L’inquinamento dell’ambiente marino è provocato da una vastissima gamma di sostanze diverse dai costituenti naturali dell’acqua del mare, che direttamente o indirettamente vi vengono immesse. Si intende per inquinamento marino la “introduzione diretta o indiretta, ad opera dell’uomo di sostanze chimiche o microrganismi (c.d. agenti inquinanti) nell’ambiente marino, quando essa ha o può avere effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, alla fauna e flora marine, rischi per la salute dell’uomo, intralcio alle attività marittime, comprese la pesca e le altre utilizzazioni lecite del mare, alterazioni della qualità dell’acqua di mare dal punto di vista della sua utilizzazione e degrado delle attrattive ambientali”.
Sono causa di inquinamento «diretto»del mare gli scarichi da terra degli effluenti industriali e dei rifiuti civili generati da insediamenti dislocati lungo le coste; i versamenti effettuati dal naviglio di ogni genere e quelli provocati da incidenti occorsi a navi durante la navigazione.
L’inquinamento «indiretto»del mare è invece da attribuire a tutte le altre forme di immissione: atmosferiche, terrestri, lacustri e fluviali che da terra, alla fine, confluiscono in mare.
In questa sede ci occuperemo solo marginalmente degli inquinamenti provenienti da terra per trattare con maggiore attenzione, quelli che hanno origine nel mare medesimo in conseguenza del trasporto marittimo di prodotti petroliferi e chimici; questi ultimi son o in crescente espansione in seguito alla continua richiesta di nuovi preparati per le più svariate applicazioni industriali e civili e all’impiego, sempre più diffuso, dei fertilizzanti, degli insetticidi e degli erbicidi in agricoltura.
Le fonti di inquinamento sono molteplici, ed ogn'una contribuisce in quantità maggiore o minore al suo aumento. In ordine di priorità, le principali fonti di inquinamento sono:
I combustibili, e di conseguenza la combustione, sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico; basti pensare alle immissioni degli autoveicoli e degli impianti di riscaldamento domestico. D’altra parte, non esiste processo industriale in cui non si debba impiegare calore, vapore o energia meccanica prodotti con macchine termiche (forni, caldaie) che non diano luogo a scarichi potenzialmente inquinanti. Gli stessi impianti di lavorazione dei combustibili (raffinerie, cokerie) e i mezzi impiegati per il loro trasporto (navi cisterna, oleodotti) danno sempre luogo ad emissioni, gassose o liquide, fortemente inquinanti.
Questo è uno dei problemi maggiormente sentiti dalle popolazioni dei grandi agglomerati urbani, di cui ci si è iniziati a preoccupare solamente negli ultimi 30 anni. Dagli anni '70, infatti, sono state adottate delle politiche per la riduzione degli agenti chimici e di numerose altre sostanze particolari presenti nell'aria. L’aria che respiriamo può essere contaminata da sostanze inquinanti provenienti da industrie, veicoli, centrali elettriche e molte altre fonti. Questi inquinanti rappresentano un grosso problema per gli effetti dannosi che possono avere nei confronti della salute o dell’ambiente in cui viviamo. Il loro impatto dipende da vari fattori, come ad esempio la quantità di inquinante dell’aria al quale si è esposti, la durata dell’esposizione e la pericolosità dell'inquinante stesso. Gli effetti sulla salute possono essere di piccola entità e reversibili (come un’irritazione agli occhi) oppure debilitanti (come un aggravamento dell’asma) o anche fatali (come il cancro).
L'inquinamento atmosferico può irritare gli occhi, la gola e i polmoni. Bruciore agli occhi, tosse e un senso di oppressione al torace sono disturbi frequenti quando si è esposti a livelli elevati di inquinamento atmosferico. Tuttavia le diverse persone possono reagire in modo molto diverso all'inquinamento e alcune possono non manifestare disturbi. Poiché l'esercizio fisico richiede un aumento del ritmo e della profondità della respirazione, può provocare un aggravamento dei sintomi. Le persone affette da malattie di cuore o dei polmoni possono essere molto sensibili all'esposizione all'aria inquinata e possono manifestare sintomi prima degli altri.
Nelle città occidentali la fonte principale degli inquinanti è il traffico. Per migliorare la qualità dell'aria è necessario che ognuno si impegni a non usare l'auto quando il tragitto può essere coperto con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Tra l'altro per stare bene ognuno di noi dovrebbe fare movimento (anche solo camminando) per almeno mezz'ora al giorno. Se si è costretti a usare un mezzo privato per gli spostamenti è opportuno sceglierne uno poco inquinante, controllarne l'efficienza e cercare di trasportare altre persone che fanno lo stesso tragitto.
Quando si programmano attività ricreative, lavorative o scolastiche valutare prima le varie opzioni anche sotto il profilo della mobilità e prevederne le ricadute. Bisogna inoltre ridurre tutti gli sprechi energetici compreso un eccessivo riscaldamento domestico o impianti poco efficienti.
L' inquinamento del suolo è un fenomeno di alterazione del suolo.
Fra le sue cause si contano:
Questo tipo di inquinamento porta all'alterazione dell'equilibrio chimico-fisico e biologico del suolo, lo predispone all'erosione e può comportare l'ingresso di sostanze dannose nella catena alimentare fino all'uomo.
Il suo strato superficiale, detto «humus», determina la fertilità o meno del terreno. Un ettaro di suolo di buona qualità, in una zona temperata, contiene una notevole quantità di batteri, insetti, lombrichi e varie creature microscopiche. Queste hanno provocato gravi problemi ambientali e molti danni all'uomo e alla sua salute a causa dell'arrivo sulle coste delle sostanze inquinanti che provocano varie malattie infettive, come ad esempio il tifo, il colera, la salmonellosi.
Tutti questi organismi contribuiscono a mantenere il giusto equilibrio del terreno e a renderlo produttivo. Purtroppo, noi speso ignoriamo l'importanza del suolo e così lo danneggiamo in continuazione. Si possono distinguere almeno tre tipi di danni di cui l'uomo moderno è responsabile:
Sono molte le cause che contribuiscono a sviluppare l’inquinamento dell’acqua. Gli scarichi industriali contengono una gran quantità di inquinanti e la loro composizione varia a secondo del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull'ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo risulta maggiore della somma dei singoli effetti. I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti più o meno grossi, che si depositano sul fondo dei bacini.
Il fenomeno delle piogge acide, che consiste nella contaminazione dell'acqua piovana da parte delle sostanze tossiche presenti nell'atmosfera (anidride carbonica, anidride solforosa, biossido di azoto, ecc..), ha effetti devastanti sulle foreste, che possono manifestare una riduzione dell'attività di fotosintesi, e su strutture edili, che si deteriorano più rapidamente.
L'inquinamento marino è principalmente di origine terrestre, in particolare è una conseguenza dell'immissione di acqua di scarico e di affluenti industriali nei fiumi, che poi portano le sostanze inquinanti al mare.
Si intende per inquinamento marino la “introduzione diretta o indiretta, ad opera dell’uomo di sostanze chimiche o microrganismi (c.d. agenti inquinanti) nell’ambiente marino, quando essa ha o può avere effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, alla fauna e flora marine, rischi per la salute dell’uomo, intralcio alle attività marittime, comprese la pesca e le altre utilizzazioni lecite del mare, alterazioni della qualità dell’acqua di mare dal punto di vista della sua utilizzazione e degrado delle attrattive ambientali”.
Sono causa di inquinamento «diretto» del mare gli scarichi da terra degli effluenti industriali e dei rifiuti civili generati da insediamenti dislocati lungo le coste; i versamenti effettuati dal naviglio di ogni genere e quelli provocati da incidenti occorsi a navi durante la navigazione. L’inquinamento «indiretto» del mare è invece da attribuire a tutte le altre forme di immissione: atmosferiche, terrestri, lacustri e fluviali che da terra, alla fine, confluiscono in mare.
La principale fonte di inquinamento di origine marina è quello da idrocarburi, in particolare delle petroliere, che alcune volte riversano grandi quantità di petrolio nelle acque. Un esempio è il recente disastro ecologico provocato dall'affondamento della nave Prestige, carica di petrolio, vicino alle coste della Spagna e della Francia e quello della petroliera Jessica, lungo le coste delle isole Galapagos.
Quando siamo al mare e ci capita di vedere qualcosa galleggiare sul pelo dell’acqua; non ci chiediamo mai cosa possa essere. Ebbene, quella scia di colore verde-giallo è “mucillagine”: vale a dire resti di alghe morte per via artificiale. Il mare da solo non riesce più a decomporre naturalmente queste alghe, e così si staccano dal fondale marino e galleggiano trasportate dalla corrente.
L'acqua usata in campo domestico, industriale, agricolo o zootecnico spesso contiene sostanze che alterano l'ecosistema, per cui non possono essere scaricate direttamente nei corsi d'acqua, in quanto contribuirebbero ad inquinare le acque superficiali (se non telluriche) ed il suolo.
Gli agenti inquinanti delle acque più comuni sono:
L'acqua, in condizioni normali, è in grado di autodepurarsi grazie ad una certa quantità di ossigeno disciolto (la solubilità di O2 in acqua è di 9 ppm a 20 °C con pressione pari ad 1 atm) che trasforma le sostanze, grazie alla decomposizione aerobica (ossidazione), in composti non inquinanti (come l'anidride carbonica, i nitrati, i fosfati, i solfati). Se l'ossigeno disciolto in acqua non è sufficiente per ossidare tutte le sostanze inquinanti presenti, si formano prodotti come il metano, l'ammoniaca, la fosfina-PH3-, acido solfidrico che fanno scomparire ogni forma di vita nell'acqua.
Le vie d'acqua, sono uno dei veicoli maggiori dell'inquinamento ecologico. Il trasporto delle merci da un capo all'atro del mondo, è sempre stato un motivo di ricerca ed evoluzione nella costruzione dei mezzi e di sistemi atti a garantire velocità, sicurezza ed economicità. Le merci oggi si trasportano per terra, per mare, fiumi e per aria, ma nonostante lo sviluppo delle reti stradali e il sempre maggior utilizzo degli aerei, il «mare» garantisce ancora oggi, il mezzo più economico e spesso insostituibili per il trasporto delle merci.
L'uomo, da sempre, ha utilizzato il mare come mezzo di comunicazione, ma anche come un grande scarico naturale. Per molti tempo questo non ha creato gravi danni all'ambiente, perché anche se i fiumi immettevano in mare le acque residuali urbane contenenti sostanze organiche e batteri, non vi erano grandi problemi, in quanto le sostanze organiche erano in quantità tale che giunte al mare venivano rapidamente riutilizzate come nutrimento dagli organismi del plancton, i batteri erano diluiti e non sopravvivevano a causa della salinità e della temperatura. I rifiuti industriali non erano molto dannosi poiché erano costituiti quasi esclusivamente da sostanze biodegradabili e da pochi elementi metallici. La capacità depurativa del mare era nettamente superiore alla capacità inquinante delle sostanze immesse. Questa situazione oggi è notevolmente cambiata , la popolazione mondiale negli ultimi 100 anni è cresciuta in modo esponenziale concentrandosi sempre di più nelle aree urbane, proporzionalmente sono aumentati gli scarichi organici prodotti dall'uomo .Anche le industrie si sono moltiplicate e i loro scarichi hanno subito delle trasformazioni radicali, tra i loro rifiuti vi sono sostanze chimiche artificiali non trasformabili, che derivano dalla lavorazione delle materie plastiche, da fibre sintetiche, dai detergenti utilizzati e dall'uso di insetticidi e pesticidi. Tra i metalli spesso si trovano quelli molto tossici come il mercurio, il cadmio, il nichel, lo zinco, il cromo, l'arsenico.
L'agricoltura, anch'essa in evoluzione, ha iniziato a contribuire all'inquinamento immettendo nei fiumi e nelle falde acquifere acque cariche di fosfati e nitrati o contaminate da insetticidi, pesticidi e diserbanti.
Le fonti di inquinamento marino sono molteplici, ed ogn'una contribuisce in quantità maggiore o minore al suo aumento. In ordine di priorità, le principali fonti di inquinamento sono:
Da queste fonti di inquinamento, il mare si "difende" con meccanismi diversi. Di scarso rilievo l’azione «fotodegradante» della componente ultravioletta della luce solare, vista la scarsa trasparenza in profondità, mentre più efficace risulta la «diluizione» delle sostanze inquinanti, che così perdono, almeno in parte, la loro iniziale pericolosità e la «digestione»[1] delle sostanze organiche biodegradabili, da parte di microrganismi che le trasformano in materiale inorganico. Il progressivo aumento della immissione di queste sostanze biodegradabili, tuttavia, specie nei mari “chiusi” come il Mediterraneo, rischia di rendere insufficiente questa attività di «autodepurazione». Non sono suscettibili di tale processo “digestivo” le sostanze inorganiche.
