L’ambiente marino è un ecosistema complesso e dinamico, notevolmente soggetto a degrado ambientale, sia per la fragilità tipica di ogni ambiente di transizione, sia per gli interessi conflittuali che vi si accentrano. La fascia costiera costituisce una risorsa primaria per l’uomo e racchiude una consistente parte delle risorse economiche del nostro Paese. Una tale concentrazione antropica ha inesorabilmente prodotto elevate pressioni sull’ambiente marino-costiero e le situazioni di degrado sono purtoppo numerose, tanto da far dubitare della sua conservazione per le generazioni future.
Il controllo ambientale, quale strumento fondamentale di difesa dell'ambiente, risponde all'esigenza di prevenire o limitare gli impatti delle attività antropiche sull’ambiente con l'obiettivo di tutelare e migliorare lo stato di qualità degli ecosistemi e delle risorse. Una delle modalità attraverso cui il controllo ambientale si esplica è il «monitoraggio», inteso come verifica sistematica delle variazioni nel tempo di una specifica caratteristica chimica, fisica o parametro equivalente attraverso misurazioni e osservazioni ripetute con appropriata frequenza. Essenziale per assicurare lo sviluppo di idonei strumenti cognitivi e legislativi per la tutela dell'ambiente, richiede generalmente un'intensa e complessa attività di laboratorio con un alto numero di analisi chimico-fisiche e con un uso sempre più ampio di nuove tecniche strumentali. Va sottolineato che l'attività di monitoraggio include tutte le "fasi dell'analisi" iniziando con il campionamento, il trasporto e la conservazione del campione, la sua preparazione, il trattamento preanalitico e l'analisi strumentale. Il raggiungimento ed il mantenimento di standard di qualità delle acque e dei sedimenti ai fini della conservazione e dello sfruttamento ecocompatibile della fascia marina costiera, passano quindi attraverso l’attuazione di un puntuale programma di «monitoraggio» con la finalità di vigilare e controllare le coste e i fattori di pressione sia antropogenici che naturali che incidono, in modo significativo, sulla qualità dell’ambiente marino.
In passato lo strumento del monitoraggio era unicamente inteso come una raccolta delle informazioni di base in un determinato ambiente. Una delle poche utilità di questo obsoleto modo di agire è stato quello di costituire delle banche dati di riferimento a cui attingere per verificare cambiamenti degli ecosistemi in atto. La moderna finalità dei monitoraggi marini è invece quello di fornire (attraverso raccolte dati mirate e specifiche elaborazioni) informazioni precise sulle condizioni ambientali locali evidenziando i fattori di stress e rendendo quindi possibile la pianificazione di interventi di contenimento/ripristino.
La legislazione ambientale italiana presenta un'articolata e talvolta complessa distribuzione delle competenze nelle attività di monitoraggio e controllo con il coinvolgimento di una moltitudine di soggetti istituzionali: la competenza nelle procedure autorizzative sono attribuite ad Autorità quali Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Regioni, Province e Comuni; l'attività di controllo è affidata al «Sistema agenziale», istituito con Legge n. 61/94, ossia alle Autorità Ispettive, quali l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), le Agenzie Regionali (ARPA) e quelle delle Province autonome di Trento e di Bolzano (APPA), i Servizi di Igiene delle ASL, il Corpo Forestale, il Comando Carabinieri Tutela Ambiente (CCTA), le Capitanerie di Porto, la Polizia Municipale, ecc.; mentre l'attività di monitoraggio è attribuita sia a Enti territoriali che al Sistema agenziale.
Sebbene i soggetti pubblici chiamati a svolgere attività direttamente o indirettamente collegate alle funzioni di monitoraggio e controllo siano numerosi e operino a tutti i livelli territoriali, la responsabilità primaria di quest’attività è stata di fatto affidata al Sistema agenziale APAT-ARPA/APPA con una duplice missione istituzionale:
All’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), in particolare, sono state altresì affidate le funzioni di coordinamento e raccordo non solo con i soggetti appartenenti al Sistema agenziale, ma anche con gli Istituti Centrali e Corpi dello Stato con l'obiettivo di:
Per il miglioramento della pianificazione delle attività di controllo, nonché della loro relativa esecuzione, il Sistema delle Agenzie, in attuazione di quanto previsto nella Raccomandazione 2001/331/CE, ha compiuto un importante passo in avanti approvando di recente un bozza di Regolamento, con i relativi allegati, che fissa, tra le altre cose, i criteri generali per la preparazione e lo svolgimento dei controlli ambientali.
