appuntita anteriormente. La superficie della conchiglia è bianco-grigia, con costole concentriche e strie radiali. Le estremità del mantello hanno proprietà fosforescenti, che rendono il bivalve luminoso, con toni verde-blu, in condizioni di illuminazione ridotta. Raggiunge una lunghezza media di 8 cm ed una massima di 15cm. Vive in substrati rocciosi (fessure, grotte o sotto massi) fino alla profondità di 20 metri. Scava delle gallerie in substrati di diversa natura come, fango solidificato, argilla, sabbie e rocce (scisti, calcari, gneiss, e graniti), compiendo movimenti rotatori delle valve.
Dattero bianco
La specie è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli pneumatici subacquei che portano la distruzione dei fondali. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat costieri.
Il dattero bianco è inoltre sensibile alla contaminazione da composti sintetici e metalli pesanti. (Reg. CE 1967/2006)
E’ una specie endemica, distribuita in tutto il Mediterraneo. E’ il bivalve più grande del Mediterraneo. La conchiglia è triangolare, allungata, sottile e fragile con la superficie cosparsa di lamelle squamose. Con il tempo si ricopre di organismi. Secerne il bisso, una sostanza filamentosa con cui si fissa sul fondo marino.
Il colore esterno è bianco sporco, l’interno madreperlaceo. L’altezza media è di 50 cm ma può raggiungere il metro.
Da larva, la pinna si insedia sul fondale marino (sabbioso) ed inizia a crescere. Si può trovare nelle praterie di Posidonia oceanica, su substrato sabbioso o anche su detritico grossolano. Vive a profondità massime di 30-40 metri (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006).
Pinna
Nel Mediterraneo occidentale ed in particolare in Italia, le popolazioni esistenti sono in forte diminuzione per svariate cause:
Consigli per la conservazione:
Storicamente presente in tutto il bacino, è endemica del Mediterraneo, anche se la sua distribuzione attuale è oramai molto puntiforme e limitata. La specie è segnalata nel mare di Alboran, nelle Isole Egadi, a Pantelleria, in Tunisia, in Sardegna ed in Corsica.
E’ estinta nelle coste continentali italiane e francesi ad eccezione di Piombino del promontorio di Portofino.
La conchiglia tondeggiante con un ampio piede muscoloso, spessa ed ornata da bande beige, presenta una superficie caratterizzata da solchi e rilievi costolari cospicui.
Patella ferrosa
E’ presente nell’ambiente litorale roccioso; qualche metro sopra il limite superiore dell’alta marea fino a qualche metro sotto il livello dell’acqua (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1976/2006).
Quando si parla di echinodermi, ossia di quel gruppo di animali del mare solitamente dotati di "spine sulla pelle", si fa riferimento generalmente ai ben noti ricci e alle stelle di mare. Pochi sanno che invece fanno parte di questa famiglia anche i crinoidi (o gigli di mare), le oloturie (o cetrioli di mare) e infine un particolare tipo di "stelle", se proprio così le vogliamo definire, dette ofiure o, più comunemente, stelle serpentine.
Il «riccio di mare» detto volgarmente femmina (Paracentrotus lividus) è una prelibatezza che il mare offre ai pescatori professionisti e sportivi. La normativa sulla pesca dei ricci di mare prevede che possono essere pescati solo i ricci che superano il diametro di 7 cm (compresi gli aculei), al contrario i più piccoli devono essere rilasciati in mare per permettere loro la crescita. In particolare il DPR n. D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 vieta la cattura del «Riccio Diadema».
Vive sulle scogliere coralline, dalla superficie fino a 30 metri di profondità. Prestare molta attenzione quando si maneggiano questi ricci: i loro aculei penetrano facilmente nella pelle, provocando spesso infezioni. Non dimenticate di mettere in vasca, alcuni ossi di seppia: saranno un'utile fonte di calcio per i ricci
In natura si nutre di alghe e detrito. In acquario si abitua a mangiare lattuga o verdura cotta, anche se talvolta non disdegna cibo di origine animale
Ha abitudini prevalentemente notturne; generalmente di giorno si nasconde tra gli anfratti delle rocce. I lunghi aculei costituiscono spesso un rifugio per alcuni piccoli crostacei e pesci. Vive in genere in gruppi numerosi. Il corpo misura circa 10 cm di diametro, gli aculei possono superare i 30 cm di lunghezza. Color nero.
Evitare di porre questo riccio assieme ai pesci balestra e pesci palla: nonostante gli aculei, infatti, questi pesci lo attaccano e spesso riescono a ucciderlo. Il riccio a sua volta può attaccare piccoli crostacei, soprattutto nel periodo della muta.
E’ vietato catturare o uccidere esemplari di questa specie nell’ambiente naturale. E’ inoltre vietato il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (D.M. 3/5/89; art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997).
L'aspetto degli Storioni, è fortemente caratterizzato: il capo è ricoperto da scudi ossei, il muso è allungato, con profilo superiore concavo, la bocca è infera, tubiforme, guarnita anteriormente da quattro barbigli.
Il corpo ha sezione pentagonale, con i vertici del pentagono corrispondenti a 5 serie longitudinali di caratteristiche placche ossee che percorrono il dorso, i fianchi e il ventre. La coda eterocerca contribuisce a dare a questi pesci una sagoma squaliforme.
Gli storioni risalgono i fiumi a scopo riproduttivo, ma trascorrono la maggior parte della vita in mare. In molti luoghi la risalita è oggi ostacolata da sbarramenti di varia natura e questo, assieme alla pesca e al degrado ambientale, è uno dei fattori che hanno determinato un drammatico calo delle presenze di questi pesci nelle nostre acque.
Due comunque sono le specie potenzialmente presenti: lo Storione comune (Acipenser sturio) che vive nei mari di tutta Europa e può superare i 3 m di lunghezza, e il più piccolo Storione cobice (Acipenser naccarii), che raggiunge di rado il metro e mezzo.
