Ponte tra l'Europa e il sud del Mediterraneo, il nostro Paese è spesso una tappa obbligata per coloro che desiderano emigrare nell'Occidente più ricco e sviluppato, alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Ma l'Italia non è solo terra d'immigrazione. Essa ha conosciuto anche un lungo passato di emigrazione. Secondo i dati del ministero degli Affari Esteri, nell'arco di circa cento anni, dal 1876 al 1986, oltre 26 milioni di italiani hanno lasciato la propria terra per recarsi in altri Paesi. Due i momenti storici interessati in modo particolare all'esodo: l'epoca post-unitaria e il secondo dopoguerra.
I primi grandi flussi migratori si sono verificati infatti tra il 1875 e il 1900, ed hanno interessato inizialmente il Piemonte, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, e solo in un secondo momento anche le regioni del meridione, Sicilia e Campania prime fra tutte. Tra le destinazioni principali le terre d'America e alcuni paesi europei e, solo in misura minore, anche l'Australia e l'Africa.
In seguito all'avvento della prima guerra mondiale, l'esodo di migranti italiani ha subito una fase di arresto ed è ripreso in modo significativo solo al termine della seconda guerra mondiale, diretto soprattutto verso l'Argentina, il Canada e il Venezuela.
Fra la metà degli anni cinquanta e gli anni settanta, il flusso è cresciuto notevolmente grazie ad accordi bilaterali tra il nostro Governo e alcuni Stati europei ed extraeuropei, e il numero di chi ha deciso di lasciare il nostro Paese arriva, tra il 1945 e il 1965, a quasi 6 milioni.
In questa fase, gli italiani che emigrano sono prevalentemente di origine meridionale e sono diretti soprattutto verso Paesi europei come il Belgio, la Svizzera o la Germania, che conoscono uno sviluppo più rapido del nostro e presentano una maggior offerta lavorativa nell'industria pesante, nelle miniere e nel settore edilizio.
Negli stessi anni, in seguito al boom economico, crescono anche le migrazioni interne di chi dalle regioni del Sud raggiunge le aree più industrializzate del Nord. Tra il 1951 e il 1974, sono più di 4 milioni i meridionali che emigrano verso il centro e il nord d'Italia, e di questi la maggioranza si stabilisce nel cosiddetto triangolo industriale: Torino, Milano, Genova.
Sul finire degli anni settanta lo scenario muta ancora, e da paese di emigranti l'Italia diventa "terra d'immigrazione". Verso le sue frontiere e le sue coste cominciano a dirigersi migliaia di persone provenienti prima dai Balcani, poi dal Sud del Mediterraneo e infine dall'Europa orientale. In questo periodo, l'immigrazione straniera si affianca all'emigrazione italiana, cominciando a catturare l'attenzione dell'opinione pubblica.
Nel corso degli anni settanta e ottanta, i flussi in ingresso nel Paese sono ancora di entità modesta. Si tratta in prevalenza di donne che dall'America Latina, dalle Filippine e dai paesi del Corno d'Africa vengono in Italia per lavorare come domestiche, e di braccianti, per la maggior parte provenienti dalla Tunisia, che lavorano stagionalmente in Sicilia.
Solo all'inizio degli anni novanta i flussi divengono più intensi e si trasformano in vere e proprie "ondate" migratorie. Mete principali sono soprattutto le coste delle regioni meridionali. Inizialmente è l'Albania il principale paese di origine del flusso migratorio, che si riversa sulle coste pugliesi attraverso il canale di Otranto. Ad esso, si affiancherà presto l'esodo dei profughi dall'ex Jugoslavia, che giungono in Italia attraverso i confini di terra a loro più vicini.
Successivamente, altri flussi più intensi provenienti dall'Africa mediterranea e sub-sahariana, diretti verso le coste siciliane, sostituiranno le migrazioni dalla regione balcanica. Ma queste non cesseranno mai del tutto e riprenderanno con forte intensità nel 1997, in coincidenza col dissesto economico e finanziario dell'Albania, e nel 1999 in occasione della guerra in Kosovo.
L'accresciuta collaborazione con l'Italia da parte delle Autorità di alcuni paesi di origine e di transito dei flussi migratori (in particolare Sri Lanka, Albania, Turchia ed Egitto), ha drasticamente ridimensionato il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare. Sono stati azzerati i flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti rispettivamente in Puglia e Calabria, ed il fenomeno interessa ormai unicamente Lampedusa e le coste siciliane.
Negli ultimi venti anni, la legislazione italiana ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse.
Sono state così approvate diverse "leggi in materia", ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", poi modificato dalla "Legge 30 luglio 2002, n. 189 [1]", meglio nota come legge Bossi-Fini.
Normativa italiana
Negli ultimi venti anni, la "legislazione italiana" ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse. Sono state così approvate diverse leggi in materia, ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", poi modificato dalla "Legge 30 luglio 2002, n. 189 [1]", meglio nota come legge «Bossi-Fini».
A partire dagli anni settanta è iniziata una graduale trasformazione del nostro Paese da terra di emigrazione a terra di immigrazione, verso cui si dirigono flussi sempre più intensi di immigrati. La legislazione italiana ha cercato di fronteggiare questo fenomeno, mettendo a punto una serie di interventi normativi che sono stati raccolti e riordinati solo con l'approvazione del "Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [2]" (Testo Unico sull'Immigrazione). Obiettivo comune è sempre stato quello di governare le emergenze poste dai flussi migratori, garantendo al tempo stesso adeguate condizioni di vita al cittadino straniero che risiede nel nostro Paese, favorendone l'integrazione e l'inserimento socio-culturale.
I primi interventi in materia d'immigrazione risalgono agli anni ottanta, quando viene approvata la "Legge n. 943 del 1986", che disciplina le condizioni di lavoro dei cittadini stranieri, introducendo le prime forme di tutela e avviando la prima procedura di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Negli stessi anni, aspetti come il soggiorno e le espulsioni sono ancora regolati dal Regio Decreto n. 733 del 1931, relativo alle norme di pubblica sicurezza. Solo a partire dagli anni novanta, di fronte all'intensificarsi del fenomeno migratorio, si cerca di dare maggiore organicità alle norme sull'immigrazione e si adottano misure più incisive.
A questo proposito, due sono le leggi che hanno caratterizzato la normativa sull'immigrazione nel corso degli anni novanta:
Successivamente all'approvazione del Testo Unico sull'Immigrazione, altri dispositivi di legge sono stati adottati in materia. Alcuni di essi hanno semplicemente dato attuazione alle disposizioni contenute nella Legge Bossi-Fini.
Nel settembre del 2002, è entrato in vigore il "Decreto Legge n. 195", poi convertito nella "Legge n. 222 dell'ottobre 2002", che reca "Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari". Questo provvedimento, nato con l'intento di accompagnare la Legge 189 con norme finalizzate all'emersione del lavoro nero, ha consentito di regolarizzare la posizione di tutti i cittadini stranieri che hanno dichiarato, congiuntamente ai datori di lavoro, la loro condizione di occupati irregolari. La procedura prevista non è stata rivolta alla generalità degli immigrati, ma solo ai lavoratori appartenenti alle categorie dei subordinati e dei collaboratori domestici.
Per fronteggiare il «fenomeno dell'immigrazione via mare», è stato emanato il " Decreto 14 luglio 2003 [5]", in cui viene configurata, con precisione, l’attività coordinamento, di vigilanza, prevenzione e contrasto via mare a tale fenomeno da parte dei mezzi aeronavali della Marina militare, delle Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto.
Per quanto riguarda l'anno 2004, sono stati emanati dal Governo i decreti relativi alla programmazione annuale dei flussi di stranieri, che secondo le disposizioni del Testo Unico stabiliscono il numero massimo di ingressi ammessi sul territorio italiano entro il 30 novembre di ogni anno.
Infine, il Dipartimento per la Pubblica Sicurezza del ministero dell'Interno ha emanato una "circolare" rivolta a tutte le Questure e alla Polizia di Frontiera, relativa alle procedure di espatrio per chi è in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno. La circolare prevede che nel periodo compreso fra il 1° luglio e il 30 settembre, i cittadini extracomunitari possano lasciare il territorio nazionale, purché attraversino lo stesso valico di frontiera sia all'uscita che al rientro e non transitino per altri Paesi dell'area Schengen. Dovranno inoltre esibire la copia del permesso di soggiorno, la ricevuta della presentazione dell'istanza di rinnovo e un documento di viaggio valido.
Il 10 febbraio 2005 è stato pubblicato il nuovo "Regolamento di attuazione della Legge Bossi–Fini". Si tratta di un Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334) che reca modifiche e integrazioni al Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, in materia d’immigrazione.
In ultimo, la "Legge 15 luglio 2009, n. 94 [6]" recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, ha destinato un significativo numero di norme al fenomeno dell’immigrazione, modificando il D.lgs. 286/2009 e introducendo, tra l'altro, nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del T.U.) e prevedendo pene più severe per molte disposizioni penali già esistenti.
In Europa
In campo europeo, nel 2005, l’Italia ha anche recepito la "Direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 [7]" recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il Decreto legislativo di attuazione della direttiva – Decreto Legislativo 30 maggio 2005, n. 140 [8] - ha lo scopo di stabilire le norme sull'accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale, in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.
Il 9 novembre 2007, invece, il Governo italiano ha emanato i decreti legislativi di recepimento della "Direttiva 2004/83/CE [9]" recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (c.d. "direttiva qualifiche"), nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e della "Direttiva 2005/85/CE Del Consiglio" [10] recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (c.d. "direttiva procedure"). I due decreti modificano in maniera sostanziale le normative sull’asilo, abolendo, ad esempio, il trattenimento dei richiedenti asilo ed introducendo l’effetto sospensivo del ricorso contro il diniego della domanda d’asilo e la possibilità, anche per coloro cui è stata concessa una protezione umanitaria, di ottenere il ricongiungimento familiare.
Con la Legge 30 dicembre 1986 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine) viene disciplinato il "fenomeno dell’immigrazione straniera", anche in attuazione della convenzione internazionale dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 24 giugno 1975, n. 143, ratificata con la legge 10 aprile 1981, n. 158.
La Legge n. 943/1986 contiene, quanto meno a livello di enunciazione di principio, i fondamentali elementi di garanzia per i lavoratori extracomunitari: all’articolo 1 si legge, infatti, che la Repubblica italiana garantisce i diritti relativi all’uso dei servizi sociali e sanitari, al mantenimento dell’identità culturale, alla scuola e alla disponibilità dell’abitazione, vengono istituite apposite commissioni presso il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale e presso il Ministero degli Affari Esteri sia per quanto attiene le possibilità occupazionali che per quanto attiene ai flussi migratori. L’articolo 4 poi già prevede il diritto al ricongiungimento con il coniuge e i figli minori.
Peraltro, la disciplina, contenuta nel Titolo II della legge riguardante la programmazione dell’occupazione dei lavoratori subordinati extracomunitari, non appare concretamente volta a controllare i flussi migratori in stretta correlazione con le possibilità occupazionali. Infatti tale controllo è rimesso alla disciplina delle procedure per l’accesso all’occupazione: si prevede che l’ingresso in Italia per motivi di lavoro di extracomunitari è ammesso solo se lo straniero sia in possesso del "visto" rilasciato dall’Autorità consolare sulla base dell’autorizzazione al lavoro concessa dal competente ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.
Come si vede il complesso normativo non prevede una vera e propria programmazione, bensì disciplina gli accessi, caso per caso, in relazione alle disponibilità occupazionali di volta in volta manifestatesi; le quali tra l’altro, sono subordinate al previo accertamento di indisponibilità di lavoratori italiani e comunitari aventi qualifiche professionali per le quali è stata richiesta l’autorizzazione.
La normativa del 1986 è piena di buoni propositi per garantire al lavoratore extracomunitario una piena parità di trattamento con quello nazionale (escluso evidentemente l’accesso al lavoro), nonché condizioni di vita idonee a un inserimento nella società, prevedendo riconoscimento di titoli professionali, corsi di lingua, programmi culturali, corsi di formazione e inserimento al lavoro).
Non è prevista una disciplina specifica dell’espulsione che viene invece genericamente rimessa ai principi di pubblica sicurezza.
Peraltro, con la Legge 943/1986, s’inaugura la serie delle regolarizzazioni a sanatoria, che esclude ogni forma di punibilità per illeciti pregressi a fronte della positiva volontà degli interessati, sia lavoratori che datori di lavoro, tesa a consentire l’emersione del fenomeno immigratorio clandestino.
