Se è vero che le attività della Polizia Giudiziaria, non verbalizzate non possono concorrere direttamente alla decisione finale, esse tuttavia, in quanto documentazione relativa alle indagini espletate, entrano a far parte del fascicolo del P.M., da depositarsi ai soli fini dell’Udienza Preliminare, nonché degli eventuali procedimenti speciali (giudizio abbreviato o a seguito di patteggiamento).
La relazione di servizio della Polizia Giudiziaria, inoltre, potrà essere letta nel corso del dibattimento quando contenga dichiarazioni di contenuto diverso da quelle rese da un teste al dibattimento stesso al fine di valutarne la credibilità.
Sarà pertanto opportuno redigere la relazione di servizio con la massima precisione, provvedendo a distinguere l’attività svolta direttamente dagli Organi di polizia giudiziaria dalle informazioni ricevute da terzi in grado di riferire circostanze utili alle indagini.
Tale distinzione è estremamente importante nell’originaria ottica del Codice in quanto mentre sulle annotazioni concernenti l’attività direttamente svolta dalla Polizia Giudiziria, gli Ufficiali e gli Agenti potevano essere sentiti in qualità di testimoni nel corso del dibattimento, sulle sommarie informazioni raccolte dai terzi essi non potevano mai essere ascoltati, oggi, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 24/92, ha preso gran parte del suo rilievo. Infatti la Corte, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 195 comma 4 c.p.p., ha sancito la legittimità della «testimonianza» in dibattimento da parte degli Organi di polizia giudiziaria anche sulle informazioni assunte da terzi.
La relazione di servizio è l’atto con il quale il responsabile dell’Ufficio viene posto a conoscenza dell’attività compiuta dal personale durante il servizio medesimo oltre che dei risultati conseguiti e delle notizie apprese.
La relazione di servizio è dunque concettualmente assimilabile alla informativa di reato al Pubblico Ministero: è una segnalazione, una comunicazione che non ha in se alcuna finalità di prove ma è atto interno all’amministrazione di appartenenza del personale operante mediante il quale detto personale informa (=riferisce=relaziona) il superiore gerarchico circa le indagini compiute e i loro esiti.
In base al principio della «separazione delle fasi» (indagine - dibattimento), il Giudice del dibattimento non conosce gli atti delle indagini, ma deve formarsi il proprio convincimento sulla base di quanto avviene davanti ai suoi occhi, quindi, gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria, dovranno di volta in volta, «ricostruire» in dibattimento l’attività di indagine da essi compiuta e sottoporsi, come tutti gli altri testimoni, all’«esame incrociato»; vale a dire alle domande e alle controdomande che le parti hanno facoltà di rivolgere per saggiare l’affidabilità delle dichiarazioni rese.
E’ ben vero che l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria potranno essere autorizzati a consultare in aiuto alla memoria, i documenti da loro redatti (ad esempio, relazioni di servizio, annotazioni ...), ma è altrettanto vero che l’Ufficiale e l’Agente non potranno limitarsi a pronunciare “astanche e ripetitive formule di conferma...” degli atti assunti durante le indagini... (del tipo: ...confermo gli atti !!) e che, di conseguenza, l’esito di molti processi potrà dipendere direttamente dalla "credibilità" della testimonianza resa dalla Polizia Giudiziaria.
Tanto più l’Ufficiale o l’Agente sarà professionalmente preparato a reggere le domande tanto più agevole sarà per il Pubblico Ministero dimostrare l’attendibilità della sua accusa.