Questa complessa situazione può richiedere anche la necessità di interventi umani di ausilio, spesso però insufficienti o addirittura inefficaci, sempre costosi.
[1] E' il processo biologico mediante il quale le sostanze organiche vengono trasformate in metano, anidride carbonica e fanghi biologici, attraverso una serie di reazioni che hanno luogo in vasche chiuse (digestori) in assenza di ossigeno o in vasche aperte in presenza di ossigeno. I materiali solidi vengono solubilizzati da speciali enzimi e quindi fermentati da particolari ceppi batterici che li riducono in acidi organici semplici, ad esempio in acido acetico, a loro volta trasformati in prodotti gassosi (metano e anidride carbonica) da altri batteri. I fanghi ispessiti vengono riscaldati e introdotti a più riprese nel digestore, dove nel giro dii 0-30 giorni vengono definitivamente decomposti Con il processo di digestione èpossibile ridurre la concentrazione di materia organica nei liquami del 45-60%. Per accelerare i processi biologici di depurazione delle acque di scarico vengono utilizzate svariate soluzioni tecniche. Tra le più diffuse si annoverano quella a filtri percolatori, quella a fanghi attivi e quella a lagune.
Per quanto concerne gli effetti dell’inquinamento sull’ambiente marino, essi possono essere diversissime. Talvolta le sostanze immerse sono così tossiche da distruggere più o meno completamente gli organismi che si trovano esposti, come accade con certi pesticidi usati in agricoltura; altre volte, pur non essendo tossiche, esse agiscono negativamente, impedendo o riducendo una funzione vitale agendo negativamente, ad esempio, sulla riproduzione di una cetra specie. Molto spesso, le sostanze immesse hanno proprietà tali da agire profondamente sull’ambiente marino alterandone le caratteristiche oppure, come avviene, per gli idrocarburi, impedendone la naturale ed indispensabile ossigenazione. Certe sostanze, accumulandosi negli organismi che vivono in mare possono farli diventare, a loro volta, tossici per coloro che se ne nutrono; infine, possono provocare degli effetti selettivi a lungo termine con conseguente alterazione del fattore più importante dell’ambiente marino: il suo equilibrio biologico.
In particolare, l’affondamento doloso delle navi, le cosiddette «navi dei veleni», usate per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi, tossici, radioattivi, determina un inquinamento assai rischioso per la salute umana. Tale pratica, inoltre, spesso si interseca con quella del traffico d’armi ed entrambe sono per le organizzazioni criminali internazionali fonti di ingenti guadagni. Ma mentre, e giustamente, si investiga su tali aspetti e si cerca di sanzionarli e reprimerli, l’ambiente marino e la salute dei cittadini sono messe a rischio. Una nave dei veleni può essere considerata una sorta di grande container di sostanze, composti, prodotti di origine e natura varia, ma tali da rappresentare comunque una fonte di tossicità. La natura dell’inquinamento è, anzitutto, funzione del tipo di sostanza inquinante e della sua concentrazione.
Tra le sostanze tossiche più comunemente in gioco, sono i metalli pesanti, in genere prodotti di scarto delle lavorazioni industriali diversi con potenzialità cancerogena, e come tali classificati dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC)[1] di Lione in una scala che prevede 5 diverse classi: dal cancerogeno certo, al non cancerogeno per l’uomo. Ugualmente cancerogene per l’uomo sono poi le sostanze radioattive, pure esse surrettiziamente smaltite attraverso l’affondamento doloso delle navi. A titolo unicamente esemplificativo, vengono di seguito riportate alcuni metalli pesanti con il grado di evidenza IARC e l’organo/gli organi bersaglio.
Non è però soltanto la tossicità a caratterizzare le condizioni di pericolo che derivano dal contatto con sostanze pericolose. La stabilità termodinamica e la bioaccumulabilità sono dei cofattori di importante rilievo, perchè influenzano direttamente il tempo di interazione con l’ecosistema e soprattutto le concentrazioni di queste sostanze. Da questo punto di vista le analisi sui sedimenti possono fornire utili informazioni, a patto di saperle correttamente interpretare. Infatti, ad esempio, l’assenza di particolari analiti, se da un lato è confortante, in quanto indice di un mancato accumulo e quindi di basse concentrazioni o di ridotta accumulabilità di un agente tossico, d’altra parte può anche denunciare che per certe molecole rilasciate si è già compiuto il ciclo reattivo con l’ecosistema. Da ciò deriva come sia indispensabile acquisire ogni possibile informazioni per definire la natura qualitativa dei carichi delle navi. Rifiuti radioattivi, pesticidi, metalli pesanti, armi chimiche non sono la stessa cosa sotto vari profili, così come aspetti diversi sono quelli concernenti la stabilità, la ossidabilità, la solubilità delle sostanze in causa. L’acqua marina, inoltre, ha una forza ionica che può modificare le caratteristiche di solubilità delle varie sostanze, oltre a poter interagire, in genere positivamente, sui processi di dissoluzione.
Circa l’ossidazione, le condizioni di pressione che si hanno generalmente al livello di questi relitti e la ridotta concentrazione di ossigeno, rispetto a quella atmosferica, obbligano a riconsiderare le costanti termodinamiche delle reazioni di ossidazione rispetto alle condizioni ambiente.
La contaminazione delle acque da parte di tutte queste sostanze, non è di norma contestuale all’affondamento della nave, ma alle modalità di stoccaggio del materiale stivato ed alla stabilità del contenitore. Vi è generalmente un lasso più o meno lungo di tempo tra l’affondamento e la liberazione delle sostanze inquinanti dai loro contenitori progressivamente corrosi dall’acqua di mare. La fuoriuscita del contenuto può avvenire con grande rapidità, tenuto anche conto del carattere fluido del sistema e della elevata capacità solvente dell’acqua di mare. E’ vero che le capacità di diluizione del mare, che sono la base della sua grande capacità rigenerativa, rendono le concentrazioni non sempre facilmente determinabili, ma è anche vero che ormai esistono test analitici molto sensibili ed applicabili in situ. In ogni caso, la fuoriuscita delle sostanze tossiche determina un inquinamento delle acque, della flora, della fauna ittica e dei fondali marini, per estensioni più o meno ampie e con il successivo rilascio, da parte di questi ultimi, per tempi anche assai prolungati del materiale inquinante.
Un aspetto nodale dell’inquinamento degli ecosistemi marini è rappresentato dall’accumulo di sostanze nocive nelle catene alimentari, aspetto particolarmente importante e dalle ricadute gravi, anche per la bioaccumulabilità e persistenza di tali sostanze, oltre che per la loro patogenicità che può interessare, in pratica, ogni organo e apparato.
Il coinvolgimento delle catene alimentari, inoltre, amplia in maniera imprevedibile l’ambito delle popolazioni e dei territori coinvolti, che rimane in ogni caso non confinato alle zone geografiche direttamente interessate.
[1] L'agenzia intergovernativa IARC (acronimo di International Agency for Research on Cancer), è l'organismo internazionale, che tra i vari compiti svolti, detta le linee guida sulla classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici. Con sede a Lione , la IARC è parte dell' Organizzazione mondiale della sanità (OMS), o World Health Organization (WHO) delle Nazioni Unite. La IARC conserva una serie di monografie sui rischi cancerogeni di svariati agenti.
Il termine «eutrofizzazione» deriva dal greco eutrophia (eu = buono, trophòs = nutrimento), indica quindi una condizione di ricchezza di sostanze nutritive in un dato ambiente, nello specifico una sovrabbondanza di nitrati e fosfati in un ambiente acquatico. Oggi viene correntemente usato anche per indicare, seppure in maniera impropria, le fasi successive del processo biologico conseguente a tale arricchimento, vale a dire l'eccessivo accrescimento degli organismi vegetali acquatici che si ha per effetto della presenza nell'ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo, provenienti da fonti naturali o antropiche (come i fertilizzanti, alcuni tipi di detersivo, gli scarichi civili o industriali), e il conseguente degrado dell'ambiente divenuto asfittico. L'accumulo di elementi come l'azoto e il fosforo causa la proliferazione di alghe microscopiche che, a loro volta, non essendo smaltite dai consumatori primari, determinano una maggiore attività batterica; aumenta così il consumo globale di ossigeno, e la mancanza di quest'ultimo provoca alla lunga la morte dei pesci. Questo fenomeno è stato riconosciuto come un problema di inquinamento in Europa e in America del Nord verso la metà del XX° e da allora si è andato sviluppando.
Negli ambienti acquatici si nota un notevole sviluppo della vegetazione e del fitoplancton. Il loro aumento numerico presso la superficie dello specchio d'acqua comporta una limitazione degli scambi gassosi (e quindi anche del passaggio in soluzione dell'ossigeno atmosferico O2). Inoltre, quando le alghe muoiono vi è una conseguente forte diminuzione di ossigeno a causa della loro decomposizione ed i processi di putrefazione e fermentazione associati liberano grandi quantità di ammoniaca, metano e acido solfidrico
rendendo l'ambiente inospitale anche per altre forme di vita. Al posto dei microrganismi aerobici (che hanno bisogno di ossigeno) subentrano quelli anaerobici (che non hanno bisogno di ossigeno) che sviluppano sostanze tossiche e maleodoranti.
â–º Alcuni effetti negativi dell'eutrofizzazione sono:
Per contrastare l'eutrofizzazione sono necessari interventi che riducano gli afflussi di nutrienti ai corpi idrici (riduzione dei fertilizzanti in agricoltura, depurazione degli scarichi civili ed industriali, trattamento delle acque di scolo delle colture tramite agenti sequestranti ed impianti di fitodepurazione). Si ritiene che il riscaldamento globale contribuirà a peggiorare il fenomeno dell'eutrofizzazione. Il riscaldamento delle acque superficiali, infatti, fa diminuire la solubilità dei gas (e quindi anche dell'ossigeno).
Litorale interessato da eutrofizzazione
L’ambiente marino è un ecosistema complesso e dinamico, notevolmente soggetto a degrado ambientale, sia per la fragilità tipica di ogni ambiente di transizione, sia per gli interessi conflittuali che vi si accentrano. La fascia costiera costituisce una risorsa primaria per l’uomo e racchiude una consistente parte delle risorse economiche del nostro Paese. Una tale concentrazione antropica ha inesorabilmente prodotto elevate pressioni sull’ambiente marino-costiero e le situazioni di degrado sono purtoppo numerose, tanto da far dubitare della sua conservazione per le generazioni future.
Il controllo ambientale, quale strumento fondamentale di difesa dell'ambiente, risponde all'esigenza di prevenire o limitare gli impatti delle attività antropiche sull’ambiente con l'obiettivo di tutelare e migliorare lo stato di qualità degli ecosistemi e delle risorse. Una delle modalità attraverso cui il controllo ambientale si esplica è il «monitoraggio», inteso come verifica sistematica delle variazioni nel tempo di una specifica caratteristica chimica, fisica o parametro equivalente attraverso misurazioni e osservazioni ripetute con appropriata frequenza. Essenziale per assicurare lo sviluppo di idonei strumenti cognitivi e legislativi per la tutela dell'ambiente, richiede generalmente un'intensa e complessa attività di laboratorio con un alto numero di analisi chimico-fisiche e con un uso sempre più ampio di nuove tecniche strumentali. Va sottolineato che l'attività di monitoraggio include tutte le "fasi dell'analisi" iniziando con il campionamento, il trasporto e la conservazione del campione, la sua preparazione, il trattamento preanalitico e l'analisi strumentale. Il raggiungimento ed il mantenimento di standard di qualità delle acque e dei sedimenti ai fini della conservazione e dello sfruttamento ecocompatibile della fascia marina costiera, passano quindi attraverso l’attuazione di un puntuale programma di «monitoraggio» con la finalità di vigilare e controllare le coste e i fattori di pressione sia antropogenici che naturali che incidono, in modo significativo, sulla qualità dell’ambiente marino.
In passato lo strumento del monitoraggio era unicamente inteso come una raccolta delle informazioni di base in un determinato ambiente. Una delle poche utilità di questo obsoleto modo di agire è stato quello di costituire delle banche dati di riferimento a cui attingere per verificare cambiamenti degli ecosistemi in atto. La moderna finalità dei monitoraggi marini è invece quello di fornire (attraverso raccolte dati mirate e specifiche elaborazioni) informazioni precise sulle condizioni ambientali locali evidenziando i fattori di stress e rendendo quindi possibile la pianificazione di interventi di contenimento/ripristino.