Alla fine degli anni '80 il Governo italiano si rende conto in maniera più precisa dell’entità del fenomeno immigratorio, e cerca di dettare una disciplina più ampia della precedente, nel tentativo di ricomprendere in un corpus unitario la regolamentazione del fenomeno immigratorio extracomunitario.
La nota Legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. Martelli, si presenta formalmente come provvedimento in materia di rifugiati e profughi, argomento principale del testo di legge disciplinando sia il riconoscimento dello "status di rifugiato" che "l’ingresso" in Italia di cittadini extracomunitari per qualsiasi ragione, non limitatamente cioè ai motivi occupazionali: è previsto che detti cittadini possono entrare in Italia per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto.
Il tentativo di un’effettiva programmazione dei flussi migratori per ragioni di lavoro si fa più serio – almeno nella disciplina legislativa – prevedendosi allo scopo decreti interministeriali a cadenza annuale che tengano conto sia dell’economia nazionale, che delle concrete disponibilità finanziarie e delle strutture amministrative volte ad assicurare adeguata accoglienza, che delle richieste di soggiorno per lavoro di cittadini extracomunitari già presenti sul territorio nazionale per altri motivi, e di quelli già iscritti nelle liste di collocamento.
La legge Martelli prevede due tipi di “filtro” per l’accesso in Italia di extracomunitari: il primo direttamente alla "frontiera", ove andrà valutata la regolarità dei documenti e l’insussistenza di cause ostative. Il secondo presso la "Questura" del luogo di dimora, ove l’Autorità valuterà se rilasciare il "permesso di soggiorno", in relazione ai motivi dell’ingresso in Italia, stabilendone anche la durata (ove non espressamente prevista dalla legge).
La legge 39/1990 comunque appare particolarmente significativa per avere introdotto nell’ordinamento la specifica procedura dell’espulsione del cittadino extracomunitario, disciplinando con una certa precisione le varie ipotesi e rimedi giurisdizionali; invero norme sul soggiorno e sull’espulsione degli stranieri erano già previste nella legislazione italiana (articoli 142 e seguenti del testo unico delle norme di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e relative disposizioni di attuazione). Si trattava, tuttavia, di disciplina a carattere generale e non molto puntuale, abrogata dalla legge Martelli (articolo 13) anche a motivo del fatto che essa non poteva comunque più valere per i cittadini comunitari.
Nemmeno la legge 39/1990 è poi sfuggita alla logica della “sanatoria”, alla quale anzi è stato conferito particolare rilievo e interesse, disponendo modalità tese ad assicurare la più ampia diffusione per la conoscenza dei sistemi di regolarizzazione previsti dalla legge stessa.
Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, la legge Martelli introduce per la prima volta pene detentive e pecuniarie, aggravate dalla circostanza del concorso per delinquere. Pene lievi, se si considerano quelle attualmente in vigore: la reclusione fino a due anni o una multa fino a 516 €, aumentati a sei anni più una multa da 5.164 a 25.822 € in caso di concorso o lucro.
La legge Martelli fissa inoltre i parametri iniziali del meccanismo generalizzato dell’espulsione quale mezzo di controllo degli immigrati socialmente pericolosi o clandestini, mediante provvedimento del Prefetto disposto con decreto motivato. Esso si sostanzia nella intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, con l’accompagnamento alla frontiera solo in caso di violazione. La permanenza dello straniero sul territorio italiano viene subordinata al rilascio di un "permesso di soggiorno" da parte della Questura o del Commissariato di Pubblica sicurezza territorialmente competente, che indica il motivo della permanenza, dal quale dipende la durata del permesso, che va da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni.
In materia di lavoro, la legge Martelli sembra più tesa a sanare la situazione pregressa che non a tracciare un quadro organico per il futuro, sostanziandosi con una moratoria atta a sanare le irregolarità a cui erano spesso sottoposti i lavoratori stranieri, per necessità più inclini a lavorare "in nero" e a salari più bassi.
Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque impostato la lenta e iniziale stabilizzazione dei migranti, attraverso i primi interventi volti all’integrazione e alla partecipazione alla vita pubblica.
Il rapido evolversi del fenomeno, conseguenza del mutamento degli assetti internazionali, ha tuttavia evidenziato nel giro di pochi anni l’inadeguatezza del testo in vigore, inducendo il parlamento all’emanazione di una normativa più esaustiva, la Legge 40/1998 c.d. Turco-Napolitano, confluita successivamente nel Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (D.L. 286/1998). È questo l’assetto su cui l’intervento legislativo più recente, la Legge 189/2002 c.d. Bossi-Fini, è andato a incidere, in senso vessatorio e punitivo.
Nonostante la Bossi-Fini costituisca formalmente solo una modifica al Testo unico, che riprendeva l’impianto della Turco-Napolitano, essa vi introduce significative modifiche, da un lato rendendo più difficoltoso l’ingresso e il soggiorno regolare dello straniero e agevolandone l’allontanamento, dall’altro riformando in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. Il meccanismo fondamentale di controllo dell’immigrazione rimane la politica dei flussi, quantificata annualmente dal governo mediante un decreto che fissa il numero di stranieri che possono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Chiaro l’intento, peraltro ereditato dalla normativa precedente, di controllare il fenomeno attraverso la limitazione numerica degli ingressi imposta dall’autorità.
A cadenza quinquennale, quasi regolare, interviene il Decreto legge 18 novembre 1995, n. 489 (Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei paesi non appartenenti all'unione europea) che tenta di riconsiderare la materia alla luce delle esperienze maturate, ma che s’innesta sul corpus più completo della legge Martelli, disciplinando aspetti specifici.
In primo luogo i "flussi d’ingresso" per lavori stagionali, che si è dimostrato fenomeno di rilevantissima portata, con la conseguenza però di una stabilizzazione a tempo indeterminato del cittadino extracomunitario sul territorio italiano; alcune particolari fattispecie in materia di ingresso e di soggiorno; e quindi con intervento di più ampia portata, una nuova regolamentazione delle "espulsioni".
Non poteva peraltro mancare una normativa sulle regolamentazioni, che contiene interessanti spunti per quanto attiene alle ipotesi di "ricongiungimento" ai familiari.
Come si può rilevare dall’excursus normativo delineato sin qui, la materia dell’immigrazione presenta molteplici aspetti, che riguardano istituti giuridici appartenenti a diverse discipline: così principalmente quelli prettamente giuslavoristici, relativi all’avviamento al lavoro e alla previdenza e assistenza; quelli penalistici, riguardanti le varie ipotesi di reato che rendono obbligatoria l’espulsione dal territorio nazionale, nonché l’attività di intermediazione di clandestini tale da configurare un loro sfruttamento; e anche aspetti rientranti nella disciplina del diritto amministrativo, per quanto riguarda i permessi di soggiorno, le espulsioni e i riconoscimenti dello status di rifugiato.
E anzi, può dirsi che sotto il profilo della tutela giurisdizionale, il giudice amministrativo risultato progressivamente nel tempo, quello maggiormente investito dalla problematica degli extracomunitari, sia verosimilmente come volume di contenzioso, che comunque come rilevanza delle questioni, avendo con la legge Martelli in particolare, assunto una competenza generale sui provvedimenti di espulsione, che configurano senz’altro il problema più importante per il cittadino non appartenente all’unione europea e residente nello Stato italiano.
Peraltro, sotto tale specifico motivo, il decreto legge rappresenta una certa inversione di tendenza, giacché introduce diverse ipotesi di espulsione di competenza del giudice penale, con conseguente incardinamento del possibile contenzioso nell’ambito della giurisdizione penale; contenzioso che, in relazione alle ipotesi previste di espulsione come misura di sicurezza, come misura di prevenzione ovvero a richiesta di parte, è destinato probabilmente ad assumere entità e rilevanza sempre più ampie.
Con la Legge 6 marzo 1998, n. 40, c.d. Turco-Napolitano (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) poi confluita nel Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione) è stato elaborato un provvedimento di più ampia portata rispetto a quelli assunti e sottoposti nel passato al Parlamento per disciplinare l’immigrazione e insieme, anche se non in modo esaustivo, la "condizione dello straniero".
L’esperienza concreta del periodo più recente – la difficile gestazione, prima, e la mancata conversione poi, del decreto legge del novembre 1995, l’intenso confronto parlamentare sul disegno di legge di salvaguardia degli effetti di quel decreto, e insieme, al di là delle vicende legislative, gli sviluppi reali del fenomeno – avevano d’altronde messo in piena evidenza l’insufficienza e la non riproponibilità di provvedimenti parziali e di emergenza e di ricorrenti sanatorie, la necessità di definire ormai un quadro normativo certo, generale e unitario.
Nel titolo I sono previste le disposizioni generali e di principio che definiscono l’ambito di applicazione della legge (art. 1), il trattamento dello straniero (art. 2), nonché uno strumento di programmazione dei flussi, alla base del sistema di governo del fenomeno dell’immigrazione che si propone (art. 3).
Quanto all’articolo 1, si segnala oltre alla definizione dei destinatari della legge, il richiamo alle norme comunitarie e internazionali più favorevoli agli stranieri comunque vigenti nel territorio dello stato e la qualificazione delle norme della legge, come principi fondamentali, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, al fine di indirizzare l’esercizio delle competenze legislative regionali.
Relativamente all’articolo 2, va precisato che i diritti fondamentali della persona umana sono riconosciuti indiscriminatamente, nel territorio dello stato, compresa la linea di frontiera, a tutti gli stranieri, indipendentemente dalla regolarità o meno dell’ingresso o del soggiorno.
Non c’è dubbio che fra i diritti fondamentali vanno considerati quelli relativi alla garanzia giurisdizionale in ordine ai provvedimenti che concernono i destinatari della presente legge.
E’ invece agli stranieri regolarmente soggiornanti che si assicura pienezza di diritti in materia civile nell’ambito della disciplina della legge e delle convenzioni internazionali, fino a configurare uno status particolare, comprendente la facoltà di partecipare alla vita pubblica a livello locale, per gli stranieri in possesso della “carta di soggiorno” disciplinata dall’articolo 7.
L’articolo 3 realizza un nuovo strumento di governo del fenomeno migratorio, costituito da un documento programmatico triennale per la politica dell’immigrazione, che il Presidente del Consiglio sottopone all’approvazione del Consiglio dei Ministri e presenta al Parlamento, e da uno o più decreti che definiscono annualmente, o per il più breve periodo relativo al lavoro stagionale, le quote degli immigrati per i quali è ammesso l'ingresso.
Il documento programmatico indica inoltre le azioni e gli interventi che lo Stato italiano si propone di attuare anche in cooperazione con altri paesi europei, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie, e con le organizzazioni non governative.
Si prevede inoltre un ruolo attivo delle regioni, delle province e dei comuni e di altri enti locali, che concorrono alle iniziative volte a favorire l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nel tessuto sociale. A tal fine sono stati istituiti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’immigrazione, i Consigli territoriali per l’immigrazione, in cui sono principalmente rappresentati gli Enti locali, per il coordinamento e la promozione degli interventi da attuare a livello locale.
Il titolo II concerne l’ingresso, il soggiorno, il respingimento e le espulsioni.
Oltre alle norme sui visti (art. 4) e sugli ordinari controlli alla frontiera, sono precisate le modalità del rilascio del permesso di soggiorno (art. 5) con riferimento ai diversi motivi dell’ingresso e del soggiorno nel territorio dello stato (affari, turismo, lavoro stagionale, visite, studio e formazione, lavoro autonomo, lavoro subordinato, motivi familiari, ecc.). A questo proposito, il comma 1 dell’articolo 6 disciplina la facoltà di “conversione“ del titolo di soggiorno anche per gli studenti, riportandolo nell’ambito di quelle quote che costituiscono uno degli strumenti più innovativi e rilevanti della legge. Le altre disposizioni dell’articolo 6 riprendono, invece, la disciplina tradizionale dei controlli in materia di soggiorno.
E’ di rilievo, come si è detto, l’articolo 7 che disciplina il rilascio della “carta di soggiorno”, un titolo permanente, ancorché il documento comprovante possa avere durata periodica come gli altri documenti abilitativi e di riconoscimento, di cui potrà fruire lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni, purché immune da pregiudizi penali di rilievo o da provvedimenti di prevenzione di maggiore gravità. La “carta di soggiorno” consentirà allo straniero lo svolgimento di ogni attività lecita (con eccezione di quelle riservate al cittadino italiano), l’accesso ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione e il diritto di elettorato attivo e passivo nelle lezioni comunali e circoscrizionali, secondo la particolare disciplina dell’articolo 38. La carta di soggiorno costituisce pertanto uno strumento essenziale per consolidare il percorso di cittadinanza prefigurato dalla nuova normativa.