Tale Regolamento, una volta approvato dalle Amministrazioni competenti (Ministero e Regioni) e interiorizzato dalle Autorità ispettive, consentirebbe:
Le attività di analisi e di gestione della strumentazione per il monitoraggio in continuo sono un importante patrimonio di tutto il Sistema. L'efficacia delle azioni di monitoraggio e la qualità dei dati analitici non possono, quindi, assolutamente prescindere da un forte collegamento tra le organizzazioni di tutto il Sistema delle Agenzie durante tutte le fasi dell'indagine ambientale. È stato, perciò, costituito il Gruppo Tecnico Permanente (GTP), coordinato dall'APAT, che raccoglie le priorità e le esigenze dei laboratori territoriali, con funzioni di supervisione nelle fasi di attuazione dei circuiti di interconfronto, di coinvolgimento del maggior numero di laboratori ambientali e, infine, di partecipazione attiva all'elaborazione e alla discussione dei risultati dei circuiti stessi. Il raggiungimento della comparabilità dei dati ambientali a livello nazionale rappresenta una delle priorità del mandato dell'APAT. In questo quadro, l'Agenzia ha realizzato un laboratorio per la produzione e caratterizzazione di materiali di riferimento che sono resi disponibili gratuitamente al Sistema delle Agenzie ambientali per l'effettuazione di circuiti-interlaboratorio, questi ultimi consentono un sistematico controllo della qualità dei risultati analitici prodotti sul territorio e, più in generale, permettono di qualificare la rete dei laboratori coinvolti nel sistema dei controlli ambientali.
Inoltre l'APAT ha avviato la costituzione, il consolidamento e l'ampliamento di una Rete Nazionale di Laboratori di Riferimento che rappresenta un ulteriore strumento per il raggiungimento della comparabilità dei dati analitici e dell'omogeneità delle misure ambientali a livello nazionale, in quanto favorisce l'adozione da parte di tutti i laboratori territoriali di procedure analitiche convalidate, l'effettuazione di misure riferibili ai campioni nazionali, l'utilizzo di materiali di riferimento certificati e la partecipazione ai circuiti interlaboratorio. I laboratori della Rete costituiscono un punto di riferimento per l'APAT per la convalida di metodi analitici, per la caratterizzazione di materiali di riferimento e per la taratura degli analizzatori delle reti di monitoraggio. Allo stesso tempo, la Rete dei laboratori costituisce un punto di riferimento per il Sistema agenziale per la formazione di personale e per un supporto analitico in caso di necessità e/o per analisi complesse. Tale Rete prevede nodi regionali e/o zonali a seconda del tipo di misurazione e delle esigenze delle Agenzie.
Le zone costiere costituiscono degli ambienti complessi, influenzati da una miriade di forze che interagiscono fra loro e che dipendono dalle condizioni idrologiche, geomorfologiche, socioeconomiche, istituzionali e culturali del sistema considerato. Lo studio degli ecosistemi marini permette di valutare lo stato di «qualità» delle acque marino-costiere da un punto di vista ambientale e in funzione della salute pubblica. Solo tenendo costantemente sotto controllo il mare, punto di arrivo finale di tutti i fattori di inquinamento, sarà possibile definire ed attuare le politiche di risanamento e di valorizzazione delle zone costiere.
La crescente consapevolezza, oramai diffusa in ogni campo, dell'importanza della conservazione delle risorse naturali disponibili e del loro razionale sfruttamento, ha fatto sorgere, sul piano giuridico e politico-legislativo, un'attenzione sempre maggiore verso una considerazione unitaria delle problematiche ambientali, e conseguentemente verso una predisposizione di livelli decisionali parimenti unitari, o almeno di coordinamento delle varie competenze preesistenti nelle materie ambientali.
La legislazione ambientale italiana, non diversamente da quella di altri Paesi dell’Unione europea, ha preso impulso dalla normativa comunitaria ed oggi deriva in massima parte da essa. L’emanazione delle più recenti normative comunitarie e nazionali hanno oggi portato alla definizione di una strategia di monitoraggio più complessa per ciò che attiene la selezione dei comparti di indagine e dei parametri indagati.
I controlli da attuarsi nelle acque marine costiere per assegnare un giudizio di qualità sono regolamentati dai seguenti atti legislativi:
Normativa nazionale:
Normativa comunitaria:
Nel nostro Paese la qualità delle acque destinate alla «balneazione» è disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470 (emanato in recepimento della Direttiva n. 76/160/CEE dell’8 dicembre 1975) e successive modifiche ed integrazioni. Detto Decreto, colma una lacuna legislativa in materia "igienico-sanitaria" delle acque di balneazione interne e marine; non esistevano infatti precedenti normative specifiche, fatte salve le generiche disposizioni del Regio Decreto n° 726/1985 sugli stabilimenti balneari, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 e della Circolare del Ministero della sanità del 1979 contenente le prime disposizioni attinenti la balneazione.
Il D.P.R. 470/82 prevede che, a cura delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, ove istituite, vengano eseguiti nel periodo di campionamento (dal 1°aprile al 30 settembre) degli accertamenti ispettivi ed analitici sulle acque costiere individuate dalle Regioni interessate, al fine di verificarne l’idoneità (e conseguentemente la non idoneità) alla balneazione.
Per le caratteristiche dei parametri da indagare è indubbio che la “qualità delle acque destinate alla balneazione” oggetto del D.P.R. 470, è un obiettivo di carattere principalmente igienico-sanitario.