La legislazione ambientale italiana presenta un'articolata e talvolta complessa distribuzione delle competenze nelle attività di monitoraggio e controllo con il coinvolgimento di una moltitudine di soggetti istituzionali: la competenza nelle procedure autorizzative sono attribuite ad Autorità quali Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Regioni, Province e Comuni; l'attività di controllo è affidata al «Sistema agenziale», istituito con Legge n. 61/94, ossia alle Autorità Ispettive, quali l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), le Agenzie Regionali (ARPA) e quelle delle Province autonome di Trento e di Bolzano (APPA), i Servizi di Igiene delle ASL, il Corpo Forestale, il Comando Carabinieri Tutela Ambiente (CCTA), le Capitanerie di Porto, la Polizia Municipale, ecc.; mentre l'attività di monitoraggio è attribuita sia a Enti territoriali che al Sistema agenziale.
Sebbene i soggetti pubblici chiamati a svolgere attività direttamente o indirettamente collegate alle funzioni di monitoraggio e controllo siano numerosi e operino a tutti i livelli territoriali, la responsabilità primaria di quest’attività è stata di fatto affidata al Sistema agenziale APAT-ARPA/APPA con una duplice missione istituzionale:
All’Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (APAT), in particolare, sono state altresì affidate le funzioni di coordinamento e raccordo non solo con i soggetti appartenenti al Sistema agenziale, ma anche con gli Istituti Centrali e Corpi dello Stato con l'obiettivo di:
Per il miglioramento della pianificazione delle attività di controllo, nonché della loro relativa esecuzione, il Sistema delle Agenzie, in attuazione di quanto previsto nella Raccomandazione 2001/331/CE, ha compiuto un importante passo in avanti approvando di recente un bozza di Regolamento, con i relativi allegati, che fissa, tra le altre cose, i criteri generali per la preparazione e lo svolgimento dei controlli ambientali.
Tale Regolamento, una volta approvato dalle Amministrazioni competenti (Ministero e Regioni) e interiorizzato dalle Autorità ispettive, consentirebbe:
Le attività di analisi e di gestione della strumentazione per il monitoraggio in continuo sono un importante patrimonio di tutto il Sistema. L'efficacia delle azioni di monitoraggio e la qualità dei dati analitici non possono, quindi, assolutamente prescindere da un forte collegamento tra le organizzazioni di tutto il Sistema delle Agenzie durante tutte le fasi dell'indagine ambientale. È stato, perciò, costituito il Gruppo Tecnico Permanente (GTP), coordinato dall'APAT, che raccoglie le priorità e le esigenze dei laboratori territoriali, con funzioni di supervisione nelle fasi di attuazione dei circuiti di interconfronto, di coinvolgimento del maggior numero di laboratori ambientali e, infine, di partecipazione attiva all'elaborazione e alla discussione dei risultati dei circuiti stessi. Il raggiungimento della comparabilità dei dati ambientali a livello nazionale rappresenta una delle priorità del mandato dell'APAT. In questo quadro, l'Agenzia ha realizzato un laboratorio per la produzione e caratterizzazione di materiali di riferimento che sono resi disponibili gratuitamente al Sistema delle Agenzie ambientali per l'effettuazione di circuiti-interlaboratorio, questi ultimi consentono un sistematico controllo della qualità dei risultati analitici prodotti sul territorio e, più in generale, permettono di qualificare la rete dei laboratori coinvolti nel sistema dei controlli ambientali.
Inoltre l'APAT ha avviato la costituzione, il consolidamento e l'ampliamento di una Rete Nazionale di Laboratori di Riferimento che rappresenta un ulteriore strumento per il raggiungimento della comparabilità dei dati analitici e dell'omogeneità delle misure ambientali a livello nazionale, in quanto favorisce l'adozione da parte di tutti i laboratori territoriali di procedure analitiche convalidate, l'effettuazione di misure riferibili ai campioni nazionali, l'utilizzo di materiali di riferimento certificati e la partecipazione ai circuiti interlaboratorio. I laboratori della Rete costituiscono un punto di riferimento per l'APAT per la convalida di metodi analitici, per la caratterizzazione di materiali di riferimento e per la taratura degli analizzatori delle reti di monitoraggio. Allo stesso tempo, la Rete dei laboratori costituisce un punto di riferimento per il Sistema agenziale per la formazione di personale e per un supporto analitico in caso di necessità e/o per analisi complesse. Tale Rete prevede nodi regionali e/o zonali a seconda del tipo di misurazione e delle esigenze delle Agenzie.
Le zone costiere costituiscono degli ambienti complessi, influenzati da una miriade di forze che interagiscono fra loro e che dipendono dalle condizioni idrologiche, geomorfologiche, socioeconomiche, istituzionali e culturali del sistema considerato. Lo studio degli ecosistemi marini permette di valutare lo stato di «qualità» delle acque marino-costiere da un punto di vista ambientale e in funzione della salute pubblica. Solo tenendo costantemente sotto controllo il mare, punto di arrivo finale di tutti i fattori di inquinamento, sarà possibile definire ed attuare le politiche di risanamento e di valorizzazione delle zone costiere.
La crescente consapevolezza, oramai diffusa in ogni campo, dell'importanza della conservazione delle risorse naturali disponibili e del loro razionale sfruttamento, ha fatto sorgere, sul piano giuridico e politico-legislativo, un'attenzione sempre maggiore verso una considerazione unitaria delle problematiche ambientali, e conseguentemente verso una predisposizione di livelli decisionali parimenti unitari, o almeno di coordinamento delle varie competenze preesistenti nelle materie ambientali.
La legislazione ambientale italiana, non diversamente da quella di altri Paesi dell’Unione europea, ha preso impulso dalla normativa comunitaria ed oggi deriva in massima parte da essa. L’emanazione delle più recenti normative comunitarie e nazionali hanno oggi portato alla definizione di una strategia di monitoraggio più complessa per ciò che attiene la selezione dei comparti di indagine e dei parametri indagati.
I controlli da attuarsi nelle acque marine costiere per assegnare un giudizio di qualità sono regolamentati dai seguenti atti legislativi:
Normativa nazionale:
Normativa comunitaria:
Nel nostro Paese la qualità delle acque destinate alla «balneazione» è disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982 n. 470 (emanato in recepimento della Direttiva n. 76/160/CEE dell’8 dicembre 1975) e successive modifiche ed integrazioni. Detto Decreto, colma una lacuna legislativa in materia "igienico-sanitaria" delle acque di balneazione interne e marine; non esistevano infatti precedenti normative specifiche, fatte salve le generiche disposizioni del Regio Decreto n° 726/1985 sugli stabilimenti balneari, del Testo Unico delle Leggi Sanitarie del 1934 e della Circolare del Ministero della sanità del 1979 contenente le prime disposizioni attinenti la balneazione.
Il D.P.R. 470/82 prevede che, a cura delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, ove istituite, vengano eseguiti nel periodo di campionamento (dal 1°aprile al 30 settembre) degli accertamenti ispettivi ed analitici sulle acque costiere individuate dalle Regioni interessate, al fine di verificarne l’idoneità (e conseguentemente la non idoneità) alla balneazione.
Per le caratteristiche dei parametri da indagare è indubbio che la “qualità delle acque destinate alla balneazione” oggetto del D.P.R. 470, è un obiettivo di carattere principalmente igienico-sanitario.
La tutela igienico-sanitaria è garantita attraverso l’analisi delle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche su campioni prelevati ogni 15 giorni nel periodo compreso fra il 1 Aprile ed il 30 Settembre (Tabella 1 - allegato 1 DPR 470/1982 che si tralascia); su ogni campione prelevato vengono ricercati di routine 11 parametri di cui 4 batteriologici e 7 chimico fisici, anche se, in condizioni particolari, si possono ricercano parametri ulteriori. Per il giudizio di idoneità, ogni superamento del limite anche di un solo parametro di qualsiasi prelievo determina campionamenti suppletivi di verifica, dettagliatamente esplicitati dalla norma, in base ai quali si ribadisce l’idoneità o il divieto alla balneazione. Una zona è dichiarata temporaneamente non idonea alla balneazione, a cura del Comune interessato, qualora due delle cinque analisi “suppletive” previste presentino difformità ai requisiti normativi di qualità, mentre la riapertura di tale zona resta subordinata all’esito favorevole di due analisi “routinarie” consecutive eseguite con la frequenza minima prevista.
Per la determinazione dell’idoneità all’inizio della stagione balneare, ci si riferisce alle analisi effettuate durante l’anno precedente: le acque sono considerate idonee quando hanno avuto il 90% dei campioni in cui tutti i parametri sono rientrati nei limiti di legge (80% per i parametri microbiologici) e i casi di non conformità (per colorazione, pH, temperatura, fenoli, oli minerali e sostanze tensioattive) non hanno avuto valori superiori del 50% dei limiti (tab. 1)
Il D.P.R. 470/82 non ha subito nessuna modifica fino alla emanazione della Legge 29 dicembre 2000, n° 422, che, con l’articolo 18 ha dettato nuove e più severe norme in materia di acque di balneazione:
Si nota che con questo aggiornamento si impongono limiti più severi e restrittivi a vantaggio della protezione e del miglioramento delle acque di balneazione.
E’ importante rilevare che da tempo si avvertita la necessità di modificare l’attuale Direttiva Europea 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione; nel 1994 il Consiglio dell’Unione Europea ha presentato una proposta di nuova Direttiva che modificava parzialmente quella attuale ma che è stata successivamente respinta nel 1999 da 14 Stati Membri su 15 totali. Successivamente, il 24 Ottobre 2002, la Commissione Acque di Balneazione delle Comunità Europee ha presentato una nuova proposta che prevede un approccio innovativo e conforme alle più recenti politiche di gestione e programmazione ambientale. In sintesi la Direttiva mira ad individuare e riconoscere tutti i meccanismi responsabili dell’eventuale superamento dei limiti stabiliti, oltre ai processi che determinano la qualità dell’acqua e la sua variabilità al fine di minimizzare l’impatto delle attività antropiche tramite interventi di gestione specifici e mirati.
Nello stesso documento viene proposta l’ introduzione di 2 nuovi parametri microbiologici, Enterococchi intestinali ed Escherichia Coli, considerati più sensibili e significativi per valutare il rischio per la salute pubblica durante l’attività di balneazione e gli atri usi ricreativi della risorsa idrica. Di fatto i nuovi sostituiscono tutti i parametri utilizzati fino ad ora, lasciando un ruolo accessorio ad altri già presenti (oli minerali; pH, solo nelle acque interne; fioriture algali, solo nelle zone a rischio) o di nuova introduzione (residui bituminosi, catrame, materiale galleggiante come legname, plastica, vetro, gomma ecc.). Tale riduzione dei parametri determinerebbe ingenti riduzione dei costi senza comunque ridurre il grado di protezione dei cittadini.
Le attività di monitoraggio sono state condotte inizialmente in riferimento ai dettami della Legge 31 dicembre 1982, n. 979/82 come modificata dal D.lgs. n. 202/2077 (“Disposizioni per la difesa del mare”), finalizzata alla conoscenza dello stato degli ecosistemi e al controllo dell’eutrofizzazione. I monitoraggi erano finalizzati al controllo delle acque e dei bivalvi, attraverso l’analisi di alcuni parametri chimici, fisici e microbiologici.
La legge in parola si pone come obiettivo l’attuazione di una politica di protezione dell’ambiente marino e di prevenzione delle risorse marine da effetti dannosi. Tale obiettivo viene perseguito attuando piani generali sia di difesa del mare e delle coste dall’inquinamento, che piani di tutela dell’ambiente marino su tutto il territorio nazionale. In ottemperanza a tale normativa, la Direzione Generale per la Protezione della Natura (ex Servizio Difesa del Mare - SDM) del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e della natura ha organizzato, di concerto con le quattordici Regioni costiere italiane, una «rete di osservazione» della qualità dell'ambiente marino costiero, effettuando periodici controlli con rilevamento di dati oceanografici, chimici, biologici e microbiologici al fine di tenere sotto controllo lo stato di qualità delle acque marino-costiere. I monitoraggi triennali in convenzione con tutte le regioni, sono iniziati nel 1996 e riguardano il controllo delle condizioni degli ecosistemi marini, dell’eutrofizzazione e dei bivalvi e vengono effettuati su un numero rilevante di "transetti" con la determinazione di un gran numero di parametri. I dati rilevati confluiscono nel SIDIMAR (Banca dati del Sistema Difesa Mare) e quindi sono disponibili in ambito SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale).
I dati raccolti nelle attività di monitoraggio svolti dal Ministero dell’Ambiente ben si prestano quale ricca banca dati a disposizione di tutti gli enti che, sull’ambiente e per l’ambiente marino, sono tenuti ad intervenire con il coordinamento e la programmazione delle attività di difesa, prevenzione e protezione. Il Programma di Monitoraggio dell’Ambiente Marino Costiero, fin dal suo avvio, è stato pensato e organizzato da un punto di vista squisitamente ambientale, prestando attenzione alla verifica dello stato di qualità delle acque di mare: l’obiettivo, infatti, è di valutare in che maniera e in che quantità l’attività dell’uomo influenza la qualità dell’ambiente marino. E’ per questo motivo che il programma di monitoraggio è rivolto a tutte le matrici marine: acque, sedimenti, biota e benthos. Come è noto, i sedimenti e il biota sono matrici che conservano la memoria di tutte le sostanze con cui sono venuti a contatto, compresi i microinquinanti: i dati raccolti sulla contaminazione dei sedimenti e del biota, unitamente ai dati raccolti sulle acque, possono essere utilizzati per valutare lo stato ambientale dell’ecosistema marino.