Proprio in considerazione di ciò, la revoca della carta di soggiorno come l’espulsione nei confronti di coloro che ne sono in possesso può avvenire solo per gravi motivi.
Il capo II del Titolo II è integralmente dedicato alla materia del respingimento e delle espulsioni. In questa parte della legge trova espressione l’intento di rendere efficace la disciplina delle espulsioni prevedendosi, al contempo, la massima garanzia di controllo giurisdizionale.
L’articolo 8 prevede, in particolare, l’adozione del respingimento, oltre che sulla linea di frontiera, anche nei confronti di chi sia colto subito dopo l’ingresso in Italia in luoghi diversi dai valichi autorizzati e di coloro che siano ammessi nel territorio per interventi di pronto soccorso e assistenza. In tale eventualità trova applicazione il successivo articolo 12 concernente i centri di permanenza e di assistenza
Per quanto l’articolo 8 non ne faccia menzione, la ricorribilità dei provvedimenti di respingimento è assicurata dalla disciplina generale in materia di provvedimenti amministrativi, mentre il trattenimento nei centri è disciplinato nel ricordato articolo 12.
Gli articoli 9 e 10 intendono potenziare l’azione di contrasto delle immigrazioni clandestine, sia attraverso più incisive misure di controllo e di coordinamento, sia attraverso norme sanzionatorie più severe e articolate sul piano penale o amministrativo. Relativamente alla sanzione penale nei confronti di chi favorisce l’immigrazione clandestina e il traffico illecito di mano d’opera, va precisato che la norma (art. 10) non intende colpire in alcun modo l’intervento umanitario nei confronti di chi abbia varcato, sia pure illecitamente la linea di frontiera.
Con l’articolo 11 si disciplinano le espulsioni amministrative, ridotte a due ipotesi: la prima concerne l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato; la seconda è quella disposta dal Prefetto nei confronti del clandestino che è entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera, ovvero nei confronti dell’irregolare che non abbia ottemperato agli obblighi previsti per il rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero ancora nei confronti degli stranieri pericolosi per la sicurezza pubblica, secondo i tradizionali parametri stabiliti dalle norme vigenti per l’applicazione di una misura di prevenzione.
Anche in ottemperanza al Protocollo 7 aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 9 Aprile 1990, n° 98), l’espulsione è eseguita con accompagnamento immediato alla frontiera in casi limitati (espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale, espulsioni già disposte e rimaste indebitamente ineseguite, una volta esauriti i rimedi giurisdizionali), ovvero quando ricorrono circostanze obbiettive che fanno ritenere concreto il pericolo che l’interessato si sottragga al provvedimento.
Negli altri casi, l’espulsione è adottata mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni.
Nelle ipotesi in cui lo straniero clandestino sia colto in fragranza di reato, si prevedono opportune forme di raccordo per assicurare sia l’effettività dell’espulsione, sia la garanzia del diritto di difesa dell’imputato, che può chiedere l’autorizzazione al rientro nel territorio dello stato al fine di partecipare al processo penale a suo carico.
In tutti i casi è assicurata la possibilità di ricorrere al giudice, con diritto al patrocinio gratuito dei non abbienti.
Trattandosi di misure amministrative, di per sé estranee al fatto reato si è ritenuto di attribuire la competenza al Tribunale civile, con un procedimento rapidissimo, destinato ad esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso per Cassazione e senza escludere eventuali provvedimenti cautelari (la cosiddetta “sospensiva”).
La scelta a favore del giudice ordinario civile, quale autorità giurisdizionale competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione, oltre che della legittimità della misura di cui all’articolo 12, risponde a criteri funzionali e sistematici. Sotto il primo profilo si osserva che solo il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione diffuse sul territorio appare in grado di operare entro i termini brevi previsti dalla legge (48 ore per la convalida del provvedimento di trattenimento di cui all’art. 12, e 10 giorni per la decisione sul ricorso contro l’espulsione). In secondo luogo si osserva che la rigida ripartizione delle competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in presenza di ricorsi contro provvedimenti della pubblica amministrazione, appare più volte derogata da varie disposizioni (esempio, il ricorso al Tribunale avverso le sanzioni amministrative), e pertanto, la scelta operata a causa delle suddette ragioni funzionali, non trova particolari ostacoli dal punto di vista sistematico.
Solo nel caso di espulsione disposta dal Ministro dell’interno, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, si è ritenuto di mantenere la tradizionale competenza del giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti a contenuto altamente discrezionale.
Per quanto specificamente riguarda la misura prevista dall’articolo 12, tendente ad assicurare l’effettività delle espulsioni disposte con accompagnamento alla frontiera e dei respingimenti, si prevede il trattenimento dell’interessato in appositi Centri.
La misura può essere disposta, nei casi tassativamente indicati dalla legge, quando è impossibile procedere con la necessaria immediatezza all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento: in particolare, quando sia necessario procedere ad accertamenti supplementari o all’acquisizione di documenti e visti, ovvero quando debba predisporsi un vettore o un mezzo di trasporto non immediatamente disponibile.
I centri di permanenza ed assistenza temporanea a tal fine previsti, gestiti a cura dell’Amministrazione dell’interno, sono comunque estranei al circuito penitenziario, tant’è che è assicurata, oltre all’assistenza, anche la libertà di comunicazione con l’esterno, mentre l’azione di polizia – esterna ai centri – è esclusivamente finalizzata ad impedire eventuali tentativi di elusione della misura.
Nel rispetto del disposto dell’art. 13 della Costituzione, il provvedimento del questore che dispone il trattenimento deve essere trasmesso entro 48 ore al Tribunale e convalidato nelle 48 ore successive, sentito l’interessato. E’ favorita la contemporanea trattazione, nel merito, dell’eventuale ricorso contro il provvedimento di espulsione. La misura del trattenimento può avere durata massima di venti giorni ed è prorogabile per ulteriori dieci giorni qualora sia imminente l’eliminazione dell’impedimento all’espulsione o al respingimento. Trascorso tale termine il provvedimento perde efficacia.
La misura suddetta costituisce una novità per l’ordinamento italiano, ma trova un comune denominatore nella quasi totalità dei paesi europei ed un fondamento autorevolissimo - peraltro sorretto dall’articolo 10, primo e secondo comma, della Costituzione - nell’articolo 5, comma 1 lettera f) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Tale norma, infatti, contempla la possibilità di misure custodiali provvisorie preordinate all’esecuzione del provvedimento di espulsione.
Con gli articoli 13 e 14, infine, sono disciplinate le espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria: sia a titolo di misura di sicurezza – nel caso di rinvio a giudizio o di condanna per uno dei gravi reati previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale – sia nell’ipotesi di sostituzione della misura dell’espulsione alla detenzione, in caso di patteggiamento della pena ovvero di condanna per un reato non colposo punito entro il limite di due anni.
Al capo III sono introdotte per la prima volta, dopo la breve esperienza del decreto legge n. 477 del 13 settembre 1996, norme volte alla tutela delle vittime del traffico di clandestini, in modo particolare per sfruttamento sessuale. Tutti gli stranieri, donne, uomini e minori, che intendono sottrarsi alle condizioni di sfruttamento nelle quali sono costretti a vivere, non incorreranno nell’espulsione, ma potranno usufruire del permesso di soggiorno e partecipare a un programma di assistenza ed integrazione sociale. Si intende con questa norma aiutare le vittime e proteggerle da ritorsioni da parte dei loro sfruttatori, anche valorizzando le loro denunce in un quadro di più forte azione di contrasto alle organizzazioni criminali che sono all’origine di questi fenomeni.
Completano le norme contenute nel capo II le disposizioni a carattere umanitario che vietano l’espulsione nei confronti di particolari soggetti (es. minori, possessori di carta di soggiorno, donne in stato di gravidanza), e quelle che prevedono speciali misure di protezione temporanea (art. 18) per eventi eccezionali quali disastri naturali, conflitti armati e simili situazioni di grave pericolo.
Il titolo III riguarda la disciplina del lavoro che integra ed innova profondamente la legge n° 943 del 1986. Nell’ambito di questo titolo sono definite le modalità di ingresso in Italia per lavoro, sulla base delle quote di ingresso determinate nei decreti di cui all’art. 3, conseguenti al documento programmatico del Governo ivi previsto.
Gli ingressi in Italia per lavoro potranno avvenire dietro chiamata nominativa del datore di lavoro, con il tradizionale sistema della preventiva autorizzazione degli Uffici del lavoro, attraverso liste di prenotazione predisposte nel paese di origine e trasferite in Italia a cura delle autorità diplomatiche e consolari italiane, ovvero attraverso la garanzia di soggetti, individuali o collettivi, operanti in Italia.
L’articolo 21, infatti, prevede, che cittadini italiani o stranieri regolarmente residenti in Italia, enti o associazioni del volontariato, rispondenti ai criteri di idoneità da definirsi con le norme di attuazione, possano nell’ambito delle quote definite a norma dell’articolo 3, prestare idonee garanzie, cui si accompagna l’obbligo di provvedere all’alloggio ed ai mezzi di sostentamento necessari per lo straniero, per consentire a quest’ultimo di fare regolare ingresso in Italia per cercare lavoro, realizzando così la condizione occorrente per un positivo incontro fra domanda e offerta di lavoro. Inoltre viene regolamentato in via generale e permanente l’ingresso per lavori a tempo determinato e stagionale (art. 22), riconoscendo la priorità di reingresso a coloro che avranno fatto rientro nel paese di origine nei termini fissati nel permesso di soggiorno.
Per quanto concerne il lavoro autonomo (art. 24) si prevede che, per l’esercizio delle attività industriali, artigianali e commerciali, lo straniero che intenda stabilirsi in Italia debba fornire adeguate garanzie circa le risorse personali, quelle da impiegare nell’attività prescelta e circa la sua capacità imprenditoriale. E’ comunque necessario un attestato di disponibilità delle autorità amministrative competenti al rilascio delle autorizzazioni o licenze eventualmente necessarie. Nel caso di attività ambulanti competente è il comune.
Il titolo IV disciplina il diritto all’unità familiare e la tutela del minore. La materia dei ricongiungimenti familiari è stata rielaborata sotto la denominazione di “Diritto all’unità familiare e tutela dei minori”, tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 28/95, che ha aperto la strada alla configurazione del ricongiungimento familiare come diritto soggettivo.
Accanto ad alcune norme di principio (art. 26), il diritto a mantenere o a riacquistare le proprie relazioni familiari è tutelato in maniera piena a favore degli stranieri regolarmente soggiornanti per un periodo congruo, per lavoro autonomo, per studio, per motivi familiari, per residenza elettiva, o per asilo umanitario. La regola generale è che qualora la persona straniera soggiornante in Italia chieda l’ingresso dei familiari, questi hanno diritto al rilascio del visto di ingresso e di un permesso di soggiorno di durata equivalente. L’effettivo esercizio del diritto al ricongiungimento familiare è tuttavia condizionato alla disponibilità di un alloggio e di un reddito la cui entità è stabilita in misura crescente in rapporto al numero dei familiari da ricongiungere (art. 27).
E’ di particolare rilievo la norma (art. 27 comma 4 e 5) che prevede anche l’ingresso al seguito dei familiari, purché concorrano tutti i requisiti per il ricongiungimento.
La condizione giuridica del minore straniero è particolarmente tutelata (art. 29); essa segue quella del genitore convivente o la più favorevole fra quella dei genitori conviventi. Il minore è iscritto nel permesso di soggiorno del genitore fino a 14 anni. Successivamente può essergli rilasciato un permesso autonomo fino al compimento della maggiore età.
Particolarmente avanzata, nella tutela dei fanciulli, è la disposizione dell’articolo 29, comma 3, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno, da parte del Tribunale per i minorenni, a favore di un familiare del fanciullo in difficoltà, quando assolutamente necessario per l’integrità psico-fisica del minore.
Il titolo V disciplina gli aspetti più rilevanti nella definizione di una condizione di godimento dei cosiddetti “diritti civili” o “diritti di cittadinanza per lo straniero presente in territorio italiano".