La tutela igienico-sanitaria è garantita attraverso l’analisi delle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche su campioni prelevati ogni 15 giorni nel periodo compreso fra il 1 Aprile ed il 30 Settembre (Tabella 1 - allegato 1 DPR 470/1982 che si tralascia); su ogni campione prelevato vengono ricercati di routine 11 parametri di cui 4 batteriologici e 7 chimico fisici, anche se, in condizioni particolari, si possono ricercano parametri ulteriori. Per il giudizio di idoneità, ogni superamento del limite anche di un solo parametro di qualsiasi prelievo determina campionamenti suppletivi di verifica, dettagliatamente esplicitati dalla norma, in base ai quali si ribadisce l’idoneità o il divieto alla balneazione. Una zona è dichiarata temporaneamente non idonea alla balneazione, a cura del Comune interessato, qualora due delle cinque analisi “suppletive” previste presentino difformità ai requisiti normativi di qualità, mentre la riapertura di tale zona resta subordinata all’esito favorevole di due analisi “routinarie” consecutive eseguite con la frequenza minima prevista.
Per la determinazione dell’idoneità all’inizio della stagione balneare, ci si riferisce alle analisi effettuate durante l’anno precedente: le acque sono considerate idonee quando hanno avuto il 90% dei campioni in cui tutti i parametri sono rientrati nei limiti di legge (80% per i parametri microbiologici) e i casi di non conformità (per colorazione, pH, temperatura, fenoli, oli minerali e sostanze tensioattive) non hanno avuto valori superiori del 50% dei limiti (tab. 1)
Il D.P.R. 470/82 non ha subito nessuna modifica fino alla emanazione della Legge 29 dicembre 2000, n° 422, che, con l’articolo 18 ha dettato nuove e più severe norme in materia di acque di balneazione:
Si nota che con questo aggiornamento si impongono limiti più severi e restrittivi a vantaggio della protezione e del miglioramento delle acque di balneazione.
E’ importante rilevare che da tempo si avvertita la necessità di modificare l’attuale Direttiva Europea 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione; nel 1994 il Consiglio dell’Unione Europea ha presentato una proposta di nuova Direttiva che modificava parzialmente quella attuale ma che è stata successivamente respinta nel 1999 da 14 Stati Membri su 15 totali. Successivamente, il 24 Ottobre 2002, la Commissione Acque di Balneazione delle Comunità Europee ha presentato una nuova proposta che prevede un approccio innovativo e conforme alle più recenti politiche di gestione e programmazione ambientale. In sintesi la Direttiva mira ad individuare e riconoscere tutti i meccanismi responsabili dell’eventuale superamento dei limiti stabiliti, oltre ai processi che determinano la qualità dell’acqua e la sua variabilità al fine di minimizzare l’impatto delle attività antropiche tramite interventi di gestione specifici e mirati.
Nello stesso documento viene proposta l’ introduzione di 2 nuovi parametri microbiologici, Enterococchi intestinali ed Escherichia Coli, considerati più sensibili e significativi per valutare il rischio per la salute pubblica durante l’attività di balneazione e gli atri usi ricreativi della risorsa idrica. Di fatto i nuovi sostituiscono tutti i parametri utilizzati fino ad ora, lasciando un ruolo accessorio ad altri già presenti (oli minerali; pH, solo nelle acque interne; fioriture algali, solo nelle zone a rischio) o di nuova introduzione (residui bituminosi, catrame, materiale galleggiante come legname, plastica, vetro, gomma ecc.). Tale riduzione dei parametri determinerebbe ingenti riduzione dei costi senza comunque ridurre il grado di protezione dei cittadini.
Le attività di monitoraggio sono state condotte inizialmente in riferimento ai dettami della Legge 31 dicembre 1982, n. 979/82 come modificata dal D.lgs. n. 202/2077 (“Disposizioni per la difesa del mare”), finalizzata alla conoscenza dello stato degli ecosistemi e al controllo dell’eutrofizzazione. I monitoraggi erano finalizzati al controllo delle acque e dei bivalvi, attraverso l’analisi di alcuni parametri chimici, fisici e microbiologici.
La legge in parola si pone come obiettivo l’attuazione di una politica di protezione dell’ambiente marino e di prevenzione delle risorse marine da effetti dannosi. Tale obiettivo viene perseguito attuando piani generali sia di difesa del mare e delle coste dall’inquinamento, che piani di tutela dell’ambiente marino su tutto il territorio nazionale. In ottemperanza a tale normativa, la Direzione Generale per la Protezione della Natura (ex Servizio Difesa del Mare - SDM) del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e della natura ha organizzato, di concerto con le quattordici Regioni costiere italiane, una «rete di osservazione» della qualità dell'ambiente marino costiero, effettuando periodici controlli con rilevamento di dati oceanografici, chimici, biologici e microbiologici al fine di tenere sotto controllo lo stato di qualità delle acque marino-costiere. I monitoraggi triennali in convenzione con tutte le regioni, sono iniziati nel 1996 e riguardano il controllo delle condizioni degli ecosistemi marini, dell’eutrofizzazione e dei bivalvi e vengono effettuati su un numero rilevante di "transetti" con la determinazione di un gran numero di parametri. I dati rilevati confluiscono nel SIDIMAR (Banca dati del Sistema Difesa Mare) e quindi sono disponibili in ambito SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale).