A prima vista è quasi indistinguibile dall'Acipenser sturio, tanto che le due specie sono regolarmente confuse dai pescatori, sportivi o professionisti, che in Italia hanno la fortuna di catturare questa rara specie di acipenseride. Il corpo di A. naccarii è slancíato, con sezione subcilindrica. Rispetto allo storione comune, ha testa più larga e tozza, ornata da placche ossee disposte in maniera simmetrica sui lati e sulla fronte. Il muso è più tozzo e corto, ad apice arrotondato e profilo superiore concavo, con gli scudi ossei di rivestimento più rilevati. La lunghezza del muso non supera un terzo di quella della testa. La bocca dello storione Cobice è ampia, ventrale, tubolare e protrattile, con il labbro posteriore, meno evidente che in A. sturio, sottile e nettamente inciso. La cavità orale, nello storione Cobice termina poco dopo l'estremità anteriore dell'opercolo, mentre nello storione comune termina a metà. L'apertura orale è preceduta da quattro barbigli che si originano più vicino all'estremità del muso che alla bocca. I barbigli non sono appiattiti e, se rivolti all'indietro, non raggiungono il labbro superiore. I primi scudi ossei della serie dorsale sono più piccoli dei successivi. Non sono mai presenti serie supplementari di placche ossee tra la serie di scudi ossei dorsali e quelle laterali. La colorazione del dorso e dei fianchi è bruna, tendente al nero od al verdastro, il ventre è biancastro. Appare simile a quella dello storione comune, tranne che per le pinne che sono verdastre invece che rosee. Gli scudi dorsali e laterali sono bruno-verdastri, mentre gli scudi ventrali possono assumere anche sfumature rosee. Gli scudi ossei sono sempre più chiari rispetto al colore di fondo.
Storione cobice
Le dimensioni della specie sono considerevoli: il cobice può raggiungere 25 kg di peso e 1,5 m di lunghezza.
Gli storioni sono principalmente predatori e si alimentano sul fondo catturando molluschi e altri invertebrati e occasionalmente pesci. La loro dieta comprende, seppur in minima parte, anche materiale vegetale.
Struttura dell'Acipenser naccarii
In Italia la specie è autoctona. È stato segnalato in tutti i mari, ma abita anche nei fiumi. Oggi, però, la presenza dello storione in acque interne è piuttosto scarsa. In mare predilige fondali sabbiosi e profondi 40-150 metri. In acque interne frequenta fiumi a grande portata con correnti lente e profonde, fondali melmosi, ghiaiosi o sabbiosi, prediligendo le buche più profonde dei fiumi. Lo storione è stato allevato e riprodotto con successo in grandissimi acquari.
A causa delle sue dimensioni, finora, è stato allevato soltanto in strutture pubb liche. Questo tipo di storione ha muso breve e largo, barbigli labiali più lunghi dello storione comune (Acipenser sturio). Può raggiungere dimensioni di 2 m, placche ossee sul dorso, fianchi e ventre.
Storione comune
Il colore è bruno olivastro, bianco sul ventre. Corpo allungato fusiforme ricoperto di 5 serie di scudi ossei. Muso lungo, triangolare a forma di rostro. Bocca piccola con 4 barbigli, disposta nella parte ventrale, priva di denti. Unica pinna dorsale posizionata verso il fondo; la pinna caudale ha la parte superiore molto più lunga. Occhio piccolo.
Colorazione grigio scura sul dorso, più chiara sul ventre. La lunghezza varia da 50 cm fino a 4 metri Storione
Struttura dell'Acipenser sturio
L’unico pinnipede presente nel Mediterraneo è la «Foca Monaca». Sono vietati la cattura o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 21/5/80). La CITES ha inserito la Foca Monaca nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie protette in pericolo di estinzione.
La Foca Monaca del Mediterraneo
(Monachus monachus)
È l’unico Pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha il corpo massiccio lungo circa 240-280 cm nel maschio adulto (la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai 350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato, ornato da lunghe vibrisse (i “baffi”); lunghe sopracciglia ornano gli occhi. Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua estremità. Le pinne posteriori, dalla forma molto caratteristica, hanno il primo e il quinto dito più lungo e le dita intermedie più corte. La coda è piccola e poco visibile. Il pelo è corto.
La specie fu descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flemming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili:
La foca monaca è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove lateralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una volta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il ventre.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni. Ogni due anni, dopo una gestazione di 11 mesi un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16 settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua.
Non restano che 300 esemplari di foca monaca del Mediterraneo, distribuiti tra Turchia, Mauritania, Spagna, Tunisia e Grecia. Fino agli anni ‘70 era presente in Sardegna, nelle isole Tremiti, all’isola d’Elba, accusata dai pescatori di rubare pesce dalle reti causando danni alle stesse è stata barbaramente uccisa per decenni persino con la dinamite. Data il suo scarso tasso riproduttivo,(ogni due anni un cuccioli dopo il quinto anno di età e data l’altissima mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto novembre, spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano il cucciolo incapace di nuotare per i primi quattro mesi) la sua sopravvivenza è legata solo all’opportuno ed efficace intervento dell’essere umano per la sua protezione e conservazione. Solo creando aeree protette e controllate si può sperare di riottenere i successi che sono stati raggiunti con la specie hawaiana. Ciò impedirebbe la scomparsa della specie dal Mediterraneo.
Le«tartarughe marine» appartengono all’ordine dei Cheloni, sono rettili che nel corso della loro evoluzione si sono adattati a vivere in mare. Sono 7 le specie che popolano i mari di tutto il mondo:
Per tutte le tartarughe che vivono nei mari italiani sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 31/5/89). La CITES ha inserito tutte le specie presenti nelle nostre acque nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie più minacciate e per le quali è tassativamente vietata qualsiasi forma di commercio.
Le specie di tartarughe marine esistenti
Nome scientifico Nome comune Nome inglese
Con una lunghezza massima di circa 140 cm di carapace è una delle tre specie di tartarughe marine che vivono in Mediterraneo. Il carapace presenta una colorazione marrone – rossiccia con 5 placche neurali, 5 paia di placche costali e 12 paia di placche marginali. Il piastrone ha una colorazione tendente al giallo. La sua alimentazione è costituita prevalentemente da crostacei e molluschi ma anche da organismi planctonici come ad esempio alcune specie di meduse. In alcuni contenuti stomacali sono stati ritrovati esemplari di cavallucci marini e pesci ago (generi Hippocampus e Syngnathus).
Caretta caretta: peculiarità
Il periodo della deposizione varia dai primi di maggio fino alla fine di agosto. Un nido è composto da un numero variabile di uova (fino ad un massimo registrato di 190). In Mediterraneo i maggiori siti di deposizione sono in Grecia, Turchia, Libia , Tunisia ed Italia. Questa specie è l’unica che regolarmente depone le uova in alcuni siti lungo le coste italiane ( es. Isole Pelagie).
Tartaruga comune (Caretta caretta)
Caratteristica sistematica di questa specie è la presenza di 5 placche neurali, 4 paia di placche costali e 11 paia di placche marginali. Il carapace ha una colorazione verde tendente al nero e il piastrone è giallastro. Raggiunge i 125 cm di carapace e i 250 kg di peso.
E’ una tartaruga erbivora che predilige le acque basse anche se nelle fasi giovanili è principalmente carnivora. Particolare è la ranfoteca dentellata che facilita la sua alimentazione basata principalmente su piante marine quali Posidonia e Zostera.