Il capo I, in materia di assistenza sanitaria, prevede l’equiparazione, ai fini assistenziali e contributivi, dei lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti, ai cittadini italiani che si trovano nella medesima condizione. Tuttavia, anche ai non iscritti al servizio sanitario nazionale e agli stranieri in posizione irregolare viene garantito il diritto alle cure urgenti ospedaliere per malattie, infortuni e maternità. Particolare rilevanza è dedicata alla tutela sociale della gravidanza e della maternità (come previsto dalle leggi n. 485/75 e 194/78) e alla tutela della salute del minore, in esecuzione della Convenzione di New York ratificata con legge n. 176/91. Infine sono anche disciplinate le modalità relative al soggiorno e all’ingresso in Italia per cure mediche, per le quali si richiede la dimostrazione di idonea capacità di pagamento delle cure medesime e sono regolamentate le attività professionali sanitarie. Le norme sull’istruzione, contenute nel capo II, prevedono innanzitutto l’estensione dell’obbligo scolastico ai minori stranieri comunque presenti nel territorio nazionale, con il corollario di tutte le disposizioni a garanzia del diritto allo studio. Oltre al coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nell’attivazione di corsi per l’apprendimento della lingua italiana, si introducono disposizioni di principio sull’integrazione nelle scuole, sull’educazione alla multiculturalità e si rinvia al regolamento di attuazione (DPR n. 394/99) sulla realizzazione di progetti specifici a livello nazionale o locale per la realizzazione di corsi di formazione del personale della scuola e per il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati nei paesi di provenienza.
Quanto all’istruzione universitaria si prevedono norme promozionali di attività di orientamento e di accoglienza nonché la possibilità dell’erogazione di borse di studio e di sussidi agli studenti stranieri da parte delle Università, nell’ambito dell’autonomia loro riconosciuta.
Al capo III, in riferimento all’accoglienza e all’accesso all’abitazione si prevedono sia misure disposte dalle regioni, in cooperazione con le associazioni e le organizzazioni di volontariato, ai fini della predisposizione di centri di accoglienza, sia la possibilità per gli stranieri regolarmente soggiornanti di accedere ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, eventualmente ristrutturati con contributi regionali. L’accesso degli stranieri a strutture pubbliche e di alloggio, che non si configura come diritto soggettivo, risponde a una esigenza sociale primaria, anche al fine di prevenire situazioni di emarginazione e di deterioramento del tessuto sociale.
Il capo V introduce nuove disposizioni per l’integrazione economica e sociale degli immigrati, pur nel rispetto delle proprie culture e credo religioso e contro le attività discriminatorie: per quanto riguardale politiche di integrazione, l’art. 39 prevede che lo stato, le regioni, le province e i comuni, in collaborazione con le associazioni di volontariato e con le associazioni degli immigrati, mettano in atto ogni forma di attività volta a ridurre gli ostacoli che lo straniero incontra per una piena integrazione nel tessuto sociale e a preservare contemporaneamente le specificità culturali, linguistiche e religiose di ciascuno.
Al fine di promuovere con la partecipazione dei cittadini stranieri le iniziative idonee oltre le iniziative delle regioni e degli enti locali, si prevede l’istituzione presso il CNEL di un organismo consultivo, aperto alla partecipazione delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, con la funzione di monitorare l’applicazione della legge, presentare proposte per migliorare la condizione degli stranieri nel nostro Paese, favorire la loro partecipazione alla vita pubblica.
Per quanto riguarda le norme sulle discriminazioni razziali, gli articoli 40 e 41 tendono a definire i comportamenti discriminatori per motivi di razza, colore, ascendenza o origine nazionale od etnica, religione e a prevedere un’azione civile per la loro cessazione e per il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, con sanzioni penali nei confronti di chi elude i provvedimenti del giudice, individuato anche in questo caso dal Tribunale.
E’ prevista infine (art. 42) l’istituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie destinato al finanziamento di programmi annuali o pluriennali dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali.
Pur se i provvedimenti più incisivi in materia di integrazione sociale degli immigrati sono prevalentemente di competenza delle regioni, delle Province e dei Comuni, l’intervento del Fondo è apparso necessario sia per il supporto finanziario occorrente, sia al fine di garantire omogeneità a livello nazionale degli interventi volti alla realizzazione di condizioni di pari opportunità per gli stranieri presenti sul territorio nazionale.
► Il Fondo può essere utilizzato per:
Il titolo VI (art, 43) è rivolto ai cittadini comunitari, con una delega al governo per la definizione unitaria e aggiornata delle disposizioni che li concernono, con particolare riguardo a quelle relative all’ingresso e al soggiorno in Italia e all’eventuale allontanamento.
Il titolo VII, infine, contiene le abrogazioni (art. 44), l’armonizzazione delle disposizioni tuttora vigenti del Testo Unico delle leggi di p.s. e della legge sui lavoratori migranti, nonché la delega per eventuali disposizioni correttive (art. 45) della legge entro due anni dalla sua entrata in vigore. L’articolo 46 contiene, da ultimo, la clausola di copertura finanziaria.
Negli ultimi venti anni, la legislazione italiana ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse. Sono state così approvate diverse leggi in materia, ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, poi modificato dalla Legge n. 189 del 30 luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Il Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, è il principale testo di riferimento in materia d'immigrazione. Tale decreto regola la condizione degli stranieri in Italia e riunisce tutte le disposizioni di legge che dagli anni settanta in poi regolamentavano il fenomeno migratorio nel nostro Paese (Legge 40/98, Rd 773/31 Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, Legge 943/86 e Legge 335/95).
Questo decreto, meglio noto come "Testo Unico sull'Immigrazione", corrisponde ad un corpo di norme unico, coerente e organico, finalizzato ad assicurare un approccio integrato alla risoluzione dei problemi dell'immigrazione. Con esso, si è inteso dare risposta all'esigenza, emersa più volte, di armonizzare le molteplici norme prodotte in materia e di riorganizzare l'intera disciplina.
Le disposizioni del Testo Unico regolano i principali aspetti della politica migratoria in Italia. Ad esse, si aggiungono le integrazioni e le modifiche previste dalla successiva legge n. 189 del luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Disposizioni in materia di ingresso. Il Testo Unico ha stabilito che possono entrare in Italia tutti i cittadini non comunitari in possesso di un "visto d'ingresso" e di documenti di viaggio validi, ad eccezione di coloro che sono stati dichiarati pericolosi per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. La legge Bossi-Fini ha in seguito vietato l'accesso anche a coloro che sono stati condannati per i reati previsti dagli artt. 380 e 381 del Codice di Procedura Penale o per reati inerenti il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Disposizioni in materia di "permesso di soggiorno". Il Testo Unico ha disposto che possono richiedere il permesso di soggiorno tutti i cittadini stranieri che sono entrati regolarmente in Italia, prevedendo per coloro che risiedono da oltre un certo numero di anni anche il rilascio della "carta di soggiorno". La successiva legge Bossi-Fini ha stabilito che il cittadino straniero che richiede o rinnova il permesso di soggiorno venga sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
Disposizioni in materia di lavoro ai cittadini stranieri. Il Testo Unico ha inoltre disposto specifiche misure in materia di lavoro agli stranieri, ribadendo che il numero di lavoratori non comunitari ammessi in Italia resti vincolato alle quote fissate ogni anno dal "decreto flussi".
La legge Bossi-Fini ha previsto che tale decreto venga emanato entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto stesso. La stessa legge ha anche istituito un nuovo ufficio presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, che prende il nome di Sportello Unico per l'Immigrazione. Tale Sportello è responsabile per l'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato, assunti secondo i criteri stabiliti nella nuova figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato.
Disposizioni in materia di diritti dei cittadini stranieri. Il Testo Unico tutela e riconosce al cittadino straniero una serie di diritti in parità con i cittadini italiani, come il diritto all'unità familiare, il diritto a ricevere assistenza sanitaria e sociale e il diritto a ricevere un' istruzione.
Il Testo Unico dispone inoltre alcune misure che intendono favorire l'integrazione sociale, quali l'istituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie, con cui finanziare i programmi regionali o locali che sostengono l'inserimento sociale degli immigrati, e l'istituzione di una Commissione per le politiche di integrazione, che redige ogni anno un rapporto sullo stato di attuazione delle politiche a favore dell'integrazione sociale.
Il complesso normativo scaturito dal Testo Unico si muove nel rispetto della disciplina comunitaria e intende dare riconoscimento ad uno dei principi fondamentali dell'Unione Europea, il diritto alla libertà di circolazione delle persone. A tale riguardo, i principali riferimenti sono il "Trattato di Amsterdam", firmato nell'ottobre del 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, e l'"Acquis di Schengen", applicato in Italia a partire dal 1997.
Il Capo II del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) è dedicato alle misure di contrasto all’immigrazione clandestina, alla repressione dello sfruttamento criminale dei flussi migratori, al respingimento dal territorio nazionale ed alle espulsioni.
La disciplina precedente in materia è stata fortemente innovata nell’intento di potenziare sensibilmente le misure di contrasto delle immigrazioni clandestine, anche in relazione ai doveri assunti dall’Italia nei confronti dei "partners" europei, per i quali l’Italia costituisce la "linea di frontiera avanzata", oltre che per meglio tutelare il lavoro e le condizioni di vita di coloro che - cittadini o stranieri - risiedono regolarmente nel nostro Paese.
Per tutte le nuove misure è stata prevista, al contempo, la massima garanzia del controllo giurisdizionale.
L’articolo 10 disciplina il «respingimento» prevedendone l’applicazione oltre che sulla linea di frontiera, ovvero nella sua area tradizionale di applicazione, anche sul territorio, nei confronti degli stranieri che non hanno titolo a varcare legittimamente i confini.
Da sottolineare il fatto che, nei casi in cui non sia possibile comprovare la stretta relazione causale e temporale fra il momento dell’ingresso clandestino e il momento dell’individuazione nel territorio, occorrerà procedere all’espulsione e non al respingimento.
Il respingimento non è comunque ammesso per i richiedenti asilo e per coloro nei cui confronti devono essere adottati provvedimenti di protezione temporanea.
L’articolo 13 disciplina, con profili spiccatamente innovativi, l’istituto della «espulsione amministrativa», mentre è rimasta sostanzialmente invariata l’espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, disposta dal Ministro dell’Interno, informando preventivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli Affari Esteri.
Nel caso di persona sottoposta a procedimento penale occorre il nulla osta del Giudice competente (in relazione allo stato del procedimento), che è rilasciato salvo inderogabili esigenze processuali.
L’esecuzione dell’espulsione è curata dal "Questore". Essa avviene con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica nei seguenti casi:
Secondo quanto stabilito da apposite circolari ministeriali, la competenza primaria all’«accompagnamento alla frontiera» dei cittadini stranieri nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, ricade sulla Polizia di Stato, mentre l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza forniscono la loro collaborazione soltanto in ipotesi eccezionali, riferite a situazioni di particolare necessità ed urgenza, da valutare in seno al Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.
In ogni altro caso, l’espulsione è eseguita mediante l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro il termine dei quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all’ufficio di polizia di frontiera.
Nei confronti dell’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno è esperibile il tradizionale ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, in osservanza delle disposizioni vigenti circa la tutela degli interessi legittimi e la competenza territoriale del Giudice amministrativo.
Avverso l’espulsione disposta dal Prefetto, per i motivi previsti dalla legge, è invece concesso il ricorso al Giudice Ordinario, secondo la procedura di cui all’articolo 737 e seguenti del Codice di Procedura Civile (procedimenti in camera di consiglio).
Viene, infine, stabilito un termine temporale al divieto di rientro sul territorio nazionale connesso all’espulsione (5 anni, a meno che il pretore con il provvedimento che decide sul ricorso non stabilisca un termine diverso, comunque non inferiore ai tre anni).
Particolare rilevanza assumono, poi, le disposizioni che riguardano il potenziamento e il coordinamento dei controlli di frontiera e l’apparato sanzionatorio introdotto per i delitti connessi all’immigrazione clandestina.
Per quanto concerne il primo aspetto, il 3° comma dell’articolo 11, prevede che nell’ambito e in attuazione delle direttive adottate dal Ministro dell’Interno, i Prefetti delle province di confine terrestre ed i prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera marittima promuovono le misure occorrenti per il coordinamento dei controlli di frontiera e della vigilanza marittima e terrestre, d’intesa con i Prefetti delle altre province interessate, sentiti i Questori e i dirigenti delle zone di polizia di frontiera, nonché le Autorità marittime e militari ed i responsabili degli organi di polizia, di livello non inferiore a quello provinciale.
In materia penalistica, il Testo Unico prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.
In materia penalistica, il Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato violando le disposizioni di legge è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.493 €.
► La pena è aumentata:
Nei casi indicati è obbligatorio l’arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Fuori dalle ipotesi sopra prescritte e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.493 €. chiunque favorisce la permanenza nel territorio dello Stato in violazione delle norme di legge ovvero al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero.