I dati raccolti nelle attività di monitoraggio svolti dal Ministero dell’Ambiente ben si prestano quale ricca banca dati a disposizione di tutti gli enti che, sull’ambiente e per l’ambiente marino, sono tenuti ad intervenire con il coordinamento e la programmazione delle attività di difesa, prevenzione e protezione. Il Programma di Monitoraggio dell’Ambiente Marino Costiero, fin dal suo avvio, è stato pensato e organizzato da un punto di vista squisitamente ambientale, prestando attenzione alla verifica dello stato di qualità delle acque di mare: l’obiettivo, infatti, è di valutare in che maniera e in che quantità l’attività dell’uomo influenza la qualità dell’ambiente marino. E’ per questo motivo che il programma di monitoraggio è rivolto a tutte le matrici marine: acque, sedimenti, biota e benthos. Come è noto, i sedimenti e il biota sono matrici che conservano la memoria di tutte le sostanze con cui sono venuti a contatto, compresi i microinquinanti: i dati raccolti sulla contaminazione dei sedimenti e del biota, unitamente ai dati raccolti sulle acque, possono essere utilizzati per valutare lo stato ambientale dell’ecosistema marino.
Questo programma risulta propedeutico alla futura applicazione del D. Lgs 152/99 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento” e il suo avvio ha permesso di standardizzare, su tutto il territorio nazionale, ed uniformare le procedure per ridurre il margine d’errore. Con l'emanazione della normativa sulle acque (D.lgs. 152/99 come modificato dal D.Lgs. 258/00), vengono richieste attività di monitoraggio nei corpi idrici significativi al fine di stabilire lo stato di «qualità ambientale» di ciascuno di essi. La conoscenza dello stato dei corpi idrici permette la loro classificazione e conseguentemente, se necessario, di pianificare il loro risanamento al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale. Oltre ai corpi idrici significativi sono da monitorare tutti i corpi idrici che, per valori naturalistici o per particolari utilizzazioni in atto, hanno rilevante interesse ambientale e quelli che per essere molto inquinati possono avere influenza negativa sui corpi idrici significativi.
Il D.Lgs. 152/99 (come modificato dal D.Lgs. 258/00), per la valutazione dello stato di qualità ambientale, ha come obiettivi principali:
Tabella 1 – Tabella 17 Allegato 1 D.Lgs. 152/99, come modificata dal D.Lgs. 258/00
“Classificazione delle acque marine costiere in base alla scala trofica”
In tale maniera le acque marino costiere vengono classificate esclusivamente in base ad un indice di trofia che fornisce delle indicazioni solo su alcune delle condizioni del sistema considerato.
La necessità di poter disporre di un criterio oggettivo per la classificazione delle acque marine costiere riveste importanza essenziale nell’attività pianificatoria, quando è necessario definire gli obiettivi di qualità da raggiungere e le strategie di risanamento. L’introduzione dell’ «Indice Trofico» e della relativa «Scala Trofica», rendono possibile la misura dei livelli trofici in termini rigorosamente quantitativi, nonché il confronto tra differenti sistemi costieri, per mezzo di una scala numerica che copre un’ampia gamma di situazioni trofiche, così come queste si presentano lungo tutto lo sviluppo costiero italiano, e più in generale, nella Regione Mediterranea.
L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA – European Environment Agency), nata nel 1990 su volontà del Consiglio dei Ministri dell'allora Comunità Economica Europea[1] [1], ha il compito di sviluppare e coordinare la «rete» europea di informazione e di osservazione in materia ambientale (EIONET- Environment Information and Observation network) con l'obiettivo di raccogliere, elaborare e divulgare i dati ambientali di interesse europeo, supportando le istituzioni comunitarie e aiutando la comunità nello sforzo di integrazione delle politiche ambientali nelle politiche economiche. Ha sede a Copenaghen e conta attualmente 32 membri: i 27 paesi dell'UE più Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e Turchia.
Scopo dell’EEA non è quello di sostituire le strutture esistenti, bensì di tentare di mettere assieme, nei formati compatibili, i migliori dati sull’ambiente disponibili, provenienti dai singoli Paesi. Questi dati formano le basi degli assetti ambientali integrati. I risultati vengono diffusi e resi accessibili ai membri dell’UE, ai Governi, alle Organizzazioni non governative non profit (ONG) e al pubblico. Per realizzare tali obiettivi, l'Agenzia deve fornire alla Comunità e agli Stati membri informazioni oggettive, attendibili e comparabili a livello europeo che le permettano di adottare le misure necessarie per proteggere l'ambiente, valutare l'applicazione delle misure ed assicurare una corretta informazione dei cittadini sullo stato dell'ambiente.
[1] [1]Regolamento (CE) n. 401/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 , sull’Agenzia europea dell’ambiente e la rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale
Nata come Agenzia nazionale per la Protezione Ambientale (ANPA), a seguito della riorganizzazione dei controlli ambientali del 1993 è stata soggetta negli ultimi anni ad una profonda riorganizzazione cambiando denominazione APAT – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici e fondendosi con il Dipartimento per i Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il quale già collaborava.