Questo programma risulta propedeutico alla futura applicazione del D. Lgs 152/99 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento” e il suo avvio ha permesso di standardizzare, su tutto il territorio nazionale, ed uniformare le procedure per ridurre il margine d’errore. Con l'emanazione della normativa sulle acque (D.lgs. 152/99 come modificato dal D.Lgs. 258/00), vengono richieste attività di monitoraggio nei corpi idrici significativi al fine di stabilire lo stato di «qualità ambientale» di ciascuno di essi. La conoscenza dello stato dei corpi idrici permette la loro classificazione e conseguentemente, se necessario, di pianificare il loro risanamento al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale. Oltre ai corpi idrici significativi sono da monitorare tutti i corpi idrici che, per valori naturalistici o per particolari utilizzazioni in atto, hanno rilevante interesse ambientale e quelli che per essere molto inquinati possono avere influenza negativa sui corpi idrici significativi.
Il D.Lgs. 152/99 (come modificato dal D.Lgs. 258/00), per la valutazione dello stato di qualità ambientale, ha come obiettivi principali:
Tabella 1 – Tabella 17 Allegato 1 D.Lgs. 152/99, come modificata dal D.Lgs. 258/00
“Classificazione delle acque marine costiere in base alla scala trofica”
In tale maniera le acque marino costiere vengono classificate esclusivamente in base ad un indice di trofia che fornisce delle indicazioni solo su alcune delle condizioni del sistema considerato.
La necessità di poter disporre di un criterio oggettivo per la classificazione delle acque marine costiere riveste importanza essenziale nell’attività pianificatoria, quando è necessario definire gli obiettivi di qualità da raggiungere e le strategie di risanamento. L’introduzione dell’ «Indice Trofico» e della relativa «Scala Trofica», rendono possibile la misura dei livelli trofici in termini rigorosamente quantitativi, nonché il confronto tra differenti sistemi costieri, per mezzo di una scala numerica che copre un’ampia gamma di situazioni trofiche, così come queste si presentano lungo tutto lo sviluppo costiero italiano, e più in generale, nella Regione Mediterranea.
L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA – European Environment Agency), nata nel 1990 su volontà del Consiglio dei Ministri dell'allora Comunità Economica Europea[1] [1], ha il compito di sviluppare e coordinare la «rete» europea di informazione e di osservazione in materia ambientale (EIONET- Environment Information and Observation network) con l'obiettivo di raccogliere, elaborare e divulgare i dati ambientali di interesse europeo, supportando le istituzioni comunitarie e aiutando la comunità nello sforzo di integrazione delle politiche ambientali nelle politiche economiche. Ha sede a Copenaghen e conta attualmente 32 membri: i 27 paesi dell'UE più Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e Turchia.
Scopo dell’EEA non è quello di sostituire le strutture esistenti, bensì di tentare di mettere assieme, nei formati compatibili, i migliori dati sull’ambiente disponibili, provenienti dai singoli Paesi. Questi dati formano le basi degli assetti ambientali integrati. I risultati vengono diffusi e resi accessibili ai membri dell’UE, ai Governi, alle Organizzazioni non governative non profit (ONG) e al pubblico. Per realizzare tali obiettivi, l'Agenzia deve fornire alla Comunità e agli Stati membri informazioni oggettive, attendibili e comparabili a livello europeo che le permettano di adottare le misure necessarie per proteggere l'ambiente, valutare l'applicazione delle misure ed assicurare una corretta informazione dei cittadini sullo stato dell'ambiente.
[1] [1]Regolamento (CE) n. 401/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 , sull’Agenzia europea dell’ambiente e la rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale
Nata come Agenzia nazionale per la Protezione Ambientale (ANPA), a seguito della riorganizzazione dei controlli ambientali del 1993 è stata soggetta negli ultimi anni ad una profonda riorganizzazione cambiando denominazione APAT – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici e fondendosi con il Dipartimento per i Servizi tecnici nazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il quale già collaborava.
L'APAT svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell'ambiente, per la tutela delle risorse idriche e della difesa del suolo. L'Agenzia ha autonomia tecnico-scientifica e finanziaria ed è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare ed al controllo della Corte dei Conti. L'APAT opera sulla base di un programma triennale, aggiornato annualmente, che determina obiettivi, priorità e risorse, in attuazione delle direttive del Ministero dell'Ambiente. Nei settori di propria competenza, l'APAT svolge attività di collaborazione, consulenza, servizio e supporto alle altre pubbliche Amministrazioni, definite con apposite convenzioni. Entrata a far parte della Rete nel 2004, partecipa ai lavori del Gruppo di Lavoro Obiettivo “Monitoraggio Ambientale”.
Sono Organi dell'APAT il Presidente, il Consiglio di Amministrazione, il Collegio dei revisori. La gestione tecnico scientifica è attribuita al Direttore generale, il quale dirige la struttura dell’Agenzia ed è responsabile dell'attuazione delle deliberazioni del Consiglio di Amministrazione. La struttura organizzativa dell’APAT si articola in Dipartimenti, Servizi interdipartimentali e Servizi alle dirette dipendenze della Presidenza e della Direzione. Al fine di promuovere lo sviluppo coordinato del sistema nazionale dei controlli in materia ambientale è inoltre istituito, presso l’Agenzia, il Consiglio federale, attualmente presieduto dal Presidente dell’APAT e composto dai legali rappresentanti delle ARPA/APPA, con la partecipazione di un delegato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
La Banca dati del Sistema Difesa Mare (Si.Di.Mar.) è un sistema informativo in grado di fornire un panorama completo e coordinato sulla condizione del nostro territorio marino e costiero, sia sulla base delle relative condizioni ecologiche e sia in relazione alle attività antropiche, economiche ed industriali che intervengono sulla fascia costiera emersa e sommersa. Grazie alla sua attività di raccolta dei dati provenienti dalle reti di osservazioni regionali sull’ambiente marino, messi a disposizione degli utenti via Internet, il Si.Di.Mar è a tutt'oggi l'unica banca dati che raccoglie a livello nazionale i dati relativi all'ambiente marino.
Attualmente nel Si.Di.Mar. è possibile acquisire e visualizzare attraverso il GIS (Geographical Information System) le informazioni relative a:
L’integrazione dei suddetti dati in un unico ambiente consente di avere a disposizione tutte le informazioni utili per una pianificazione accurata che consente:
SIT è l'acronimo italiano di Sistema Informativo Territoriale; la sua traduzione inglese, vale a dire Geographic(al) Information System, GIS, viene spesso usata erroneamente come sinonimo di SIT.
Un sistema informativo territoriale o SIT è infatti "Il complesso di uomini, strumenti e procedure (spesso informali) che permettono l'acquisizione e la distribuzione dei dati nell'ambito dell'organizzazione e che li rendono disponibili, validandoli, nel momento in cui sono richiesti a chi ne ha la necessità per svolgere una qualsivoglia attività" Mogorovich 1988. Un GIS è invece un sistema informativo computerizzato che permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazione derivanti da dati geografici (geo-riferiti). Secondo la definizione di Burrough 1986 "il GIS è composto da una serie di strumenti software per acquisire, memorizzare, estrarre, trasformare e visualizzare dati spaziali dal mondo reale". Trattasi quindi di unsistema informatico in grado di produrre, gestire e analizzare dati spaziali associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche.
Esempio di un sistema informativo geografico nel quale sono caricati livelli lineari e puntuali
Il GIS è differente dal DBMS (o Database Management System), in quanto si occupa essenzialmente dell'elaborazione e manipolazione dei dati georeferenziati, che a loro volta possono essere memorizzati in un DBMS o in singoli file. Il sistema di gestione dei dati garantisce un livello di sicurezza ai dati, permettendo una condivisione sicura ed affidabile.
I risultati delle analisi effettuate durante i Programmi di Monitoraggio sono stati integrati in un ambiente GIS (Sistema di Informazione Geografico). Cliccando sulle aree di indagine riportate sulla carta, si accede alle informazioni sulla localizzazione delle singole stazioni di campionamento e ai risultati delle analisi eseguite. I dati inviati dalle Regioni al Ministero vengono controllati e verificati prima di essere messi in rete. Tale operazione comporta un intervallo di circa 60 - 90 gg. tra la data di campionamento e la data di pubblicazione dei dati stessi.
Il SINA con l’azione di monitoraggio e controllo ambientale (secondo lo schema MDIAR) raccoglie dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di:
Sistemi Monitoraggio
Reporting e Determinanti - Pressioni - Stato - Impatti - Risposte
La rete SINAnet si compone di diversi elementi:
Il trasferimento del programma SINA (Sistema Informativo Nazionale Ambientale) dal Ministero dell’ambiente all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), avviato nel 1998 e completato nel 2001, ha rappresentato un momento di svolta e di innovazione nella realizzazione del sistema di conoscenze necessarie per l’azione di governo dell’ambiente, in un contesto europeo e nazionale orientato verso una sempre maggiore integrazione della dimensione ambientale nelle politiche. È nel 1998, infatti, che la Commissione europea avvia il processo politico di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore (il cosiddetto “processo di Cardiff”), al fine di promuovere politiche di sviluppo settoriali che tengano conto – e internalizzino i costi – dei fattori ambientali. E successivamente nel 2001, in occasione del Consiglio Europeo di Gothenburg, la Commissione propone la strategia europea per lo sviluppo sostenibile (A Sustainable Europe for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development), nella quale viene riconosciuta l’esigenza che politiche di crescita economica non siano disgiunte dalle politiche di coesione sociale e di protezione dell’ambiente. Nel 2001, il programma di sviluppo del SINA, elaborato dall’ Agenzia nazionale per l’ambiente, viene proposto dal Ministero dell’ambiente alla Conferenza Stato-Regioni che sigla l’intesa e costituisce il “Tavolo SINA” di coordinamento istituzionale.
A livello europeo e nazionale, nasce l’esigenza di individuare meccanismi di reporting periodico basati di indicatori e indici per monitorare il livello di integrazione della componente ambientale nelle politiche di settore e per misurare il raggiungimento degli obiettivi individuati nelle strategie di sviluppo sostenibile.
In questo contesto, l’APAT, insieme al sistema delle ARPA/APPA, ha negli ultimi anni compiuto sforzi significativi verso la realizzazione di un sistema informativo ambientale in grado di raccogliere dati e informazioni necessari a descrivere e comprendere i fenomeni ambientali, al fine di fornire supporto dell’azione di governo, e per produrre con continuità prodotti e servizi informativi basati su indicatori e indici.
L’esigenza di integrazione con il contesto europeo ha ispirato le scelte organizzative e di contenuti del SINA. La rete europea Environment Information and Observation Network (EIONET) dell’Agenzia Europea per l’Ambiente ha rappresentato infatti il modello di riferimento per la realizzazione del sistema nazionale di cooperazione a rete, secondo uno schema di connessione di nodi specializzati per tematiche ambientali (Centri Tematici Europei) e per unità territoriali (Punti Focali Nazionali).
Per quanto concerne la base conoscitiva, l’obbligo di comunicazione di dati derivante dall’applicazione del quadro legislativo comunitario e dei protocolli e convenzioni internazionali ha costituito un requisito fondamentale per lo sviluppo del SINA.
L’attività di reporting rappresenta il momento conclusivo di un complesso ed articolato processo che attraverso l’utilizzo di opportuni indicatori mira a produrre il “riassunto operativo di realtà complesse” (Jesinghaus, 1998).
Rifacendosi alla terminologia utilizzata dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, tale processo può essere descritto tramite la cosiddetta catena MDIAR: monitoraggio (generazione diretta dei dati di base tramite reti, campagne, documenti amministrativi, ecc.) » dati (completamento del database grazie a fonti competenti) » informazione (verifica/qualificazione dei dati e loro trasformazione in “informazioni utili” tramite opportuni indicatori) » analisi (calcolo degli indicatori e valutazione dell’informazione) » reporting (diffusione dell’informazione, organizzata secondo un opportuno modello).
La piramide dell’informazione
Le basi della catena MDIAR (rappresentabile tramite la Piramide dell’informazione), si costituiscono in genere grazie alla collaborazione di Enti e Agenzie che tramite azioni di controllo e monitoraggio ambientale producono e validano i dati necessari all’attività di reporting; le successive fasi che portano alla produzione del Rapporto (scelta del set di indicatori, loro calcolo, valutazione e modellizzazione) sono sviluppate considerando che:
Il Modello DPSIR è nato in seno all’EAA (Agenzia Europea per l’Ambiente – European Environment Agency) in seguito al riconoscimento dell’incapacità del modello dei “processi ambientali” meglio noto come modello Pressioni-Stato-Risposte (PSR)[1] [1] proposto dall’OECD nel 1991 (Organisation for Economic Cooperation and Development)[2] [1], di identificare e di tenere conto di quei fattori che hanno un’incidenza rilevante, ma indiretta, nel determinare le condizioni ambientali.