In quest’ultimo caso, è evidente il riferimento a ipotesi di sfruttamento di tale condizione di illegalità (es. per lavoro nero, impiego in attività di traffico e spaccio di stupefacenti, prostituzione). La disposizione si pone idealmente in rapporto con quella dell’art.18 che tende ad agevolare, anche attraverso specifiche forme di protezione sociale, l’allontanamento dello straniero, oggetto di sfruttamento, dai condizionamenti dell’organizzazione delinquenziale.
Proprio allo scopo di contrastare il fenomeno del lavoro nero, il Testo Unico sull’immigrazione, nel disciplinare le modalità per l’instaurazione e l’esecuzione di rapporti di lavoro con i cittadini stranieri, prevede apposite sanzioni penali (arresto da tre mesi ad un anno o ammenda da 1.032 a 3.098 €) per il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità (artt. 22, comma 10, e 24 comma 6).
La legge (art. 12, 6° comma) ha, poi, previsto anche alcuni obblighi in capo ai "vettori" (marittimi, aerei o terrestri), i quali sono tenuti a:
In caso di inosservanza anche di uno solo dei citati obblighi, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 a 25.822 € per ciascuno degli stranieri trasportati. Nei casi più gravi, è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione inerenti all’attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato.
Relativamente ai poteri concessi alle forze di polizia per una più adeguata azione di contrasto, si segnala che gli Ufficiali e gli Agenti di p.s. operanti nelle province di confine e nelle acque territoriali possono procedere al controllo e all’ispezione dei mezzi di trasporto e delle cose trasportate, ancorché soggetti a speciale regime doganale, quando, anche in relazione a specifiche circostanze di tempo e di luogo, sussistono fondati motivi di ritenere che possano essere utilizzati per uno commettere uno dei reati sopra indicati. Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale, da trasmettere entro 48 ore al Procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida nelle successive 48 ore.
Nelle medesime circostanze gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizioni, con l’osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale.
Importanti novità sono state introdotte dal D.lgs.113/99 alla disciplina dei beni sequestrati e confiscati.
I beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati in materia di immigrazione clandestina sono affidati dall’Autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli Organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
I mezzi di trasporto non possono essere in alcun caso alienati, onde evitare che gli stessi possano, indirettamente, ritornare nella disponibilità delle organizzazioni criminali.
I beni acquisiti dallo Stato, a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono, a richiesta, assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne abbiano avuto l’uso ovvero sono alienati. I mezzi di trasporto che non sono assegnati o trasferiti per le finalità indicate dalla legge non possono essere alienati e sono distrutti.
Per quanto riguarda le somme di denaro confiscate a seguito di condanna, nonché le somme ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei medesimi reati, anche a livello internazionale mediante interventi finalizzati alla collaborazione e all’assistenza tecnico-operativa con le forze di polizia dei Paesi interessati.
Il cittadino straniero che desidera entrare e soggiornare in Italia, deve innanzitutto possedere un "visto d'ingresso" che viene rilasciato dal Ministero degli Affari Esteri e dalla sua rete di Uffici diplomatico-consolari italiani, presenti nei Paesi di origine dei cittadini che intendono emigrare in Italia. I cittadini dell'Unione Europea non devono munirsi di visto.
Il visto rappresenta l'autorizzazione a soggiornare o transitare nel territorio italiano o in un altro Paese concessa al cittadino straniero, e consiste in uno "sticker" applicato sul passaporto o su un altro documento di viaggio valido.
Per fare domanda di visto, è necessario rivolgersi alla "Rappresentanza diplomatico-consolare italiana" presente nel proprio Paese e presentare un modulo accompagnato da una foto formato tessera e un documento di viaggio valido. Occorre inoltre esplicitare la finalità del viaggio, elencare i mezzi di trasporto che si useranno, descrivere i mezzi finanziari di cui si dispone e le condizioni di alloggio. Per chi viene a lavorare in Italia, occorre presentare anche l'autorizzazione al lavoro e il nulla osta della Questura italiana.
Il visto non può essere applicato su documenti scaduti e la durata di validità del documenti di viaggio deve essere superiore di almeno tre mesi a quella del visto.
Dopo aver fatto domanda, la Rappresentanza provvederà ad eseguire i controlli previsti per legge, e nel caso di una valutazione positiva rilascerà il visto entro 90 giorni dalla richiesta. Il visto potrà essere negato nel caso di persone già espulse dall'Italia o da un altro Paese dello spazio Schengen o dichiarate pericolose per l'ordine pubblico e la sicurezza.
Il visto potrà inoltre essere revocato, se la Rappresentanza dovesse venire a conoscenza in ritardo di situazioni che avrebbero impedito l'autorizzazione al visto.
I visti che si possono richiedere sono di diverso tipo:
I cittadini extracomunitari che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli uffici postali, anziché le questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.
Quando si richiede l'autorizzazione a soggiornare in Italia, è possibile usufruire di diversi tipi di permesso di soggiorno che variano a seconda dello durata e dei motivi per cui sono richiesti:
La durata del permesso di soggiorno, ad eccezione di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.
I cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.
La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).
Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.
In attuazione alle disposizioni di legge vigenti, entro il 30 novembre di ogni anno il Governo italiano fissa, con un apposito decreto, le quote massime di lavoratori stranieri dipendenti, autonomi e stagionali che possono entrare nel nostro Paese. Tale decreto prende il nome di "decreto flussi".
I dati su cui vengono calcolate queste quote vengono elaborati dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tenendo conto dell'andamento dell'occupazione nazionale e della effettiva richiesta di lavoro sul mercato italiano a livello regionale e provinciale.
Parte di queste quote sono "quote preferenziali", in quanto riservate a categorie particolari di lavoratori. I cittadini di origine italiana che possono dimostrare una parentela di terzo grado in linea retta d'ascendenza con un cittadino italiano hanno diritto ad accedere a queste quote. Possono infatti iscriversi in apposite liste presso le "Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane" nel loro Paese d'origine e specificare le loro qualifiche professionali.
Altre quote preferenziali sono riservate ai cittadini degli Stati che mostrano di collaborare con le istituzioni italiane nella lotta all'immigrazione clandestina, attraverso accordi che li impegnano a regolamentare i flussi d'immigrati e a favorire le procedure di riammissione dei propri cittadini. Sono invece previste restrizioni numeriche all'ingresso per i lavoratori di Paesi che non collaborano adeguatamente alle misure di contrasto dell'immigrazione illegale.
La Legge n. 189/2002 c.d. Bossi-Fini (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) rivede sistematicamente la legislazione italiana concernente gli stranieri. Il provvedimento intende realizzare un intervento ampio e organico sui principali testi legislativi concernenti gli stranieri provenienti dai paesi non appartenenti all’Unione Europea (il testo unico 25 Luglio 1998, n° 286 ed il decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416).
L’esigenza di innovare profondamente l’attuale disciplina in materia di immigrazione, ad oltre tre anni dall’entrata in vigore del testo unico approvato con decreto legislativo 25 Luglio 1998, n. 286, costituisce oramai una necessità ineludibile, unanimemente avvertita, tra coloro che, a vario titolo, operano nelle istituzioni e nella società civile e che si trovano nell’impossibilità di offrire soluzioni adeguate alle problematiche che il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria ha assunto nel nostro paese.
La linea guida dell’intervento normativo è quella di giustificare l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa sicura e lecita, di carattere temporaneo o di elevata durata. A questa condizione sono garantite adeguate condizioni di lavoro e di alloggio, collegando il contratto di lavoro ad un impegno del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e dello Stato e restando sempre possibile il rientro volontario nel paese di origine, mediante una garanzia dei mezzi necessari.
► Gli "elementi qualificanti" della iniziativa legislativa concernono:
Infine, la Legge n. 189/2002 pone mano ad un vecchio problema ancora irrisolto. In attesa di una disciplina organica in materia di "diritto di asilo", che si ritiene comunque di rinviare a quando saranno definite le procedure minime – identiche per tutta l’Unione Europea – attualmente in discussione a Bruxelles, mutuando proprio le norme attualmente al vaglio del Consiglio Europeo, è stato ritenuto almeno di risolvere il problema costituito dalle domande di asilo realmente strumentali, ossia presentate al solo scopo di sfuggire all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento ormai imminente. Finora la normativa vigente – l’articolo 1 della cd. legge Martelli – imponeva non solo la sospensione del provvedimento di allontanamento, ma anche la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio in attesa del giudizi della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che non sarebbe mai arrivato in quanto circa il novanta per cento dei presentatori di queste domande strumentali facevano poi perdere le loro tracce. La disciplina introdotta, invece, precedendo l’applicazione della direttiva in esame, instaura – per quelle domande che si ritengono manifestamente infondate – una “procedura semplificata” che si concluderà entro i tempi previsti per il trattenimento nei Centri di permanenza temporanei.
► La legge, composta di 38 articoli, prevede:
Il riconoscimento dello status di rifugiato è, infatti, ancora regolato dall’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989 n° 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39.
Tale normativa prevede che a chi presenti una domanda di asilo - indipendentemente dalla sua posizione di regolare, irregolare, sottoposto a procedimento di allontanamento o altro - sia concesso un permesso di soggiorno in attesa della definizione della richiesta.
Molte sono le istanze proposte da clandestini al solo scopo di procrastinare gli effetti o evitare del tutto - facendo perdere le tracce – il provvedimento di allontanamento.
In sede comunitaria è in discussione un progetto di direttiva che regola lo standard minimo delle procedure che gli stati membri devono adottare per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tale progetto prevede, all’interno del principio generale della non trattenibilità dei richiedenti asilo per il mero fatto di esaminare la loro istanza, alcune eccezioni (articolo 11), nonché una c.d. procedura semplificata (art. 27 e segg.) per esaminare quelle domande che si presumono manifestamente infondate; l’esito sfavorevole di questa procedura semplificata, salvo l’obbligo di rispondere (art. 33, comma 3) – anche negativamente – all’istanza del richiedente asilo che chiede di rimanere sul territorio nazionale per tutta la durata dell’intero ricorso, non impone agli Stati membri di sospendere gli effetti di una decisione sfavorevole di primo grado, in attesa dell’esito del ricorso.
In attesa di una disciplina organica sul diritto di asilo, il disegno di legge intende correggere l’obbligatorietà della concessione del permesso di soggiorno contenuto nell’articolo 1 della legge Martelli, mutuando proprio dalla proposta di direttiva attualmente in discussione a Bruxelles i casi in cui è possibile trattenere il richiedente asilo (comma 1 dell’articolo 1 bis proposto), nonché la possibilità di allontanamento dopo il primo grado concessa dalla procedura accellerata (comma 5, dell’art. 1 ter proposto).
Vengono così disciplinati una serie di casi per i quali è possibile trattenere o continuare a trattenere i richiedenti asilo, sulla base di un procedimento – quale quello conseguente alla violazione delle norme di ingresso sul territorio – già avviato prima della richiesta di asilo. Il trattenimento dovrebbe durare fino all’esito della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
Ovviamente, perché la procedura funzioni, è necessario che la procedura accellerata si esaurisca prima dello scadere del termine previsto per il trattenimento. Per tale ragione appare comunque opportuno un potenziamento della Commissione centrale per la concessione dello status di rifugiato o la creazione di sue sezioni periferiche.
In base al Decreto del Ministro dell’Interno (di concerto con i Ministri della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina), emanato con un certo ritardo dall’entrata in vigore della Legge 189/2002, le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina «via mare» sono svolte dai mezzi aeronavali della Marina militare, delle Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto. Il raccordo delle operazioni e l’acquisizione delle informazioni sono svolti dalla "Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza".
Gli Enti e le Amministrazioni interessate comunicano con immediatezza alla Direzione Centrale tutte le informazioni e i dati relativi alle unità che, per comportamenti o altri indizi, possano ragionevolmente essere sospettate di essere coinvolte nel traffico o nel trasporto di migranti.
L’intervento è finalizzato all’attività istituzionale delle Forze di Polizia diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono l’illecito traffico, al fine di sequestrare e confiscare i patrimoni d’illecita provenienza.
L'attività di sorveglianza, orientata sulla base delle informazioni e delle situazioni oggettive che caratterizzano il flusso migratorio via mare, si articola, di massima, su:
Ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti in "acque internazionali" è assicurata una costante attività di sorveglianza finalizzata alla localizzazione, alla identificazione e al tracciamento di unità navali sospettate L’attività di identificazione è svolta prevalentemente con il concorso dei mezzi aerei.
La "fase di tracciamento" deve essere condotta, compatibilmente con la situazione contingente e con i sensori disponibili, in forma occulta al fine di non vanificare l'intervento repressivo nei confronti delle organizzazioni criminali che gestiscono l'illecito traffico.