L'APAT svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell'ambiente, per la tutela delle risorse idriche e della difesa del suolo. L'Agenzia ha autonomia tecnico-scientifica e finanziaria ed è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ed al controllo della Corte dei Conti. L'APAT opera sulla base di un programma triennale, aggiornato annualmente, che determina obiettivi, priorità e risorse, in attuazione delle direttive del Ministero dell'Ambiente. Nei settori di propria competenza, l'APAT svolge attività di collaborazione, consulenza, servizio e supporto alle altre pubbliche Amministrazioni, definite con apposite convenzioni. Entrata a far parte della Rete nel 2004, partecipa ai lavori del Gruppo di Lavoro Obiettivo “Monitoraggio Ambientale”.
Sono Organi dell'APAT il Presidente, il Consiglio di Amministrazione, il Collegio dei revisori. La gestione tecnico scientifica è attribuita al Direttore generale, il quale dirige la struttura dell’Agenzia ed è responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione. La struttura organizzativa dell’APAT si articola in Dipartimenti, Servizi interdipartimentali e Servizi alle dirette dipendenze della Presidenza e della Direzione. Al fine di promuovere lo sviluppo coordinato del sistema nazionale dei controlli in materia ambientale è inoltre istituito, presso l’Agenzia, il Consiglio federale, attualmente presieduto dal Presidente dell’APAT e composto dai legali rappresentanti delle ARPA/APPA, con la partecipazione di un delegato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
La Banca dati del Sistema Difesa Mare (Si.Di.Mar.) è un sistema informativo in grado di fornire un panorama completo e coordinato sulla condizione del nostro territorio marino e costiero, sia sulla base delle relative condizioni ecologiche e sia in relazione alle attività antropiche, economiche ed industriali che intervengono sulla fascia costiera emersa e sommersa. Grazie alla sua attività di raccolta dei dati provenienti dalle reti di osservazioni regionali sull’ambiente marino, messi a disposizione degli utenti via Internet, il Si.Di.Mar è a tutt'oggi l'unica banca dati che raccoglie a livello nazionale i dati relativi all'ambiente marino.
Attualmente nel Si.Di.Mar. è possibile acquisire e visualizzare attraverso il GIS (Geographical Information System) le informazioni relative a:
L’integrazione dei suddetti dati in un unico ambiente consente di avere a disposizione tutte le informazioni utili per una pianificazione accurata che consente:
SIT è l'acronimo italiano di Sistema Informativo Territoriale; la sua traduzione inglese, vale a dire Geographic(al) Information System, GIS, viene spesso usata erroneamente come sinonimo di SIT.
Un sistema informativo territoriale o SIT è infatti "Il complesso di uomini, strumenti e procedure (spesso informali) che permettono l'acquisizione e la distribuzione dei dati nell'ambito dell'organizzazione e che li rendono disponibili, validandoli, nel momento in cui sono richiesti a chi ne ha la necessità per svolgere una qualsivoglia attività" Mogorovich 1988. Un GIS è invece un sistema informativo computerizzato che permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazione derivanti da dati geografici (geo-riferiti). Secondo la definizione di Burrough 1986 "il GIS è composto da una serie di strumenti software per acquisire, memorizzare, estrarre, trasformare e visualizzare dati spaziali dal mondo reale". Trattasi quindi di unsistema informatico in grado di produrre, gestire e analizzare dati spaziali associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche.
Esempio di un sistema informativo geografico nel quale sono caricati livelli lineari e puntuali
Il GIS è differente dal DBMS (o Database Management System), in quanto si occupa essenzialmente dell'elaborazione e manipolazione dei dati georeferenziati, che a loro volta possono essere memorizzati in un DBMS o in singoli file. Il sistema di gestione dei dati garantisce un livello di sicurezza ai dati, permettendo una condivisione sicura ed affidabile.
I risultati delle analisi effettuate durante i Programmi di Monitoraggio sono stati integrati in un ambiente GIS (Sistema di Informazione Geografico). Cliccando sulle aree di indagine riportate sulla carta, si accede alle informazioni sulla localizzazione delle singole stazioni di campionamento e ai risultati delle analisi eseguite. I dati inviati dalle Regioni al Ministero vengono controllati e verificati prima di essere messi in rete. Tale operazione comporta un intervallo di circa 60 - 90 gg. tra la data di campionamento e la data di pubblicazione dei dati stessi.
Il SINA con l’azione di monitoraggio e controllo ambientale (secondo lo schema MDIAR) raccoglie dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di:
Sistemi Monitoraggio
Reporting e Determinanti - Pressioni - Stato - Impatti - Risposte
La rete SINAnet si compone di diversi elementi:
Il trasferimento del programma SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale) dal Ministero dell’ambiente all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), avviato nel 1998 e completato nel 2001, ha rappresentato un momento di svolta e di innovazione nella realizzazione del sistema di conoscenze necessarie per l’azione di governo dell’ambiente, in un contesto europeo e nazionale orientato verso una sempre maggiore integrazione della dimensione ambientale nelle politiche. È nel 1998, infatti, che la Commissione europea avvia il processo politico di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore (il cosiddetto “processo di Cardiff”), al fine di promuovere politiche di sviluppo settoriali che tengano conto – e internalizzino i costi – dei fattori ambientali. E successivamente nel 2001, in occasione del Consiglio Europeo di Gothenburg, la Commissione propone la strategia europea per lo sviluppo sostenibile (A Sustainable Europe for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development), nella quale viene riconosciuta l’esigenza che politiche di crescita economica non siano disgiunte dalle politiche di coesione sociale e di protezione dell’ambiente. Nel 2001, il programma di sviluppo del SINA, elaborato dall’ Agenzia nazionale per l’ambiente, viene proposto dal Ministero dell’ambiente alla Conferenza Stato-Regioni che sigla l’intesa e costituisce il “Tavolo SINA” di coordinamento istituzionale.