Chelonia mydas: peculiarità
Il periodo di deposizione è legato alla latitudine in cui esse vivono. In Mediterraneo i siti principali sono in Turchia, Cipro ed Israele principalmente nel periodo estivo. Ogni nido può essere formato da 38-195 uova.
Tartaruga verde (Chelonia mydas)
La particolarità di questa tartaruga è l’assenza di un carapace osseo che è stato sostituito da una pelle cuoiosa supportata da placche ossee. La colorazione è nera con macchie rosa prevalentemente sul collo e nella parte anteriore e posteriore degli arti. Le natatoie anteriori possono raggiungere i 2,5 metri di lunghezza. E’ la più grande tartaruga esistente: può raggiungere infatti i 2 m di lunghezza e i 700 Kg di peso. Nella parte anteriore della ranfoteca la presenza di due cuspidi forniscono, quando la stessa è chiusa, la caratteristica forma a W.
Dermochelys coriacea: peculiarità
Si nutre principalmente di meduse, salpe, calamari, larve di crostacei e pesci. Animali prevalentemente pelagici sono conosciuti per il loro comportamento durante la deposizione. Presente in Mediterraneo dove però non nidifica. Le deposizioni ad esempio avvengono da marzo a giugno in Colombia e da ottobre a febbraio in Messico. La tartaruga liuto si riproduce ogni 2-3 anni e può deporre da 4 a 5 nidi per stagione riproduttiva. Un nido può contenere un numero variabile di uova: da 46 a 160.
Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)
Tra le tartarughe marine è la più colorata: il carapace presenta striature marroni e nere su un fondo color ambra, il piastrone è giallastro. Presenta 5 placche neurali, 4 paia di costali e 11 paia di marginali come la Chelonia. Il suo nome deriva dalla conformazione delle placche che nei giovani sono in parte sovrapposte, quindi embricate. Con la crescita la struttura delle pacche cornee tende a uniformarsi risultando così perfettamente unite negli individui adulti. Si nutre principalmente di crostacei, molluschi e alghe raggiungendo anche i 100 metri di profondità. Si ciba inoltre di spugne. E’ la più tropicale delle tartarughe marine. Predilige le acque tropicali, calde e basse, dell’area indo-pacifica e dell’Atlantico centrale. In Mediteranno è considerata una specie occasionale. I luoghi di deposizione di questa specie sono molto isolati. Il periodo di nidificazione dipende dalla latitudine. Ogni nido può contenere da 71 a 250 uova. Anche se raggiunge la maturità sessuale abbastanza precocemente (intorno ai 3 anni) e i siti di deposizione siano molto isolati le popolazioni di tartarughe embricate sono molto rare. Infatti questa specie, nei tempi passati, è stata sempre soggetta ad una pesca finalizzata alla produzione di oggetti decorativi e gioielli. Sebbene oggi siano state istituite delle normative per la tutela di questa specie non è difficile trovare piccoli souvenir nei mercatini delle regioni che si affacciano nell’Oceano Indiano.
Tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata)
Tartaruga di piccole dimensioni era considerata frutto di un incrocio tra la tartaruga comune e la tartaruga verde. Per questo motivo era stata denominata “bastarda”. La livrea del suo carapace cambia con l’età. I piccoli sono grigio scuro per raggiungere una colorazione verde oliva negli individui adulti per poi ridiventare grigio scuro negli esemplari molto vecchi. Anche il piastrone cambia colorazione da bianco a giallastro. La sua alimentazione è principalmente carnivora. Le sue abitudine riproduttive sono poco conosciute ma sembra che questa specie deponga le uova in una sola spiaggia del Messico. Caratteristica di questa specie è il fenomeno della “arribada” un deposizione di massa. Ad esempio in una singola spiaggia di Racho Nuevo nel Golfo del Messico sono state registrate 40.000 femmine in deposizione. Con i passare del tempo il numero di femmine che determinano questo particolare evento sono drasticamente diminuite. Nel 1995 la grande arribada ha interessato soltanto 1429 femmine. I giovani di questa specie vivono soprattutto lungo le coste europee e africane dell’oceano Atlantico.
Tartaruga bastarda (Lepidochelys kempii)
La colorazione verde oliva del suo carapace conferisce il nome a questa tartaruga, la più piccola tra le specie di tartarughe marine (in media 68 cm di carapace).
Prevalentemente carnivora si nutre di pesci, molluschi (bivalvi e gasteropodi), crostacei (antipodi, isopodi), briozoi, ascidie. Come avviene per la tartaruga bastarda le femmine di questa specie si danno appuntamento e risalgono tutte insieme sulla stessa spiaggia per deporre le uova. In Messico il periodo di deposizione inizia con l’estate per protrarsi fino al tardo autunno. Ogni nido può essere formato al massimo da circa 102 uova. Vive nelle regioni tropicali dell’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico dove predilige le acque che coprono la piattaforma continentale.
Tartaruga olivacea (Lepidochelys olivacea)
Caratteristica di questa tartaruga è la presenza di un unico artiglio nelle pinne anteriori. Il carapace di forma piatta ed ellittica ha una colorazione verde- grigio mentre in piastrone è uniformemente chiaro.
Il suo habitat principale è caratterizzato da acque basse del sottocosta e quelle delle barriere coralline. Poco si conosce sulle sue abitudini alimentari. E’ una specie endemica dell’Australia dove, nel periodo compreso tra novembre e dicembre, depone le uova nella zone a nord-ovest del continente. Ogni nido contiene un numero ridotto di uova ( da 7 a 73 uova). Poco o niente si conosce circa il suo comportamento e le sue migrazioni.
Tartaruga piatta (Natator depressus)
I «Cetacei» un ordine di mammiferi euplacentati, completamente adattatisi alla vita acquatica. Il nome cetaceo deriva dal greco kētos, che significa balena o mostro marino e fu introdotto da Aristotele per designare gli animali acquatici dotati di respirazione polmonare.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce. Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti. Esiste un terzo sottordine, Archaeoceti, cui appartengono solo specie estinte.
Tra i misticeti si trovano gli animali comunemente chiamati balene, i più grandi conosciuti al mondo: in particolare la balenottera azzurra è il più grande animale mai esistito sulla Terra, più grande anche dei famosi Dinosauri. Tra gli odontoceti, invece, si trovano delfini e orche, spesso allevati e addestrati nei delfinari.
Nel Mediterraneo e in particolare nei mari italiani vivono in forma stanziale 2 specie di misticeti e 6 specie di odontoceti. Altre specie di odontoceti possono entrare nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra ed essere avvistate sporadicamente nei mari italiani.
Tutti i cetacei che vivono nei mari italiani sono inclusi nell’elenco delle specie rigorosamente protette nei mari europei (Convenzione di Berna, All. 2). Per tutti sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997). Per gli esemplari catturati in acque internazionali, valgono le norme della Convenzione di Washington.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce.
Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti.
LR: specie a basso rischio;
VU: specie Vulnerabile;
EN: specie in pericolo;
CR: specie in pericolo in modo critico
Il «Santuario dei Cetacei» si estende in un’area protetta di vaste dimensioni, ben 87.500 chilometri quadrati, quasi due volte la Svizzera, la maggior parte dei quali in acque internazionali, e ha come limiti Punta Escampobariu (43°20'00''N ; 004°50'30''E) in Francia, Capo Falcone (40°58'00'' N ; 008°12'00''E) e Capo Ferro (41°09'18'' N ; 009°31'00'' E) nella Sardegna Occidentale e Fosso Chiarone (42°21'24'' N ; 011°31'00'' E) in Toscana.
Confini del Santuario Mediterraneo per i Cetacei
Dopo anni di studi e progetti, la firma ufficiale che sancisce la nascita è stata firmata a Roma nell’ottobre del 1999 dai ministri italiano, francese e monegasco e rattificato dal Governo Italiano con legge n°391 dell''11 ottobre del 2001.
Il Santuario dei Cetacei comprende numerose "Aree Marine Protette", inoltre è delimitato da ben 5 grandi Aree Protette Terrestri: 4 Parchi Nazionali ed un Parco Regionale. Il Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria, il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, il Parco Regionale della Maremma Toscana, Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena ed il Parco Nazionale dell'Asinara. Essi possono essere considerati non solo i limiti geografici ma parte integrante del Santuario stesso, poichè l'area di tutela spesso si estende anche al mare.
Un triangolo marino ricco di vita, un ambiente che può vantare la più alta concentrazione di cetacei fra tutti i mari italiani e che con tutta probabilità rappresenta l'area faunisticamente più ricca dell'intero Mediterraneo.
Capodogli, balenottere comuni, delfini, grampi, globicefali costituiscono un ecosistema di grande ricchezza che connota quest'area come eccezionalmente produttiva e ricca di forme viventi.
Un ecosistema prezioso di cui occorre mantenere le condizioni ottimali se non si vuole correre il rischio di vederlo modificato dalle attività umane che si svolgono sul mare.
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Misticete
Famiglia: Balaenopteridae
Genere: Balaenoptera
Specie: Balaenoptera physalus
Dimensioni: fino a 21 m. di lunghezza oltre 50 t. di peso.
Corporatura: estremamente affusolata e idrodinamica.
Capo: cuneiforme, dorsalmente diviso a metà da una cresta longitudinale.
Pinna dorsale: alta e falcata, situata all’inizio del terzo posteriore.
Pinne pettorali: piccole e lanceolate.
Coda: possente, con marcato seno interlombare.
Colorazione: grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, sulla superficie inferiore delle pettorali e della coda; parte destra della mandibola bianca.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). E’ inclusa tra le specie di cetacei in pericolo mondiale di estinzione (CITES, App. 1).
Balenottera comune (Balaenoptera physalus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Globicephala
Specie: Globicephala melas
Dimensioni: 5-6 m. di lunghezza e 2 t. di peso.
Corporatura: allungata.
Capo: globoso e voluminoso, con melone pronunciato e rostro quasi assente.
Pinna dorsale: in posizione avanzata, con base molto larga.Pinne pettorali: lunghissime, sottili e ricurve.
Colorazione: nero ebano, talvolta le regioni golare e ventrale portano un disegno bianco.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Globicefalo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Globicefalo (Globicephala melas)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Physeteridae
Genere: Physeter
Specie: Physeter macrocephalus
Dimensioni: fino a 18 m. di lunghezza e oltre 50 t. di peso.
Capo: squadrato e di enormi dimensioni (tra ¼ e 1/3 delle dimensioni totali). Mandibola lunga, sottile e dotata di denti (nella mascella non erompono dalla gengiva).
Pinna dorsale: bassa, smussata, triangolare, posta prima del terzo posteriore. Dietro di essa sono presenti delle gibbosità che arrivano alla coda.
Coda: larga, triangolare, con margine posteriore rettilineo e cospicuo seno interlobare.
Colorazione: generalmente grigia uniforme, bordata di bianco sulla mandibola. Rari esemplari albini.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Capodoglio in particolare, è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 1).
Capodoglio (Physeter catodon)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Grampus
Specie: Grampus griseus
Dimensioni: circa 3,5 m. di lunghezza e 400 kg di peso.
Corporatura: relativamente slanciata ma tozza nella parte anteriore.
Capo: rotondeggiante con melone ben sviluppato, rostro assente.
Pinna dorsale: mediana, alta e falcata.
Pinne pettorali: lunghe e appuntite.
Colorazione: generalmente grigia con numerose graffiature chiare che aumentano con l’età.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Grampo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Grampo (Grampus griseus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Ziphiiidae
Genere: Ziphius
Specie: Ziphius cavirostris
Dimensioni: circa 6 m. di lunghezza e 3 t. di peso.
Corporatura: siluriforme e piuttosto tozza.
Capo: piccolo, lateralmente compresso, con piccolo melone e rostro corto; rima boccale corta, sigmoide.
Pinna dorsale: piccola, arretrata e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili, vicino al corpo vengono tenute in una apposita depressione.
Coda: grande, priva di seno interlombare.
Colorazione: grigia ardesia nel maschio, dal grigio al bruno nelle femmine, nero bluastro nel piccolo. Presenza di macchie e graffiature chiare.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Lo Zifio non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2), anche se si conosce molto poco sulla sua consistenza numerica.
Zifio (Ziphius cavirostris)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Stenella
Specie: Stenella coeruleoalba
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: slanciata ed elegante.
Capo: melone visibile, rostro lungo e sottile.
Pinna dorsale: di medie dimensioni e leggermente falcata.
Pinne pettorali: piccole e leggermente incurvate.
Colorazione: grigio scuro sul dorso, grigio chiaro sui fianchi, bianca sul ventre. Fiamma chiara vicino la dorsale. Tre striature scure che partono dall’occhio.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Anche se la frequenza di cattura è elevata nei mari europei, non è considerata in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2). Non sempre le catture vengono segnalate perché dalle Stenelle si ricava il “musciame”, che viene poi venduto clandestinamente.
Stenella (Stenella coeruleoalba)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Delphinus
Specie: Delphinus delphis
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: estremamente slanciata.
Capo: melone modesto ma distintamente separato dal rostro, che è lungo e sottile.
Pinna dorsale: relativamente alta e falcata, in posizione mediana.
Pinne pettorali: piccole, sottili e leggermente incurvata.