Il Comando in Capo della Squadra Navale svolge la necessaria azione di raccordo delle fasi di pianificazione dell'attività in stretta cooperazione con il Comando Generale della Guardia di Finanza e con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto.
Nella fase esecutiva ciascuna Amministrazione/Ente è responsabile dell'emanazione delle direttive attuative ai mezzi dipendenti, tenendo debitamente informati gli altri.
Ferme restando le competenze dei Prefetti dei capoluoghi di Regione nelle acque territoriali e interne italiane, le unità navali delle Forze di Polizia "svolgono attività" di sorveglianza e di controllo ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti. Le unità navali della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto "concorrono" a tale attività attraverso la tempestiva comunicazione dell’avvistamento delle unità in arrivo o mediante tracciamento e riporto delle unità stesse, in attesa dell'intervento delle Forze di Polizia. Quando in relazione agli elementi meteomarini ed alla situazione del mezzo navale sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana in mare, le unità di Stato presenti provvedono alla pronta adozione degli interventi di soccorso curando nel contempo i riscontri di polizia giudiziaria.
Al fine di rendere più efficace l’intervento delle Forze di Polizia nelle acque territoriali è stabilita una "fascia di coordinamento" che si estende fino al limite dell'area di mare internazionalmente definita come zona contigua nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell'immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse Amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza.
L’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona. Le unità navali procedono, ove ne ricorrano i presupposti, all'effettuazione dell' inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista un’adeguata cornice di sicurezza, ed al fermo delle navi sospettate.
In acque internazionali, qualora a seguito dell'inchiesta di bandiera se ne verifichino i presupposti, può essere esercitato il diritto di visita. Nell'ipotesi di navi battenti bandiera straniera, l'eventuale esercizio di tale diritto sarà richiesto formalmente dal Ministro dell'Interno una volta acquisito, tramite Ministero degli Affari Esteri, l’autorizzazione del Paese di bandiera. Parimenti, l’esercizio del diritto di visita può essere richiesto formalmente dal Ministro dell' Interno anche nell’ipotesi di interventi da effettuarsi su unità prive di bandiera e dei quali non si conosce il porto di partenza.
Quando navi mercantili, a seguito di interrogazione da parte dei mezzi aeronavali in pattugliamento, appaiano ragionevolmente sospette sulla natura del carico, porto di partenza o di arrivo, la Direzione Centrale, immediatamente informata dalle Amministrazioni di appartenenza, intraprende le opportune iniziative per verificare l'attendibilità di tale notizie e per l’adozione di conseguenti misure.
Il 10 febbraio 2005 è stato pubblicato il nuovo "Regolamento di attuazione della Legge Bossi – Fini" (L.30 luglio 2002, n.189), entrata in vigore il 25 febbraio. Si tratta di un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR. 18 ottobre 2004, n. 334) che reca modifiche e integrazioni al Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, in materia d’immigrazione.
► Legalizzazione di certificati provenienti dall’estero.
Per i cittadini stranieri che devono utilizzare certificati provenienti dall’estero, ad esempio per il ricongiungimento familiare (certificato di nascita o di matrimonio), il regolamento precisa che in mancanza di autorità straniera riconosciuta, oppure, in caso di presunta inaffidabilità di documenti attestanti qualità che non possono essere oggetto di autocertificazione, provvede l’autorità diplomatica consolare con indicazione sostitutiva.
Ciò significa che, per esempio, di fronte a una procedura di ricongiunzione familiare - ovvero quando già il lavoratore straniero regolarmente soggiornante in Italia ha ottenuto il nullaosta alla ricongiunzione familiare da parte della questura o, d’ora in poi dello Sportello Unico presso la Prefettura, nel momento in cui presso l’Ambasciata italiana del paese di provenienza bisogna documentare con certificati di quel paese lo stato di famiglia, l’autorità consolare italiana ha la possibilità di limitarsi a presumere l’inaffidabilità dei documenti e dei certificati rilasciati dalle competenti autorità del paese d’origine dell’interessato.
In questo caso, se l’autorità consolare dubita dell’affidabilità di questi certificati può procedere in proprio a una verifica, che, per quanto riguarda la nascita e la maggiore età, potrà essere fatta con il test del DNA oppure con quello della densimetria ossea. Tutto questo dovrà avvenire a spese degli interessati.
► Comunicazioni allo straniero.
La comunicazione, sia pure in forma sintetica in lingua straniera, di tutti i provvedimenti può essere fatta legittimamente in lingua francese, inglese, spagnola, a scelta dell’interessato, solo nel caso in cui, però, non sia disponibile personale idoneo alla traduzione del provvedimento nella lingua madre dell’interessato.
Questo significa che gli stranieri hanno il diritto di ricevere comunicazione dei provvedimenti che li riguardano nella lingua madre, a meno che non sia possibile la presenza di un traduttore, nel qual caso è legittima la possibilità di ricevere la comunicazione in un’altra lingua scelta dall’interessato tra francese, inglese e spagnolo
► Documentazione dell’alloggio per l’ingresso in Italia.
Nel nuovo Regolamento di attuazione è stato inserito l’articolo 8 bis (Contratto di soggiorno per lavoro subordinato) relativo alla documentazione relativa all’alloggio per i lavoratori candidati all’ingresso in Italia per ragioni di lavoro. Questo prevede che il datore di lavoro, al momento della richiesta di assunzione di un lavoratore straniero, deve indicare con un'apposita dichiarazione inserita nella richiesta di assunzione del lavoratore straniero, nonché nella proposta di contratto di soggiorno, un alloggio fornito dei requisiti di abitabilità e idoneità igienico sanitaria, o che rientri nei parametri previsti dal testo unico, e deve impegnarsi, nei confronti dello Stato, al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
Non sarà necessario fornire la documentazione relativa alla disponibilità dell’alloggio al momento della domanda di autorizzazione all’ingresso per motivi di lavoro, bensì solo nel momento in cui il lavoratore è giunto in Italia e deve stipulare il contratto di soggiorno presso l’Ufficio Territoriale del Governo (UTG).
► Ingresso per turismo.
In caso di soggiorno per turismo di durata non superiore a trenta giorni, gli stranieri appartenenti a Paesi in regime di esenzione di visto turistico possono richiedere il permesso di soggiorno al momento dell'ingresso nel territorio nazionale alla frontiera, attraverso la compilazione e la sottoscrizione di un apposito modulo. La ricevuta rilasciata dall'ufficio di polizia equivale a permesso di soggiorno per i trenta giorni successivi alla data di ingresso nel territorio nazionale.
► Iscrizione anagrafica in fase di rinnovo permesso di soggiorno.
L’articolo 14 del Regolamento introduce un’interessante disposizione che prevede per gli stranieri iscritti all’anagrafe l'obbligo di rinnovare all'ufficiale d’anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e, comunque, l’iscrizione non decade nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno.
Questo risolve una serie di problemi pratici, si pensi alla richiesta della patente ad esempio, per i quali si aveva la necessità di presentare la propria iscrizione anagrafica. Con la nuova normativa, il fatto che il permesso di soggiorno sia in fase di rinnovo non dovrebbe comportare più alcun problema relativamente alla continuità di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente presso un determinato comune.
► Il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
L’art. 12 del Regolamento (che modifica l’art. 13 del dpr 393/99) prevede che il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinato alla sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro, nonché alla consegna di autocertificazione del datore di lavoro attestante la sussistenza di un alloggio del lavoratore.
► Variazioni del rapporto di lavoro, variazione del contratto di soggiorno.
Sempre in riferimento al rinnovo del permesso di soggiorno è stato aggiunto l’art. 36 bis che dispone per l'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, fermo restando quanto previsto dall'articolo 37, la sottoscrizione di un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno. Il datore di lavoro deve comunicare allo Sportello Unico, entro 5 giorni dall'evento, la data d'inizio e la data di cessazione del rapporto di lavoro con il cittadino straniero, ai sensi dell'articolo 37, nonché il trasferimento di sede del lavoratore, con la relativa decorrenza
Secondo la nuova normativa, quindi, non è più sufficiente che uno straniero si presenti presso la questura alla scadenza del permesso di soggiorno, ma deve farlo anche nel caso in cui per qualsiasi causa – dimissioni, licenziamento, riduzione di personale – perda il lavoro prima della scadenza del permesso di soggiorno. Dovrà presentarsi presso l’UTG per formalizzare il nuovo contratto di soggiorno e, in pratica, per rinnovare il permesso di soggiorno anche se ancora valido.
La Legge 5 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, destina un significativo numero di norme al fenomeno dell’immigrazione, modificando il D.lgs. 286/2009.
Il legislatore, in detta materia, ha introdotto nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del TU imm.) ed ha aggravato le pene di molte disposizioni penali già esistenti.
Sono state modificate le "condizioni di ingresso" dello straniero nel nostro territorio (art. 4 T.U. imm.) ed è stato previsto, altresì, il nuovo istituto dell’ “accordo di integrazione”.
Con riferimento alle condizioni di ingresso dello straniero, tale ingresso non è ora consentito nel caso in cui questi non “abbia i mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno” e per il rientro nel Paese di provenienza; nel caso in cui “sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”; nel caso, ancora, in cui sia stato condannato per taluni reati, tassativamente specificati (tra cui quelli relativi a stupefacenti, alla libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina).
l legislatore della novella ha poi deciso di istituire un “doppio binario” con riferimento alla gravità del fatto di reato.
Mentre, infatti, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e la condanna con sentenza non definitiva per una serie di reati più gravi costituisce ragione ostativa all’ingresso nel territorio dello Stato; per ottenere lo stesso effetto impeditivo, occorre, invece, una condanna definitiva con riferimento ad alcuni reati “meno gravi”, relativi alla tutela del diritto d’autore, per il reato previsto dall’art. 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali) o per il reato di cui all’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).
La legge introduce un nuovo reato rubricato “ingresso e soggiorno illegale nello Stato”, attraverso l'inserimento del nuovo art. 10-bis nel Testo Unico sull'Immigrazione (d.lgs. 286/98), che punisce con l'ammenda da € 5.000 a € 10.000 lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato.
In conseguenza di questa previsione, qualunque straniero che venga soggetto a controlli sulla regolarità del suo status, potrà essere sottoposto a procedimento penale, dinanzi al Giudice di pace, e condannato. L’espulsione potrà essere eseguita comunque, anche in pendenza del procedimento penale (che però si estinguerà una volta eseguita l’espulsione), e con un canale preferenziale e, in quanto, per questo reato, non è necessario attendere il nulla osta dell’Autorità giudiziaria. Derogando alle disposizioni del codice penale, tale reato (previsto come contravvenzione) non si può estinguere mediante pagamento in misura ridotta (oblazione).
Aggravante clandestinità
Se chi commette un reato si trova illegalmente sul territorio nazionale le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante di clandestinità viene applicata sia agli immigrati extracomunitari che ai cittadini di stati membri dell’unione europea irregolarmente entrati in Italia.
Carcere da sei mesi a tre anni per chi, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio a uno straniero privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilità, o lo cede allo stesso anche in locazione. Con la condanna scatta anche la confisca del bene.
Il trattenimento nei C.I.E. (Centri di identificazione ed espulsione, ex CPT) può raggiungere i 180 giorni (contro i 60 di prima)
La procedura prevede dapprima la richiesta di autorizzazione al trattenimento di ulteriori 30 giorni dopo i primi 30 concessi.
Successivamente, trascorsi altri 60 giorni al termine dei quali, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, può essere concessa un’ulteriore proroga di 60 giorni.
Tale obbligo per l’accesso ai servizi pubblici, pertanto, impedisce il compimento di atti di stato civile fondamentali, primi fra tutti la richiesta delle pubblicazioni per il matrimonio e la stessa formazione degli atti di nascita dei minori stranieri, con grave pregiudizio per la certezza dei rapporti familiari e di stato civile.
In linea con la previsione del punto precedente, il decreto sicurezza esclude espressamente per lo straniero privo del permesso di soggiorno la possibilità di contrarre matrimonio con effetti civili, limitando gravemente i diritti della comunità familiare.
Per inoltrare la domanda occorrerà attendere che siano decorsi 2 anni (e non più sei mesi, come prima) dalla data di iscrizione nell’albo dei residenti , ovvero tre anni se il matrimonio sia stato celebrato all’estero. I tempi sono tuttavia dimezzati in presenza di figli nati o adottati dai coniugi.
Inoltre, in generale, viene introdotto il pagamento di un contributo, consistente in non meno di 200 euro, per ogni tipo di domanda/istanza relativa alla cittadinanza.