Tali fattori vengono definiti determinanti (Driving forces) e sono legati alle attività umane, ai trend economici e culturali, ai settori produttivi, alla pianificazione territoriale, ecc. Il modello si basa sul concetto di causalità: l’uomo e le sue attività esercitano delle pressioni sull’ambiente (emissioni, scarichi…) modificando quali-quantitativamente lo stato dei comparti ambientali (aria, acqua, suolo...). Tali mutamenti di stato, quando per noi indesiderabili, rappresentano degli impatti, ovvero danni quantificabili alla salute umana, all’economia, agli ecosistemi, ecc.
Elemento cardine del modello sono infine le risposte sociali, a livello collettivo ed individuale, che retroagiscono direttamente o indirettamente sugli altri anelli del modello modificandoli nella direzione di una maggiore sostenibilità: sui determinanti tramite normative ed interventi strutturali che modifichino le fonti di pressione mitigandone l’influenza sull’ambiente, sulle pressioni per mezzo di leggi e prescrizioni (limiti di emissioni, ecc.), sulle condizioni di stato mediante risanamenti, bonifiche, ecc.
Modello DPSIR
Il modello DPSIR, sviluppato in ambito dell´Agenzia Europea per l´Ambiente, si basa su una struttura di relazioni causa/effetto che lega tra loro i seguenti elementi:
Le critiche alla debolezza del modello DPSIR non mancano (Spangenberg & Bonniot, 1998; Bossel, 1999). Nonostante il vantaggio di identificare una possibile circolarità fra i suoi elementi, ad oggi esso ha avuto un’applicazione prevalentemente “statica” in quanto in molti casi non è possibile esplicitare relazioni dirette di causa-effetto a meno di compiere notevoli approssimazioni. In altre parole, l’approccio DPSIR assolve efficacemente alla capacità descrittiva delle singole componenti, ma si scontra con la difficoltà di rappresentare gli innumerevoli feedbacks esistenti tra i vari elementi. Nello specifico, i determinanti forniscono sufficienti indicazioni per identificare le relative pressioni, ma molto spesso non consentono di costruire alcun algoritmo capace di mettere in relazione, ad esempio, il numero di addetti di un particolare processo produttivo (o il numero di unità produttive o il numero di manufatti), con la quantità delle emissioni idriche o gassose di quel processo. Allo stesso modo è ancora difficile relazionare la qualità e la quantità di determinate pressioni con gli indicatori di stato; e ancora, è impossibile stabilire una diretta corrispondenza tra una risposta, pur efficace nei confronti di una pressione esercitata, con l’attenuazione degli impatti ed il conseguente miglioramento dello stato della matrice interessata.
La naturale evoluzione del modello DPSIR ed il suo sostanziale miglioramento potrebbero passare attraverso la possibilità di stabilire precise e dettagliate corrispondenze tra i diversi elementi costruttivi del modello, mediante la predisposizione di formule, algoritmi, relazioni concettuali, modelli matematici in grado di rappresentarli. Sono altresì apparsi nuovi modelli concettuali che potranno verosimilmente offrire valide alternative in futuro.
[1] [1] Le varianti più note del modello PSR sono:
• DSR, Determinanti-Stato-Risposte, utilizzato dalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite
• DPSIR, Determinanti-Pressioni-Stato-Impatti-Resposte, concepito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (1995).
[2] [1]La Organization for Economic Cooperation and Development (OECD) è un Organismo internazionale con sede a Parigi, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale con il nome di Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica allo scopo di favorire l'attuazione del Piano Marshall. Nel 1961, l'Organizzazione ha quindi adottato l'attuale denominazione e ha cominciato a sviluppare la propria vocazione transatlantica e mondiale, promuovendo l'espansione economica, l'occupazione e la stabilità finanziaria. L'OECD è costituita da 30 Paesi membri, che sono fondamentalmente quelli più sviluppati e benestanti ed ha rapporti con oltre 70 Stati e/o economie in transizione e/o in via di sviluppo, nei confronti dei quali redige Raccomandazioni, dati comparativi, analisi, previsioni e promuove strumenti funzionali nel quadro degli accordi multilaterali che li coinvolgono. L'OECD opera essenzialmente nel campo delle pubblicazioni e della redazione di statistiche che trattano le tematiche della macroeconomia, dello sviluppo, dell'innovazione scientifica e del commercio, costituendosi come un Forum strategico per i Governi nazionali di oltre 70 Paesi nella definizione e nell'adozione delle politiche economiche, finanziarie e fiscali e dei relativi Programmi di cooperazione regionale ed internazionale. In tema di governance, gli obiettivi prioritari dell'OECD sono la promozione delle pratiche di buon governo a livello amministrativo ed imprenditoriale,la garanzia della trasparenza e dell'equità nei sistemi fiscali e nei contesti concorrenziali e la lotta alla corruzione e al riciclaggio. L'OECD è inoltre in relazione con la società civile, in particolare con il mondo delle imprese e del lavoro, attraverso, rispettivamente, il Comitato Consultivo Economico e Industriale (BIAC) e la Commissione Sindacale Consultiva (TUAC), oltre che con alcune ONG operanti in campo ambientale e sociale, al fine di promuovere il rispetto delle risorse naturali e forme sostenibili di sviluppo.Quanto alle politiche commerciali, l'OECD sostiene i processi di liberalizzazione e l'effettivo funzionamento degli accordi internazionali e multilaterali che ruotano intorno all'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). Inoltre, all'interno della struttura operativa dell'OECD, sono state istituite due Agenzie specializzate che operano nel campo energetico: una è l' Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), istituita dopo la crisi petrolifera del 1974 per la definizione delle politiche mondiali in tema di fonti energetiche, alternative e rinnovabili, mentre l'altra è l' Agenzia per l'Energia Nucleare (NEA) che supporta 28 Stati nelle attività di gestione tecnica e scientifica dei propri impianti nucleari utilizzati a scopi civili.
Il degrado dell'ambiente ha reso necessario ed urgente l'avvio di concrete e coerenti attività mirate al monitoraggio ed alla salvaguardia degli ecosistemi marini e terrestri. Le attività di «monitoraggio» dei corpi idrici in genere rappresentano, oggi, un efficace strumento per la conoscenza dello stato dell'ambiente acquatico e un valido supporto alla pianificazione territoriale ai fini del suo risanamento. La tipologia della costa così come la profondità del fondale, gli andamenti correntometrici, l’impatto antropico e gli sversamenti di materiali alle foci dei fiumi incidono sulla capacità di diluizione degli inquinanti. Inoltre, gli attuali cambiamenti climatici, da una parte stanno influenzando in modo significativo il trofismo del sistema marino e, dall’altro, stanno favorendo la prevalenza di differenti specie animali e vegetali e l’insediamento di specie alloctone. I cambiamenti climatici rivestono, quindi, un ruolo fondamentale nel cambiamento/funzionamento degli ecosistemi marini e, in uno con l’impatto antropico, accelerano fenomeni significativi nei cambiamenti strutturali e funzionali della fascia marina costiera. E’ divenuto quindi necessario e improrogabile progettare e implementare programmi di monitoraggio e sorveglianza al fine di verificare lo stato di salute degli ambienti e di valutarne l’evoluzione nel tempo.
Una delle problematiche scientifiche di maggiore interesse per la corretta gestione e la salvaguardia della fascia marina costiera è rappresentata dallo sviluppo di sistemi di «monitoraggio automatico» che consentono di seguire in tempi reali l'evoluzione di fenomeni capaci di compromettere l'integrità dell'ecosistema e di intervenire in modo tempestivo per opporsi alle cause di perturbazione. L'attività principale del progetto, sviluppata dall'Istituto Sperimentale Talassografico di Messina con la collaborazione del Dipartimento di Biologia dell'Università di Lecce, è consistita principalmente nella messa a punto di un «sistema integrato di monitoraggio automatico» della qualità delle acque di una zona marina costiera a scarso ricambio idrico. L'esperienza è stata condotta nella rada di Augusta (SR), scelta come area campione per le sue caratteristiche di ambiente marino costiero semichiuso, fortemente interessato da apporti inquinanti di origine industriale. Lo studio, avviato con una serie di campagne di rilevamento di tipo tradizionale supportate dall'impiego di immagini acquisite dal satellite e da mezzo aereo, ha consentito un monitoraggio automatico della qualità delle acque con l'installazione di cinque boe (c.d. boa strumentata) in alcune zone della rada, ritenute di particolare interesse, e una stazione mobile montata su mezzo nautico. Il mezzo nautico, attrezzato per la misura automatica a bordo degli stessi parametri misurati dalle boe (temperatura, salinità, ossigeno disciolto, trasparenza e clorofilla) e dei nutrienti nitrati e fosfati, era corredato da un sistema di prelievo di acqua in continuo, guidabile dalla superficie fino a 20 m di profondità. I collegamenti con le varie stazioni di rilevamento e quella a terra sono stati assicurati da ponti radio bidirezionali, mentre il collegamento tra quest'ultima e la banca dati presso l'Istituto Talassografico di Messina avveniva tramite linea commutata e modem. L'impostazione di un così vasto spettro di attività ha richiesto anche il supporto di una strumentazione adeguata che mancava, in particolare per la determinazione analitica dei parametri di base come l'azoto e il fosforo inorganici. A tal fine sono stati messi a punto due prototipi colorimetrici automatici che possono operare sia da piattaforme non presidiate sia da mezzo nautico in
movimento. Nella fase conclusiva del progetto un notevole impegno di ricerca è stato indirizzato alla progettazione e alla realizzazione di una «piattaforma oceanografica» per monitoraggio della qualità delle acque costiere che, nel corso del 1996, è stata messa a mare e ancorata nello Stretto di Messina, in prossimità dello sbocco di uno dei più grossi scarichi dell'abitato di Messina. La piattaforma è stata interamente realizzata a Messina con lo scopo di riunire e condensare il know-how acquisito ed i prototipi realizzati nel corso del progetto in un unico insieme autonomamente funzionante. La piattaforma ha una superficie di circa otto metri quadrati, è dotata di quattro torrette e di quattro comparti stagni (all'interno dei galleggianti) per il posizionamento di strumentazione. La filosofia progettuale seguita ha puntato sulla modularità ed adattabilità dell'insieme alle sempre variabili condizioni operative, nonché alla necessità di minimizzare gli interventi manutentivi e di sostituzione batterie, che sono dotate di un sistema di ricarica a pannelli solari. Come allestita, la piattaforma comprende un sistema di acquisizione e trasmissione dati, una sonda multiparametrica CTD, una centralina meteorologica, due analizzatori colorimetrici per ammoniaca e fosfati e due correntometri, il tutto controllato a distanza dalla stazione base. In aggiunta ai parametri determinabili in automatico, la piattaforma è stata dotata di una pompa di prelievo di acqua di mare e di un prototipo di «campionatore» (c.d. T-fish) che consente il prelevamento di campioni di acqua tra 0 e 25 metri (~ 250 ml) a tempi prestabiliti. Nel corso dell'indagine i campioni prelevati, opportunamente addizionati di un fissativo, sono stati impiegati per la quantificazione del principale indicatore batterico di contaminazione fecale (E. coli), tramite l'impiego di metodiche innovative. È stata messa a punto, a tale proposito, una tecnica microscopica basata sull'impiego di anticorpi prodotti tramite immunizzazione di animali da laboratorio, che ha consentito di quantificare i batteri indicatori in campioni di acqua fissati, superando così le limitazioni insite nelle metodiche ufficiali di tipo colturale come, ad esempio, la necessità di analizzare i campioni entro breve tempo dal prelievo in laboratori attrezzati, ed i lunghi tempi di risposta. L'impiego della piattaforma oceanografica ha consentito di quantificare nel dettaglio l'impatto degli apporti di uno scarico urbano sull'ambiente costiero, anche in relazione al complesso regime idrodinamico che caratterizza lo Stretto di Messina.
Sui luoghi interessati dalla esecuzione di un reato (ad esempio, fuoriuscita volontaria o colposa di idrocarburi o comunque di sostanze inquinanti per l'habitat marino in prossimità della costa) possono essere rinvenute tracce utili al suo accertamento e alla scoperta dei suoi autori. Compito essenziale della Polizia Giudiziaria (art. 348 commi 1 e 2 c.p.p.) è perciò quello di curare che le tracce le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non venga mutato prima dell’intervento del Pubblico Ministero.