Colorazione: generalmente grigia scura sul dorso, biancastra sul ventre, area a forma di clessidra color senape sui fianchi, linea scura che congiunge la pettorale alla mandibola.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Al di fuori del Mediterraneo il Delfino comune non presenta particolare rischio di estinzione (CITES, App. 2). Le popolazioni dei mari europei invece sono a rischio, anche se le cause del declino sono sconosciute.
Delfino comune (Delphinus delphis)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Tursiops
Specie: Tursiops truncatus
Dimensioni: circa 3 m. di lunghezza e 300 kg di peso.
Corporatura: piuttosto tozza e possente.
Capo: melone ben sviluppato, rostro corto e tozzo.
Pinna dorsale: alta e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili.
Colorazione: generalmente grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, ma esistono numerose varianti.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). La densità del Tursiope nel mondo è ancora alta (CITES, App. 2) malgrado venga cacciato o catturato in numerosi stati: Nell’area geografica europea è in forte diminuzione.
Tursiope (Tursiops truncatus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Il “cavalluccio marino” è uno dei pesci più curiosi, per vari aspetti che lo caratterizzano come la forma e il modo in cui si muove, così elegante, e tra i pesci decisamente "singolare".
La struttura fisica si sviluppa su un asse verticale che consente a questi animali di tenere una posizione eretta. Il collo arcuato pone la testa in avanti, dalla caratteristica forma che ricorda quella di un piccolo cavallo, da cui appunto l’animale prende il nome, e con un muso allungato e tubolare. Sia la livrea sia le dimensioni variano da specie a specie.
Durante il nuoto il cavalluccio marino assume una posizione più avanzata e idrodinamica: si sposta sospinto dalla pinna dorsale, chiuso nella sua fragile armatura, e si aggrappa ad alghe o gorgonie, usando la lunga coda prensile.
Il genere Hippocampus appartiene alla famiglia Syngnathidae e vive nelle acque costiere di tutto il mondo, ad eccezione di quelle glaciali. Vive in media 4-5 anni.
Durante il ciclo vitale questa specie si riproduce più volte per stagione: come per le altre specie appartenenti a questa famiglia, dopo l'accoppiamento, che è solamente preceduto da una vera e propria danza nuziale, la femmina passa le uova in una speciale sacca incubatrice (marsupio) nel ventre del maschio, situata vicino all'apertura anale che le incuba per circa un mese.
Poco prima del parto, il maschio ha delle vere e proprie contrazioni che servono ad espellere i piccoli cavallucci. (evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [1]).
Alla nascita i piccoli avannotti [2]- che misurano pochi millimetri - sono già pronti per cacciare il cibo che trovano nella colonna d'acqua.
Alla schiusa, il maschio espelle gli avannotti [2] con delle contrazioni addominali simili al parto [3] femminile, evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [1].
I cavallucci marini si trovano in tutte le acque del mondo tranne quelle glaciali, prevalentemente in prossimità delle coste dove trovano rifugio e sostegni dove potersi ancorare durante i movimenti con la lunga coda prensile. Sono particolarmente diffusi nelle barriere coralline [4] e nelle praterie di fanerogame [5] marine come la Posidonia oceanica [6].
Tutte le specie del genere Hippocampus sono state inserite nella Appendice II della Convention on International Trade of Endangered Species (CITES [7]).
Nonostante molti divieti internazionali, in alcuni paesi è pescato per essere poi venduto essiccato come oggetto decorativo o curativo specialmente sul mercato asiatico.
L’eccessivo sfruttamento da parte della pesca professionale ed in particolar modo di quella illegale hanno ridotto in modo consistente gli stock della specie nel mare Mediterraneo, al punto che l’Unione Europea sta attualmente valutando l’opportunità di inserire il tonno nell’elenco delle “specie a rischio”, con l’obiettivo di assicurargli maggiore protezione e limitarne ancor più la pesca.
Nel frattempo l’Unione ha introdotto regole più severe, subordinando ad esempio la pesca sportiva e ricreativa del prezioso tonno ad una «autorizzazione preventiva», valida unicamente nel periodo dal 15 giugno al 15 ottobre, ma al momento è difficile stabilire il livello di efficacia di queste misure, che non eliminano il problema di fondo della pesca incontrollata e illegale.
E’ su questo aspetto che si devono concentrare gli sforzi dell’Unione e dei paesi membri: l’Italia, ad esempio, non ha un corpo specificamente dedicato alla tutela ambientale ed al controllo della pesca, e se anche le Capitanerie di Porto svolgono specifiche funzioni in questo ambito, è evidente che la molteplicità dei compiti svolti e la limitata disponibilità di mezzi finiscono per minare l’efficacia della sua azione di contrasto dei fenomeni di illegalità.
La pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) in Mediterraneo è soggetta, come detto, a normativa CE. L’adesione della Comunità Europera all’ICCAT (International Commission for Conservation of Atlantic Tuna) fa si che anche in Mediterraneo venga applicata la “Raccomandazione ICCAT” entrata in vigore il 21 giugno 1999[1] . Il Reg. (CE) 302/2009, concernente “un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento (CE) n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007”) disciplina l’attività di pesca proprofessionale nonché quella sportivo-ricreativa. della specie.
La Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”, fornisce ulteriori elementi di chiarificazione circa l’applicazione degli obblighi normativi comunitari relativi alla cattura del tonno rosso ed in particolare quelli derivanti dall’introduzione del Regolamento (CE) n° 302/2009 citato che di seguito si riassume.
[1] In occasione dell’undicesima sessione straordinaria svoltasi a Santiago de Compostela (Spagna) dal 16 al 23 novembre 1998, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Altantico (ICCAT) ha raccomandato una serie di regole specifiche riguardanti le taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso. Al fine di garantire una più efficace protezione del novellame è stata segnatamente modificata una precedente raccomandazione intesa a vietare gli sbarchi di tonno rosso di età 0, finora classificato come pesce di peso pari a 1,8 kg, per vietare lo sbarco di pesci di peso inferiore a 3,2 kg. E’ stato altresì raccomandato di modificare le date relative al fermo stagionale della pesca al cianciolo.
In quanto membro dell’ICCAT, la Comunità è vincolata da tali raccomandazioni, entrate in vigore il 21 giugno 1999.
Le disposizioni in materia di taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso sono fissate dai regolamenti (CE) n. 1626/94 e (CE) n. 850/98 del Consiglio per quanto riguarda, rispettivamente, il Mare Mediterraneo e le regioni da 1 a 8 degli oceani Atlantico e Indiano. Per conformarsi ai propri obblighi internazionali, la Comunità deve adeguare tali regolamenti al fine di integrarvi le raccomandazioni dell’ICCAT. La presente proposta è finalizzata a tale obiettivo.
Per ridurre lo sforzo di pesca sono stati fissati dei periodi di fermo sia per i «palangari di superficie» che per i «ciancioli» (art. 7 Reg.).