In mancanza della disponibilità di un alloggio dotato di idonea certificazione dei requisiti igienico-sanitari è previsto tale divieto, sia per i residenti italiani che per quelli stranieri regolarmente soggiornanti.
La legge ha introdotto il pagamento di una tassa (da 80 a 200 euro) per chiedere il rinnovo/rilascio del permesso di soggiorno.
Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato alla stipula di un accordo di integrazione, articolato in crediti con cui lo straniero si impegna a conseguire non meglio specificati obiettivi di integrazione, pena la perdita dei punti/crediti e la successiva espulsione. Unica eccezione alla stipula dell’Accordo sono i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo, asilo, protezione sussidiaria, protezione umanitaria, motivi familiari, permesso di soggiorno di lungo periodo, carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’Unione europea.
In relazione al permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ex carta di soggiorno è
divenuto obbligatorio il superamento di un test di lingua italiana, ma non sono dettate le modalità di effettuazione del test, che dovranno essere individuate da un futuro provvedimento ministeriale.
Per la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età, la legge chiede ora espressamente che sussistano congiuntamente i requisiti dell’affidamento (ovvero della sottoposizione a tutela) e della frequenza di un progetto di integrazione per almeno 2 anni essendo entrati in Italia almeno 3 anni prima del compimento dei 18 anni, mentre in precedenza la legge li prevedeva come alternativi.
I sindaci sono autorizzati ad avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini al fine di segnalare alle forze di polizia eventi che possano recare danno alla sicurezza urbana, ovvero
situazioni di “disagio sociale”. I presupposti, compiti, limiti, modalità d’azione di tali iniziative private non sono ancora stabiliti, essendo demandati a provvedimenti successivi.
La legge 94 del 2009 nella parte relativa alle norme sull’immigrazione è chiaramente ispirata alla necessità ed alla volontà di scoraggiare i flussi migratori illegali a contrastare coloro i quali, cavalcando il bisogno del cittadino straniero di emigrare, lasciandosi alle spalle storie di povertà, violenza e disperazione, rendono possibile il sogno della fuga, garantendo il viaggio verso un paese, anche a costi di doverne attraversare diversi. Il tutto quasi sempre a fronte del pagamento di un corrispettivo.
L’azione di contrasto all’immigrazione clandestina ed ai fenomeni criminali ad essa connessi posta in essere dall’Italia e, più in generale, dai Paesi dell’Unione Europea ha subito nell’ultimo decennio un profondo mutamento a seguito dell’introduzione di uno specifico corpus normativo, maturato in ambito comunitario, costituito dall’Accordo di Schengen e dalla relativa Convenzione di Applicazione.
L’Accordo prevede, in estrema sintesi la "soppressione dei controlli di polizia alle frontiere interne" (cioè le frontiere terrestri comuni tra i Paesi Schengen, nonché gli aeroporti ed i porti adibiti al solo traffico interno) e la "libera circolazione delle persone - sia cittadini comunitari che extracomunitari regolarmente entrati e soggiornanti in uno Stato membro - nell’ambito del territorio di tutti gli Stati contraenti".
Al riguardo, la "Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen" firmata il 19 giugno del 1990 (composta da 142 articoli, suddivisi in otto titoli), prevede che:
Negli aeroporti i controlli dovranno essere effettuati solo dove arrivano e partono aerei da e per Paesi terzi (art. 4);
Il controllo alle frontiere esterne viene rafforzato e applicato seguendo principi uguali per tutti gli Stati Schengen (art. 6):
L’abolizione di ogni verifica alle «frontiere interne» e, quindi, la libera circolazione delle persone ha comportato come necessaria conseguenza l’attuazione di un controllo più efficace nei confronti di chi attraversa le frontiere esterne, al fine di evitare una diminuzione del livello di sicurezza per i cittadini, mentre nel momento in cui l’attraversamento delle frontiere interne (non costituisce più l’atto che dà origine al controllo, questo intervento dello Stato viene a trasferirsi con una maggiore attenzione sul territorio nazionale).
A questo riguardo, la stessa Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen fa del resto salva la possibilità, da parte di ogni Stato membro di derogare "per esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale alla soppressione dei controlli alle frontiere interne".
Il passo successivo è stato quello di adottare, insieme all’abolizione dei controlli alle frontiere interne, «misure di accompagnamento» volte ad assicurare adeguati standard di sicurezza attraverso il controllo dell’immigrazione dai Paesi terzi, la lotta contro il terrorismo, la criminalità ed il traffico di stupefacenti.
Nel 1997, lo spazio senza controlli alle frontiere interne si è esteso anche all’Italia, determinando importanti cambiamenti sia nella struttura organizzativa facente capo alla c.d. polizia di frontiera, sia nelle concrete metodologie e strumenti di contrasto.
L'obiettivo della disciplina europea è quello di contribuire alla creazione effettiva di uno "spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia", all'interno del quale le persone possano circolare liberamente, così come previsto dall'Acquis di Schengen, che rappresenta l'insieme di disposizioni e misure comuni adottate dagli Stati membri in materia di ingresso e concessione dei visti, diritto d'asilo, controllo delle frontiere esterne e cooperazione fra Polizie e dogane.
Gli atti che costituiscono questo insieme di disposizioni sono gli Accordi di Schengen del 1985, ma anche la Convenzione di applicazione degli Accordi del 1990 e tutti i successivi protocolli di adesione firmati dagli Stati partecipanti (l'Italia ha aderito nel 1990, ma ha iniziato ad applicare gli accordi solo a partire dal 26 ottobre 1997, per concludere la soppressione dei controlli alle frontiere terrestri e marittime il 31 marzo 1998).
Al fine di riconoscere questo "spazio di libertà", il Trattato di Amsterdam ha previsto, in un suo protocollo finale, l'integrazione dell'Acquis di Schengen nella normativa comunitaria.
In questo modo, i Paesi europei firmatari hanno accettato di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere comuni e di introdurre un regime di libera circolazione per i propri cittadini.
L'insieme dei territori di questi Paesi costituisce oggi lo spazio o area Schengen, formato da Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Islanda e Norvegia.
Nell'imminente futuro, tuttavia, l'ingresso di nuovi Stati membri nell'Unione Europea lo scorso 1 maggio, lascia prevedere che questo spazio verrà ulteriormente allargato.
Monumento in onore degli Accordi di Schengen
La "Polizia di frontiera" è quella parte della polizia di sicurezza che ha lo scopo di garantire l’osservanza delle norme di diritto pubblico internazionale e delle convenzioni multilaterali o in vigore con singoli Stati, delle disposizioni contenute negli atti normativi della Comunità Europea, nonché delle leggi italiane di emigrazione e di polizia che regolano il traffico delle persone e delle cose attraverso le linee del confine terrestre e negli scali marittimi ed aerei.
Il servizio di polizia di frontiera, regolato dal D.M. 2 agosto 1977, è posto sotto l’egida ed alle dipendenze del "Ministero dell’Interno – Dipartimento della P.S. – Direzione Centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera e postale".
L’espletamento del servizio è affidato, in primo luogo, agli agenti della Polizia di Stato, organizzati in apposita "specialità", e in via concorsuale all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza che agiscono sempre sotto la direzione dei funzionari di p.s..
Al riguardo, sussiste una ripartizione dei valichi terrestri, marittimi ed aerei fra le tre Forze di Polizia ispirata a criteri di razionalizzazione delle risorse al fine di evitare duplicazioni sul territorio.
In particolare:
Il "controllo di polizia alla frontiera" consiste nell’esame dei documenti dei viaggiatori, al fine di verificarne l’identità ed accertare che essi soddisfino i requisiti previsti dalla Convenzione di Schengen, la quale prevede che possano essere autorizzate ad entrare nel territorio per un breve soggiorno le persone che non beneficiano del diritto comunitario (ovvero soggetti provenienti da Paesi che non aderiscono all’Accordo di Schengen) le quali:
Ove non sussistano le predette condizioni, l’ingresso nel territorio dello Stato deve essere rifiutato.
Il controllo delle persone che attraversano i valichi di frontiera autorizzati non comprende soltanto la verifica dei documenti di viaggio o delle altre condizioni di ingresso, di soggiorno, di lavoro e di uscita, bensì anche l’eventuale adozione di misure per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico delle Parti contraenti. Il controllo riguarda anche i veicoli e gli oggetti in possesso delle persone che attraversano la frontiera.
Nell’esercizio di questi compiti, gli agenti hanno competenza di Polizia di frontiera e competenza generale, definita in conformità alla legislazione nazionale.
Quanto alle modalità del controllo può distinguersi un «controllo minimo» ed un «controllo più approfondito», qualora se ne ravvisi la necessità.
Il controllo minimo consiste nell’accertare l’identità della persona in base ai documenti di viaggio presentati o esibiti e nel verificare in modo semplice e rapido la validità del documento che consente di attraversare la frontiera e la presenza di indizi di falsificazione o contraffazione.
I controlli più approfonditi comprendono un esame più attento dei documenti o dei visti, la verifica che la persona disponga di mezzi di sussistenza necessari sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno o per il transito verso un Paese esterno, ovvero se detta persona sia in grado di ottenere legalmente tali mezzi.
Si procede poi alla consultazione immediata dei dati (relativi alle persone e agli oggetti di cui agli articoli da 95 a 100 della Convenzione) nel "Sistema di Informazione Schengen" e negli archivi nazionali di ricerca. Nel caso in cui questa prima "interrogazione" dia esito positivo, si procede ad una seconda interrogazione, questa rivolta agli Uffici S.I.RE.N.E. acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry., che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Nell’ambito del controllo approfondito si dovrà poi verificare che la persona, il suo veicolo e gli oggetti da essa trasportati non costituiscano un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale.
Ma al fine di prevenire ingressi abusivi nel territorio dell’Unione Europea – è logico che le persone in difetto ben raramente cercano di attraversare la frontiera per i varchi autorizzati, dove andrebbero incontro ad un sicuro controllo ma tentano di passare per l’aperto confine – le Forze di Polizia svolgono, altresì, una importantissima azione di vigilanza alle frontiere esterne, al di fuori dei valichi di frontiera.
Tale azione è assicurata da unità mobili che svolgono i loro compiti sotto forma di pattuglie o di postazioni in posti riconosciuti o su posti "sensibili", allo scopo di fermare le persone che attraversano illegalmente la frontiera. Per contrastare al massimo tale attraversamento illegale e combattere la criminalità transfrontaliera che organizza questo traffico clandestino, la sorveglianza è eseguita con cambiamenti frequenti e improvvisi della zona controllata, in modo da rendere l’attraversamento non autorizzato della frontiera un rischio permanente.
In tale contesto, assume particolare rilievo l’attività della Guardia di Finanza che, nel settore della vigilanza lungo la linea di confine terrestre c.d. "ideale" (cioè priva di ostacoli), ha un ruolo pressoché esclusivo.
Infatti, i reparti della G. di F. hanno tra i compiti istituzionali proprio quello di assicurare la vigilanza del confine "aperto" per finalità anticontrabbando, nonché per contrastare altri traffici illeciti che avvengono all’atto dell’attraversamento della frontiera.
Altrettanto fondamentale per impedire e reprimere l’ingresso clandestino di persone è l’azione svolta lungo il confine "aperto" marittimo. Infatti, il dispositivo di controllo alle frontiere terrestri è ulteriormente integrato da specifici piani di vigilanza in mare e sulle coste che vedono la partecipazione di tutte le forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) nonché delle Capitanerie di Porto e della Marina Militare, impegnate con uomini e mezzi nell’attività di contrasto al fenomeno dell’immigrazione illegale.
Sulla specifica materia è intervenuta, di recente, un’apposita direttiva del Ministro dell’Interno avente l’obiettivo di realizzare il migliore impiego delle risorse disponibili per l'azione di polizia sul mare, tenuto conto del rilievo delle condotte illecite ivi perpetrate (contrabbando, traffici di stupefacenti e di armi, emigrazione e immigrazione clandestina, ecc.) e, soprattutto, dell'accresciuta responsabilità dell'Italia a tutela della frontiera esterna comune dei Paesi aderenti all'accordo di Schengen.
Al riguardo, il provvedimento ministeriale prevede che, fermi restando i compiti e le relative responsabilità operative di ciascuna Forza di Polizia, le risorse navali della Guardia di Finanza concorrono con quelle della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri all'espletamento di servizi coordinati di controllo del territorio e di sicurezza delle frontiere marittime sul mare, nell'ambito delle pianificazioni operative predisposte dal Dipartimento della pubblica sicurezza, a norma dell'articolo 6 della legge n. 121 del 1981, e delle conseguenti direttive.