A tal fine la Polizia Giudiziaria compie anzitutto un’attività che può denominarsi “attività generica di conservazione". Se il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente e vi è il pericolo (=timore) che le tracce di reato si disperdano o si alterino (ad esempio, c'è il pericolo che la macchia oleosa si possa espandere diluendosi con l'acqua di mare), può procedere di propria iniziativa anche al compimento di “accertamenti urgenti” e cioè di atti che danno il quadro minuzioso e completo dello stato dei luoghi e che agevolano la ricostruzione della dinamica del reato oltre che, molto spesso, la stessa identificazione dei suoi autori.
Allo scopo di stabilire, quindi, la natura e la concentrazione degli "agenti inquinanti" presenti in un sversamento occorre prelevare dei campioni dallo scarico o dallo specchio acqueo inquinato per sottoporli ad analisi.
Il "campionamento" è l’operazione che si esegue per ottenere un’aliquota dello scarico o dello specchio acqueo sotto indagine che rappresenti, con la maggiore corrispondenza possibile, le sue caratteristiche chimiche, fisiche e batteriologiche. E’ evidente che tutta l’attenzione e la cura poste nell’ effettuare le analisi sono vane se il campione inviato al laboratorio non è testimone attendibile.
Mentre non si incontrano difficoltà per il prelievo di campioni da scarichi o da corpi idrici in cui gli agenti inquinanti si trovano in soluzione o allo stato di dispersione omogenea, il campionamento di specchi marini inquinati da prodotti petroliferi diventa un’operazione tecnicamente difficile.
Il sistema acqua olio è per sua natura eterogeneo e di composizione incerta e variabile per il moto ondoso e per le correnti; inoltre, non è facile prelevare un campione rappresentativo a livello della superficie del mare. Proprio per questi motivi per effettuare un campionamento di uno spandimento oleoso si deve fare affidamento sulla capacità e sulla esperienza del personale incaricato ad eseguirlo.
Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n.470[1], a pena di nullità di tutti gli atti compiuti.
Tutte le operazioni compiute saranno descritte in un “Verbale di campionamento” che dovrà essere controfirmato dalle persone che vi hanno partecipato.
Sonda multiparametrica utilizzata per la misurazione dei parametri chimico-fisici. L’acquisizione dei dati viene fatta in continuo lungo la colonna d’acqua per mezzo di appositi sensori per la misura della Conducibilità, Temperatura, Pressione, pH, Ossigeno disciolto e Clorofilla “a”. (Foto: Struttura Oceanografica Daphne - Arpa Emilia Romagna)
[1] Pubblicato sulla G.U. 26.7.1983, n.203 in attuazione della direttiva CEE n.76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione (acque correnti o di lago e le acque marine nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata ovvero vietata. Il decreto non si applica, alle acque destinate ad usi terapeutici ed a quella di piscina.
Nell’attività di polizia giudiziaria, il prelievo assume o potrebbe assumere un non trascurabile valore sotto il profilo della rilevanza probatoria; e tale concetto vale tanto per il campo degli illeciti amministrativi, quanto per quello dei reati.
Nel primo, infatti, l’art. 13 (atti di accertamento) della Legge 689/81, stabilisce che gli Organi addetti al controllo delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza (nel nostro caso Legge 979/82 (come modificata dal D.lgs. 202/07), D.lgs 152/06, ecc), possono assumere informazioni e procedere ad ispezioni di cose e luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.
In merito all’ispezione è bene puntualizzare che trattasi di attività tesa alla diretta visione e constatazione dello stato di un oggetto o di un luogo, senza possibilità di intervenire sullo status quo.
Nel secondo, invece, l’art. 348 del c.p.p. stabilisce che la Polizia Giudiziaria continua a svolgere le funzioni di cui all’art. 55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. In particolare, procede alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché ad assicurare la conservazione di esse e dello stato dei luoghi.
Particolarmente significativo ed importante sotto l’aspetto procedurale è l’ultimo comma, in base al quale la Polizia Giudiziaria, di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, compie atti od operazioni che richiedono "specifiche competenze tecniche", per le quali può avvalersi di persone idonee impossibilitate a rifiutarsi di fornire la propria competenza, salvo casi eccezionali e adeguatamente motivati (art. 348, n.4 c.p.p.). Sarebbe opportuno per la Polizia Giudiziaria nominare un “ausiliario di P.G.” redigendo apposito Verbale di nomina.
In ultima analisi non devono trascurarsi gli articoli 220 e 223 delle norme di coordinamento al c.p.p: “Quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
E’, in sostanza, l’ipotesi dell’emergere di indizi di reato nel corso di attività di vigilanza; ciò che è necessario fare è “assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”, applicando le disposizioni del Codice di procedura penale e che si ponga attenzione, sin dal momento in cui vi sia la “sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata”.
La precisazione da fare allora è che senz’altro i Verbali degli accertamenti-ispezioni-prelevamenti di campione non possono entrare “sic et simpliciter” nel fascicolo del dibattimento appena formato, in quanto essi non sono compresi nell’elenco dei documenti che formano il suddetto fascicolo ai sensi dell’art. 431 del c.p.p.: sono invece da considerarsi piuttosto “documenti” ai sensi dell’art. 234 del c.p.p., e come tali acquisibili eventualmente nel corso dell’istruttoria dibattimentale nel contraddittorio delle parti.
Il discorso viene ripreso e puntualizzato dall’art. 223 delle suddette norme di coordinamento in riferimento alle analisi di campioni:
“Qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’Organo procedente è dato avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate. L’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice”.
“Se leggi o decreti prevedono la revisione delle analisi e questa sia richiesta dall’interessato, a cura dell’organo incaricato della revisione, almeno tre giorni prima, deve essere dato avviso del giorno, dell’ora e del luogo ove la medesima verrà effettuata all’interessato e al difensore eventualmente nominato. Alle operazioni di revisione l’interessato e il difensore hanno diritto di assistere personalmente, con l’assistenza eventuale di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice. I verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento, sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2”.
L’art. 223 si connette e si completa con il precedente art. 220. La regola fondamentale si esprime in due assunti:
Nella procedura, allora, entrano in correlazione fra loro l’Organo pubblico che esegue il campione e ”l’interessato”, da identificarsi con la persona o le persone che potrebbero essere chiamate a rispondere della particolare fattispecie criminosa prevista dalla norma.
Volendo trasferire questi concetti nell’ambito dell’attività degli Organi di controllo in mare è evidente come talvolta o nella maggior parte dei casi ciò non sia praticamente attuabile o per assenza di un eventuale responsabile o perché nella grande maggioranza dei casi si è di fronte ad una situazione di emergenza. Ebbene, qualora il “personale imbarcato” della Guardia Costiera o di altra Forza di polizia fosse presente in una zona di mare in cui sia stata sversata una certa quantità di sostanza inquinante procederà ai sensi dell’art. 348 c.p.p. effettuando un prelievo secondo le "norme tecniche" stabilite dalla legge e ferma restando la specifica documentazione.
Nel caso de quo, quindi, non si procederà ad avvisare il Comandante della nave, né tantomeno ad attendere l’arrivo del personale tecnico dell’A.R.P.A.T. qualora l’emergenza abbia assunto notevoli dimensioni e sia supportato da improcrastinabili esigenze di immediato contenimento.
Quindi, “una volta che l’interessato abbia ricevuto l’avviso e non sia stato presente all’inizio delle operazioni di analisi non potrà ex post, in sede processuale, eccepire eventuali irregolarità delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi, lasciate alla discrezionalità degli operatori, in quanto il diritto di difesa è gestito nella fase degli accertamenti amministrativi solo con il preavviso, in forma attenuata….”.
Un campionamento senza avviso ha come conseguenza la completa inutilizzabilità dei risultati, tanto che il consulente tecnico incaricato di eseguire le analisi non potrà nemmeno testimoniare in aula sui risultati delle medesime.
Bisogna ribadire, al riguardo, che, comunque per tutte quelle norme che prevedono sanzioni amministrative vige anche l’art. 15 della Legge 689/81, che senz’altro detta una regola di portata generale, fissando in giorni dieci il termine di preavviso per le analisi: in questo contesto, le disposizioni dell’art. 223 secondo comma norme di coordinamento al c.p.p. hanno funzione suppletiva, rendendo in pratica valido dal punto di vista penale anche un preavviso di durata minore (che invece potrebbe inficiare l’accertamento in sede amministrativa).
Sia nell’ipotesi di analisi senza revisione che con revisione, all’interessato è data facoltà (non obbligo) di presenziare alle suddette operazioni.
L’importanza di seguire pedissequamente le disposizioni dell’art. 223 risiede nel fatto che i Verbali delle operazioni compiute entrano a tutti gli effetti nel fascicolo del dibattimento; forte di questo assunto, del resto, la giurisprudenza si mostra generalmente paga nel considerare essenziale soltanto il rispetto del nucleo essenziale della procedura, affermando ad esempio che l’eventuale mancata menzione delle metodiche di campionamento ed analisi nel verbale di prelievo e di analisi stessa non comporta nullità processuale.
Resta fermo comunque che la giurisprudenza della Corte di Cassazione da tempo ha stabilito che tutti gli organi di polizia giudiziaria, e non il personale delle strutture sanitarie, possono eseguire i prelievi sicché è legittimo il campionamento eseguito da soggetti diversi, salva poi la facoltà del Giudice di valutarne l’attendibilità, tenendo conto delle modalità utilizzate nel prelievo nel caso concreto.
Non bisogna trascurare infine l’art. 22 della Legge 24/12/1979, n. 650 che espressamente definisce che nel caso in cui venga effettuato un prelievo istantaneo, ed è il caso di acqua di mare miscelata ad idrocarburi o sostanze tossico/nocive, e l’Autorità, che nella fattispecie potrebbe essere il personale della motovedetta, non indichi i motivi della scelta operata, non si determina alcuna nullità anche per effetto dell’art. 348 del c.p.p. qualora il prelievo possa costituire una fonte di prova del reato che si presume sia stato commesso dal comandante della petroliera e dell’art. 13 della legge 689/81.
In verità, si ritiene utile distinguere il prelievo da effettuarsi in caso di presenza di sostanze inquinanti in mare, da quello da effettuarsi per gli scarichi industriali e civili, laddove debbano rispettarsi le prescrizioni circa l’avviso del responsabile, sia nel momento dell’attività di controllo, sia nel momento in cui verranno effettuate le analisi a cura dell’ente preposto. Infine, sotto il profilo della rilevanza probatoria, risulterebbe quanto mai fondamentale supportare l’atto del prelievo con apposita e dettagliata documentazione fotografica.
Lo "scopo" primario di un prelievo è quello di effettuare un controllo al fine di stabilire se, ad esempio, l’acqua di mare è inquinata da sostanze pericolose, idrocarburi, ecc; pertanto lo si esegue per consentire all’Organo tecnico di analizzarlo e dimostrare o meno la veridicità delle tesi che hanno portato a ritenere indispensabile effettuarlo.
La precisione dell’analisi può essere vanificata se il campione sul quale è stata eseguita non è rappresentativo del materiale da cui è stato prelevato, di modo che l’incertezza prodotta dal campionamento costituisce da sola un terzo dell’incertezza totale del risultato di analisi, con tutto ciò che può conseguirne sotto l’aspetto della valenza probatoria. Questa considerazione porta alla luce un aspetto del processo analitico che troppo spesso ingiustamente viene trascurato talché le procedure di prelevamento del campione possono causare gravi distorsioni sulla valutazione dei risultati e pregiudicare l’attendibilità di un’analisi.
Il campionamento/prelievo è stato definito come "l’operazione di prelevamento della parte di un materiale di dimensione sufficiente alla determinazione da una massa maggiore, tale che la proporzione della proprietà misurata nel campione rappresenti, entro un limite accettabile d’errore, la proporzione della stessa proprietà nella massa di origine."
I materiali e le sostanze da sottoporre a procedimenti analitici sono così numerosi e differenti che è molto difficile stabilire una tecnica comune.
Le disformità principali sono lo "stato fisico" (solido compatto, granulare, pastoso, liquido limpido, torbido, viscoso, gas omogeneo, nebbia, fumo aerosol), la "zona di prelevamento", come l’ambiente naturale (sopra o sottosuolo, vegetazione, acque, atmosfera) o i locali di produzione e di deposito, i "mezzi di trasporto", le "caratteristiche dei materiali" stessi (sostanze naturali, terreni, minerali e combustibili grezzi e raffinati, prodotti industriali, farmaceutici, cosmetici, agricoli, alimentari, biologici), gli "imballaggi" e i "confezionamenti", la "quantità" del materiale da campionare e gli "scopi" e "tipi di analisi" da effettuare.