In deroga, se uno Stato membro può dimostrare che, a causa dei venti di forza 5 o più sulla scala Beaufort, alcune delle proprie navi da cattura che praticano la pesca del tonno rosso con reti a circuizione nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo non hanno potuto utilizzare i giorni di pesca loro assegnati, tale Stato membro può riportare fino a 5 giorni persi entro il 20 giugno. Lo Stato membro interessato notifica[1] alla Commissione entro il 14 giugno i giorni di pesca supplementari concessi.
[1] Tale notifica è corredata delle seguenti informazioni: i) una relazione che illustri i particolari della cessazione del-l’attività di pesca in questione contenente le pertinenti infor-mazioni di tipo meteorologico; ii) il nome della nave da cattura; iii) il numero unico di registrazione di un peschereccio (CFR) secondo la definizione dell’allegato I del regolamento (CE) n. 26/2004. La Commissione trasmette senza indugio all’ICCAT queste in-formazioni.
La «taglia minima» per il tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo è di 30 Kg. o 115 cm.
In deroga e fatto salvo le catture accessorie, la taglia minima per il tonno rosso è di 8 kg o 75 cm nei casi seguenti:
Catture accidentali con una "tolleranza del 5%" di tonno rosso di taglia compresa fra 10 kg (o 80 cm) e 30 kg sono autorizzate per tutte le navi da cattura che praticano la pesca attiva di tale specie (art. 11 Reg.)
La percentuale è calcolata in base alle catture accidentali totali di tonno rosso effettuate dalle suddette navi da cattura, in numero di esemplari per sbarco, o all’equivalente peso, espresso in percentuale.
Le navi da cattura comunitarie che non praticano la pesca attiva del tonno rosso non sono autorizzate a detenere a bordo catture di tonno rosso superiori al 5 % delle catture totali presenti a bordo in peso e/o numero di esemplari.
Quando è aperta la pesca del tonno rosso è vietato rigettare in mare gli esemplari morti delle catture accessorie.
Il comandante di una nave comunitaria "autorizzata alla cattura attiva" del tonno rosso con «sistema a circuizione», o di un’altra nave da cattura di "lunghezza (lft) superiore a 24 metri", autorizzata con «sistema palangari», trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera, (MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) per via elettronica o con altri mezzi una «dichiarazione di cattura giornaliera» (art. 20 Reg.) comprendente le seguenti informazioni:
Il comandante di una nave da cattura di "lungheza inferiore (lf) a 24 metri", autorizzata alla cattura del tonno rosso con «sistema palangari», è tenuta a trasmettere al citato Dicastero, una «dichiarazione di cattura settimanale» comprendente le seguenti informazioni:
La dichiarazione di cattura è trasmessa, al più tardi, entro le ore 12 (dodici) di lunedì con le catture effettuate nella settimana precedente, avente termine alle ore 24 (ventiquattro) GMT della domenica. Tale dichiarazione comprende informazioni sul numero di giorni in mare trascorsi nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo dall’inizio della pesca o dall’ultima dichiarazione settimanale
In caso di sbarco in uno dei porti comunitari designati, il comandante della nave da pesca comunitaria che ha catturato tonno rosso anche se accidentalmente (o il suo rappresentante), deve darne «pre-notifica», alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) o alla PCC (le parti contraenti della convenzione e le parti, entità o entità di pesca non contraenti cooperanti) di cui intendono utilizzare i porti o i luoghi di sbarco, almeno "quattro ore" prima della prevista ora di arrivo in porto (OPA), (art. 21 comma 1 Reg.) Tale pre-notifica deve contenere le informazioni:
Le Autorità dello Stato membro di approdo conservano una registrazione di tutti i preavvisi di sbarco dell’anno in corso.
Entro 48 ore dalla conclusione dello sbarco le Autorità dello Stato membro di approdo trasmettono un «rapporto di sbarco» all’Autorità dello Stato di bandiera della nave.
Dopo ogni bordata ed entro 48 ore dallo sbarco i comandati delle navi da cattura comunitarie presentano una «dichiarazione di sbarco» (in calce alla relativa pagina del Logbook) alle Autorità competenti dello Stato membro o della PCC in cui ha luogo lo sbarco e al proprio Stato membro di bandiera.
Il comandante della nave da cattura autorizzata è responsabile dell’esattezza della dichiarazione, che indica perlomeno i quantitativi di tonno rosso sbarcati e il luogo in cui sono stati catturati. Tutte le catture sbarcate sono pesate e non stimate. Tale ultima disposizione non si applica agli sbarchi effettuate da tonniere con lenze a canna e da unità con lenze trainate nell’Atlantico orientale, agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mare Adriatico ai fini di allevamento e agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mediterraneo nell’ambito della pesca costiera artigianale di pesce fresco da tonniere con lenze a canna, pescherecci con palangari e pescherecci con lenze a mano.
Prima di effettuare un’operazione di trasferimento in gabbie rimorchiate (art. 22 Reg.), il comandante di una nave da cattura trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) una «notifica preventiva di trasferimento» indicante i dati seguenti:
L’operazione di trasferimento può avere inizio solo con la "previa autorizzazione" dello Stato di bandiera della nave da cattura. Lo Stato membro di bandiera informa il comandante della nave da cattura che il trasferimento non è autorizzato e che deve procedere al rilascio in mare del pesce se, all’atto del ricevimento della notifica preventiva di trasferimento, ritiene che:
oppure;
Il comandate di una nave da cattura compila e trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), una volta ultimata l’operazione di trasferimento al rimorchiatore, la «dichiarazione di trasferimento ICCAT».
La dichiarazione di trasferimento accompagna il trasferimento del pesce durante il trasporto verso l’allevamento o un porto designato. L’autorizzazione di trasferimento da parte dello Stato di bandiera non pregiudica l’autorizzazione dell’operazione di ingabbiamento.
Il comandante della nave da cattura deve assicurare che tutti i trasferimenti di tonno rosso dalla rete di circuizione alla gabbia, effettuati dalla sua unità, siano ripresi da una "videocamera" posta nell’acqua, al fine di consentire il monitoraggio dell’attività svolta.
E’ vietato il trasbordo di tonno rosso in mare nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo (art. 23 Reg.). Le operazioni di trabordo sono consentite solo previa «autorizzazione» dei rispettivi Stati di bandiera.
In caso di trasbordo in uno dei porti comunitari designati e prima dell’entrata in porto, il comandante della nave ricevente o un suo rappresentante deve darne «pre-notifica», almeno 48 ore prima dell’ora prevista di arrivo, alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) del porto che intende utilizzare.