A livello europeo e nazionale, nasce l’esigenza di individuare meccanismi di reporting periodico basati di indicatori e indici per monitorare il livello di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore e per misurare il raggiungimento degli obiettivi individuati nelle strategie di sviluppo sostenibile.
In questo contesto, l’APAT, insieme al sistema delle ARPA/APPA, ha negli ultimi anni compiuto sforzi significativi verso la realizzazione di un sistema informativo ambientale in grado di raccogliere dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di fornire supporto dell’azione di governo, e per produrre con continuità prodotti e servizi informativi basati su indicatori e indici.
L’esigenza di integrazione con il contesto europeo ha ispirato le scelte organizzative e di contenuti del SINA. La rete europea Environment Information and Observation Network (EIONET) dell’Agenzia Europea per l’Ambiente ha rappresentato infatti il modello di riferimento per la realizzazione del sistema nazionale di cooperazione a rete, secondo uno schema di connessione di nodi specializzati per tematiche ambientali (Centri Tematici Europei) e per unità territoriali (Punti Focali Nazionali).
Per quanto concerne la base conoscitiva, l’obbligo di comunicazione di dati derivante dall’applicazione del quadro legislativo comunitario e dei protocolli e convenzioni internazionali ha costituito un requisito fondamentale per lo sviluppo del SINA.
L’attività di reporting rappresenta il momento conclusivo di un complesso ed articolato processo che attraverso l’utilizzo di opportuni indicatori mira a produrre il “riassunto operativo di realtà complesse” (Jesinghaus, 1998).
Rifacendosi alla terminologia utilizzata dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, tale processo può essere descritto tramite la cosiddetta catena MDIAR: monitoraggio (generazione diretta dei dati di base tramite reti, campagne, documenti amministrativi, ecc.) » dati (completamento del database grazie a fonti competenti) » informazione (verifica/qualificazione dei dati e loro trasformazione in “informazioni utili” tramite opportuni indicatori) » analisi (calcolo degli indicatori e valutazione dell’informazione) » reporting (diffusione dell’informazione, organizzata secondo un opportuno modello).
La piramide dell’informazione
Le basi della catena MDIAR (rappresentabile tramite la Piramide dell’informazione), si costituiscono in genere grazie alla collaborazione di Enti e Agenzie che tramite azioni di controllo e monitoraggio ambientale producono e validano i dati necessari all’attività di reporting; le successive fasi che portano alla produzione del Rapporto (scelta del set di indicatori, loro calcolo, valutazione e modellizzazione) sono sviluppate considerando che:
Il Modello DPSIR è nato in seno all’EAA (Agenzia Europea per l’Ambiente – European Environment Agency) in seguito al riconoscimento dell’incapacità del modello dei “processi ambientali” meglio noto come modello Pressioni-Stato-Risposte (PSR)[1] [1] proposto dall’OECD nel 1991 (Organisation for Economic Cooperation and Development)[2] [1], di identificare e di tenere conto di quei fattori che hanno un’incidenza rilevante, ma indiretta, nel determinare le condizioni ambientali.
Tali fattori vengono definiti determinanti (Driving forces) e sono legati alle attività umane, ai trend economici e culturali, ai settori produttivi, alla pianificazione territoriale, ecc. Il modello si basa sul concetto di causalità: l’uomo e le sue attività esercitano delle pressioni sull’ambiente (emissioni, scarichi…) modificando quali-quantitativamente lo stato dei comparti ambientali (aria, acqua, suolo...). Tali mutamenti di stato, quando per noi indesiderabili, rappresentano degli impatti, ovvero danni quantificabili alla salute umana, all’economia, agli ecosistemi, ecc.
Elemento cardine del modello sono infine le risposte sociali, a livello collettivo ed individuale, che retroagiscono direttamente o indirettamente sugli altri anelli del modello modificandoli nella direzione di una maggiore sostenibilità: sui determinanti tramite normative ed interventi strutturali che modifichino le fonti di pressione mitigandone l’influenza sull’ambiente, sulle pressioni per mezzo di leggi e prescrizioni (limiti di emissioni, ecc.), sulle condizioni di stato mediante risanamenti, bonifiche, ecc.