â–º A grandi linee si possono distinguere tre tipi principali di campionamento in base allo scopo:
In particolare, il campionamento per il controllo ambientale (di particolare interesse ai fini dell’attività di Polizia Giudiziaria), riguarda i problemi ecologici dell’inquinamento, lo studio e la difesa del suolo, delle acque e dell’atmosfera. Tutto ciò richiede la messa a punto di "metodi di campionamento" specifici per ciascun materiale, che in buona parte sono stati normalizzati.
Le norme UNI, CEN ISO, ASTM, DIN, BS, EPA, NIOSH, ecc., definiscono le modalità delle operazioni di campionamento e le caratteristiche dell’attrezzatura da impiegare per molti materiali.
Per raccogliere campioni d’acqua anche in profondità, e non solo alla superficie dei corpi idrici, caso specifico "idrocarburi" sversati da una petroliera, i campionatori devono essere dotati di un «sistema» di chiusura ed apertura alla profondità voluta.
Il modello base di questo tipo di campionatori è la classica “Bottiglia Niskin a strappo”. Questa bottiglia cilindrica viene calata aperta fino alla profondità voluta. A questo punto, un semplice strappo, dato dall’operatore al cavo, sgancia un "messaggero metallico" che fa chiudere ermeticamente la bottiglia. Il principale requisito di un campionatore è infatti la capacità di raccogliere campioni realmente rappresentativi della profondità e della zona prescelta. Una prima notevole limitazione è il fatto che nella maggior parte dei casi il malfunzionamento dei meccanismi di chiusura non può essere rilevato dall’operatore. È stato perciò proposto di dotare il meccanismo di chiusura di un «fusibile», che rilevi anomalie nei sistemi di chiusura, oppure di valvole attivate elettricamente o per mezzo di segnali acustici.
Campionatore: bottiglia Niskin
Per raccogliere campioni d’acqua a profondità differenti è necessario che il campionatore sia dotato di un sistema di apertura e chiusura attivabile alla profondità richiesta.
Un campionatore che soddisfa queste richieste è la «Bottiglia Niskin». Si tratta di uno strumento cilindrico non metallico; è dotato di aperture alle due estremità per il flusso dell’acqua e di un meccanismo che gli permette di rimanere aperto durante la calata in acqua; la chiusura della bottiglia può essere effettuata mediante un sistema manuale o automatico.
Nel primo caso la bottiglia, legata ad un cavo variabile (5-8 mm) viene calata aperta; una volta raggiunta la profondità richiesta, la sua chiusura viene effettuata tramite l’invio lungo il cavo di un messaggero (cilindro metallico) che, urtando l’estremo superiore di un meccanismo, lo fa sganciare provocando la chiusura della bottiglia.
Nel secondo caso le Bottiglie Niskin vengono allestite su una struttura, tipo "CAROUSEL", la cui chiusura viene gestita da un operatore direttamente dalla nave attraverso la «Deck Unit».
Questo sistema, conosciuto come campionatore «Rosetta» (figura), consiste di un "CTD" attaccato al campionatore, di un cavo conduttore, di un set di bottiglie e di un computer.
Generalmente il CTD acquisisce i parametri chimico-fisici della colonna d’acqua durante la fase di discesa mentre il campionamento dell’acqua avviene con le bottiglie, che possono essere chiuse tramite un comando remoto, secondo un determinato ordine e a differenti profondità.
Di questo tipo di campionatori d’acqua per usi generici è stato progettato un numero svariato di modelli, che in genere vengono costruiti in casa dagli operatori stessi sulla base di schemi classici rintracciabili in letteratura. Ad esempio la classica «Bottiglia Van Dorn» è costituita da un cilindro che viene chiuso da due semisfere in gomma quando il messaggero rilascia l’elastico che le collega.
Nelle cosiddette «bottiglie a rovesciamento» (Nansen, Knudsen, Ekman, Richard) la bottiglia si chiude per un movimento di rotazione del corpo metallico, innescato dall’arrivo di un messaggero su di un apposito sistema di sgancio.
In particolare, la «Bottiglia Nansen» si presta a campionamenti ad elevate profondità (fino a 6100 m) in quanto è costituita da un cilindro in ottone, con capacità di 1,3 l, con valvole di chiusura in bronzo. L’interno può essere rivestito in teflon e l’esterno in stagno. Con opportune modifiche tali bottiglie possono essere usate anche per raccogliere campioni in prossimità del fondo.
I modelli base di questi campionatori sono commercialmente disponibili insieme ad altri campionatori per applicazioni particolari: ad esempio è in vendita una «Bottiglia Kitahara» realizzata in materiale plastico per campionamenti di superficie; il suo lento meccanismo di chiusura minimizza il disturbo arrecato all’acqua durante l’immersione ed il prelievo. Essa è dotata di un termometro all’interno ed il sistema di chiusura è attivato da un messaggero meccanico; il drenaggio del campione viene effettuato mediante un rubinetto posto sul fondo della bottiglia.
Il «Campionatore Mercos» è particolarmente indicato per eliminare i problemi di adsorbimento superficiale: esso è costituito da una coppia di bottiglie in Teflon sorrette da un supporto, con un tappo modificato per ospitare un tubo di gomma al silicone, tenuto piegato (nella posizione di chiuso) durante la discesa e rilasciato da un messaggero al momento del prelievo. La colonna d’acqua che rimane nel tubo fa da barriera di protezione da contaminazioni durante la risalita. Il vantaggio di questo tipo di campionatore è quello che, dopo il recupero, le bottiglie possono esser chiuse con normali tappi a vite ed essere utilizzate direttamente come contenitori di raccolta e di conservazione del campione.
Nel caso si debba acidificare il campione per la conservazione, l’acido può essere già presente al momento del prelievo.
Il «Campionatore Close-Open-Close» (COC) è stato invece studiato appositamente per permettere la raccolta di campioni d’acqua evitandone la contaminazione causata dagli strati superficiali. Il campionatore viene infatti calato in acqua completamente chiuso, e l’apertura delle due estremità viene attivata automaticamente dalla stessa pressione dell’acqua, ad una profondità di circa 10 m. La chiusura è governata dall’invio di un messaggero. In questo modo si evita che l’interno del contenitore venga a contatto con gli strati più superficiali arricchiti in contaminanti. L’interno è rivestito in PVC; inoltre il COC può essere utilizzato come strumento singolo oppure in serie, inserito in un campionatore multiplo. I campionatori multipli sono in genere costituiti da una struttura cilindrica di raccolta capace di contenere da 6 a 12 bottiglie da campionamento del tipo a rovesciamento di capacità variabile. Ciascuna bottiglia è programmata, mediante l’ausilio di sensori di profondità, per aprirsi alle diverse profondità impostate; il segnale di chiusura può essere acustico. Questi apparecchi possono operare fino a 6000 m di profondità.
I campioni di acqua possono essere prelevati con l'ausilio di bottiglie ad hoc costruite in metallo, in materiale plastico o in vetro. Queste bottiglie vengono chiuse alla profondità desiderata. I campioni prelevati con bottiglie sono utilizzati per analisi del particellato, microzooplancton e fitoplancton (Foto: Struttura Oceanografica Daphne - Arpa Emilia Romagna)
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Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470.
Di norma la "distanza" tra due punti di prelievo adiacenti non dovrà superare i 2 Km. salvo a ridurla opportunamente nelle zone ad alta densità di balneazione. Per ogni singolo punto di campionamento i prelievi dovranno essere, durante il mese, opportunamente distanziati nel tempo.
I "prelievi" dovranno essere effettuati ad una profondità di circa 30 cm. sotto il pelo libero dell’acqua ad una distanza dalla battigia tale che il fondale abbia una "profondità" di 80 o 120 cm.; in corrispondenza di scogliere a picco o di fondali rapidamente degradanti i prelievi dovranno essere effettuati in punti distanti non più di 5 metri dalla scogliera o dalla battigia; per gli oli minerali i prelievi vanno effettuati in superficie.
I prelievi dovranno essere effettuati dalle ore 09.00 alle ore 15.00. Non dovranno essere effettuati durante e nei due giorni successivi all’ultima precipitazione atmosferica di rilievo ed all’ultima burrasca.
I campioni per le analisi microbiologiche dovranno essere prelevati con le comuni "bottiglie sterili" in uso per i campioni di acque, incartate e successivamente sterilizzate. La bottiglia dovrà essere immersa aperta e trattenuta tramite una pinza o altro idoneo sistema.
I campioni dovranno essere trasportati in idoneo contenitore frigorifero e sottoposti ad esame al più presto e comunque entro le 24 ore.
Nella pratica è comunque possibile effettuare un singolo prelevamento (ad esempio: in caso di sversamento a mare da parte di nave cisterna), dinanzi alle parti (ad esempio: comandante il quale può farsi assistere da un proprio perito) e utilizzarlo quale atto irripetibile (cd. atto probatorio). Del fatto verrà, naturalmente, redatto apposito Verbale.
Per ogni prelievo dovranno essere rilevati:
Atteso i che non esiste al momento una metodologia codificata ed uniforme, gli Organismi preposti redigono dei protocolli di intervento che tentino almeno di rispettare i seguenti principi fondamentali:
La prima cosa importante da chiarire è che, in generale, le Forze o gli Organi di polizia ben difficilmente potranno effettuare autonomamente il prelievo di campioni, posto che è necessario disporre di un’attrezzatura particolare e che bisogna spesso seguire regole di comportamento alquanto complesse, che presuppongono nozioni altamente tecniche e specialistiche.
Tuttavia campionamenti irregolari o d’emergenza, ed è il caso più volte citato di una petroliera che ha sversato una certa quantità di idrocarburi in mare, da attuarsi in situazioni di assoluta necessità che non consentono nemmeno l’attesa dell’arrivo di eventuali tecnici ed eseguiti dal personale imbarcato a bordo delle unità navali (Motovedette della Guardia Costiera, CC, G.d.F., ecc.) avranno un valore di assoluta inutilizzabilità in sede processuale, potendo non di più costituire una possibile fonte di informazioni in sede di indagine e supportare altri atti aventi maggiore rilevanza probatoria.
â–º E’ opportuno definire i seguenti caratteri, essenziali durante il prelievo:
Altro aspetto importante è costituito dall’identificazione del campione. In effetti ogni campione deve essere idoneamente identificato tramite un “cartellino” indicativo dei seguenti elementi:
E’ fondamentale che ogni operazione di campionamento sia accompagnata dalla redazione di un apposito verbale detto per l’appunto “verbale di prelievo”.
Esso, in sostanza, non presenta particolari peculiarità nella sua composizione, dovendo però necessariamente riportare una descrizione accurata della metodologia di intervento seguita (numero dei campioni prelevati, criteri di mappatura, profondità dei prelievi, ecc).
â–º Il documento dovrà in ogni caso contenere:
Infine non è infrequente che l’attività di campionamento possa costituire una situazione di pericolo per il personale che vi concorre: questa è la ragione per la quale vanno seguite alcune norme di precauzione che la medicina del lavoro ha individuato come le più idonee a prevenire infortuni.
In sostanza, a seconda dei casi è necessario far uso di dispositivi di protezione tendenti ad impedire:
Dovranno, allora e se necessario, indossarsi elmetti, indumenti e calzature protettivi, maschere, occhiali particolari, ecc.
Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 28.5.2015 n. 122, della Legge n. 68 del 2015 [2], “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, è stato introdotto nel Codice penale, immediatamente dopo il Tiolo VI del libro secondo, dedicato ai delitti contro l'incolumità pubblica, il nuovo Titolo VI-bis intitolato "Dei delitti contro l'ambiente".
La legge ha introdotto nuovi delitti a salvaguardia dell'ambiente nel Codice penale, modificando così il quadro normativo previgente che affidava in modo pressoché esclusivo la tutela dell'ambiente a contravvenzioni e sanzioni amministrative, previste dal Codice dell'ambiente (d.lgs. 152 del 2006 [3]).
Il sistema delle sanzioni in materia ambientale in Italia si è evoluto nel tempo, purtroppo in senso settoriale (acqua, aria, rifiuti, rumore, ecc.) e con prevalenza delle contravvenzioni legate alla carenza di autorizzazioni, alla violazione delle prescrizioni delle autorizzazioni, al superamento di determinati limiti di accettabilità posti dalla legge, ecc., in un’ottica di collegamento con il ruolo della pubblica amministrazione e di sostanziale rafforzamento del ruolo medesimo attraverso l’intervento del giudice.
La riforma mira invece a potenziare il sistema sul piano sostanziale impegnando direttamente i soggetti a rispettare l’ambiente nei casi più gravi, rispondendo direttamente per i delitti in tema di ambiente.
La riforma non elimina le contravvenzioni esistenti e non elimina la responsabilità civile, penale e amministrativa come risulta dalle varie leggi.
Un tentativo di coordinamento è stato portato dal Codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006 Testo Unico Ambientale e modifiche successive), almeno per alcuni grandi settori (rifiuti e bonifica siti inquinati, acque, suolo e desertificazione, aria e clima, danno ambientale).