Tale prenotifica deve contenere le seguenti informazioni:
Le navi da pesca non sono autorizzate a effettuare trasbordi senza previa autorizzazione dei rispettivi Stati di bandiera. Prima di cominciare il trasbordo il comandante della nave da pesca che effettua il trasbordo trasmette al proprio Stato di bandiera le informazioni di seguito indicate:
L’Autorità competente dello Stato membro del porto in cui è effettuato il trasbordo:
I comandanti delle navi da pesca comunitarie compilano una «dichiarazione di trasbordo ICCAT» (in calce alla relativa pagina del Logbook) e la trasmettono alle Autorità competenti dello Stato membro di cui le navi da pesca battono bandiera. Tale dichiarazione è trasmessa entro e non oltre 48 ore delle operazioni dalla conclusione delle operazioni di trasbordo.
Le catture della tonnara sono registrate al termine di ogni operazione di pesca effettuata mediante tonnara e trasmesse all’autorità competente dello Stato membro in cui la tonnara si trova (Capo del Compartimento marittimo competente e al MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), per via elettronica o con altri mezzi, entro 48 ore dalla conclusione di ogni operazione di pesca (art. 26 Reg.).
Non appena ricevute le dichiarazioni di cattura, gli Stati membri le trasmettono per via elettronica alla Commissione. La Commissione trasmette sollecitamente tali informazioni al segretariato dell’ICCAT.
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per garantire che tutte le navi da cattura figuranti nel registro ICCAT delle navi autorizzate a praticare la pesca attiva del tonno rosso che entrano in un porto designato al fine di sbarcare e/o trasbordare catture di tonno rosso effettuate nell’Atlantico orientale o nel Mediterraneo siano sottoposte a controllo in porto (art. 27 Reg.).
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per procedere al controllo di ogni operazione di ingabbiamento nelle aziende di ingrasso o di allevamento soggette alla loro giurisdizione.
Se le aziende di ingrasso o di allevamento sono situate in alto mare, le disposizioni di cui sopra, si applicano, mutatis mutandis, agli Stati membri in cui sono stabilite le persone fisiche o giuridiche responsabili dell’azienda di ingrasso o di allevamento.
Per maggiori approfondimenti vedi: Reg. (CE) 302/2009 e Circolare n° 10778/2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”.
Durante la fase di sbarco del prodotto ittico catturato presso le banchine per il successivo carico su vettori stradali dovranno essere osservate le norme nazionali e comunitarie emanate in materia igienico-sanitaria.
L’Autorità marittima potrà richiedere al Dipartimento di prevenzione – Area sanità pubblica veterinaria dell’Azienda Unità Sanitaria Locale N. ____ di _________ la verifica del rispetto delle condizioni igienico-sanitarie durante le operazioni di sbarco.
Sono vietate operazioni di lavorazione del prodotto in banchina.
Al termine delle operazioni di travaso, dovrà essere assicurata la pulizia del tratto di banchina utilizzato.
Al momento dell’arrivo presso la banchina del porto designato e successivamente all’avvenuto sbarco del prodotto, a cura del Comandante dell’unità da pesca dovrà essere resa prontamente disponibile e posta in visione al personale dell’Autorità Marittima presente in banchina, la documentazione di cui al Regolamento (CE) n° 302/2009 (come richiamata dalla Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009), secondo la tempistica prevista, decorrente dall’orario in cui sono terminate le operazioni di sbarco stesse. In particolare andrà curata la corretta compilazione della seguente documentazione:
La nota di vendita del prodotto (fattura o documento equivalente) di che trattasi, all’atto della prima vendita, deve essere rilasciata dai centri per la vendita all’asta del mercato ittico, da altri organismi autorizzati, ovvero dal compratore autorizzato; tale documentazione deve essere inviata all’Autorità marittima del luogo ove è avvenuta la prima vendita. La nota di vendita dovrà contenere le seguenti informazioni:
Della presentazione delle note di vendita in cui si trovano elencati tutti i dati sopra elencati sono responsabili i suddetti centri per la vendita all’asta o gli altri organismi o persone autorizzate.
Nel caso in cui il prodotto non sia venduto direttamente, verrà rilasciata una dichiarazione di assunzione in carico da parte dell’armatore dell’imbarcazione o del suo mandatario. La dichiarazione di assunzione in carico dovrà contenere le seguenti informazioni:
Il Regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite, si applica alle navi da pesca, adibite o destinate allo sfruttamento commerciale delle risorse di tonno rosso, incluse le navi da cattura, le navi officina, le navi di appoggio, i rimorchiatori, le unità che partecipano a operazioni di trasbordo, le navi da trasporto attrezzate per il trasporto di prodotti a base di tonno e le navi ausiliarie, tranne le navi container.
Gli Stati membri provvedono inoltre affinché tutti i rimorchiatori battenti la loro bandiera, a prescindere dalla lunghezza, siano dotati di un «impianto di localizzazione e di controllo via satellite» a norma degli articoli da 3 a 16 del Regolamento (CE) n. 2244/2003. 2.
Gli Stati membri provvedono affinché i loro centri di controllo della pesca trasmettano alla Commissione e ad un organismo designato dalla stessa, in tempo reale e nel formato «https data feed», i messaggi del sistema di controllo via satellite (VMS) ricevuti dalle navi da pesca battenti la loro bandiera. La Commissione trasmette tali messaggi per via elettronica al segretariato dell’ICCAT.
Sistema di controllo dei pescherecci via satellite (VMS) (DM 10 /11/2004)
Gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che tutti i messaggi resi disponibili alle loro navi da ispezione siano trattati in modo riservato e siano limitati alle operazioni di ispezione in mare.
Il «Sistema di Controllo Satellitare Pesca» (SCP) è un sistema di localizzazione e controllo delle navi da pesca nazionali basato sull'utilizzazione di tecnologie satellitari.
Il sistema SCP consente il monitoraggio dei pescherecci aventi lunghezza fuori tutta superiore ai 15 mt in termini di posizione, rotta e velocità, di archiviare e gestire le relative informazioni, di rappresentare lo scenario su idoneo sistema cartografico di presentazione.
Le unità da pesca sono state dotate di un apposito apparato di bordo (c.d. "Blue Box"), attivato all'interno della rete di trasmissione satellitare «Inmarsat», che consente di trasmettere al Centro di Controllo le informazioni relative alla posizione, velocità e rotta dell'imbarcazione, alle emergenze ed agli allarmi nonché di ricevere dal Centro i parametri necessari alle impostazioni di funzionamento e di controllo.
Il sistema SCP consente la ricezione e trasmissione dei dati tramite «Inmarsat-C», con l'archiviazione automatica dei messaggi in arrivo ed in partenza e la possibilità di interrogazione degli archivi storici:
La struttura tecnico/informatica e di localizzazione pescherecci che costituisce il sistema SCP (Sistema di Controllo Pesca) comprende:
La Blue-Box costituisce il sottosistema del «Sistema VMS» (Vessel Monitoring System) e garantisce sia la localizzazione continua del peschereccio, che il suo uso da parte del comandante per l'invio degli "Effort Report" (messaggi di servizio da inviare all'uscita e rientro dai porti e dalle zone di pesca).