Modello DPSIR
Il modello DPSIR, sviluppato in ambito dell´Agenzia Europea per l´Ambiente, si basa su una struttura di relazioni causa/effetto che lega tra loro i seguenti elementi:
Le critiche alla debolezza del modello DPSIR non mancano (Spangenberg & Bonniot, 1998; Bossel, 1999). Nonostante il vantaggio di identificare una possibile circolarità fra i suoi elementi, ad oggi esso ha avuto un’applicazione prevalentemente “statica” in quanto in molti casi non è possibile esplicitare relazioni dirette di causa-effetto a meno di compiere notevoli approssimazioni. In altre parole, l’approccio DPSIR assolve efficacemente alla capacità descrittiva delle singole componenti, ma si scontra con la difficoltà di rappresentare gli innumerevoli feedbacks esistenti tra i vari elementi. Nello specifico, i determinanti forniscono sufficienti indicazioni per identificare le relative pressioni, ma molto spesso non consentono di costruire alcun algoritmo capace di mettere in relazione, ad esempio, il numero di addetti di un particolare processo produttivo (o il numero di unità produttive o il numero di manufatti), con la quantità delle emissioni idriche o gassose di quel processo. Allo stesso modo è ancora difficile relazionare la qualità e la quantità di determinate pressioni con gli indicatori di stato; e ancora, è impossibile stabilire una diretta corrispondenza tra una risposta, pur efficace nei confronti di una pressione esercitata, con l’attenuazione degli impatti ed il conseguente miglioramento dello stato della matrice interessata.
La naturale evoluzione del modello DPSIR ed il suo sostanziale miglioramento potrebbero passare attraverso la possibilità di stabilire precise e dettagliate corrispondenze tra i diversi elementi costruttivi del modello, mediante la predisposizione di formule, algoritmi, relazioni concettuali, modelli matematici in grado di rappresentarli. Sono altresì apparsi nuovi modelli concettuali che potranno verosimilmente offrire valide alternative in futuro.
[1] [1] Le varianti più note del modello PSR sono:
• DSR, Determinanti-Stato-Risposte, utilizzato dalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite
• DPSIR, Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Resposte, concepito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (1995).
[2] [1]La Organization for Economic Cooperation and Development (OECD) è un Organismo internazionale con sede a Parigi, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale con il nome di Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica allo scopo di favorire l'attuazione del Piano Marshall. Nel 1961, l'Organizzazione ha quindi adottato l'attuale denominazione e ha cominciato a sviluppare la propria vocazione transatlantica e mondiale, promuovendo l'espansione economica, l'occupazione e la stabilità finanziaria. L'OECD è costituita da 30 Paesi membri, che sono fondamentalmente quelli più sviluppati e benestanti ed ha rapporti con oltre 70 Stati e/o economie in transizione e/o in via di sviluppo, nei confronti dei quali redige Raccomandazioni, dati comparativi, analisi, previsioni e promuove strumenti funzionali nel quadro degli accordi multilaterali che li coinvolgono. L'OECD opera essenzialmente nel campo delle pubblicazioni e della redazione di statistiche che trattano le tematiche della macroeconomia, dello sviluppo, dell'innovazione scientifica e del commercio, costituendosi come un Forum strategico per i Governi nazionali di oltre 70 Paesi nella definizione e nell'adozione delle politiche economiche, finanziarie e fiscali e dei relativi Programmi di cooperazione regionale ed internazionale. In tema di governance, gli obiettivi prioritari dell'OECD sono la promozione delle pratiche di buon governo a livello amministrativo ed imprenditoriale,la garanzia della trasparenza e dell'equità nei sistemi fiscali e nei contesti concorrenziali e la lotta alla corruzione e al riciclaggio. L'OECD è inoltre in relazione con la società civile, in particolare con il mondo delle imprese e del lavoro, attraverso, rispettivamente, il Comitato Consultivo Economico e Industriale (BIAC) e la Commissione Sindacale Consultiva (TUAC), oltre che con alcune ONG operanti in campo ambientale e sociale, al fine di promuovere il rispetto delle risorse naturali e forme sostenibili di sviluppo.Quanto alle politiche commerciali, l'OECD sostiene i processi di liberalizzazione e l'effettivo funzionamento degli accordi internazionali e multilaterali che ruotano intorno all'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). Inoltre, all'interno della struttura operativa dell'OECD, sono state istituite due Agenzie specializzate che operano nel campo energetico: una è l' Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), istituita dopo la crisi petrolifera del 1974 per la definizione delle politiche mondiali in tema di fonti energetiche, alternative e rinnovabili, mentre l'altra è l' Agenzia per l'Energia Nucleare (NEA) che supporta 28 Stati nelle attività di gestione tecnica e scientifica dei propri impianti nucleari utilizzati a scopi civili.
Il degrado dell'ambiente ha reso necessario ed urgente l'avvio di concrete e coerenti attività mirate al monitoraggio ed alla salvaguardia degli ecosistemi marini e terrestri. Le attività di «monitoraggio» dei corpi idrici in genere rappresentano, oggi, un efficace strumento per la conoscenza dello stato dell'ambiente acquatico e un valido supporto alla pianificazione territoriale ai fini del suo risanamento. La tipologia della costa così come la profondità del fondale, gli andamenti correntometrici, l’impatto antropico e gli sversamenti di materiali alle foci dei fiumi incidono sulla capacità di diluizione degli inquinanti. Inoltre, gli attuali cambiamenti climatici, da una parte stanno influenzando in modo significativo il trofismo del sistema marino e, dall’altro, stanno favorendo la prevalenza di differenti specie animali e vegetali e l’insediamento di specie alloctone. I cambiamenti climatici rivestono, quindi, un ruolo fondamentale nel cambiamento/funzionamento degli ecosistemi marini e, in uno con l’impatto antropico, accelerano fenomeni significativi nei cambiamenti strutturali e funzionali della fascia marina costiera. E’ divenuto quindi necessario e improrogabile progettare e implementare programmi di monitoraggio e sorveglianza al fine di verificare lo stato di salute degli ambienti e di valutarne l’evoluzione nel tempo.