Nel codice penale esistono alcuni delitti che interessano anche l’ambiente:
Il sistema sanzionatorio risulta più consolidato in materia edilizia ed urbanistica e nel settore dei beni culturali e del paesaggio, assistiti da contravvenzioni e pene accessorie abbastanza deterrenti (demolizioni, confisca ecc.).
Come è noto, nella materia dei rifiuti abbiamo una situazione caratterizzata dalle seguenti contravvenzioni: abbandono di rifiuti; attività di gestione di rifiuti non autorizzata; violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari; traffico illecito di rifiuti.
È prevista altresì una figura di delitto ambientale consistente nell’attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti.
Più recentemente è stato introdotto il delitto di combustione illecita dei rifiuti (art. 256 bis, decreto legge n. 289/2013 e legge 06/02/2014).
La legge, in estrema sintesi,
L'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] introduce nel libro secondo del Codice penale il nuovo Titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente), con il quale si prevedono sei nuovi delitti: :
Il nuovo articolo 452-bis del codice penale punisce l'inquinamento ambientale sanzionando con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento "significativi e misurabili" dello stato preesistente "delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo" (n. 1) o "di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna" (n. 2).
Il testo dell'art. 452- bis fa riferimento al carattere abusivo della condotta, formula già utilizzata dal legislatore (oltre che nel codice penale) all'articolo 260 del codice dell'ambiente, che sanziona le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. E' poi attribuito rilievo penale alle sole alterazioni "significative e misurabili" dell'acqua o dell'aria o di porzioni "estese o significative" del suolo o del sottosuolo, nonché di un ecosistema. Il concetto di compromissione o deterioramento "significativi e misurabili" riprende la definizione di danno ambientale di cui all'art. 300 del Codice dell'ambiente (qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima). La nozione comunitaria di "danno ambientale" posta dalla direttiva 2004/35/CE usa l'espressione "mutamento negativo misurabile. di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente".
Il secondo comma prevede un'ipotesi aggravata (aumento di pena fino a un terzo), quando il delitto sia commesso in un'area naturale protetta o sottoposta a specifici vincoli, ovvero un danno di specie animali o vegetali protette.
Con la sentenza n. 46170 del 3/11/2016 [5], la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che la "compromissione" o il "deterioramento", di cui al delitto di inquinamento ambientale previsto dall'art. 452-bis cod. pen. si risolvono in una alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio "funzionale", incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi. La stessa sezione, con la sentenza n. 15865 del 2017 ha affermato che «Il delitto di inquinamento ambientale, di cui all'art. 452-bis cod. pen. , è reato di danno, integrato da un evento di danneggiamento che, nel caso del "deterioramento", consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile, il valore o da impedirne anche parzialmente l'uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della "compromissione", consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l'uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare». Nella stessa sentenza la Suprema Corte ha precisato che «La condotta "abusiva" di inquinamento ambientale, idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 452-bis cod.pen. , comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorchè non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative; ne consegue che, ai fini della integrazione del reato, non è necessario che sia autonomamente e penalmente sanzionata la condotta causante la compromissione o il deterioramento richiesti dalla norma. (Fattispecie di inquinamento di corso d'acqua cagionato da un accumulo di reflui - penalmente irrilevanti singolarmente considerati, essendo inferiori ai valori limite stabiliti nel D.Lgs. n. 152 del 2006 - provenienti da impianto di depurazione privo di autorizzazione allo scarico)». L'articolo 452-ter riguarda l'ipotesi di morte o lesioni come conseguenza non voluta del delitto di inquinamento ambientale. Tale disposizione prevede quindi per l'inquinamento ambientale aggravato dall'evento un catalogo di pene graduato in ragione della gravità delle conseguenze del delitto ovvero:
Ove gli eventi lesivi derivati dal reato siamo plurimi e a carico di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione.
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L'articolo 452-quater è relativo alla fattispecie di disastro ambientale, punito con la pena della reclusione da 5 a 15 anni.
Il delitto è definito, alternativamente, come:
La definizione del delitto si avvicina a quella elaborata dalla Cassazione, che per la configurazione del disastro ambientale ha affermato che "è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente un numero indeterminato di persone" (Cass., Sez. V, sent. n. 40330 del 2006). Successivamente, conformemente a tale orientamento, la Cassazione è pervenuta ad isolare alcuni requisiti che caratterizzano la nozione di disastro specificamente nella potenza espansiva del nocumento e nell'attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità (Cass, Sez. III, sent. n. 9418 del 2008).
È stata, altresì, introdotta nell'art. 452-quater una clausola di salvaguardia "fuori dai casi previsti dall'articolo 434", in materia di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (cd. disastro innominato) che finora, in assenza del delitto di disastro ambientale, ha assolto ad una funzione di supplenza e chiusura del sistema.
Sono previste aggravanti di pena nel caso in cui il disastro sia prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette (v. art. 452-quater, ult. comma)
Diminuzioni di pena sono previste, invece, nel caso in cui i fatti siano commessi per colpa (v. art. 452-quinquies, co. 1);- e, ulteriormente, nel caso in cui da tali condotte colpose derivi il pericolo di disastro (v. art. 452-quinquies, co. 2).
L'art. 452-sexies punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro il reato di pericolo di traffico e abbandono di materiali ad alta radioattività.
E' il delitto commesso da chiunque abusivamente «cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona materiale di alta radioattività ovvero, detenendo tale materiale, lo abbandona o se ne disfa illegittimamente» (primo comma).
La pena è aumentata (fino a 1/3) se dal fatto derivi:
Un aumento di pena della metà è, invece stabilito dal terzo comma dell'art. 452-sexies se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l'incolumità delle persone.
L'articolo 452-septies punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni l'impedimento del controllo, ovvero il delitto di chiunque impedisce, intralcia o elude l'attività di vigilanza e controllo ambientale e di sicurezza e igiene del lavoro ovvero ne compromette gli esiti.
L'impedimento deve realizzarsi negando o ostacolando l'accesso ai luoghi, ovvero mutando artificiosamente il loro stato. Peraltro, laddove l'ostacolo sia posto, ad esempio, con mezzi meccanici, in base al successivo articolo 452-undecies deve esserne disposta la confisca.
La fattispecie penale di omessa bonifica è introdotta dal nuovo art. 452-terdecies, che punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da 20.000 a 80.000 euro chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi.
L'obbligo dell'intervento può derivare direttamente dalla legge, da un ordine del giudice o da una pubblica autorità.
La nuova fattispecie non pare sovrapporsi a quella di cui art. 257 del Codice dell'ambiente (d.lgs. 152/2006), che prevede una contravvenzione (arresto da sei mesi a un anno o ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro) per chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, se non provvede alla bonifica. Inoltre, l'articolo 257 del Codice - come modificato dalla proposta di legge – prevede la salvaguardia delle più gravi fattispecie di reato.
Il delitto di cui all'art. 452-quaterdecies punisce con la reclusione da 1 a 3 anni l'illecita ispezione di fondali marini.
L'illecito è commesso da chiunque utilizza la tecnica dell'air gun o altre tecniche esplosive per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi.
L'air gun è una tecnica di ispezione finalizzata all'analisi della composizione del sottosuolo marino consistente, in sostanza, in spari di aria compressa ad alta intensità sonora, esplosi a determinata distanza l'uno dall'altro. Tale tecnica genera onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione dei fondali marini.
Rispetto alle nuove fattispecie penali introdotte dall'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4], solo due possono essere commesse per colpa: il delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-bis) e quello di disastro ambientale (articolo 452-quater).
In tali casi, le pene per i reati-base sono diminuite – art. 452-quinquies - fino ad un massimo di due terzi (primo comma). Una ulteriore diminuzione di un terzo della pena è prevista per il delitto colposo di pericolo ovverosia quando dai comportamenti di cui agli artt. 452-bis e 452-quater derivi il pericolo di inquinamento ambientale e disastro ambientale.
Mentre l'art. 452-octies prevede specifiche aggravanti nel caso di commissione in forma associativa dei nuovi delitti contro l'ambiente, l'art. 452-novies introduce una nuova circostanza definita "aggravante ambientale". Tale disposizione prevede un aumento di pena (da un terzo alla metà) quando un qualsiasi reato venga commesso allo scopo di eseguire uno dei delitti contro l'ambiente previsti dal nuovo titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, dal Codice dell'ambiente (D.Lgs 152/2006) o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente. L'aumento è invece di un terzo se dalla commissione del fatto derivi la violazione di disposizioni del citato Codice dell'ambiente o di altra legge a tutela dell'ambiente. E' prevista, in ogni caso, la procedibilità d'ufficio. Dalla formulazione consegue che la seconda violazione può riguardare anche illeciti amministrativi.
L'art. 452-decies introduce nel codice penale la disciplina del ravvedimento operoso. In particolare, è previsto che chi si adopera per evitare che l'attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori o provvede alla messa in sicurezza, bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi beneficia di una diminuzione di pena dalla metà a due terzi; tali attività riparatorie dei luoghi devono avvenire "concretamente" e, in relazione alla tempistica, "prima che sia dichiarata l'apertura del dibattimento di primo grado".
Al concreto aiuto all'autorità di polizia o giudiziaria per la ricostruzione dell'illecito e nell'individuazione degli autori consegue l'applicazione di una diminuzione della pena da un terzo alla metà
Le ultime due disposizioni del titolo VI-bis intervengono su confisca obbligatoria e ripristino dello stato dei luoghi.
L'art. 452-undecies c.p. prevede che, in caso di condanna o patteggiamento per i reati di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo nonché per i reati associativi finalizzati alla commissione dei nuovi reati ambientali previsti dal titolo VI-bis, il giudice debba sempre ordinare la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commetterlo; una clausola di salvaguardia, a tutela dei terzi estranei al reato, esclude l'obbligatorietà della confisca quando i beni appartengano a questi ultimi. Se la confisca dei beni non è possibile, il giudice ordina la confisca per equivalente, individuando i beni sui quali procedere dei quali il condannato abbia la disponibilità anche per interposta persona.
E' inoltre previsto dall'art. 452-undecies: un obbligo di destinazione dei beni e dei proventi confiscati, che devono essere messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all'uso per la bonifica dei luoghi; l'inapplicabilità della confisca quando l'imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza dei luoghi e, se necessario, alla loro bonifica e ripristino.
L'art. 452-duodecies stabilisce che, in caso di condanna o patteggiamento per uno dei nuovi delitti ambientali, il giudice debba ordinare il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo l'esecuzione di tali attività a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del primo (ex art. 197 c.p.). La disposizione prevede una più puntuale disciplina della procedura di ripristino dei luoghi attraverso il rinvio alle disposizioni del Codice dell'ambiente che già prevedono tale misura.
L'articolo 1, comma 5, della legge n. 68 del 2015 modifica, invece, l'articolo 32-quater del codice penale, relativo ai casi nei quali alla condanna per alcuni delitti consegue l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Il catalogo dei delitti ivi previsti è aggiornato con l'inserimento dell'inquinamento ambientale, del disastro ambientale, del traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, dell'impedimento del controllo e delle organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
L'articolo 1, comma 6, modifica, infine, l'art. 157 del codice penale, prevedendo il raddoppio dei termini di prescrizione per tutti i nuovi delitti contro l'ambiente introdotti dal nuovo Capo VI del libro II del codice penale.
L'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] interviene anche sul Codice dell'ambiente (D. Lgs. 152/2006 [3]).
Il comma 8 dell'articolo 1 della legge n. 68 del 2015 [4] novella l'art. 25-undecies del decreto legislativo n. 231 del 2001 [8], estendendo il catalogo dei reati che costituiscono presupposto della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato. Il comma 8 prevede infatti a carico dell'ente specifiche sanzioni pecuniarie per la commissione dei seguenti delitti contro l'ambiente (art. 25-undecies, comma 1):
Inoltre, con l'inserimento del comma 1-bis nel menzionato articolo 25-undecies, si specifica, in caso di condanna per il delitto di inquinamento ambientale e di disastro ambientale, l'applicazione delle sanzioni interdittive per l'ente previste dall'art. 9 del D.Lgs. n. 231 del 2001 [9] (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni; divieto di contrattare con la PA; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi). La disposizione specifica che per il delitto di inquinamento ambientale, la durata di tali misure non può essere superiore a un anno.
L'articolo 2 della legge n. 68 del 2015 [2], modifica la legge 150/1992 [10], che reca la disciplina sanzionatoria della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari v, ivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
Le nuove disposizioni rendono più severa la disciplina sanzionatoria della legge 150/1992, di natura contravvenzionale e amministrativa.
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%231
[2] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2015;68
[3] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2006;152
[4] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2015;68~art1
[5] http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/46170_11_2016.pdf
[6] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2006;152~art318octies
[7] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2017;103
[8] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001;231
[9] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2001;231~art9
[10] http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992;150