Il sistema radio è di tipo omologato per installazioni su unità (secondo la normativa vigente) e utilizza frequenze adibite alle telecomunicazioni marittime.
E' l'unità centrale in cui sono presenti tutti i database rientranti nella normativa ed è il mezzo di raccolta e supervisione su cui vengono inviate e visualizzate tutte le informazioni di posizione e di entrata/uscita dai porti e dalle zone di pesca protette.
Qualora un peschereccio battente bandiera italiana si avvicini o entri in acque territoriali di altro Stato costiero della comunità europea, il CCNP invierà, in formato elettronico, tutte le informazioni relative a quel peschereccio al CCP dello stato membro in questione.
Anche ogni Sistema di Controllo Pescherecci (SCP) di altri paesi membri, invierà al CCNP Italiano le informazioni, in formato elettronico, relative ai pescherecci registrati presso la loro nazione e che temporaneamente si trovano in acque territoriali italiane.
Sono unità elaborative dislocate su quindici centri territoriali italiani (Direzioni Marittime) che, collegate con l'unità centrale del CCNP, permettono di gestire le informazioni riguardanti i pescherecci che navigano nelle loro zone di competenza o su cui stanno effettuando i controlli.
I CCAP sono: Genova, Livorno, Napoli, Reggio, Calabria, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Catania, Palermo, Cagliari, Pescara e Olbia.
E' l'insieme delle linee che collegano tra di loro:
Il collegamento satellitare bidirezionale tra il sistema di bordo e il CCNP, è la gateway satellitare che permette di scambiare i messaggi tra il sistema di bordo e il CCNP.
Sistema di Controllo Satellitare delle attività di pesca
Gli Stati membri auspicano che chiunque si approcci al mare per finalità ludico-sportivo-ricreative si faccia promotore di una cultura sempre più volta alla conservazione dell’ambiente marino e delle sue risorse ed alla sostenibilità delle attività svolte in esso.
Per regolare e disciplinare l’attività di pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) e le attività connesse secondo la disciplina e le norme stabilite in seno ai vigenti Regolamenti comunitari ed alla normativa nazionale, le Capitanerie di Porto recependo la regolamentazione in materia, hanno emesso apposita “Ordinanza” al fine di regolare il prelievo di tonno rosso da parte della pesca sportiva e ricreativa. A tal infine vengono indicate rispettivamente le “regole” basilari che il pescatore sportivo/ricreativo ha l’obbligo rispettare proprio per scongiurare che il tonno rosso, già abbondantemente sfruttato ed in via di estinzione in altri mari, possa estinguersi anche nel nostro mare.
► Divieti:
► Divieti:
Anche per la pesca sportiva vale la regola…”garantire, per quanto possibile, il rilascio dei tonni catturati vivi, in particolare del novellame”.
Le manifestazioni di pesca sportiva potranno avvenire solo se preventivamente autorizzate dall’ Autorità Marittima competente. I dati delle catture di tonno rosso nell’ambito delle manifestazioni sportive dovranno essere comunicati all'Autorità Marittima nel cui Circondario marittimo si svolgono le manifestazioni.
Il Ministero ha dato attuazione al Regolamento prevedendo che l'esercizio della pesca sportiva e ricreativa sia consentita ai soli possessori di specifiche “autorizzazioni” rilasciate dalle Autorità marittime (art. 12 Reg.).
L'obbiettivo e quello di monitorare le catture dei tonni e di tenere sotto controllo il quantitativo totale pescato.
Pertanto, i pescatori sportivi o ricreativi che intendano esercitare la pesca del tonno rosso dovranno chiedere il rilascio dell’autorizzazione all’Ufficio Circondariale Marittimo nella cui giurisdizione si trova il porto di stanza dell’unità da diporto da adibire a tale attività (se il porto in questione ricade nella giurisdizione di una Capitaneria di Porto, l’autorizzazione dovrà essere richiesta alla Sezione Pesca di quel Comando).
E’ il caso di chiarire che tale autorizzazione ha validità su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’Ufficio che ne ha curato il rilascio ed è limitata all’anno corrente.
Dichiarazione di cattura del tonno rosso (Reg. (CE) N. 302/2009)
Nome e/o numero di iscrizione dell’unità da diporto: __________________________________
(per i natanti, il proprietario dovrà indicare anche le matricole dei motori, come risultanti dai relativi documenti)
Riferimento comunicazione [ ] VHF [ ] telefono in data : _____________ alle ore: _______
Data: Il Comandante dell’unità ____________________
Modalità per effettuare la comunicazione preliminare
SI RICORDA CHE:
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Gli esemplari di tonno rosso provenienti dalla pesca sportiva o ricreativa possono essere sbarcati presso gli approdi del Circondario Marittimo.
Al termine della battuta di pesca, prima di rientrare in porto, i conduttori delle unità da diporto che intendano sbarcare tali esemplari, hanno l’obbligo di «prenotificare» il loro arrivo in porto, via VHF o telefonicamente, all’Autorità Marittima del porto di sbarco (ovvero alla più vicina Capitaneria di Porto), comunicando l’orario di previsto arrivo con congruo anticipo. al fine di dare la eventuale possibilità, al personale addetto, di effettuare il controllo direttamente in banchina.
Per lo sbarco del tonno rosso proveniente da operazioni di pesca sportiva e ricreativa non è obbligatoria la presenza di “ispettori” degli Organi di controllo ferma restando, tuttavia, la permanenza obblighi di prenotifica e di consegna della dichiarazione di cattura entro le 24 ore dallo sbarco.
Entro 24 ore dallo sbarco deve essere consegnata, ovvero trasmessa all’Autorità Marittima del porto di sbarco, una copia della«dichiarazione di cattura», utilizzando il modello apposito allegato all’Ordinanza.
Le unità adibite ed autorizzate alla pesca sportiva o ricreativa, una volta ormeggiate in porto, non potranno iniziare le operazioni di sbarco degli esemplari catturati sino a quando non sarà presente in banchina un incaricato dell’Autorità Marittima o, comunque, prima di aver ricevuto il preventivo nulla osta da parte della stessa.
I contravventori alla «Ordinanza» saranno perseguiti ai sensi della normativa vigente, ed in particolare, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, dalle disposizioni di legge di seguito elencate:
Links:
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Gravidanza_maschile
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Avannotto
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Parto
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Barriera_corallina
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Fanerogama
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Posidonia_oceanica
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_sul_commercio_internazionale_delle_specie_minacciate_di_estinzione