Una delle problematiche scientifiche di maggiore interesse per la corretta gestione e la salvaguardia della fascia marina costiera è rappresentata dallo sviluppo di sistemi di «monitoraggio automatico» che consentono di seguire in tempi reali l'evoluzione di fenomeni capaci di compromettere l'integrità dell'ecosistema e di intervenire in modo tempestivo per opporsi alle cause di perturbazione. L'attività principale del progetto, sviluppata dall'Istituto Sperimentale Talassografico di Messina con la collaborazione del Dipartimento di Biologia dell'Università di Lecce, è consistita principalmente nella messa a punto di un «sistema integrato di monitoraggio automatico» della qualità delle acque di una zona marina costiera a scarso ricambio idrico. L'esperienza è stata condotta nella rada di Augusta (SR), scelta come area campione per le sue caratteristiche di ambiente marino costiero semichiuso, fortemente interessato da apporti inquinanti di origine industriale. Lo studio, avviato con una serie di campagne di rilevamento di tipo tradizionale supportate dall'impiego di immagini acquisite dal satellite e da mezzo aereo, ha consentito un monitoraggio automatico della qualità delle acque con l'installazione di cinque boe (c.d. boa strumentata) in alcune zone della rada, ritenute di particolare interesse, e una stazione mobile montata su mezzo nautico. Il mezzo nautico, attrezzato per la misura automatica a bordo degli stessi parametri misurati dalle boe (temperatura, salinità, ossigeno disciolto, trasparenza e clorofilla) e dei nutrienti nitrati e fosfati, era corredato da un sistema di prelievo di acqua in continuo, guidabile dalla superficie fino a 20 m di profondità. I collegamenti con le varie stazioni di rilevamento e quella a terra sono stati assicurati da ponti radio bidirezionali, mentre il collegamento tra quest'ultima e la banca dati presso l'Istituto Talassografico di Messina avveniva tramite linea commutata e modem. L'impostazione di un così vasto spettro di attività ha richiesto anche il supporto di una strumentazione adeguata che mancava, in particolare per la determinazione analitica dei parametri di base come l'azoto e il fosforo inorganici. A tal fine sono stati messi a punto due prototipi colorimetrici automatici che possono operare sia da piattaforme non presidiate sia da mezzo nautico in
movimento. Nella fase conclusiva del progetto un notevole impegno di ricerca è stato indirizzato alla progettazione e alla realizzazione di una «piattaforma oceanografica» per monitoraggio della qualità delle acque costiere che, nel corso del 1996, è stata messa a mare e ancorata nello Stretto di Messina, in prossimità dello sbocco di uno dei più grossi scarichi dell'abitato di Messina. La piattaforma è stata interamente realizzata a Messina con lo scopo di riunire e condensare il know-how acquisito ed i prototipi realizzati nel corso del progetto in un unico insieme autonomamente funzionante. La piattaforma ha una superficie di circa otto metri quadrati, è dotata di quattro torrette e di quattro comparti stagni (all'interno dei galleggianti) per il posizionamento di strumentazione. La filosofia progettuale seguita ha puntato sulla modularità ed adattabilità dell'insieme alle sempre variabili condizioni operative, nonché alla necessità di minimizzare gli interventi manutentivi e di sostituzione batterie, che sono dotate di un sistema di ricarica a pannelli solari. Come allestita, la piattaforma comprende un sistema di acquisizione e trasmissione dati, una sonda multiparametrica CTD, una centralina meteorologica, due analizzatori colorimetrici per ammoniaca e fosfati e due correntometri, il tutto controllato a distanza dalla stazione base. In aggiunta ai parametri determinabili in automatico, la piattaforma è stata dotata di una pompa di prelievo di acqua di mare e di un prototipo di «campionatore» (c.d. T-fish) che consente il prelevamento di campioni di acqua tra 0 e 25 metri (~ 250 ml) a tempi prestabiliti. Nel corso dell'indagine i campioni prelevati, opportunamente addizionati di un fissativo, sono stati impiegati per la quantificazione del principale indicatore batterico di contaminazione fecale (E. coli), tramite l'impiego di metodiche innovative. È stata messa a punto, a tale proposito, una tecnica microscopica basata sull'impiego di anticorpi prodotti tramite immunizzazione di animali da laboratorio, che ha consentito di quantificare i batteri indicatori in campioni di acqua fissati, superando così le limitazioni insite nelle metodiche ufficiali di tipo colturale come, ad esempio, la necessità di analizzare i campioni entro breve tempo dal prelievo in laboratori attrezzati, ed i lunghi tempi di risposta. L'impiego della piattaforma oceanografica ha consentito di quantificare nel dettaglio l'impatto degli apporti di uno scarico urbano sull'ambiente costiero, anche in relazione al complesso regime idrodinamico che caratterizza lo Stretto di Messina.
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[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%231