L'art. 92 e segg. della Convenzione di Schengen ha previsto la creazione di una «banca dati informatizzata» accessibile a tutti gli Stati contraenti (c.d. Sistema d’informazione Schengen - SIS) contenente un complesso di informazioni idoneo ad agevolare i controlli di frontiera, di polizia e di dogana (e relativo fra l’altro alle persone ricercate per l’arresto a fine di estradizione, agli stranieri segnalati per motivi di ordine pubblico, alle persone implicate nella criminalità organizzata, ai beni ricercati a fini di sequestro personale).
Gli organi nazionali di collegamento con il S.I.S. sono denominati S.I.RE.N.E., acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry., che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Il S.I.S. è costituito da una sezione nazionale presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata come N-SIS) e da un’unità di supporto tecnico situata a Strasburgo (ed indicata come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa. La base informativa del C-SIS costituisce il riferimento di tutto il sistema. È proprio il C-SIS che coordina e controlla l’aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.
L’unità N-SIS italiana dipende dal Ministero dell’Interno e coinvolge nel suo funzionamento i Ministeri di Grazia e Giustizia e degli Affari Esteri. Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale.
Si tratta, in sostanza, di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.
Migliaia di terminali permettono nell'Area di Schengen di accedere in qualsiasi momento
al Sistema di Informazione (Keystone)
L’articolo 41 della Convenzione di Schengen consente di continuare sul territorio di un altro Stato contraente l’inseguimento di un evaso ovvero di una persona colta in flagranza o imputata di un grave reato (omicidio, stupro, incendio doloso, estorsione, sequestro di persona, tratta di persone, traffico di stupefacenti, di armi e di esplosivi).
L’inseguimento può essere effettuato anche in assenza di una preventiva autorizzazione da parte delle Autorità dello Stato sul cui territorio esso avviene; queste ne vanno però informate immediatamente (e comunque non oltre il momento in cui è attraversata la frontiera) e possono disporne la cessazione.
Se ne fanno richiesta gli agenti impegnati nell’inseguimento, le Autorità localmente competenti sono peraltro tenute a fermare la persona inseguita per verificarne l’identità e, se del caso, procedere al suo arresto.
L’inseguimento può avvenire attraverso la frontiera terrestre o marittima e non consente l’ingresso nei domicili e nei luoghi non aperti al pubblico.
In via generale, la Convenzione, che vieta agli agenti impegnati nell’inseguimento di procedere autonomamente al fermo dell’inseguito, consente di derogarvi quando ricorrono situazioni particolari, che, tra l’altro, non consentono alle autorità locali di intervenire tempestivamente.
In merito, la disciplina relativa alle modalità di esecuzione - in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del citato Accordo di Adesione e, comunque, limitatamente al solo diritto di inseguimento attraverso la frontiera comune italo-francese -, è stata prevista nei rapporti tra Italia e Francia secondo due dichiarazioni unilaterali dei rispettivi Governi, di contenuto sostanzialmente identico, in virtù delle quali:
Anche quando è consentito, il fermo ha comunque effetto solo fino al momento in cui le Autorità locali non hanno potuto verificare l’identità della persona inseguita o hanno proceduto al suo arresto.
Nell’ipotesi di fermo, gli agenti "inseguitori" possono far uso di manette, sequestrare gli oggetti in possesso del "fermato" ed effettuare la sua "perquisizione di sicurezza".
Per la Guardia di Finanza, secondo gli artt. 2 e 3 dell’Accordo di Adesione alla Convenzione, l’esercizio dell’osservazione e dell’inseguimento è stato limitato agli illeciti relativi alla falsificazione di denaro, al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, al traffico di armi e esplosivi nonché al trasporto di rifiuti tossici e nocivi, mentre per la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri è stata considerata una competenza piena per i reati previsti dagli artt. 40 e 41 della Convenzione.
Nel corso degli ultimi anni, la crescita intensa dei flussi migratori verso gli Stati europei ha messo in evidenza la necessità di adottare una politica comune in materia di immigrazione e asilo e di avviare un processo di cooperazione tra i vari Paesi.
Le basi di tale politica comune sono state poste durante il "Consiglio Europeo di Amsterdam", tenutosi nel giugno del 1997. In quella occasione, con la stesura del Trattato omonimo, sono state introdotte alcune novità che hanno portato alla redazione del Titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità Europea (Trattato CE), dedicato a Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone (artt. 61-69).
Le nuove disposizioni prevedevano che entro un periodo di cinque anni a decorrere dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (cioè a partire dal 1 maggio 1999), il Consiglio dell'Unione Europea definisse norme e procedure minime, comuni a tutti gli Stati membri, in materia di controllo delle frontiere esterne (cioè con Paesi terzi, ossia qualunque Stato diverso da quelli aderenti a Schengen), ingresso, soggiorno (sia di breve sia di lunga durata), contrasto all'immigrazione clandestina e rimpatrio dei cittadini irregolari. Era inoltre prevista l'adozione di norme comuni relative alla politica di asilo e alla cooperazione giudiziaria e amministrativa.
In seguito agli eventi dell' 11 settembre 2001, tuttavia, la scadenza fissata ad Amsterdam è stata rivista e gli obiettivi inizialmente previsti sono stati ridefiniti. La priorità della lotta al terrorismo ha imposto di riservare maggiore attenzione al contrasto dell'immigrazione clandestina e al controllo delle frontiere esterne, e ha collocato in secondo piano tutti gli altri interventi, che sono ancora in fase di definizione.
I flussi di immigrazione illegali
Il nostro Paese, come ben sappiamo, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo è un naturale crocevia di traffici, leciti ed illeciti, che si dispiegano lungo le rotte marittime. In particolare è il traffico di clandestini che si sta configurando come il più lucroso ma anche il più infimo, in quanto sfrutta la disperazione della gente. I flussi migratori sono oggi un fenomeno molto preoccupante, in quanto “le migrazioni clandestine si svolgono quasi sempre con modalità e mezzi tali da mettere in pericolo la vita stessa di coloro che, per necessità, cercano fortuna al di fuori del loro paese”.
La quasi totalità degli ingressi clandestini (a parte il caso del confine italo-sloveno e di pochi ingressi tramite via aerea) avviene infatti sulle nostre coste a bordo delle cosiddette “carrette” del mare. Il crescente flusso migratorio clandestino che attraversa le nostre frontiere marittime richiede quindi al personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, unitamente alle FF.AA. e alle Forze di polizia, un ulteriore sforzo per fronteggiare i conseguenti problemi di soccorso e ordine pubblico.
Per fronteggiare la situazione il Comando Generale delle Capitanerie di Porto ha disposto l’impiego di numerosi mezzi navali. Di recente, in base a quanto disposto in materia di contrasto all’immigrazione clandestina dal D.M. 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina) è stata configurata con precisione l’attività di vigilanza, prevenzione e contrasto via mare a tale fenomeno.
L’art. 1 della legge assegna le «attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare», a norma dell'art. 12 del Testo Unico di cui al D.lgs 25 Luglio 1998, n. 286, di seguito denominato «testo unico» ai mezzi aeronavali della marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto, lasciando però il raccordo degli interventi operativi in mare e i compiti di acquisizione ed analisi delle informazioni alla direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Nell’art. 2 vengono delineate le «fasi» attraverso cui si sviluppa l’attività di prevenzione e contrasto, prima di tutto si cerca di intervenire diplomaticamente direttamente nei Paesi di origine dei flussi con l’obiettivo di prevenire il fenomeno. In acque internazionali invece si interviene attraverso l’esercizio dei "poteri di polizia dell’alto mare", diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, alla individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all’accertamento di flussi migratori clandestini utilizzando i mezzi aeronavali della Marina Militare, del Corpo delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza.
Nelle "acque territoriali" infine, l’intervento è diretto all’attività istituzionale delle forze di polizia, diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono il traffico illecito, ed è svolto con unità e mezzi navali in servizio di polizia, con il concorso se necessario della marina Militare.
Nel caso cui dovesse presentarsi la necessità di intervenire in soccorso di una di queste unità, sempre l’art. 2 riafferma le competenze del Corpo delle Capitanerie di Porto in materia di salvaguardia della vita umana in mare e conferma il coordinamento degli interventi di soccorso. C’è da notare che, purtroppo, questo aspetto ha portato a situazioni in cui, sempre più spesso, ogni unità che effettui il traffico di clandestini si dichiari in stato di emergenza, trasformando così l’immigrazione clandestina in una situazione SAR (Search and Rescue) a cui solo il Corpo delle Capitanerie di porto è chiamato per legge ad intervenire per prestare soccorso.
Quest’ultimo è attribuito in via prioritaria alle Forze di polizia secondo i piani regionali, di coordinata vigilanza nelle acque territoriali ed interne, aspetto questo abbastanza contorto in quanto, esistendo già il Corpo delle Capitanerie di Porto che svolge anche funzioni di polizia giudiziaria e può intervenire per espletare funzioni di P.G., non si riesce a capire per quale motivo altri corpi di polizia debbano svolgere quest’attività in un ambiente a loro poco congeniale, come quello marino.
In acque internazionali, l’art. 5 della legge ci dice che deve essere “assicurata una costante attività di vigilanza” per localizzare, identificare e tracciare le unità sospette, per far ciò bisogna ricorrere principalmente ai mezzi aerei che garantiscono la copertura di una più vasta superficie e grazie anche ai sistemi moderni di tracciamento una maggiore riservatezza.
In questi casi è CINCNAV che assume il coordinamento operativo, svolge l’attività di raccordo delle fasi di pianificazione dell’attività con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Centrale Operativa) e dirama ai mezzi coinvolti le direttive di intervento, difatti i mezzi aeronavali delle Capitanerie di Porto e delle altre Forze di polizia, devono stabilire collegamenti radio con le unità della marina.
Nelle acque territoriali e nella zona contigua l’attività di vigilanza, controllo e contrasto al traffico di clandestini, ai sensi dell’art. 6 della legge, viene svolta dalle unità delle Forze di polizia, mentre le unità della marina e delle Capitanerie di Porto concorrono a tale attività con la tempestiva comunicazione dell’avvistamento di unità in arrivo, in attesa dell’intervento delle Forze di polizia.
Nell’art. 7 della legge vengono infine delineate, al verificarsi di una delle qualsiasi operazioni citate, nel caso che la nave sospetta sia in effetti malintenzionata, un caso di "inseguimento transfrontaliero", principalmente se ci si trova in acque internazionali dove, lo ricordiamo, può essere esercitato il “diritto di visita”, previa autorizzazione del paese di bandiera. Si tratta comunque di una eventualità remota, perché sappiamo che i cosiddetti scafisti abbandonano le loro vittime prima di raggiungere la costa o per sfuggire alla cattura si mimetizzano con gli altri clandestini, comunque le unità con cui essi giungono sulle nostre coste, soprattutto negli ultimi anni, non sono quasi mai idonei alla navigazione, tantomeno per un inseguimento.
Links:
[1] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2002/08/26/002G0219/sg
[2] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1998/08/18/098G0348/sg
[3] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1990/02/28/090G0075/sg
[4] http://www.camera.it/parlam/leggi/98040l.htm
[5] http://gazzette.comune.jesi.an.it/2003/220/1.htm
[6] http://www.gazzettaufficiale.it/gunewsletter/dettaglio.jsp?service=1&datagu=2009-07-24&task=dettaglio&numgu=170&redaz=009G0096&tmstp=1248853260030
[7] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=10&ved=0ahUKEwjxoZjb8_bbAhVJXhQKHYe0CIcQFgiJATAJ&url=http%3A%2F%2Funipd-centrodirittiumani.it%2Fpublic%2Fdocs%2FDirett2003_9_CEaccoglienza.pdf&usg=AOvVaw1CSJinWILqXGZ6dggVUnq4
[8] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwiY_Yvq9PbbAhUH7xQKHRK0AYkQFggpMAA&url=https%3A%2F%2Fwww.unhcr.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2015%2F12%2FD.Lgs_30_maggio_2005_n._140.pdf&usg=AOvVaw2SuUec-yoai0YOQFjOxfO5
[9] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwjAyZm09fbbAhUCaxQKHSrWDuMQFggoMAA&url=http%3A%2F%2Feur-lex.europa.eu%2FLexUriServ%2FLexUriServ.do%3Furi%3DOJ%3AL%3A2004%3A304%3A0012%3A0023%3AIT%3APDF&usg=AOvVaw1jG6wkzAFLv0YYDXOIWsll
[10] http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/Dirett2005_85_CEprocedure.pdf